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Autore: _TheDarkLadyV_    26/04/2014    7 recensioni
" Andiamo a casa di un nostro amico. È solo una riunione fra amici.."- cercò di spiegare per l'ennesima volta, ma risultando poco convincente. Suo padre, infatti, continuava a guardarla serio con un sopracciglio alzato.
" Altrimenti definita orgia?"- chiese sarcastico. Jackie alzò gli occhi al cielo, ma Ville non poté vederla visto che era dietro di lui. Arja non riuscì a trattenersi dal curvare le labbra in un sorriso divertito.
" Ma è solo una festa!"- esclamò Johanna.
" E l'inferno solo una sauna."- sentenziò Ville.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dear Father

Capitolo 18

Se per Jackie la cucina quella notte aveva dovuto essere il luogo perfetto per annegare qualsiasi pensiero in un impasto di torta, si era sbagliata di grosso. La bella newyorkese, come Ville la chiamava lontano dalle sue orecchie, non aveva fatto i conti con le attrazioni e le varie sorprese che la torre offriva ai visitatori notturni. In questo caso, la bella fanciulla si era imbattuta nel padrone di casa, forse la belva più difficile da domare lì dentro.
In altri termini, Jackie non aveva fatto i conti con gli atteggiamenti ambigui che il proprietario della lugubre torre, Mister Diva, adottava quando decideva di trasformarsi in un seduttore.
E tutto ciò aveva provveduto a far ricadere Jackie in quel vortice di pensieri dal quale, con tutta se stessa, aveva cercato di liberarsi poco prima di avere la brillante idea di scendere in cucina. Era tornata a pensare a Ville e al motivo per cui Hanna le dava sempre quella sensazione di ricevere una pugnalata in pieno petto con una voce annessa che le sussurrava all'orecchio " non sarai mai elegante e bella come lei!".
Non che Jackie avesse voglia di diventare come Hanna. In fondo, lei ci teneva ad avere un cervello e una lingua più lunga di un'autostrada di New York, ma il punto era che nonostante Hanna potesse avere molti difetti, era comunque una donna sicura, che sapeva distinguere un rosa acceso dal rosa antico, che si sapeva curare e che mostrava sempre una certa eleganza nei movimenti.
Tutto ciò naturalmente, la riconduceva al primo punto: Ville.
Questa volta però, tale pensiero, si era trasformato in qualcosa di più serio. Se prima Jackie pensava a Ville ripassando nella sua mente tutti i suoi pregi e difetti, soffermandosi molto sulla sua parte fragile, quella che forse mostrava solo a Mige o a Jesse e che lo rendeva più umano e interessante ai suoi occhi, ora la lista era stata aggiornata, a causa della situazione eccezionale accaduta una manciata di minuti prima.
Ed ecco ora arrivare, dunque, la rubrica " Taccuino di un giovane seduttore."
Jackie in vita sua credeva di visto qualsiasi forma di seduzione, ma mai si sarebbe sognata di assisterne ad una di così grande potenza. Sì, perché quello era stato un vero e proprio attacco di seduzione che nemmeno Casanova con tutta la buona volontà, sarebbe stato in grado di mettere in scena con così tanto fascino, sensualità e delicatezza misto ad un inconfondibile lato sexy,  come era stato capace di fare Ville Valo. Quegli occhi erano capaci di immobilizzare la vittima senza il bisogno di costruire attorno ad essa una autentica gabbia. Bastava quello sguardo sexy per imprigionare le anime e accendere i bollenti spiriti e mandarli in combustione.
Ciò che in quel momento Jackie si chiedeva era per quale motivo Ville avesse deciso di giocare con lei di punto in bianco.
Davvero non capiva.
L'unica cosa di cui era sicura era il fatto che quell'atteggiamento aveva provveduto a far crollare la certezza che, in quel periodo lì ad Helsinki, aveva avuto sulla grande delicatezza e serietà che non si aspettava minimamente da un uomo come lui.
La situazione era stata ribaltata. Jackie non era più certa dell'essenza di Ville; dopo quella scenetta piccante, lei non era più in grado di capire chi fosse il vero Ville Valo. Iniziava a credere che l'uomo fragile e impacciato che aveva conosciuto per tutto quel tempo fosse uno dei tanti Ville.
Ancora incredula, era tornata in camera e in balìa di questi discorsi mentali continuava a fare avanti e dietro come se aspettasse la chiamata per il patibolo. I battiti del cuore erano ancora accelerati mentre le mani stringevano i fianchi, come se questo le permettesse di dare una calmata al suo corpo, ancora eccitato dall'accaduto.
Era come se il corpo e il cuore fossero ancora lì in cucina, , tesi a percepire ogni piccola emozione stretti nella morsa letale di Ville Valo, il belloccio che nei primi mesi senza Johanna aveva odiato con tutta se stessa. Aveva dato la colpa anche a Marika di questo, poiché si sentiva presa in giro dalla persona che le aveva fatto giurare poco prima che la malattia la portasse all'ultimo respiro, di prendersi cura di Johanna, quella ragazza che aveva sempre sentito come sua figlia fin da quando era nata.
L'unico componente, dunque, che sembrava non essere soggetto alle passioni era il cervello.
Continuava a lavorare, più del normale. Per questo, Jackie, che per un momento si era appoggiata sul letto, si alzò e cercò di scacciare dalla sua mente il viso malizioso di quel finnico da strapazzo. E poi nuovamente si sedette e si abbandonò sul cuscino sbuffando. Doveva smetterla di pensare a tutto questo, di farsi paranoie inutili e di continuare a vivere come se niente fosse.
In fondo non era mica finito il mondo!
" Stupida."- sussurrò.- " sei semplicemente una stupida che si fa prendere dalle frivolezze inutili e sciocche."
Si girò verso la finestra e restò a fissare la luce debole del lampione che inondava la sua camera.
Aveva smesso di illudersi sugli uomini, da un bel pezzo, da quando non credeva più nell'amore, negli uomini fedeli e nella capacità di riuscire ad avvicinarsi ad una persona in grado di proteggerla e di amarla senza farle del male. Non aveva dimenticato quello che aveva subito, la sua sottomissione ad un uomo che amava ciecamente, senza accorgersi della vera realtà, quella fatta di infedeltà, notti insonni ad aspettare qualcuno che a casa non rientrava, di sentirsi inutile e di aver dato consensi forzati per far felice un altro che non era lei.
Fissò il soffitto e una piccola lacrima velocemente morì sul cuscino.
Non era ancora in grado di reagire alle sue amarezze se non con un sospiro e qualche lacrima.
Eppure aveva visto in Ville qualcosa di diverso dagli altri, ma che non riusciva a spiegarsi e di cui aveva paura, molta..
Alla fine terminò il suo lungo calvario mentale chiudendo gli occhi e aspettando che la stanchezza la portasse ad addormentarsi senza altri pensieri.
 
