Un mese.
Era passato un arduo e dolorante mese da quando lui se ne era andato.
Non era al campo, l’ho saputo dopo due settimane dal mio
arrivo. Se ne era andato neanche un mero giorno dopo che gli ho
comunicato la notizia. Quando lo scoprii, mi venne un colpo al cuore.
Mi rannicchiai sul mio scaffale che fungeva da letto e rimasi sdraiata
lì per ore e di quando in quando una lacrima solitaria
scorreva lungo le mie gote. Nessuno si interessò di me.
Ormai era ovvio che ero incinta, si vedeva il rigonfiamento della mia
pancia che le mie mani carezzavano sempre, almeno una volta al minuto.
La sola idea che si potesse spargere la voce sul mio stato mi
terrorizzava e quando pensavo che cosa poteva esserne di me mi venivano
i brividi. Ero stupefatta nell’accorgermi che i giorni
passavano così in fretta e mancava sempre meno alla scadenza
dei nove mesi. Ora, ero alla fine dell’ottavo mese e questo
mi metteva paura. Non sapevo che cosa poteva succedere o come partorire
o dove sarei dovuta andare o niente! Qualcuno sarebbe stato
lì apposta per me? Qualcuno mi avrebbe aiutato? Oh, quei
pensieri doloranti risuonarono terribili nel mio cervello durante il
corso di tutta la notte.
Avevo la nausea, presi la mia scodella e la posai accanto a me, nel
caso mi servisse nelle prossime ore. Provai a sdraiarmi, ma un nuovo
colpo di tosse mi fece vomitare e la mia gola venne invasa dal dolore.
Sapevo che il vomito fosse sintomo di gravidanza, ma non poteva
succedermi così frequentemente, soprattutto ora, come non
potevo tossire così tanto o avere dei sintomi di influenza.
“Potresti fare un po’ meno chiasso? Stiamo cercando
di dormire” mi chiese arrogante una voce a me familiare.
Ridussi i miei occhi a una fessura, determinata a non farmi prostrarmi
davanti alle sue supplice “Oh, così ora il diavolo
parla?”
“Sono io il diavolo? Per prima cosa io non porto un bastardo
in grembo, un uovo del demonio” La mia mano corse sul mio
stomaco protettiva, come per assicurare che lui non era un uovo del
demonio “Beh, questo bastardo, questo uovo del demonio,
è tuo nipote, congratulazioni”
“Quella roba non è mio nipote; ti ho rinnegata,
ricordi?”
“Tu non potrai mai ripudiare la tua famiglia, ricordalo, cara
madre. Questo bambino è la mia famiglia, ma anche la tua; tu
puoi o chiudere la tua ripugnante bocca e vivere con lui o io
verrò a battere tutto ciò che
c’è di vivo in te, che non dovrebbe essere molto,
cagna dal cuore di ghiaccio” Tutto il resto del tempo fu
silenzio. Lei non parlò o commentò più
il mio costante vomitare durante tutta la notte, e ne ero grata,
finalmente avevo avuto il coraggio di fare le cose di testa mai, senza
il bisogno del suo aiuto. Era solo questione di tempo.
Quando fui sicura che tutti stavano dormendo, mi sedetti e guardai dove
il mio bambino giaceva nidificato dentro di me “Grazie
piccolo mio” sussurrai, accarezzando il mio ventre con
affetto “Grazie per avermi dato il coraggio di
affrontarla” Ricevetti un calcetto come risposta e il mio
sorriso crebbe al solo pensiero della creaturina che viveva nel mio
ventre.
Forse avere un bambino non sarebbe stato così male, forse
era facile da amare. Forse non sarebbe stato così terribile
crescere il mio bambino in un campo; dovevo solo fare tanti sacrifici
per lui. Dovevo essere in grado di insegnarli ogni cosa, anche quello
che non sapevo. Dovevo imparare ad amarlo perché io stavo
per avere un bambino, perché io ero sua madre. Mi morsi il
labbro quando realizzai che ero una madre single, l’unico
genitore che il bambino avrebbe avuto perché suo padre
l’aveva abbandonato.
“Non ti preoccupare” sussurrai al mio bambino che
mi diede una gomitata “Tua madre ti amerà e
curerà come se fossero cento coppie di genitori a
farlo” Questo sembrò calmare il mio piccolo e il
mio sorriso crebbe ancora di più pensando che mio figlio mi
amava proprio come io amavo lui.
