Dear Father
Capitolo
18
Se
per Jackie la cucina quella notte aveva
dovuto essere il luogo perfetto per annegare qualsiasi pensiero in un
impasto
di torta, si era sbagliata di grosso. La bella newyorkese, come Ville
la
chiamava lontano dalle sue orecchie, non aveva fatto i conti con le
attrazioni e
le varie sorprese che la torre offriva ai visitatori notturni. In
questo caso,
la bella fanciulla si era imbattuta nel padrone di casa, forse la belva
più
difficile da domare lì dentro.
In altri
termini, Jackie non aveva fatto i
conti con gli atteggiamenti ambigui che il proprietario della lugubre
torre,
Mister Diva, adottava quando decideva di trasformarsi in un seduttore.
E tutto
ciò aveva provveduto a far ricadere
Jackie in quel vortice di pensieri dal quale, con tutta se stessa,
aveva
cercato di liberarsi poco prima di avere la brillante idea di scendere
in
cucina. Era tornata a pensare a Ville e al motivo per cui Hanna le dava
sempre
quella sensazione di ricevere una pugnalata in pieno petto con una voce
annessa
che le sussurrava all'orecchio " non sarai mai elegante e bella come
lei!".
Non che Jackie
avesse voglia di diventare
come Hanna. In fondo, lei ci teneva ad avere un cervello e una lingua
più lunga
di un'autostrada di New York, ma il punto era che nonostante Hanna
potesse
avere molti difetti, era comunque una donna sicura, che sapeva
distinguere un
rosa acceso dal rosa antico, che si sapeva curare e che mostrava sempre
una
certa eleganza nei movimenti.
Tutto
ciò naturalmente, la riconduceva al
primo punto: Ville.
Questa volta
però, tale pensiero, si era
trasformato in qualcosa di più serio. Se prima Jackie
pensava a Ville
ripassando nella sua mente tutti i suoi pregi e difetti, soffermandosi
molto
sulla sua parte fragile, quella che forse mostrava solo a Mige o a
Jesse e che
lo rendeva più umano e interessante ai suoi occhi, ora la
lista era stata
aggiornata, a causa della situazione eccezionale accaduta una manciata
di
minuti prima.
Ed ecco ora
arrivare, dunque, la rubrica
" Taccuino di un giovane seduttore."
Jackie in vita
sua credeva di visto qualsiasi
forma di seduzione, ma mai si sarebbe sognata di assisterne ad una di
così
grande potenza. Sì, perché quello era stato un
vero e proprio attacco di
seduzione che nemmeno Casanova con tutta la buona volontà,
sarebbe stato in
grado di mettere in scena con così tanto fascino,
sensualità e delicatezza
misto ad un inconfondibile lato sexy, come
era stato capace di fare Ville Valo.
Quegli occhi erano capaci di immobilizzare la vittima senza il bisogno
di
costruire attorno ad essa una autentica gabbia. Bastava quello sguardo
sexy per
imprigionare le anime e accendere i bollenti spiriti e mandarli in
combustione.
Ciò
che in quel momento Jackie si chiedeva era
per quale motivo Ville avesse deciso di giocare con lei di punto in
bianco.
Davvero non
capiva.
L'unica cosa di
cui era sicura era il fatto
che quell'atteggiamento aveva provveduto a far crollare la certezza
che, in quel
periodo lì ad Helsinki, aveva avuto sulla grande delicatezza
e serietà che non
si aspettava minimamente da un uomo come lui.
La situazione
era stata ribaltata. Jackie
non era più certa dell'essenza di Ville; dopo quella
scenetta piccante, lei non
era più in grado di capire chi fosse il vero Ville Valo.
Iniziava a credere che
l'uomo fragile e impacciato che aveva conosciuto per tutto quel tempo
fosse uno
dei tanti Ville.
Ancora
incredula, era tornata in camera e
in balìa di questi discorsi mentali continuava a fare avanti
e dietro come se
aspettasse la chiamata per il patibolo. I battiti del cuore erano
ancora accelerati
mentre le mani stringevano i fianchi, come se questo le permettesse di
dare una
calmata al suo corpo, ancora eccitato dall'accaduto.
Era come se il
corpo e il cuore fossero
ancora lì in cucina, ,
tesi
a percepire ogni piccola
emozione stretti nella morsa letale di Ville Valo, il belloccio che nei
primi
mesi senza Johanna aveva odiato con tutta se stessa. Aveva dato la
colpa anche
a Marika di questo, poiché si sentiva presa in giro dalla
persona che le aveva
fatto giurare poco prima che la malattia la portasse all'ultimo
respiro, di
prendersi cura di Johanna, quella ragazza che aveva sempre sentito come
sua
figlia fin da quando era nata.
L'unico
componente, dunque, che sembrava
non essere soggetto alle passioni era il cervello.
Continuava a
lavorare, più del normale. Per
questo, Jackie, che per un momento si era appoggiata sul letto, si
alzò e cercò
di scacciare dalla sua mente il viso malizioso di quel finnico da
strapazzo. E
poi nuovamente si sedette e si abbandonò sul cuscino
sbuffando. Doveva smetterla
di pensare a tutto questo, di farsi paranoie inutili e di continuare a
vivere
come se niente fosse.
In fondo non era
mica finito il mondo!
" Stupida."-
sussurrò.- "
sei semplicemente una stupida che si fa prendere dalle frivolezze
inutili e
sciocche."
Si
girò verso la finestra e restò a fissare
la luce debole del lampione che inondava la sua camera.
Aveva smesso di
illudersi sugli uomini, da
un bel pezzo, da quando non credeva più nell'amore, negli
uomini fedeli e nella
capacità di riuscire ad avvicinarsi ad una persona in grado
di proteggerla e di
amarla senza farle del male. Non aveva dimenticato quello che aveva
subito, la
sua sottomissione ad un uomo che amava ciecamente, senza accorgersi
della vera
realtà, quella fatta di infedeltà, notti insonni
ad aspettare qualcuno che a
casa non rientrava, di sentirsi inutile e di aver dato consensi forzati
per far
felice un altro che non era lei.
Fissò
il soffitto e una piccola lacrima
velocemente morì sul cuscino.
Non era ancora
in grado di reagire alle sue
amarezze se non con un sospiro e qualche lacrima.
Eppure aveva
visto in Ville qualcosa di
diverso dagli altri, ma che non riusciva a spiegarsi e di cui aveva
paura,
molta..
Alla fine
terminò il suo lungo calvario
mentale chiudendo gli occhi e aspettando che la stanchezza la portasse
ad
addormentarsi senza altri pensieri.
Continuava a rigirarsi la foto tra le mani
mentre, in pigiama e con passo incerto, camminava nel corridoio in
direzione
della stanza di Ville. Johanna non sapeva se quella fosse la cosa
giusta da
fare, ovvero, donare la foto che sua madre le aveva dato prima di
morire, che
ritraeva lei e Ville molto giovani, a suo padre.
Quella notte
aveva pensato molto, sia se
valeva la pena separarsi da quella foto per un regalo e sia su che cosa
dire a
suo padre. Per lei era sempre difficile fare un discorso, a prescindere
se
l'avesse fatto a Ville Valo o al vicino di casa. Non riusciva ad
esprimersi al
meglio sui suoi sentimenti per via della sua timidezza.
E poi era strano
sapere che quel giorno lei
non doveva immaginare, come aveva sempre fatto, cosa facesse Ville Valo
in
occasione del suo compleanno. Aveva sempre pensato che Ville
festeggiasse con
la sua famiglia e qualche amico senza fare niente di spettacolare. Per
come era
lui, Johanna era sicura che le cose andassero come lei immaginava.