 

Continuava a rigirarsi la foto tra le mani mentre, in pigiama e con passo incerto, camminava nel corridoio in direzione della stanza di Ville. Johanna non sapeva se quella fosse la cosa giusta da fare, ovvero, donare la foto che sua madre le aveva dato prima di morire, che ritraeva lei e Ville molto giovani, a suo padre.

Quella notte aveva pensato molto, sia se valeva la pena separarsi da quella foto per un regalo e sia su che cosa dire a suo padre. Per lei era sempre difficile fare un discorso, a prescindere se l'avesse fatto a Ville Valo o al vicino di casa. Non riusciva ad esprimersi al meglio sui suoi sentimenti per via della sua timidezza.
E poi era strano sapere che quel giorno lei non doveva immaginare, come aveva sempre fatto, cosa facesse Ville Valo in occasione del suo compleanno. Aveva sempre pensato che Ville festeggiasse con la sua famiglia e qualche amico senza fare niente di spettacolare. Per come era lui, Johanna era sicura che le cose andassero come lei immaginava.
E ora era lì, e avrebbe visto con i suoi stessi occhi ciò che sarebbe accaduto.
Buffo come il destino a volte giocava questi incredibili scherzi..
Giunta davanti alla porta deglutì e restò per qualche minuto con il pugno in alto senza bussare. All'improvviso le era scomparso il poco coraggio che aveva racimolato.
Non c'era più tempo per pensare, nemmeno alla cosa più stupida. Era lì davanti alla porta della sua stanza e, a meno che non avesse avuto intenzione di scappare come una codarda e rifugiarsi in camera sua, quello era il momento giusto per bussare e attendere che Ville le aprisse, o quanto meno, le desse il consenso anche solamente con la sua voce, ad entrare. Come tale, non si aspettava di certo che la diva si alzasse dal letto per andare ad aprire. Le volte che era entrata in quella stanza, Johanna non avevano mai avuto il privilegio di vedere Ville pronto dietro alla porta ad aprire con grande allegria. Anzi, aveva dovuto combattere contro i grugniti di un rachitico che borbottava continuamente di lasciarlo dormire ancora un altro po' prima di prepararsi per accompagnarla a scuola. Ed erano ancora più rare le volte che Ville era già pronto e bussava alla sua di porta urlandole di alzarsi.
" Ehi! Che stai facendo?"
La voce di Ville la fece sobbalzare e con il cuore in gola, si girò verso di lui.
Non era possibile! Era già in piedi e pronto! Miracolo!
Questo non faceva altro che peggiorare la situazione, però. Johanna sembrava un automa.
" Hai perso la lingua?"- le chiese Ville avvicinandosi, divertito.
Johanna scosse la testa e decisa rispose: " no..ero venuta da te per.."
Si bloccò e abbassò lo sguardo verso la foto.
Guardò nuovamente Ville e con un mezzo sorriso disse: " beh..ehm..buon compleanno!"
" Grazie!"- rispose allegramente Ville, decisamente confuso dal comportamento strano di sua figlia.
" C'è qualcosa che non va?"- chiese cercando di catturare lo sguardo di Johanna che si era nuovamente nascosto.
Johanna sospirò e lo guardò dritto negli occhi.
" Io volevo darti una cosa."
Allungò la mano e consegnò a Ville la foto.
Ancora confuso, il ragazzo guardò Johanna e poi la foto.
Con enorme sorpresa, Ville, fissò il suo passato fra le sue dita e quella donna che sorrideva, bellissima, fra le sue braccia.
" Marika.."- sussurrò.
" Questa foto me l'ha data la mamma prima che morisse."- annunciò Johanna schiarendosi la voce.- " non te l'ho fatta vedere all'inizio perché ero ancora arrabbiata. E poi..non riuscivo a crederci e quindi fissavo la foto cercando di capire se tutto quello che stava succedendo fosse vero. Soprattutto se fosse vero il fatto che tu avresti fatto parte della mia vita in maniera diversa. Io penso che la mamma avrebbe voluto che questa la consegnassi a te..quindi..beh..è tua ora. "
Era davvero imbarazzata e per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi fissi sulla mano di Ville che teneva la foto. Ville era ancora incredulo perché non aveva pensato minimamente che Marika per tutto quel tempo avesse una loro foto con sé.