Lui avrebbe avuto gli occhi penetranti di Duncan, sarebbe stato bello
come lui e calmo e composto come lui. Avrebbe avuto la mia intelligenza
ed equilibrio e fascino. Non sarebbe stato facile amare questo bambino,
non per tutti almeno.
o 0 O 0 o
Spingendo la sega sempre più in profondità della
quercia, riuscii a tagliare un decente e sottile pezzetto di legno.
Raccolsi il lungo pezzo, presi la cartavetrata e mi sedetti sullo
sgabello cominciando ad appianare il tocco. La mia mente continuava a
rimuginare, non riuscivo smettere per quanto ci provassi.
Sapevo che la mia decisione era sbagliata, no, era più che
disumana, ma io volevo tornare indietro da lei. Ho avuto tempo per
pensare, tempo per elaborare ciò che mi aveva confessato.
Nel frattempo avevo arredato e abbellito la piccola casa che avevo
comprato per noi.
Ma ora, non sarebbe stata solo per noi due. C’era anche un
bambino in arrivo che non avrebbe impiegato poi molto a venire al
mondo, ormai il tempo stava per scadere.
Era solo colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia. Non avevo mai
pensato di indossare protezioni mentre facevo l’amore con
lei, o meglio, mentre la violentavo, quel pensiero non aveva mai
lasciato la mia mente. A quel tempo, sembrava che niente del genere
potesse accadere. Ridacchiando amaramente, levigai il legno in un punto
più difficile prendendo tutta la mia rabbia contro me stesso
e scaricandola sotto forma di forza su di esso. Ero così
stupido, naturalmente concepire un bambino era possibile. Era solo
colpa mia se lei aveva sofferto, mese dopo mese, a causa di un bambino
che nemmeno sapeva di avere. Era solo colpa mia se ora
l’avevo lasciata sola con l’ansia e la paura di
dare alla luce un bambino.
E se il bambino stava per nascere?
E se fossero stati entrambi uccisi prima del mio arrivo?
Accigliato, afferrai il mio coltello e iniziai a tagliare legna del
bosco, prima di iniziare a inciderne i modelli. Non ero
l’uomo giusto per lei. Avrei per lo meno dovuto stare
là, al campo, e dirle che sarei partito. Non partito senza
di lei, ma partito per lei. Partito per arredare la casa che le avevo
segretamente comprato, lei non avrebbe dovuto saperlo. Volevo
sorprenderla quando le avrei detto che la portavo nella sua nuova casa,
già arredata e perfetta, come lei l’aveva sempre
desiderata.
Mi alzai, gettai il legno perfettamente sagomato nella pila e camminai
per il bosco. Segai avanti e indietro, sentendo il mio petto sempre
più viscido di sudore e di freddo.
Speriamo che lei mi
perdoni. Speriamo che lei mi perdoni, ancora una volta, per tutto il
male e la sofferenza che le ho causato.
Eppure questa volta, non aveva ragione di perdonarmi. Le avevo
imprigionato nel ventre un figlio mutante, che nessuno dei due voleva.
Certamente io non lo volevo e lei era sicura di non volerne uno fino a
un prossimo miglior futuro. Non potevo immaginare me stesso, sveglio,
notte dopo notte, in attesa di uno schifoso infante piangente e sporco.
Non potevo immaginare me stesso mentre asciugava il naso bagnato a un
bambino arrogante. Non potevo mai e poi mai immaginare me stesso mentre
mettevo un bambino a letto, e lui o lei mi baciava dicendomi quanto mi
amava.
Eppure sono stato costretto a immaginare tutto ciò ed i
risultati non stavano ammorbidendo il mio giudizio. La mia decisione
era ancora quella: non volevo figli e dubito che ne avrei mai avuti.
Questa idea mi era del tutto estranea, ma, ancora una volta, non avevo
altro scelta se non accettare, come Courtney. Non era colpa sua se io
l’avevo violentata, era solo opera mia e questo aumentava il
numero delle mie colpe.
Onestamente, mi sentivo male per lei, per quello che le avevo fatto.
Lei non voleva il bambino quanto io non lo volevo e lei era stata colta
di sorpresa. Così, a causa della sua miseria, aveva tentato
di uccidersi. Non la biasimo, io avrei fatto lo stesso se fossi stato
al suo posto. Ora, lei era sola, senza nessuno che la curasse o
aiutasse. Con un colpo finale di sega, un grande pezzo di legno cadde,
e io lo trascinai verso lo sgabello e iniziai a intagliarlo.