E ora era
lì, e avrebbe visto con i suoi
stessi occhi ciò che sarebbe accaduto.
Buffo come il
destino a volte giocava
questi incredibili scherzi..
Giunta davanti
alla porta deglutì e restò
per qualche minuto con il pugno in alto senza bussare. All'improvviso
le era
scomparso il poco coraggio che aveva racimolato.
Non
c'era più tempo per pensare, nemmeno alla cosa
più stupida. Era lì
davanti alla porta della sua stanza e, a meno che non avesse avuto
intenzione
di scappare come una codarda e rifugiarsi in camera sua, quello era il
momento
giusto per bussare e attendere che Ville le aprisse, o quanto meno, le
desse il
consenso anche solamente con la sua voce, ad entrare. Come tale, non si
aspettava di certo che la diva si alzasse dal letto per andare ad
aprire. Le
volte che era entrata in quella stanza, Johanna non avevano mai avuto
il
privilegio di vedere Ville pronto dietro alla porta ad aprire con
grande
allegria. Anzi, aveva dovuto combattere contro i grugniti di un
rachitico che
borbottava continuamente di lasciarlo dormire ancora un altro po' prima
di
prepararsi per accompagnarla a scuola. Ed erano ancora più
rare le volte che
Ville era già pronto e bussava alla sua di porta urlandole
di alzarsi.
" Ehi! Che stai
facendo?"
La voce di Ville
la fece sobbalzare e con
il cuore in gola, si girò verso di lui.
Non era
possibile! Era già in piedi e
pronto! Miracolo!
Questo non
faceva altro che peggiorare la
situazione, però. Johanna sembrava un automa.
" Hai perso la
lingua?"- le
chiese Ville avvicinandosi, divertito.
Johanna scosse
la testa e decisa rispose:
" no..ero venuta da te per.."
Si
bloccò e abbassò lo sguardo verso la
foto.
Guardò
nuovamente Ville e con un mezzo
sorriso disse: " beh..ehm..buon compleanno!"
" Grazie!"-
rispose allegramente
Ville, decisamente confuso dal comportamento strano di sua figlia.
" C'è
qualcosa che non va?"-
chiese cercando di catturare lo sguardo di Johanna che si era
nuovamente
nascosto.
Johanna
sospirò e lo guardò dritto negli
occhi.
" Io volevo
darti una cosa."
Allungò
la mano e consegnò a Ville la foto.
Ancora confuso,
il ragazzo guardò Johanna e
poi la foto.
Con enorme
sorpresa, Ville, fissò il suo
passato fra le sue dita e quella donna che sorrideva, bellissima, fra
le sue
braccia.
" Marika.."-
sussurrò.
" Questa foto me
l'ha data la mamma
prima che morisse."- annunciò Johanna schiarendosi la voce.-
" non te
l'ho fatta vedere all'inizio perché ero ancora arrabbiata. E
poi..non riuscivo
a crederci e quindi fissavo la foto cercando di capire se tutto quello
che
stava succedendo fosse vero. Soprattutto se fosse vero il fatto che tu
avresti
fatto parte della mia vita in maniera diversa. Io penso che la mamma
avrebbe
voluto che questa la consegnassi a te..quindi..beh..è tua
ora. "
Era davvero imbarazzata e per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi
fissi sulla
mano di Ville che teneva la foto. Ville era ancora incredulo
perché non aveva
pensato minimamente che Marika per tutto quel tempo avesse una loro
foto con
sé.
" Forse ho fatto
male a.."-
iniziò Johanna in preda al panico.
" No..no. sono contento che tu mi abbia voluto regalare questa foto.
Ultimamente mi sono chiesto più volte se Marika avesse
conservato qualche foto
nostra. Io l'ho fatto."- disse Ville sorridendole.
Johanna
sgranò gli occhi.
" Davvero?"
Ville aveva con
sé delle foto
di sua madre?
Ville ridendo
per via della
faccia sconvolta di Johanna, aprì la porta della sua stanza
e si avvicinò
all'armadio. Dopo aver trafficato abbastanza, da un cassetto estrasse
una
vecchia scatola. Johanna la guardò meravigliata, mentre
Ville le fece cenno di
sedersi accanto a lui sul letto ancora disfatto.
Il ragazzo
sollevo il
coperchio e finalmente Johanna poté vedere cosa si celasse
all'interno.
C'erano vari
oggetti e a
giudicare dall'aspetto erano molto vecchi, probabilmente erano piccoli
ricordi
che Ville stesso conservò per avere con sé le
cose a cui si era affezionato.
Johanna non volle essere una ficcanaso, per questo non chiese nulla,
specie di
quel vecchio bottone rosso che stonava con tutto il resto.
Aspettò che fosse
suo padre a parlare.
Ville proprio in
quel momento
tirò fuori una foto e guardò per qualche istante
Johanna. Poi sorridendo gliela
porse. E lei confusa, prese la foto guardando prima Ville e poi la foto.
C'era una donna
molto giovane
davanti ad una casa e affianco a lei c'era sempre Ville. Sembrava che
tale foto
fosse collegata alla sua poiché i due indossavano gli stessi
indumenti e Marika
aveva gli stessi capelli ricci e corti con un nastro.
Immaginò che questa fosse
stata scattata prima della foto che aveva conservato sua madre.
Quella doveva
essere la casa
di Marika lì ad Helsinki. Lei e Ville sorridevano e le loro
posizioni erano
spontanee, segno che la foto era stata scattata all'insaputa dei due.
Marika
era così bella che Johanna non le riusciva a staccare gli
occhi.
E Ville non
aveva nessuna
traccia di malinconia sul viso, come mostrava ora. Era un giovanotto
spensierato.
" Ti piace?"
Johanna
annuì.
" Questa la
scattò Mige.
Sai, quel giorno si divertiva a fare foto all'impazzata. ' Voglio fare
una foto
originale!' diceva. Ero appena giunto a casa di tua madre.
Lì stavamo parlando.
Penso che tua madre stesse dicendo una sciocchezza sui suoi capelli.
Sai, a lei
piaceva molto scherzare. Era così allegra che alle volte mi
domandavo se era
vera. Riusciva a riempire le mie giornate, ad inondarle di luce anche
quando
erano davvero pessime. Non capii mai cosa l'avesse colpita di me,
così tanto da
innamorarsi di un burbero e antipatico come il sottoscritto."
" Me lo chiedo
anche
io."- scherzò Johanna.
" Ehi!"-
esclamò Ville fingendosi
offeso. Johanna ridacchiò e consegnò la foto a
Ville. Lui la rimise
accuratamente nella scatola. Poi prese la foto che gli aveva regalato
Johanna e
la mise vicina all'altra e chiuse la scatola per rimetterla al suo
posto.
Forse in quel
momento Johanna avrebbe
dovuto dire qualcosa di carino, o aggiungere qualche parola in
più di un
semplice ' buon compleanno'.
Forse avrebbe
dovuto pronunciare quella
parola magica, ' papà', ma non era in grado di farlo.
E questo le
dispiaceva.
" Ville io.."
" Amoreee!"
Ma Hanna
riuscì ancora una volta a rovinare
tutto.
Ville le
andò incontro senza però baciarla.
' Meno male',
pensò Johanna.
" Che stavate
combinando voi
due?"
' Saranno fatti
nostri, no?', aveva voglia
di rispondere la ragazza.
"
Stavamo..parlando."- rispose
invece Ville, cercando di sorriderle. Era difficile farlo, dopo essersi
perso
nei ricordi più felici che conservava gelosamente nel suo
armadio.
" Oh che cari!"-
esclamò Hanna
con voce stridula. A Johanna venne l'istinto di alzarsi e ammazzarla.-
"
scendiamo?"