" Forse ho fatto male a.."- iniziò Johanna in preda al panico.
" No..no. sono contento che tu mi abbia voluto regalare questa foto. Ultimamente mi sono chiesto più volte se Marika avesse conservato qualche foto nostra. Io l'ho fatto."- disse Ville sorridendole.

Johanna sgranò gli occhi.
" Davvero?"
Ville aveva con sé delle foto di sua madre?
Ville ridendo per via della faccia sconvolta di Johanna, aprì la porta della sua stanza e si avvicinò all'armadio. Dopo aver trafficato abbastanza, da un cassetto estrasse una vecchia scatola. Johanna la guardò meravigliata, mentre Ville le fece cenno di sedersi accanto a lui sul letto ancora disfatto.
Il ragazzo sollevo il coperchio e finalmente Johanna poté vedere cosa si celasse all'interno.
C'erano vari oggetti e a giudicare dall'aspetto erano molto vecchi, probabilmente erano piccoli ricordi che Ville stesso conservò per avere con sé le cose a cui si era affezionato. Johanna non volle essere una ficcanaso, per questo non chiese nulla, specie di quel vecchio bottone rosso che stonava con tutto il resto. Aspettò che fosse suo padre a parlare.
Ville proprio in quel momento tirò fuori una foto e guardò per qualche istante Johanna. Poi sorridendo gliela porse. E lei confusa, prese la foto guardando prima Ville e poi la foto.
C'era una donna molto giovane davanti ad una casa e affianco a lei c'era sempre Ville. Sembrava che tale foto fosse collegata alla sua poiché i due indossavano gli stessi indumenti e Marika aveva gli stessi capelli ricci e corti con un nastro. Immaginò che questa fosse stata scattata prima della foto che aveva conservato sua madre.
Quella doveva essere la casa di Marika lì ad Helsinki. Lei e Ville sorridevano e le loro posizioni erano spontanee, segno che la foto era stata scattata all'insaputa dei due. Marika era così bella che Johanna non le riusciva a staccare gli occhi.
E Ville non aveva nessuna traccia di malinconia sul viso, come mostrava ora. Era un giovanotto spensierato.
" Ti piace?"
Johanna annuì.
" Questa la scattò Mige. Sai, quel giorno si divertiva a fare foto all'impazzata. ' Voglio fare una foto originale!' diceva. Ero appena giunto a casa di tua madre. Lì stavamo parlando. Penso che tua madre stesse dicendo una sciocchezza sui suoi capelli. Sai, a lei piaceva molto scherzare. Era così allegra che alle volte mi domandavo se era vera. Riusciva a riempire le mie giornate, ad inondarle di luce anche quando erano davvero pessime. Non capii mai cosa l'avesse colpita di me, così tanto da innamorarsi di un burbero e antipatico come il sottoscritto."
" Me lo chiedo anche io."- scherzò Johanna.
" Ehi!"- esclamò Ville fingendosi offeso. Johanna ridacchiò e consegnò la foto a Ville. Lui la rimise accuratamente nella scatola. Poi prese la foto che gli aveva regalato Johanna e la mise vicina all'altra e chiuse la scatola per rimetterla al suo posto.
Forse in quel momento Johanna avrebbe dovuto dire qualcosa di carino, o aggiungere qualche parola in più di un semplice ' buon compleanno'.
Forse avrebbe dovuto pronunciare quella parola magica, ' papà', ma non era in grado di farlo.
E questo le dispiaceva.
" Ville io.."
" Amoreee!"
Ma Hanna riuscì ancora una volta a rovinare tutto.
Ville le andò incontro senza però baciarla.
' Meno male', pensò Johanna.
" Che stavate combinando voi due?"
' Saranno fatti nostri, no?', aveva voglia di rispondere la ragazza.
" Stavamo..parlando."- rispose invece Ville, cercando di sorriderle. Era difficile farlo, dopo essersi perso nei ricordi più felici che conservava gelosamente nel suo armadio.
" Oh che cari!"- esclamò Hanna con voce stridula. A Johanna venne l'istinto di alzarsi e ammazzarla.- " scendiamo?"
" Sì.."- rispose Ville.- " tu intanto preparati altrimenti faremo tardi."
" Ok.."- disse con tono spento la ragazzina che si alzò dal letto e uscì arrabbiata dalla stanza.
Ville non si accorse di nulla e quindi scese con Hanna le scale, cercando di sorridere a quella donna che non aveva nulla di simile a lui.
 

Quando entrarono in cucina, ancora una volta Ville non pensò minimamente all'eventuale presenza di qualcun altro e così si lasciò baciare appassionatamente da Hanna.