Credo che una volta
finito di lavorare qui, debba tornare da lei e nasconderla per evitare
che venga uccisa. In questo modo, non dovrebbero esserci
problemi, se lei non fosse stata in grado di dire che era incita e
nemmeno io fossi stato in grado di dirlo, allora le guardie non
avrebbero sospettato nulla. Non riuscivo a capire perché lei
non si fosse irrobustita tanto quanto una donna incinta dovrebbe, ma
credo non sia importante. Non mi importa se quel maledetto bambino stia
bene o meno.
Sospirando di sollievo, buttai il blocco di legno intagliato insieme
agli altri e inginocchiandomi iniziai ad assemblarli. La casa era quasi
finita. Grazie al mio duro lavoro, la cucina, il soggiorno e la camera
matrimoniale erano pronte, imbiancate e ammobiliate, esattamente come
lei aveva richiesto. L’unica camera non ancora finita era
quella del bambino. Sinceramente, non mi interessava come sarebbe stata
o se fosse stata appropriata per il bambino, non sapevo che cosa fare.
Alla fine dipinsi il tutto di un lavanda pallido facendo attenzione che
il colore fosse ben distribuito e colorato alla perfezione. Il
pavimento era in legno e il tappeto che avevo comprato si intonava con
il colore delle pareti.
Con un grugnito, alzai la costruzione finita e camminai fuori dal
capannone per poi entrare in casa, andare di sopra e dirigermi verso la
camera per il bambino. Posai a terra l’oggetto e ammirai la
stanza con piccolo cipiglio, incapace di credere di tutti i miei
inutili sforzi per costruire una stanza senza alcun valore.
Il bambino non avrebbe mai significato nulla per me, non avrebbe mai
avuto alcun valore. Non era altro che il frutto di uno stupro.
Chiusi la porta dietro di me, senza guardarmi indietro, senza ammirare
la bella culla con le incisioni o la sedia a dondolo che distavano a
pochi metri da me.
o 0 O 0 o
“Cosa ne pensi di Adam, mio dolce bambino?” chiesi
a mio figlio mentre lavavo i piatti. Stavo decidendo il nome adatto per
lui cercandone di interessanti e con diversi significati. Non ricevetti
calcetti in risposta perciò conclusi che non gli piaceva il
nome “Hai ragione, tesoro. Nemmeno io lo trovo molto
carino” Sorrisi, ma la mia pace fu presto rovinata da forti
colpi di tosse. Dopo essermi calmata, cercai di schiarirmi la gola, ma
mi accorsi che fu difficile.
“E’ strano…” pensai ad alta
voce ricevendo un calcetto in risposta. Sorrisi all’idea che
mio figlio si stava preoccupando per sua madre. Scossi la testa,
incapace di aspettare il momento in cui avrei baciato la sua testolina
con pochi capelli “Non è niente, piccolo, non ti
preoccupare. Comunque, che ne pensi di Eleazar, Eli per
abbreviarlo?” ricevetti un leggero calcetto, il che
significava che era un nome abbastanza carino, ma non ancora esauriente
“Scusa tua madre se ora non riesce a pensare a nomi che ti
aggradano. Ne troverò uno che ti piacerà, lo
prometto”
Qualche volta mi passò per la mente di proporgli il nome di
suo padre- che era una tradizione molto usata- ma dubito che sarei
stata in grado di guardare il mio bambino senza ricordarmi che lui
aveva rovinato il mio quasi-matrimonio con il suo stesso padre.
Sospirai e riflettei se Duncan fosse mai tornato da me. Sicuramente gli
mancavo.
Scossi la testa e iniziai a canticchiare una canzone che mia madre mi
cantava quando ero piccola, cercando di togliermi questi stupidi
pensieri dalla testa. Chissà se il mio bambino riusciva a
percepire il mio malessere… “Yonatan, ha
Katan…” cantai ad alta voce e quel motivetto si
bloccò nella mia mente per un paio di minuti
“Aspetta un attimo… Ce l’ho!
Yonatan!” esclamai e il mio sorriso si allargò
sempre di più quando il mio bambino mi diede un calcetto,
finalmente avevo trovato un nome che gli aggradava.
“Yonatan, mio dolce Yonatan… ti amo piccolo
mio” amoreggiai giocando con l’idea del nome
perfetto. Ricevetti un altro calcetto, ridacchiai, ma la mia risatina
si trasformò in numerosi colpi di feroce tosse, non riuscivo
a smettere. Dopo circa dieci minuti di tosse incontrollabile, guardai
le mie mani che erano state davanti la mia bocca. Le pupille si
dilatarono, impallidii e osservai il liquido rosso che le ricopriva.
Sangue.