"
Sì.."- rispose Ville.- "
tu intanto preparati altrimenti faremo tardi."
" Ok.."- disse
con tono spento la
ragazzina che si alzò dal letto e uscì arrabbiata
dalla stanza.
Ville non si
accorse di nulla e quindi
scese con Hanna le scale, cercando di sorridere a quella donna che non
aveva
nulla di simile a lui.
Quando entrarono in cucina, ancora una
volta Ville non pensò minimamente all'eventuale presenza di
qualcun altro e
così si lasciò baciare appassionatamente da Hanna.
Jackie proprio
in quel momento spense il
fornello e dopo aver messo il caffè nella tazza,
alzò gli occhi al cielo
vedendo quella scena.
" Buongiorno
anche a voi."- disse
infastidita.
E naturalmente
Ville, come era successo per
le altre poche volte, si imbarazzò e cercò di far
finta di niente.
" Ciao Jackie!"
Jackie
disgustata non lo guardò nemmeno e
continuò a preparare la colazione per Johanna, indignata.
Ormai era stufa di
quella scenetta, inutile e stupida. Una scenetta che ormai sapeva a
memoria e
la cosa non la esaltava affatto. Anzi, avrebbe preferito evitare di
essere la
stupida di turno, sempre presente in quelle circostanze, ma non poteva
prevedere il futuro. E come tutte le volte che accadeva, evitava di
guardarli e
tossicchiava per rendere evidente la sua presenza, almeno per quello
che poteva
contare.
E come tutte le
volte, Ville non sapeva
cosa dire e fare e finiva per darsi dello stupido, perché
sapeva bene che
poteva evitare ogni tipo di smanceria davanti a Jackie, soprattutto
perché
nemmeno a lui piaceva comportarsi in quella maniera. Ancora una volta
entravano
in gioco i falsi sentimenti che mostrava ad Hanna, quelli che ancora
non
riusciva ad abbandonare. Non c'era un motivo preciso perché
lui si comportasse
in quel modo. Probabilmente lo faceva per via della sicurezza di poter
giocare
come voleva con il cuore di una donna che non gli era mai davvero
piaciuta, ma
che non era così forte da contrastarlo, da disarmarlo,
perché lui non aveva
voglia di mettersi in gioco, di amare veramente.
Ma le cose
sembravano cambiare come le
stagioni e il tempo.
Alla fine tutto
era destinato a cambiare,
perfino e forse ancora di più, quelle abitudini radicate nei
cuori spenti, che
si erano arresi e non avevano più voglia di mettersi in
gioco. Ma quando il
sole li colpiva, era difficile per loro lasciare la strada comoda per
imboccarne una un tantino tosta, anche se lo volevano. E questo Ville
lo sapeva
bene. In lui si erano spente tutte le luci e aveva finito per abituarsi
alle
comodità piuttosto che reagire a ciò che nemmeno
gradiva.
Ma Jackie era
lì, e lui doveva prendere
delle decisioni sul da farsi. Non poteva giocare per tenersi stretta la
comodità e allo stesso tempo ambire a ciò che era
nuovo e giusto per lui.
Doveva decidersi
ed evitare scenette
stupide sia di giorno che di notte.
Già,
la notte. Più precisamente quella
appena trascorsa.
Non aveva
bevuto, non aveva fatto uso di
sostanze stupefacenti, eppure sapeva benissimo che quello che aveva
fatto era
stata una perfetta cazzata. Si era dato del coglione e aveva pensato
quasi
tutta la notte a Jackie e alle sue possibili reazioni, dal momento che
conosceva perfettamente quanto potesse essere insolito per lei vedersi
quegli
atteggiamenti proprio da lui, dal cretino della torre. Sapeva quanto
Jackie non
sopportasse quei modi di fare, per via di cose che lui non conosceva
fino in
fondo, appartenenti ad un passato che forse non avrebbe mai conosciuto.
La cosa certa,
almeno secondo lui, riguarda
il fatto dell'essersi giocato il tutto e per tutto con Jackie, solo
perché non
aveva le palle per dirle che si stava interessando a lei più
del dovuto e farle
capire che con Hanna non aveva intenzione di metter su famiglia e che
nemmeno
la amava come forse Jackie pensava.
Cosa avrebbe
dovuto pensare dopo tutte le
scene sdolcinate che era costretta a subire, sennò?
Era
più opportuno precisare che Ville aveva
deciso di chiudere la porta in faccia all'amore, nel momento in cui
esso si
faceva vivo. Così evitava gli sguardi, le donne che potevano
interessargli
davvero e che potevano compromettere la sua routine e finire per
coltivare un
deserto in fondo al suo cuore. Ma evitare Jackie era come evitare di
scrivere
una canzone.
Ville aveva mai
voluto evitare un pezzo di
carta?
La risposta era
già nella domanda.
Si
grattò la nuca e aspettò che Hanna se ne
andasse. Un po' in cuor suo aveva timore di restare solo con Jackie, ma
allo
stesso tempo non vedeva l'ora che Hanna andasse via perché
non sopportava più
la sua presenza.
" E' tardi, devo
andare. Mi aspettano
sul set."- disse in quel momento la bionda prendendo la sua giacca e la
borsa. Il ragazzo sospirò sollevato.- " ci vediamo dopo."
Diede un ultimo
bacio a Ville e andò via
senza salutare Jackie, che continuava a sistemare qua e là
senza guardare nella
loro direzione.
Era proprio sul
punto di andare via dalla
cucina quando..
" Jackie!"- la
voce di Ville la
bloccò interamente.
Dovette voltarsi
e simulare che stesse
tranquilla.
" Sì?"
Ville si
fermò esattamente a pochi passi da
lei. Jackie iniziò a sentire il suo cuore battere
più veloce del normale.
"
Ecco..volevo..volevo scusarmi per
stanotte. Non era mia intenzione spaventarti o farti fare un'idea
sbagliata di
me. Ecco..non so cosa mi sia preso. Di sicuro sono stato stupido."
" Tranquillo.
È tutto okay."
Le parole le
uscirono di bocca senza che ci
avesse pensato. Ville la osservò meglio per capire se stesse
mentendo.
Evidentemente Jackie era così brava a fingere.
" Sicura?"
'No', avrebbe
voluto rispondere
prontamente, ma quel "no" implicava un casino di spiegazioni che
probabilmente lei stessa non sarebbe riuscita a sostenere in maniera
chiara e
precisa, inciampando in ogni parola che avrebbe proferito. Era meglio
non
rischiare di finire in una gabbia, quando poteva evitare di mettersi
nei guai.
E per una volta,
Jackie Smith, conosciuta
per i suoi casini appena apriva bocca, decise di seguire il consiglio
che la
sua testa le bisbigliava. Mentire in quel momento, in fondo, le
sembrò
semplicemente un modo per mandare avanti quella insolita convivenza,
anche se
la sua coscienza era di un altro parere. Con un enorme sforzo Jackie
riuscì a
mettere da parte i sensi di colpa, o meglio, nascose quasi
perfettamente
quell'impulso di mandare a monte i suoi piani e affrontare tutte le
spiegazioni
che quel " no" comportava.
" Sì,
tutto okay."- ripeté
sforzandosi questa volta di sorridere. Qualsiasi persona al mondo avrebbe capito che
quel sorriso celava
ben altro dello stare bene. Tutti avrebbero capito che Jackie fingeva.
Tutti
tranne Ville. Perché Ville non prestava mai attenzione ai
piccoli dettagli. In
tutti quegli anni non era mai riuscito ad imparare o a migliorare. Si
accorgeva
delle cose solo dopo averci riflettuto o quando queste erano talmente
evidenti
che perfino un bambino sarebbe riuscito a capirle.