Jackie proprio in quel momento spense il fornello e dopo aver messo il caffè nella tazza, alzò gli occhi al cielo vedendo quella scena.
" Buongiorno anche a voi."- disse infastidita.
E naturalmente Ville, come era successo per le altre poche volte, si imbarazzò e cercò di far finta di niente.
" Ciao Jackie!"
Jackie disgustata non lo guardò nemmeno e continuò a preparare la colazione per Johanna, indignata. Ormai era stufa di quella scenetta, inutile e stupida. Una scenetta che ormai sapeva a memoria e la cosa non la esaltava affatto. Anzi, avrebbe preferito evitare di essere la stupida di turno, sempre presente in quelle circostanze, ma non poteva prevedere il futuro. E come tutte le volte che accadeva, evitava di guardarli e tossicchiava per rendere evidente la sua presenza, almeno per quello che poteva contare.
E come tutte le volte, Ville non sapeva cosa dire e fare e finiva per darsi dello stupido, perché sapeva bene che poteva evitare ogni tipo di smanceria davanti a Jackie, soprattutto perché nemmeno a lui piaceva comportarsi in quella maniera. Ancora una volta entravano in gioco i falsi sentimenti che mostrava ad Hanna, quelli che ancora non riusciva ad abbandonare. Non c'era un motivo preciso perché lui si comportasse in quel modo. Probabilmente lo faceva per via della sicurezza di poter giocare come voleva con il cuore di una donna che non gli era mai davvero piaciuta, ma che non era così forte da contrastarlo, da disarmarlo, perché lui non aveva voglia di mettersi in gioco, di amare veramente.
Ma le cose sembravano cambiare come le stagioni e il tempo.
Alla fine tutto era destinato a cambiare, perfino e forse ancora di più, quelle abitudini radicate nei cuori spenti, che si erano arresi e non avevano più voglia di mettersi in gioco. Ma quando il sole li colpiva, era difficile per loro lasciare la strada comoda per imboccarne una un tantino tosta, anche se lo volevano. E questo Ville lo sapeva bene. In lui si erano spente tutte le luci e aveva finito per abituarsi alle comodità piuttosto che reagire a ciò che nemmeno gradiva.
Ma Jackie era lì, e lui doveva prendere delle decisioni sul da farsi. Non poteva giocare per tenersi stretta la comodità e allo stesso tempo ambire a ciò che era nuovo e giusto per lui.
Doveva decidersi ed evitare scenette stupide sia di giorno che di notte.
Già, la notte. Più precisamente quella appena trascorsa.
Non aveva bevuto, non aveva fatto uso di sostanze stupefacenti, eppure sapeva benissimo che quello che aveva fatto era stata una perfetta cazzata. Si era dato del coglione e aveva pensato quasi tutta la notte a Jackie e alle sue possibili reazioni, dal momento che conosceva perfettamente quanto potesse essere insolito per lei vedersi quegli atteggiamenti proprio da lui, dal cretino della torre. Sapeva quanto Jackie non sopportasse quei modi di fare, per via di cose che lui non conosceva fino in fondo, appartenenti ad un passato che forse non avrebbe mai conosciuto.
La cosa certa, almeno secondo lui, riguarda il fatto dell'essersi giocato il tutto e per tutto con Jackie, solo perché non aveva le palle per dirle che si stava interessando a lei più del dovuto e farle capire che con Hanna non aveva intenzione di metter su famiglia e che nemmeno la amava come forse Jackie pensava.
Cosa avrebbe dovuto pensare dopo tutte le scene sdolcinate che era costretta a subire, sennò?
Era più opportuno precisare che Ville aveva deciso di chiudere la porta in faccia all'amore, nel momento in cui esso si faceva vivo. Così evitava gli sguardi, le donne che potevano interessargli davvero e che potevano compromettere la sua routine e finire per coltivare un deserto in fondo al suo cuore. Ma evitare Jackie era come evitare di scrivere una canzone.
Ville aveva mai voluto evitare un pezzo di carta?
La risposta era già nella domanda.
Si grattò la nuca e aspettò che Hanna se ne andasse. Un po' in cuor suo aveva timore di restare solo con Jackie, ma allo stesso tempo non vedeva l'ora che Hanna andasse via perché non sopportava più la sua presenza.
" E' tardi, devo andare. Mi aspettano sul set."- disse in quel momento la bionda prendendo la sua giacca e la borsa. Il ragazzo sospirò sollevato.- " ci vediamo dopo."
Diede un ultimo bacio a Ville e andò via senza salutare Jackie, che continuava a sistemare qua e là senza guardare nella loro direzione.
Era proprio sul punto di andare via dalla cucina quando..
" Jackie!"- la voce di Ville la bloccò interamente.
Dovette voltarsi e simulare che stesse tranquilla.
" Sì?"
Ville si fermò esattamente a pochi passi da lei. Jackie iniziò a sentire il suo cuore battere più veloce del normale.
" Ecco..volevo..volevo scusarmi per stanotte. Non era mia intenzione spaventarti o farti fare un'idea sbagliata di me. Ecco..non so cosa mi sia preso. Di sicuro sono stato stupido."
" Tranquillo. È tutto okay."
Le parole le uscirono di bocca senza che ci avesse pensato. Ville la osservò meglio per capire se stesse mentendo. Evidentemente Jackie era così brava a fingere.
" Sicura?"