“Tu!” mi voltai di scatto ritrovandomi faccia a
faccia con una livida guardia “Eri tu che tossivi in quel
modo?” Avevo paura di parlare, annuii e le mie mani corsero
lungo il mio pancione per proteggere il mio bambino dalla furia del
tedesco. Quella guardia era nuova e priva di esperienza, si vedeva. Era
giovane e sembrava che non sapesse bene cosa stesse facendo. I suoi
occhi mi scrutarono timidi facendosi strada lungo il mio corpo e
fermandosi sul mio grosso ventre “Sei incinta?”
“S-sì, signore”
“Da quanti mesi?”
“Quasi nove, signore” risposi spaventata per la
vita di mio figlio. Sembrava che stava pensando cosa fare con me, se
uccidermi o meno. I miei occhi erano spalancati e pieni di terrore,
pregai di avere pietà di me e di non mandarmi ad essere
gassata. Pregai interiormente Dio, supplicandolo di non uccidere
un’anima ancora non nata, che non aveva ancora emesso il suo
primo respiro.
Per una volta, Dio mi ascoltò ed ebbe pietà di me.
“Verrò con te all’ospedale. Non voglio
aver bambini da far nascere e il tuo marmocchio disturberebbe il
campo” Senza un’altra parola, mi prese in braccio e
mi portò in una struttura, meglio conosciuta come ospedale.
Mi calmai all’idea di un dottore che sapeva come comportarsi.
Avrebbe fatto nascere mio figlio.
L’ospedale non era proprio come me lo immaginavo. Tanto per
iniziare era sporco. Sporcizia e rifiuti ricoprivano ogni centimetro di
pavimento, i topi correvano senza meta e gli insetti volavano e
scorrazzavano in giro. Il tedesco mi trascinò in giro
parlando con una donna in un tedesco così rapido che non
riuscii a capire una parola. Continuò a trascinarmi per i
corridoi fino ad arrivare ad una stanza piccola, squallida e solitaria.
Aveva un lettino sporco, ma più pulito degli altri, e una
piccola finestra polverosa.
“Aspetta qui il dottore” abbaiò la
guardia, spingendomi in direzione della branda. La raggiunsi e mi
sedetti con cautela, tenendomi il ventre e cercando di calmare il mio
piccolo Yonatan “Shh, va tutto bene” sentii un
leggero fremito “Sta andando tutto bene, tu starai bene. Sei
al sicuro ora, non ti preoccupare” Credevo veramente alle
parole che avevo appena pronunciato. Stava andando tutto bene, ero al
sicuro e nessuno poteva farmi del male.
Un forte bussare alla porta mi allarmò subito, ma diedi il
permesso di entrare al dottore. Con un viso inespressivo, mi disse di
togliere i vestiti e mi esaminò. I suoi occhi era turbati.
Analizzò tutti i test dicendo che erano regolari, come ero
già a conoscenza, disse che il bambino stava bene, ma
c’era qualcosa di strano, di anormale nella mia gravidanza.
“Da quanti mesi hai detto di essere incinta?”
“Quasi nove” risposi tracciando piccoli cerchi con
il pollice sul mio ventre. Lo sguardo negli occhi del dottore
fermò i miei movimenti e mi alzai inquieta, senza sapere che
cosa pensare “C’è qualcosa che non
va?”
“Tu sei gravemente malata. Hai la febbre molto alta e una
costante tosse a causa dell’accumulo di muco. Sei sotto peso
per essere una donna incinta e, come se non bastassi, il bambino ti sta
prendendo tutta l’energia rimasta” I miei occhi si
spalancarono e il mio volto perse ogni colore.
“Che significa?” chiesi, impreparata per la
risposta che stavo per sentire.
“Se tu darai alla luce questo bambino, non avrai alcuna
possibilità di sopravvivere”
Salve a tutti,
io sono Xenja, la nuova
traduttrice di questa storia. Inanzitutto voglio ringraziare di cuore
Kissina che mi ha permesso di concluedere il suo lavoro iniziato e ben
curato. Spero che le mie traduzioni siano soddisfacenti quanto le sue.
Sto già traducendo un’altra storia, sempre
Duncney, perciò con l’inserimento di questa
sarò più lenta negli aggiornamenti.
Cercherò di finire la storia e dovrei riuscirci, salvo
imprevisti… leggete la prima frase del mio account (Xenja) e
capirete.
In quanto al rating
rosso, mi è stato chiesto di abbassarlo per consentire a
tutti di leggere, ma l’amministrazione l’ha
vietato, quindi rimarrà rosso.
E’ tutto,
spero di avervi soddisfatto con la mia traduzione,
La traduttrice,
Xenja ♥
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