Ville
annuì, fidandosi delle parole di
Jackie senza andare più affondo nella questione. Anche se
voleva farlo, non aveva
le parole adatte, ma soprattutto, non aveva tempo. Aveva una riunione
agli
studi e doveva lavorare su una nuova melodia e quando si tratta di
questo,
nulla doveva distrarlo. Nessun pensiero doveva ostacolare i suoi piani.
Eppure,
nonostante entrambi, chi per un
motivo e chi per un altro, fingessero che quella piccola scenetta
notturna non
avesse procurato turbamenti sentimentali e psichici,
l'aria che si respirava in quella stanza
divenne decisamente carica di imbarazzo. Sia Ville che Jackie sapevano
che le
cose erano cambiate, in maniera sottile, quasi invisibile, ma non
avevano
intenzione di fare qualcosa. E cosa ci avrebbero guadagnato non
mettendo alla
luce ciò che realmente pensavano?
Ville
iniziò ad essere impacciato nei
movimenti e fece cadere il suo cellulare e le chiavi della macchina
mentre
tentava di sistemarsi la giacca. Jackie per un attimo
arrossì ripensando alla
scena.
Fortunatamente
in quel preciso istante
arrivò Johanna correndo come una matta. Ancora una volta era
in ritardo. La sua
entrata in scena fece calmare i bollenti spiriti e tutto apparentemente
tornò
al suo posto.
" Ville!"-
esclamò la ragazza
riprendo fiato.- " pensavo di non trovarti."
" Sei sempre la
solita ritardataria.
Io non riesco a capire da chi tu abbia preso."
" Non mi sembra
che tu sia sempre in
perfetto orario. Anzi non lo sei mai! La dimostrazione sono tutte
quelle volte
che vieni in ritardo a prendermi a scuola. E non inventarti scuse."-
concluse Johanna facendo tacere suo padre che stava per aprire bocca.
Ville,
colpito e affondato, squadrò sua figlia con aria minacciosa
e disse: "
muoviti. Non ho l'eternità per aspettarti."
Johanna
guardò suo padre e all'improvviso
scoppiò a ridere.
" E ora che hai?"
" Niente."
" Come sarebbe a
dire niente?"-
esclamò Ville, decisamente alterato.
" Niente, mi
è scappato."
" A meno che tu
non sia impazzita, ed
è molto probabile, non penso che sia normale ridermi in
faccia."
Ne andava di
mezzo l'ego della diva!
" Oh e va bene!
Beh se proprio lo vuoi
sapere..ti sei messo la giacca al contrario."
Ville si
guardò e notò il piccolo
inconveniente. Anche Jackie, che aveva osservato la scena divertita,
scoppiò a
ridere. La guardò e per un istante di follia
pensò di non aver mai visto un
sorriso più bello di quello. Jackie era esattamente questo:
una ragazza
spontanea e andava trattata con la dolcezza e la simpatia che lui
doveva
ripescare da qualche parte, nell'antro della sua spelonca situata nel
petto.
Si rimise la
giacca sorridendo e poi disse:
" bene, gente. Non c'è niente da vedere."- poi si rivolse a
sua
figlia.- " vogliamo andare, miss so tutto io?"
" Andiamo."
Johanna diede un
bacio sulla guancia a
Jackie e poi scappò via, lasciando la porta aperta. Ville
scosse la testa e poi
girandosi verso Jackie, la salutò alzando la mano.
" A dopo."-
disse.
" Ciao."
E appena anche
Ville abbandonò la torre,
Jackie tirò un sospiro di sollievo e si abbandonò
sulla sedia della cucina.
Ancora un altro po' e non sarebbe più riuscita a sostenere
la situazione.
" Maledetto di
un Valo."-
sussurrò alla tazza del caffè ancora piena.
" E così mi disse che non faceva altro
che pensarti."
" Mark è solamente uno stupido."- sbottò Johanna
aprendo
violentemente l'anta dell'armadietto.
Mark,
nonostante il primo impatto, aveva
finito per mostrarsi per quello che era: uno sbruffone di prima
categoria a cui
piaceva più apparire che essere. E Johanna non aveva tempo
per gli sciocchi
come lui. Lei aveva da pensare a molte cose, come al fatto che prima
della
festicciola per Ville aveva intenzione di dirgli esattamente che lei,
nonostante i difetti, aveva intenzione di chiamarlo papà.
Una cosa molto
difficile non solo da dire ma anche da pensare per convincersene.
" Io che cosa vi ho sempre detto?"- disse Arja con l'aria di una che
la sapeva lunga.- " non volete mai ascoltarmi."- chiuse il suo
armadietto e aspettò che lo facessero anche le altre.
Johanna mise da parte il
libro di matematica e lo zaino e prese il raccoglitore con dentro gli
spartiti
e la chitarra che quella mattina aveva portato con sé e
messa nell'armadietto
nell'attesa della lezione. Aveva pensato che il corso di musica fosse
una
passeggiata, ma si accorse ben presto che bisognava davvero faticare
per
ottenere anche il minimo risultato. E la cosa un po' la buttava
giù.
Probabilmente fino a quel momento si era solamente illusa di poter
essere in
grado di sapere fare qualcosa. Ognuno aveva un talento e lei pensava
che fosse
il canto, ma più andava avanti e più capiva che
nonostante riuscisse a farcela,
gli sforzi la sfinivano e iniziava a credere che se era così
difficile, allora
lei non aveva al cento per cento il talento del canto.
Sia Marianne che
Arjia le avevano ripetuto
fino alla nausea che quelle fisse ce le aveva solo lei.
"
Sei la più brava del corso, perché dici questo?"
Ma
ciò invece di incoraggiarla, la faceva
sentire ancora più incompresa. Lei sentiva che c'era
qualcosa che non andava. Suo
padre non si era mai espresso su questo argomento, nonostante la
sentisse
cantare mentre si esercitava a suonare la chitarra e il piano. Ville si
limitava ad ascoltarla accanto alla porta senza proferire parola. A
volte
andava anche via mentre lei pensava che stesse lì. Si
voltava emozionata e poi
con delusione scopriva che Ville non c'era.
E
questo non l'aiutava.
Non riusciva a
capire se stesse andando
bene o meno. Iniziava a pensare che a suo padre non gliene fregava
nulla di
questo.
E in tutto
questo ci si metteva anche il
pensiero di sua madre. Forse era per via delle foto che Ville le aveva
mostrato
che ora sentiva ancora di più la sua mancanza.
" Johanna,
c'è qualcosa che non
va?"- chiese Marianne mentre si dirigevano verso il grande cortile per
fare pausa.
" Tutto okay."
" Allora questo
significa che ci
canterai qualcosa prima di abbandonarci per il tuo corso?"- chiese
allegra
Arja sedendosi su una pietra. Johanna si guardò intorno e
vide che la sua amica
aveva scelto il posto più appartato di tutti. Il cortile era
molto più grande
di quello della sua scuola a New York. Se proprio doveva dirla tutta,
lì a
Helsinki tutto era decisamente migliore delle cose che c'erano nella
sua città
natale.
Mentre osservava
il luogo, si accorse che
più in là c'era un ragazzo, che seduto su una
panchina, stava scrivendo
qualcosa su un quadernino. Era molto concentrato e scriveva molto
veloce, come
se volesse in tutti i modi che le parole che uscivano dalla sua testa
dovessero
tutte essere impresse sul foglio. Indossava una giacca di pelle nera,
decisamente molto strano per il freddo che c'era, e aveva un paio di
occhiali
da sole tondi fra i capelli neri che gli arrivavano alle spalle. A
giudicare
dall'aspetto, doveva essere un assiduo ascoltatore di musica metal,
eppure per
quanto era mingherlino Johanna non pensava minimamente che potesse
essere un
duro. Guardandolo attentamente si ricordò che quel ragazzo
lo aveva visto al
corso di musica che lei frequentava, ma con il quale non aveva mai
scambiato
una parola. Si sedeva sempre all'ultimo banco e non parlava mai con
nessuno.