'No', avrebbe voluto rispondere prontamente, ma quel "no" implicava un casino di spiegazioni che probabilmente lei stessa non sarebbe riuscita a sostenere in maniera chiara e precisa, inciampando in ogni parola che avrebbe proferito. Era meglio non rischiare di finire in una gabbia, quando poteva evitare di mettersi nei guai.
E per una volta, Jackie Smith, conosciuta per i suoi casini appena apriva bocca, decise di seguire il consiglio che la sua testa le bisbigliava. Mentire in quel momento, in fondo, le sembrò semplicemente un modo per mandare avanti quella insolita convivenza, anche se la sua coscienza era di un altro parere. Con un enorme sforzo Jackie riuscì a mettere da parte i sensi di colpa, o meglio, nascose quasi perfettamente quell'impulso di mandare a monte i suoi piani e affrontare tutte le spiegazioni che quel " no" comportava.
" Sì, tutto okay."- ripeté sforzandosi questa volta di sorridere. Qualsiasi persona al  mondo avrebbe capito che quel sorriso celava ben altro dello stare bene. Tutti avrebbero capito che Jackie fingeva. Tutti tranne Ville. Perché Ville non prestava mai attenzione ai piccoli dettagli. In tutti quegli anni non era mai riuscito ad imparare o a migliorare. Si accorgeva delle cose solo dopo averci riflettuto o quando queste erano talmente evidenti che perfino un bambino sarebbe riuscito a capirle.
Ville annuì, fidandosi delle parole di Jackie senza andare più affondo nella questione. Anche se voleva farlo, non aveva le parole adatte, ma soprattutto, non aveva tempo. Aveva una riunione agli studi e doveva lavorare su una nuova melodia e quando si tratta di questo, nulla doveva distrarlo. Nessun pensiero doveva ostacolare i suoi piani.
Eppure, nonostante entrambi, chi per un motivo e chi per un altro, fingessero che quella piccola scenetta notturna non avesse procurato turbamenti sentimentali e psichici,  l'aria che si respirava in quella stanza divenne decisamente carica di imbarazzo. Sia Ville che Jackie sapevano che le cose erano cambiate, in maniera sottile, quasi invisibile, ma non avevano intenzione di fare qualcosa. E cosa ci avrebbero guadagnato non mettendo alla luce ciò che realmente pensavano?
Ville iniziò ad essere impacciato nei movimenti e fece cadere il suo cellulare e le chiavi della macchina mentre tentava di sistemarsi la giacca. Jackie per un attimo arrossì ripensando alla scena.
Fortunatamente in quel preciso istante arrivò Johanna correndo come una matta. Ancora una volta era in ritardo. La sua entrata in scena fece calmare i bollenti spiriti e tutto apparentemente tornò al suo posto.
" Ville!"- esclamò la ragazza riprendo fiato.- " pensavo di non trovarti."
" Sei sempre la solita ritardataria. Io non riesco a capire da chi tu abbia preso."
" Non mi sembra che tu sia sempre in perfetto orario. Anzi non lo sei mai! La dimostrazione sono tutte quelle volte che vieni in ritardo a prendermi a scuola. E non inventarti scuse."- concluse Johanna facendo tacere suo padre che stava per aprire bocca. Ville, colpito e affondato, squadrò sua figlia con aria minacciosa e disse: " muoviti. Non ho l'eternità per aspettarti."
Johanna guardò suo padre e all'improvviso scoppiò a ridere.
" E ora che hai?"
" Niente."
" Come sarebbe a dire niente?"- esclamò Ville, decisamente alterato.
" Niente, mi è scappato."
" A meno che tu non sia impazzita, ed è molto probabile, non penso che sia normale ridermi in faccia."
Ne andava di mezzo l'ego della diva!
" Oh e va bene! Beh se proprio lo vuoi sapere..ti sei messo la giacca al contrario."
Ville si guardò e notò il piccolo inconveniente. Anche Jackie, che aveva osservato la scena divertita, scoppiò a ridere. La guardò e per un istante di follia pensò di non aver mai visto un sorriso più bello di quello. Jackie era esattamente questo: una ragazza spontanea e andava trattata con la dolcezza e la simpatia che lui doveva ripescare da qualche parte, nell'antro della sua spelonca situata nel petto.
Si rimise la giacca sorridendo e poi disse: " bene, gente. Non c'è niente da vedere."- poi si rivolse a sua figlia.- " vogliamo andare, miss so tutto io?"
" Andiamo."
Johanna diede un bacio sulla guancia a Jackie e poi scappò via, lasciando la porta aperta. Ville scosse la testa e poi girandosi verso Jackie, la salutò alzando la mano.
" A dopo."- disse.
" Ciao."
E appena anche Ville abbandonò la torre, Jackie tirò un sospiro di sollievo e si abbandonò sulla sedia della cucina. Ancora un altro po' e non sarebbe più riuscita a sostenere la situazione.
" Maledetto di un Valo."- sussurrò alla tazza del caffè ancora piena.
 


" E così mi disse che non faceva altro che pensarti."
" Mark è solamente uno stupido."- sbottò Johanna aprendo violentemente l'anta dell'armadietto.