Johanna continuò a guardarlo, fino a quando non fu lui
stesso ad alzare lo
sguardo e a puntarlo su di lei che immediatamente lo distolse
imbarazzata, e
tornò a guardare le sue amiche.
Il ragazzo,
incuriosito, restò a guardare
Johanna dimenticandosi di scrivere le ultime parole che gli erano
venute in
mente. Quella ragazza credeva di conoscerla. Poi si ricordò
del corso di musica
e si ricordò di lei, che si sedeva sempre al secondo banco.
Per una volta la
sua memoria non lo aveva tradito.
Poco dopo,
guardò per un'ultima volta
Johanna e tornò a scrivere.
" Il tizio ti
stava guardando."-
disse Arja.- " ma non ti girare."
Johanna fu
meravigliata, ma non si mosse.
" Oh! Il
principe oscuro!"-
esclamò Marianne ridacchiando.- " è carino, vero?"
" Non saprei.
Non mi interessa, quindi
non so dirlo. È solo che..mi fa strano vederlo sempre da
solo."- rispose
Johanna che iniziò ad accordare la chitarra.
" Eppure da come
lo guardavi non
sembrava così."- insistette Marianne. Johanna distolse lo
sguardo dalla
chitarra e disse: " non ho voglia di parlare di questo. Oggi ho mille
pensieri per la testa e non voglio discutere su chi possa essere bello,
brutto,
leggermente strabico o perfetto."- si alzò e senza
aggiungere altro andò
via.
" Seguiamola."-
disse Marianne,
che non si era fatta intimorire dalla collera dell'amica. Johanna
passò davanti
al ragazzo senza guardarlo e tornò dentro.
Quando Marianne
e Arja la riuscirono a
trovare, era seduta a terra vicino al suo armadietto.
" Ehi.."-
esordì Arja sedendosi
accanto a lei.
" Tesoro, se hai
bisogno di sfogarti noi
siamo qui. Non devi tenerti le cose dentro."- disse Marianne
togliendole
una ciocca dei capelli dagli occhi e mettendogliela dietro l'orecchio.
Johanna
non stava piangendo. Semplicemente la giornata era storta e non sapeva
più come
affrontarla.
" Non
c'è un motivo
preciso..semplicemente è una giornata..strana."-
commentò Johanna.- "
ci sono cose che non riesco a spiegare bene e che mi innervosiscono per
questo."
Marianne la
abbracciò e Arja si aggiunse
all'abbraccio. Johanna a momenti non respirava, ma non fece nulla per
togliersele di dosso. Aveva bisogno di qualcuno che in quel momento non
parlasse, ma allo stesso modo le facesse capire che era lì
per stare con lei e
sopportare i suoi malumori.
" Grazie."-
disse alla fine sorridendo.
In qualche modo
aveva ritrovato un po' di
tranquillità, anche se non sapeva fino a quando sarebbe
durata.
Il corso di
musica quel giorno le sembrò
durare poco e niente. Forse perché per evitare che tutti i
pensieri che aveva
la affogassero, si era concentrata su l'unica via che aveva per
liberarsi di
tutti i fardelli che era costretta a portarsi sulle spalle.
L'assenza di una
mamma.
Il volersi
legale ad un padre appena
conosciuto.
Volerlo chiamare
papà, ma non riuscirci.
Avere la
consapevolezza che la sua zia
acquisita prima o poi sarebbe andata via.
Sentirsi ad
Helsinki più sola che mai.
La musica, in
molti dicevano che era per
depressi, in realtà era l'unico modo che permetteva alla
gente di andare avanti
e sopportare tutto ciò che faceva male.
Aiutava a vivere.
Johanna
seguì l'intera lezione senza farsi
distrarre da nulla e prese appunti su tutto ciò che secondo
lei le sarebbe
servito per migliore. Quando uscì dall'aula era ancora
completamente
concentrata che non fece attenzione e si scontrò con
qualcuno.
Quando
alzò gli occhi si accorse di essersi
scontrata con il ragazzo solitario, anche lui con la chitarra.
" Scusa."- disse
Johanna evitando
di guardarlo e allontanandosi rapidamente.
' Ci mancava lui
adesso', pensò infastidita
mentre si avvicinò all'armadietto. Prese lo zaino, se lo
infilò sulle spalle
facendo attenzione alla sua chitarra e dopo aver preso il raccoglitore
si avviò
verso l'uscita aspettando che suo padre la venisse a prendere.
Quando
respirò l'aria fredda dell'esterno,
aguzzò la vista per riuscire a scorgere Ville, ma di lui non
c'era nessuna
traccia, così si sedette sulle scale e aspettò
che arrivasse. Per paura di
finire ancora una volta con il fare a pugni con i suoi pensieri,
Johanna decise
di suonare un po' la chitarra.
Non l'avrebbe
vista nessuno. Chi poteva mai
esserci alle tre del pomeriggio, se le lezioni normali finivano
all'una?
" Happiness
More or
less
It's
just a change in me
Something
in my liberty
Oh, my, my
Happiness
Coming
and going
I watch
you look at me
Watch my
fever grow and
I know
just where I am
But how
many corners do I have to turn?
How many
times do I have to learn
All the
love I have is in my mind?
But I'm
a lucky man
With
fire in my hands.."
Ma si
interruppe, poiché quella canzone le
ricordava sua madre, colei che aveva assecondato il suo desiderio di
voler
imparare a suonare la chitarra e che non perdeva mai l'occasione di
ascoltare
tutto quello che lei, Johanna, le presentava ogni volta che aveva
voglia di
suonare.
" Secondo me non
hai accordato molto
bene la chitarra."
Johanna
sobbalzò e voltandosi vide lo
stesso ragazzo di prima sedersi accanto a lei.
Chissà
da quanto tempo era lì!
Improvvisamente
diventò rossa e maledisse
Ville per non essere mai puntuale.
" La mia
chitarra è apposto."-
tagliò corto lei.
" Non volevo
offenderti."- disse
lui. Non era arrabbiato, ma nemmeno molto allegro. Il suono delle sua
voce
sembrava piuttosto atono. Johanna si azzardò a guardare
nella sua direzione e,
per sua fortuna, il ragazzo non la stava guardando.
" No
è che sono io che sono un po'
nervosa oggi."- si scusò Johanna, cercando di capire cosa
avesse lui.
" Capita a
tutti."- concluse il
ragazzo con lo stesso tono di prima.- " io sono Thomas."
Johanna,
spiazzata dalla mano che il
ragazzo le tendeva, lo guardò e poi la strinse.
" Johanna."
" La figlia di
Ville Valo, vero?"
" Sì."
" Fico!"-
esclamò Thomas
accennando, per la prima volta, un piccolo sorriso.
' Non tanto'
Nessuno poteva
capire la difficoltà del
relazionarsi alla persona che mai avresti pensato, nemmeno sotto
effetto degli
stupefacenti, potesse far parte in questo modo della tua vita, da un
giorno
all'altro.
Qualcuno aveva
mai avuto la stessa
esperienza, quella di ritrovarsi accanto alla propria madre in fin di
vita che
ti rivelava l'esistenza di un padre che tu non volevi più e
che addirittura era
speciale, così tanto che nemmeno nei tuoi sogni
più selvaggi sarebbe comparso?
Beh, a meno che
non era scema, nel mondo
c'era un solo Ville Valo speciale, il
suo idolo. Quindi non poteva esserci nessuno al momento che
poteva aver
avuto la sua stessa esperienza.
"
Già.."
Johanna
guardò nuovamente Thomas, che
indicando la sua chitarra chiese: " posso?"
Lei, confusa,
gliela porse e osservò le
operazioni che il ragazzo attuava.
" Ora dovrebbe
andare bene. Prova a
suonare di nuovo."- le suggerì alla fine riconsegnandogliela.
Lei
suonò nuovamente la canzone e si
accorse che il suono era perfetto. Come aveva fatto a non accorgersi
che aveva
accordato in malo modo la chitarra? Non le era mai capitato!
" Grazie."
" Di nulla."
I due si
scambiarono un piccolo sorriso
prima di ricadere nel silenzio e nell'assenza di emozioni. Proprio in
quel
momento Johanna osservò meglio l'abbigliamento del ragazzo.
Era
completamente vestito di nero e
indossava uno strano paio di stivali, anch'essi neri. Johanna
pensò che erano
simili a quelli che indossavano i componenti delle band che suonavano
black
metal e che le avevano fatto sempre una certa impressione. Una piccola
catena
spuntava da un lato dei pantaloni, mentre quella giacca di pelle la
fece
nuovamente rabbrividire. La cosa ancora più stramba erano i
bracciali che
indossava: sembravano fili spinati. Aveva voglia di toccarli per capire
se lo
erano per davvero, ma decise di farsi gli affari suoi. Ancora di
più, sgranò
gli occhi, quando vide meglio gli anelli strani che aveva alle dita. Ne
contò
in tutto cinque. Poi guardò la maglia che si intravedeva
sotto alla giacca di
pelle.
Black Sabbath.
" Anche tu sei
fan dei Black
Sabbath?"- chiese spontaneamente.
Thomas, che
sembrava essersi perso fra i
suoi pensieri, disse: " cosa?"
Johanna esaltata
indicò la sua maglia e lui
la toccò e poi rispose: " ah! Sì, sono un loro
grande fan."
Grande come
Ville?
Johanna aveva
sempre pensato che non c'era
fan dei Black Sabbath più fan di Ville Valo. Gli mancava
solo l'anima da
fangirl e poi poteva stare apposto. Johanna evitò di pensare
a suo padre come
fangirl in quel momento e si limitò a sorridere.
" Anche tu lo
sei?"- chiese a sua
volta il ragazzo che sembrava sorpreso.
" Sì."
" E' strano."
" Che io sia fan
dei Black
Sabbath?"- chiese confusa Johanna.
" Che una
ragazza lo sia."- la
corresse Thomas.
" E'
così anormale?"
" Beh, qui
sì."
" Ah!"
Il ragazzo
guardò l'orologio che aveva al
polso e disse: " devo andare."
Sì
alzò, prese le sue cose e mettendosi gli
occhiali da sole tondi come quelli di Ozzy Osbourne, la
salutò.
" Ci vediamo,
Johanna."
" Ciao."
Lo
guardò andare via verso una metà
sconosciuta, con la chitarra appoggiata con noncuranza sulle spalle.
" Che tipo
strano."- sussurrò
Johanna mentre lo vide sparire.
Proprio in quel
momento vide arrivare un
auto e finalmente Ville si era deciso, con tutti i suoi comodi, di
venirla a
prendere.
" Pensavo che ti
avessero rapito gli
alieni."- disse infilandosi in macchina.
" Scusa. Seppo
mi ha trattenuto più
del dovuto."
" Sei scusato
solo perché oggi è il
tuo compleanno."- sbottò Johanna mettendosi la cintura.
" Come sei
gentile!"
" Anche troppo."
Entrambi si
guardarono e scoppiarono a
ridere.
Era bello quando
si sentiva capita e veniva
sostenuta nelle battute. Ed era ancora più bello se a farlo
era suo padre.
" Come
è andata al corso di
musica?"
Davvero le aveva
fatto quella domanda?
" Bene."
" Per bene
intendi bene bene o bene?"
" Non
confondermi."
" Ma io voglio
sapere!"
" Bene."
" Mmh."
" Che
c'è?"- chiese Johanna
girandosi quasi completamente verso di lui.
" Niente."-
rispose Ville sorridendo allegramente.
Quando giunsero
a casa Johanna trovò Jackie
in salotto e la salutò buttandosi completamente fra le sue
braccia.
" Tesoro mio!"-
esclamò la donna
stringendola al petto.- " vieni in cucina così mi dici cosa
c'è che non
va."
Jackie le aveva
sussurrato all'orecchio in
modo tale che il mister non sentisse nulla e non si allarmasse.
Quando le due
furono in cucina Johanna
disse: " volevo parlare con Ville dopo e dirgli..insomma."
" Ti sei decisa?"
Johanna
annuì, anche se non ne era proprio
convinta.
" Sei molto
coraggiosa."- disse
sorridendo Jackie.- " ma ricordati che non sei costretta a farlo."
" Lo so, ma oggi
è un giorno diverso e
io vorrei fare qualcosa di più per lui."
Jackie
lasciò da parte la pentola con
l'acqua e andò a dare un bacio sulla fronte alla sua
figlioccia.
" Sono sicura
che tutto andrà per il
verso giusto."
" Lo spero."
Le ore stavano scorrendo lentamente e il
momento stava arrivando.
Prima
dell'arrivo degli altri, Johanna
avrebbe voluto fare il suo discorso a Ville, ma più
passavano le ore e più il
coraggio le veniva meno.
Pensava a come
Ville fosse cambiato in quel
periodo e a come si comportasse meglio con lei. Andavano d'accordo,
anche se
c'erano sempre i battibecchi, ma lei doveva ammettere che adorava quei momenti.
Non riusciva a
continuare il compito a casa
di religione, ma tanto non le importava troppo. Così era
scesa in salotto e si
era messa al pianoforte.
Per lei le
religioni erano semplicemente
delle tradizioni inventate dagli uomini per darsi delle regole
più severe.
Aveva smesso di credere a qualsiasi cosa fin dal primo giorno senza sua
madre.
Se esisteva un
Dio, perché doveva essere
così cattivo da averle tolto sua madre?
La sua tesi la
convinceva sempre di più.
Nulla esisteva.
Una volta il suo
insegnante di religione
chiese alla classe: " che cosa è necessario
perché un uomo viva felice la
sua vita?"
Johanna non
credeva che fosse necessario
vincere alla lotteria per vivere bene. Lei avrebbe vissuto felice se
sua madre
fosse stata ancora viva.
Un uomo poteva
essere felice solo se poteva
vivere con al fianco le persone che più amava. Quello gli
permetteva di
superare qualsiasi ostacolo, insieme alla musica.
Persa in quei
ragionamenti, Johanna decise di
suonare un po' prima di affrontare Ville.
" No
warning sign, no alibi
We’re
fading faster than the speed of light
Took a
chance, crashed and burned
No one
will ever, ever learn.."
Le dita
scivolavano delicate sui tasti
prima di riprendere.
" I
fell apart, but got back up again
And then
I fell apart, but got back up again.."
Doveva
rialzarsi, vincere le sue paure,
fare di tutto per sentirsi meglio.
" We
both could see crystal clear
The
inevitable end was near
Made our
choice, trial by fire
To
battle is the only way we feel.."
Ville in
silenzio, giunse in salotto,
curioso di vedere Johanna cantare.
Era davvero
brava e con il tempo era anche
migliorata.
Voleva
dirglielo, ma non aveva mai avuto
modo per esprimersi su tale argomento, poiché aveva sempre
timore che potesse
dire qualcosa di sbagliato. Amava sentire Johanna suonare il
pianoforte. La
casa era più piena e ciò lo faceva sentire
più felice.