 Mark, nonostante il primo impatto, aveva finito per mostrarsi per quello che era: uno sbruffone di prima categoria a cui piaceva più apparire che essere. E Johanna non aveva tempo per gli sciocchi come lui. Lei aveva da pensare a molte cose, come al fatto che prima della festicciola per Ville aveva intenzione di dirgli esattamente che lei, nonostante i difetti, aveva intenzione di chiamarlo papà. Una cosa molto difficile non solo da dire ma anche da pensare per convincersene.
" Io che cosa vi ho sempre detto?"- disse Arja con l'aria di una che la sapeva lunga.- " non volete mai ascoltarmi."- chiuse il suo armadietto e aspettò che lo facessero anche le altre. Johanna mise da parte il libro di matematica e lo zaino e prese il raccoglitore con dentro gli spartiti e la chitarra che quella mattina aveva portato con sé e messa nell'armadietto nell'attesa della lezione. Aveva pensato che il corso di musica fosse una passeggiata, ma si accorse ben presto che bisognava davvero faticare per ottenere anche il minimo risultato. E la cosa un po' la buttava giù. Probabilmente fino a quel momento si era solamente illusa di poter essere in grado di sapere fare qualcosa. Ognuno aveva un talento e lei pensava che fosse il canto, ma più andava avanti e più capiva che nonostante riuscisse a farcela, gli sforzi la sfinivano e iniziava a credere che se era così difficile, allora lei non aveva al cento per cento il talento del canto.

Sia Marianne che Arjia le avevano ripetuto fino alla nausea che quelle fisse ce le aveva solo lei.
" Sei la più brava del corso, perché dici questo?"
Ma ciò invece di incoraggiarla, la faceva sentire ancora più incompresa. Lei sentiva che c'era qualcosa che non andava. Suo padre non si era mai espresso su questo argomento, nonostante la sentisse cantare mentre si esercitava a suonare la chitarra e il piano. Ville si limitava ad ascoltarla accanto alla porta senza proferire parola. A volte andava anche via mentre lei pensava che stesse lì. Si voltava emozionata e poi con delusione scopriva che Ville non c'era.
 E questo non l'aiutava.
Non riusciva a capire se stesse andando bene o meno. Iniziava a pensare che a suo padre non gliene fregava nulla di questo.
E in tutto questo ci si metteva anche il pensiero di sua madre. Forse era per via delle foto che Ville le aveva mostrato che ora sentiva ancora di più la sua mancanza.
" Johanna, c'è qualcosa che non va?"- chiese Marianne mentre si dirigevano verso il grande cortile per fare pausa.
" Tutto okay."
" Allora questo significa che ci canterai qualcosa prima di abbandonarci per il tuo corso?"- chiese allegra Arja sedendosi su una pietra. Johanna si guardò intorno e vide che la sua amica aveva scelto il posto più appartato di tutti. Il cortile era molto più grande di quello della sua scuola a New York. Se proprio doveva dirla tutta, lì a Helsinki tutto era decisamente migliore delle cose che c'erano nella sua città natale.
Mentre osservava il luogo, si accorse che più in là c'era un ragazzo, che seduto su una panchina, stava scrivendo qualcosa su un quadernino. Era molto concentrato e scriveva molto veloce, come se volesse in tutti i modi che le parole che uscivano dalla sua testa dovessero tutte essere impresse sul foglio. Indossava una giacca di pelle nera, decisamente molto strano per il freddo che c'era, e aveva un paio di occhiali da sole tondi fra i capelli neri che gli arrivavano alle spalle. A giudicare dall'aspetto, doveva essere un assiduo ascoltatore di musica metal, eppure per quanto era mingherlino Johanna non pensava minimamente che potesse essere un duro. Guardandolo attentamente si ricordò che quel ragazzo lo aveva visto al corso di musica che lei frequentava, ma con il quale non aveva mai scambiato una parola. Si sedeva sempre all'ultimo banco e non parlava mai con nessuno. Johanna continuò a guardarlo, fino a quando non fu lui stesso ad alzare lo sguardo e a puntarlo su di lei che immediatamente lo distolse imbarazzata, e tornò a guardare le sue amiche.
Il ragazzo, incuriosito, restò a guardare Johanna dimenticandosi di scrivere le ultime parole che gli erano venute in mente. Quella ragazza credeva di conoscerla. Poi si ricordò del corso di musica e si ricordò di lei, che si sedeva sempre al secondo banco. Per una volta la sua memoria non lo aveva tradito.
Poco dopo, guardò per un'ultima volta Johanna e tornò a scrivere.
" Il tizio ti stava guardando."- disse Arja.- " ma non ti girare."
Johanna fu meravigliata, ma non si mosse.
" Oh! Il principe oscuro!"- esclamò Marianne ridacchiando.- " è carino, vero?"
" Non saprei. Non mi interessa, quindi non so dirlo. È solo che..mi fa strano vederlo sempre da solo."- rispose Johanna che iniziò ad accordare la chitarra.
" Eppure da come lo guardavi non sembrava così."- insistette Marianne. Johanna distolse lo sguardo dalla chitarra e disse: " non ho voglia di parlare di questo. Oggi ho mille pensieri per la testa e non voglio discutere su chi possa essere bello, brutto, leggermente strabico o perfetto."- si alzò e senza aggiungere altro andò via.
" Seguiamola."- disse Marianne, che non si era fatta intimorire dalla collera dell'amica. Johanna passò davanti al ragazzo senza guardarlo e tornò dentro.
Quando Marianne e Arja la riuscirono a trovare, era seduta a terra vicino al suo armadietto.
" Ehi.."- esordì Arja sedendosi accanto a lei.
" Tesoro, se hai bisogno di sfogarti noi siamo qui. Non devi tenerti le cose dentro."- disse Marianne togliendole una ciocca dei capelli dagli occhi e mettendogliela dietro l'orecchio. Johanna non stava piangendo. Semplicemente la giornata era storta e non sapeva più come affrontarla.
" Non c'è un motivo preciso..semplicemente è una giornata..strana."- commentò Johanna.- " ci sono cose che non riesco a spiegare bene e che mi innervosiscono per questo."
Marianne la abbracciò e Arja si aggiunse all'abbraccio. Johanna a momenti non respirava, ma non fece nulla per togliersele di dosso. Aveva bisogno di qualcuno che in quel momento non parlasse, ma allo stesso modo le facesse capire che era lì per stare con lei e sopportare i suoi malumori.
" Grazie."- disse alla fine sorridendo.
In qualche modo aveva ritrovato un po' di tranquillità, anche se non sapeva fino a quando sarebbe durata.
 