Da quando Ville
non era più felice? Non se
lo ricordava più.
Sorrise
appoggiandosi al muro, aspettando
che Johanna terminasse.
" Lo sai che
potrei metterti in
castigo per due mesi?"
Johanna
sobbalzò e poi guardò suo padre.
" Solo
perché a te non piacciono i
Thirty Seconds to Mars."
" Esatto."
Ville si
avvicinò e si sedette accanto a
lei. Johanna si meravigliò e sentì che il suo
cuore fece una capriola di gioia.
" Eppure sapevi
che questa canzone è
la loro. A questo punto mi viene da chiederti come mai la conosci visto
che non
è nemmeno famosa."- disse divertita. Ville suonò
un tasto e poi guardò
Johanna.
" Una volta tuo
zio Jesse la suonò e
mi disse di chi era."
" E non l'hai
ammazzato di
botte?"
" No, eravamo in
un luogo
pubblico."
" Capisco."-
disse la ragazza
annuendo.- " quindi non posso nemmeno dirti che vorrei sposare Jared
Leto?"
Già
che c'era poteva divertirsi un po'.
Ville la fulminò.
" No. Anzi, non nominarlo proprio."
" Tiranno."
" Ragazza
ribelle."
" Despota."
" Sorbetto al
limone."
Johanna lo guardò scioccata e scoppiò a ridere.
" Che poi vorrei
proprio sapere che
cos'ha quell'uomo perché tutte gli corrono dietro."-
commentò Ville con
disprezzo poco dopo.
" Mmh..fammi
pensare. È bello,
talentuoso, figo e tante altre cose."- rispose Johanna sospirando.
" Ehi! Ma tu non
eri una mia
fan?"
- chiese infastidito.
" Sì
che lo sono!"- esclamò
Johanna alzando gli occhi al cielo. Incredibile come l'ego delle dive
era così
facilmente distruttibile.
"Hai
fraternizzato con il
nemico!"- esclamò Ville puntandole un dito contro.
"
Avrò fraternizzato con altre decine
di band che forse a te fanno schifo o salire il nervoso."
" Sto
esagerando, vero?"
" Solo un
pochino."
Scoppiarono a
ridere ancora una volta.
" Suoniamo
qualcosa insieme?"-
propose ad un tratto Ville.
" Cosa?"- chiese Johanna deglutendo.
Ville
iniziò a suonare e riuscì
immediatamente a capire di quale
canzone si trattasse e la cosa per lei fu abbastanza sorprendente, dal
momento
che non pensava minimamente che a suo padre potessero piacere canzoni
come
quelle di Elton John.
Ville sorrise e
lei senza pensarci su a
lungo, iniziò a cantare.
" It’s
a little bit funny
This
feeling inside
I’m
not
one of those
Who can
easly hide
I
don’t
have much money
But boy,
if I did
I’d
buy
a big house
Where we
both could live.."
E poi fu la
volta di Ville.
" If
I was a sculptor, but then again no,
Or a man
who makes potions
In a
travelling show
I
know it’s not much,
But
it’s
the best I can do
My gift
is my song
And this
one’s for you.."
E poi Johanna si
inserì in maniera
perfetta.
"And
you can tell everybody,
This is
your song
It may
be quite simple
But now
that it’s done."
E poi giunse il
momento in cui padre e
figlia unirono le loro voci per il ritornello.
"I
hope you don’t mind,
I hope
you don’t mind
That I
put down in words
How
wonderful life is
While
you’re in the world."
Continuarono a
cantare creando una grande
magia intorno a loro. Erano perfettamente in sintonia e mai come in
quel
momento, entrambi si sentirono a proprio agio, come se la musica
riuscisse ad
unirli senza farli sentire incompresi. Si sentivano bene, sorridevano e
cantavano come se quella fosse la cosa più giusta da fare in
un piccolo momento
di rabbia e malinconia che nel cuore di Johanna sembravano aver trovato
casa. In
lei ora si erano fatti spazio i sentimenti più belli che forse sarebbero morti
insieme alle ultime note
del pianoforte. Ma non importava.
Ciò
che in quel momento contava più di ogni
altra cosa era che lei e suo padre cantassero insieme affiatati come se
stessero ad un concerto. Certo, non era lo stile musicale che ci si
aspettava
da Ville Valo, e forse nessuno, al di fuori di sua figlia, lo avrebbe
mai
sentito cantare quel repertorio, ma se ciò gli permetteva di
vedere sua figlia
felice, cantare perfettamente con lui e addirittura meglio di lui,
allora voleva
dire che avrebbe cantato quel repertorio ancora una volta.
" Wow.."
Fu l'unica cosa
che riuscì a dire Johanna
alla fine.
" Sì,
devo ammettere che è stato
davvero bello"- commentò Ville.
Guardò
serio sua figlia e chiese:
" vuoi davvero fare
la cantante?"
" E' uno dei miei desideri più grandi."
" Sei brava, potresti riuscirci."
" Grazie."
"
Però devi sapere che il mondo lì
fuori, quello di cui io faccio parte è davvero tosto. Hai
ancora molto da
imparare, sei molto giovane."
" Ma.."
" Non guardare i
ragazzini che sono
diventati famosi per due semplici canzoncine sciocche. Fra qualche anno
nessuno
saprà più chi sono. E sai perché?"
Johanna scosse
la testa.
"
Perché non hanno messo la loro anima
in quello che fanno e non hanno l'umiltà. Non si scusano se
sbagliano e la
maggior parte delle volte non ne sono nemmeno consapevoli. Johanna,
prima di
essere un cantante, un attore, uno scultore, o qualsiasi artista, devi
imparare
ad essere umile..e geniale. Nel caso del cantante segui sempre
ciò che ti dice
la testa e proponila ai tuoi musicisti. Vai d'accordo con loro e sii
gentile.
Il resto non conta, meno di tutti le case discografiche. Quelle sono
demoni, ma
anche se ti leghi a loro, cerca sempre di farti rispettare."
Johanna
annuì decisa. Poi all'improvviso di
alzò, allontanandosi da suo padre. Continuava a tormentarsi
le mani mentre il
suo cuore rischiava di uscire dal petto. Aveva la test china e cercava
disperatamente di ripescare quel coraggio che proprio in quel momento
le era
venuto meno.
" Johanna?"-
chiese incerto
Ville.
" Senti..io..io
volevo dirti una
cosa."- disse all'improvviso senza riflettere bene.
" Mark ti ha
importunata?"
" No!"
" Johanna, non tenermi nascosto niente."
" Ville! Ho semplicemente intenzione di dirti una cosa che non centra
niente con tutto quello che mi hai chiesto."
" Ah..okay.
Beh..allora dimmi."-
disse l'uomo ancora più confuso.
" E' difficile, non so da dove iniziare."
Johanna era
indecisa sul da farsi ora.
" Beh, potresti iniziare sedendoti."- consigliò Ville
indicandole il
posto vicino al suo.
Johanna lo
guardò e non si mosse.
"
Che c'è?"
" Sembra di
essere dal preside a
scuola."
" Signorina, lei si
è comportata
davvero molto male. Potrebbe essere espulsa, lo sa questo?"-
scherzò Ville
con fare professionale.
" Non sei credibile."
" Almeno ci ho provato."
Dopo un piccolo
sorriso, calò nuovamente il
silenzio.
" Ville?"
" Uhm?"
" Io..io ce la
sto mettendo tutta per
chiamarti in quel modo."
" Johan.."
" Avevo pensato
che una volta giunto
questo giorno io riuscissi a farti come regalo il mio sforzo..ma non ci
riesco.