 
Il corso di musica quel giorno le sembrò durare poco e niente. Forse perché per evitare che tutti i pensieri che aveva la affogassero, si era concentrata su l'unica via che aveva per liberarsi di tutti i fardelli che era costretta a portarsi sulle spalle.
L'assenza di una mamma.
Il volersi legale ad un padre appena conosciuto.
Volerlo chiamare papà, ma non riuscirci.
Avere la consapevolezza che la sua zia acquisita prima o poi sarebbe andata via.
Sentirsi ad Helsinki più sola che mai.
La musica, in molti dicevano che era per depressi, in realtà era l'unico modo che permetteva alla gente di andare avanti e sopportare tutto ciò che faceva male.
Aiutava a vivere.
Johanna seguì l'intera lezione senza farsi distrarre da nulla e prese appunti su tutto ciò che secondo lei le sarebbe servito per migliore. Quando uscì dall'aula era ancora completamente concentrata che non fece attenzione e si scontrò con qualcuno.
Quando alzò gli occhi si accorse di essersi scontrata con il ragazzo solitario, anche lui con la chitarra.
" Scusa."- disse Johanna evitando di guardarlo e allontanandosi rapidamente.
' Ci mancava lui adesso', pensò infastidita mentre si avvicinò all'armadietto. Prese lo zaino, se lo infilò sulle spalle facendo attenzione alla sua chitarra e dopo aver preso il raccoglitore si avviò verso l'uscita aspettando che suo padre la venisse a prendere.
Quando respirò l'aria fredda dell'esterno, aguzzò la vista per riuscire a scorgere Ville, ma di lui non c'era nessuna traccia, così si sedette sulle scale e aspettò che arrivasse. Per paura di finire ancora una volta con il fare a pugni con i suoi pensieri, Johanna decise di suonare un po' la chitarra.
Non l'avrebbe vista nessuno. Chi poteva mai esserci alle tre del pomeriggio, se le lezioni normali finivano all'una?
 
" Happiness
More or less
It's just a change in me
Something in my liberty
Oh, my, my
Happiness
Coming and going
I watch you look at me
Watch my fever grow and
I know just where I am
But how many corners do I have to turn?
How many times do I have to learn
All the love I have is in my mind?
But I'm a lucky man
With fire in my hands.."
 