Lo so, è passato più di un mese, forse due, e
forse dovrebbe essere giunto il
momento. E mi sento in colpa, ma non posso fingere. Io ti vedo ancora
come
l'uomo che ha dato vita al mio gruppo musicale preferito, ed
è ancora strano
pensare che tu possa far parte della mia vita in quest'altro modo. Per
me è difficile.
E poi mi manca la mamma e sono triste per questo, ma poi penso a te e
mi sento
meglio, ma poi mi sento in colpa perché non riesco a dire
quello che dovrei
dire. E quindi non ho un regalo da farti. O meglio ce l'avevo ma la mia
bocca
non ha intenzione di dartelo."
" Johanna.."
" Ville io
davvero.."- lo
interruppe nuovamente disperata.
Ville si
avvicinò a lei e la prese per le
spalle.
" Johanna! Vuoi stare calma?"
La ragazza
restò in silenzio, in attesa che
lui facesse qualcosa.
Ville si
abbassò per guardarla meglio e le
strinse la mano.
" Bene." - la
guardò ancora.-
" Io non pretendo che tu mi chiami papà. È
già tanto che tu sia qui e non
mi mandi a quel paese in maniera definitiva per il modo con cui a volte
mi comporto
con gli altri e anche con te. Non credere che per me sia come fare una
passeggiata, anche io sono piuttosto bloccato. Avere una figlia e
scoprirlo in
questo modo..beh non è stato bellissimo. È
scioccante specie per me che di
figli non ne avevo in programma..ma ciò non significa che io
non ti voglia bene
o pretendo che dobbiamo apparire come la famigliola felice dopo soli
due mesi
di convivenza, uno dei quali anche forzato. Un regalo già me
l'hai fatto.
Grazie a te sto scoprendo una parte di me che credevo essere morta e
sepolta.
Il Ville Valo che hai sempre visto, non era quello che sono
realmente."-
si bloccò sentendo il solito nodo alla gola.- " io..io mi
sento a casa
anche nella mia stessa casa, ora che ci sei tu. So che quando torno in
queste
quattro mura non sono più solo come un cane..che
c'è qualcuno che con i suoi
borbottii e giornate storte mi accoglie. Che quando siamo soli possiamo
cantare
e suonare insieme, che ci divertiamo con poco e ci sopportiamo a
vicenda quando
siamo arrabbiati. Non ricordavo nemmeno più come fosse
l'edificio della scuola
e venirti a prendere all'uscita mi fa sentire un perfetto comune
mortale,
quello che vorrei essere. Con te sento che tutto sta andando nel verso
giusto,
per una volta nella mia vita. Quindi come vedi, il regalo per il mio
compleanno
me l'hai fatto.."- poi si avvicinò al suo orecchio.- "..e sinceramente
è molto meglio il tuo,
di quello di tutte le altre persone che verranno oggi a casa."
Johanna era in
lacrime e non riusciva a
dire nulla di sensato. Così si buttò fra le
braccia di Ville e lo strinse a sé.
Anche a Ville scesero delle lacrime, ma fu ben deciso a non piangere.
Non potevano
trasformare il salotto in una valle di lacrime.
" Grazie."-
disse Johanna quando
ebbe finito di sfogarsi.
" Grazie a te..per aver deciso di..di provarci."
Il loro sorriso
era identico. Erano due
perfetti Valo, in tutto e per tutto.
Nell'essere
impacciati nei sentimenti.
Nel non
tollerare i grandi discorsi.
Nell'irritarsi
facilmente quando le cose
non andavano come volevano.
Nel celare un
amore verso l'altro molto più
grande di quello che pensavano.
" Oops!"
Entrambi si
voltarono verso il disturbatore
che era appena entrato senza avviso.
" Jesse!"- esclamò Johanna andandogli incontro.
" Johannaaaa!"
Jesse
abbracciò sua nipote e poi iniziarono
a salutarsi in un maniera strana, un po' come i saluti fra rapper
afroamericani. Scoppiarono a ridere mentre Ville alzò gli
occhi al cielo.
" Disturbo?"-
chiese Jesse
guardando suo fratello.
" Ormai l'hai
fatto."
" Sei sempre
simpatico."
Poi Jesse
guardò il pianoforte ed esclamò:
" ooh! Stavate suonando? Suoniamo insieme? Johanna, cosa vuoi che lo
zio
canti per te?"
" Sai cantare?"-
chiese la
ragazza avvicinandosi a Jesse, che si era appena seduto al pianoforte.
" E' una
cornacchia. Jesse
levati."
" Ehi! Io devo
suonare."
Ville si sedette accanto a lui e iniziarono a spingersi.
" Tu non
ucciderai le mie orecchie con
la tua voce da cornacchia."
" Voce da
cornacchia a chi? Ehi!"
" Ti ammazzo di
botte!"- esclamò
Ville.
" Prima io."
" Insomma! Che
sta succedendo?"
Johanna, che era
piegata in due dalle
risate, guardò Jackie che era appena entrata in casa.
" Zia Jackie,
non farci caso. Sono così,
dobbiamo tenerceli."
" Ehi!"- esclamarono in coro i due fratelli.
Jackie
alzò gli occhi al cielo.
" Bene! Ora che
ci siamo tutti, possiamo
cantare."- propose Jesse che si alzò e trascinò
Jackie con lui.
" Cosa? Ma io
non so cantare!"
" Non fa niente.
Ci divertiremo prima
di vedere la mamma che ci ammazzerà di parole
perché siamo due imbecilli."
- disse Jesse indicando lui e suo fratello.
Ville
scoppiò a ridere, così come tutti gli
altri.
Il tempo che
restò i quartetto lo utilizzò
per stonare, urlare, improvvisare e suonare senza sosta. Quei sorrisi,
le
risate..furono tutto ciò che Johanna desiderava per stare
bene.
E per quanto riguardava
Ville, era sicuro
che questo era il suo compleanno migliore, quello in cui veramente si
sentiva
felice come non lo era stato mai.
L'ANGOLO
DI VALS.
Nemmeno fossimo
ad High School Musical.
Cioè rendiamoci conto dello scempio. Ville che canta Elton
John e tutto il resto. Parliamone.
Comunque,
facciamo finta che siano passati solo
alcuni giorni dall'ultimo aggiornamento.
Facciamo?
No, è
giusto per non essere uccisa. SONO
TROPPO GIOVANE, capite?
Va beh, la
follia è sempre di casa, che ce
volete fa?
Allora, come vi
è sembrato? Fa tanto
schifo?
Dovevo
aggiornare per forza e nonostante
non fossi molto convinta ho postato lo stesso questo capitolo.
E poi volevo
spendere due parole per quanto
riguarda il nuovo personaggio, che sembra un po' uno che sta sulle
nuvole.
ALLORA, premetto
che un tipo del genere io
lo conosco quindi spero per lui che
non
venga mai a sapere che l'ho messo qui. Capirebbe che sono una
psicopatica.
POI, siccome non
posso violare la privacy altrui,
ho dovuto scegliere qualcun altro che interpretasse questo Thomas,
quindi
questo è lui. E' stata difficile scegliere, credetemi.
Non è
bellissimo, però..insomma amiamolo lo stesso xD! E' questo
ragazzo che probabilmente darà filo da torcere al Valo
eheheheheheh u.u
Bene.
Questo è tutto.
Fatemi sapere cosa ne pensate, e se volete
potete anche mandarmi a quel paese. Non c'è problema :3
Ringrazio le anime che invece di
abbandonarmi, sono state qui ad aspettare e soprattutto a quelle che si
sono aggiunge in
questi mesi. Cioè io se fossi stata in voi non l'avrei fatto
ahahah xD
Scemenza a parte, grazie davvero tanto <3
Alla prossima
Vals
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