Ma si interruppe, poiché quella canzone le ricordava sua madre, colei che aveva assecondato il suo desiderio di voler imparare a suonare la chitarra e che non perdeva mai l'occasione di ascoltare tutto quello che lei, Johanna, le presentava ogni volta che aveva voglia di suonare.
" Secondo me non hai accordato molto bene la  chitarra."
Johanna sobbalzò e voltandosi vide lo stesso ragazzo di prima sedersi accanto a lei.
Chissà da quanto tempo era lì!
Improvvisamente diventò rossa e maledisse Ville per non essere mai puntuale.
" La mia chitarra è apposto."- tagliò corto lei.
" Non volevo offenderti."- disse lui. Non era arrabbiato, ma nemmeno molto allegro. Il suono delle sua voce sembrava piuttosto atono. Johanna si azzardò a guardare nella sua direzione e, per sua fortuna, il ragazzo non la stava guardando.
" No è che sono io che sono un po' nervosa oggi."- si scusò Johanna, cercando di capire cosa avesse lui.
" Capita a tutti."- concluse il ragazzo con lo stesso tono di prima.- " io sono Thomas."
Johanna, spiazzata dalla mano che il ragazzo le tendeva, lo guardò e poi la strinse.
" Johanna."
" La figlia di Ville Valo, vero?"
" Sì."
" Fico!"- esclamò Thomas accennando, per la prima volta, un piccolo sorriso.
' Non tanto'
Nessuno poteva capire la difficoltà del relazionarsi alla persona che mai avresti pensato, nemmeno sotto effetto degli stupefacenti, potesse far parte in questo modo della tua vita, da un giorno all'altro.
Qualcuno aveva mai avuto la stessa esperienza, quella di ritrovarsi accanto alla propria madre in fin di vita che ti rivelava l'esistenza di un padre che tu non volevi più e che addirittura era speciale, così tanto che nemmeno nei tuoi sogni più selvaggi sarebbe comparso?
Beh, a meno che non era scema, nel mondo c'era un solo Ville Valo speciale, il suo idolo. Quindi non poteva esserci nessuno al momento che poteva aver avuto la sua stessa esperienza.
" Già.."
Johanna guardò nuovamente Thomas, che indicando la sua chitarra chiese: " posso?"
Lei, confusa, gliela porse e osservò le operazioni che il ragazzo attuava.
" Ora dovrebbe andare bene. Prova a suonare di nuovo."- le suggerì alla fine riconsegnandogliela.
Lei suonò nuovamente la canzone e si accorse che il suono era perfetto. Come aveva fatto a non accorgersi che aveva accordato in malo modo la chitarra? Non le era mai capitato!
" Grazie."
" Di nulla."
I due si scambiarono un piccolo sorriso prima di ricadere nel silenzio e nell'assenza di emozioni. Proprio in quel momento Johanna osservò meglio l'abbigliamento del ragazzo.
Era completamente vestito di nero e indossava uno strano paio di stivali, anch'essi neri. Johanna pensò che erano simili a quelli che indossavano i componenti delle band che suonavano black metal e che le avevano fatto sempre una certa impressione. Una piccola catena spuntava da un lato dei pantaloni, mentre quella giacca di pelle la fece nuovamente rabbrividire. La cosa ancora più stramba erano i bracciali che indossava: sembravano fili spinati. Aveva voglia di toccarli per capire se lo erano per davvero, ma decise di farsi gli affari suoi. Ancora di più, sgranò gli occhi, quando vide meglio gli anelli strani che aveva alle dita. Ne contò in tutto cinque. Poi guardò la maglia che si intravedeva sotto alla giacca di pelle.
Black Sabbath.
" Anche tu sei fan dei Black Sabbath?"- chiese spontaneamente.
Thomas, che sembrava essersi perso fra i suoi pensieri, disse: " cosa?"
Johanna esaltata indicò la sua maglia e lui la toccò e poi rispose: " ah! Sì, sono un loro grande fan."
Grande come Ville?
Johanna aveva sempre pensato che non c'era fan dei Black Sabbath più fan di Ville Valo. Gli mancava solo l'anima da fangirl e poi poteva stare apposto. Johanna evitò di pensare a suo padre come fangirl in quel momento e si limitò a sorridere.
" Anche tu lo sei?"- chiese a sua volta il ragazzo che sembrava sorpreso.
" Sì."
" E' strano."
" Che io sia fan dei Black Sabbath?"- chiese confusa Johanna.
" Che una ragazza lo sia."- la corresse Thomas.
" E' così anormale?"
" Beh, qui sì."
" Ah!"
Il ragazzo guardò l'orologio che aveva al polso e disse: " devo andare."
Sì alzò, prese le sue cose e mettendosi gli occhiali da sole tondi come quelli di Ozzy Osbourne, la salutò.
" Ci vediamo, Johanna."
" Ciao."
Lo guardò andare via verso una metà sconosciuta, con la chitarra appoggiata con noncuranza sulle spalle.
" Che tipo strano."- sussurrò Johanna mentre lo vide sparire.
Proprio in quel momento vide arrivare un auto e finalmente Ville si era deciso, con tutti i suoi comodi, di venirla a prendere.
" Pensavo che ti avessero rapito gli alieni."- disse infilandosi in macchina.
" Scusa. Seppo mi ha trattenuto più del dovuto."
" Sei scusato solo perché oggi è il tuo compleanno."- sbottò Johanna mettendosi la cintura.
" Come sei gentile!"
" Anche troppo."

Entrambi si guardarono e scoppiarono a ridere.
Era bello quando si sentiva capita e veniva sostenuta nelle battute. Ed era ancora più bello se a farlo era suo padre.
" Come è andata al corso di musica?"
Davvero le aveva fatto quella domanda?
" Bene."
" Per bene intendi bene bene o bene?"
" Non confondermi."
" Ma io voglio sapere!"
" Bene."

" Mmh."
" Che c'è?"- chiese Johanna girandosi quasi completamente verso di lui.
" Niente."- rispose Ville sorridendo allegramente.
Quando giunsero a casa Johanna trovò Jackie in salotto e la salutò buttandosi completamente fra le sue braccia.
" Tesoro mio!"- esclamò la donna stringendola al petto.- " vieni in cucina così mi dici cosa c'è che non va."
Jackie le aveva sussurrato all'orecchio in modo tale che il mister non sentisse nulla e non si allarmasse.
Quando le due furono in cucina Johanna disse: " volevo parlare con Ville dopo e dirgli..insomma."
" Ti sei decisa?"

Johanna annuì, anche se non ne era proprio convinta.
" Sei molto coraggiosa."- disse sorridendo Jackie.- " ma ricordati che non sei costretta a farlo."
" Lo so, ma oggi è un giorno diverso e io vorrei fare qualcosa di più per lui."
Jackie lasciò da parte la pentola con l'acqua e andò a dare un bacio sulla fronte alla sua figlioccia.
" Sono sicura che tutto andrà per il verso giusto."
" Lo spero."
 
 

Le ore stavano scorrendo lentamente e il momento stava arrivando.

Prima dell'arrivo degli altri, Johanna avrebbe voluto fare il suo discorso a Ville, ma più passavano le ore e più il coraggio le veniva meno.
Pensava a come Ville fosse cambiato in quel periodo e a come si comportasse meglio con lei. Andavano d'accordo, anche se c'erano sempre i battibecchi, ma lei doveva ammettere che  adorava quei momenti.
Non riusciva a continuare il compito a casa di religione, ma tanto non le importava troppo. Così era scesa in salotto e si era messa al pianoforte.
Per lei le religioni erano semplicemente delle tradizioni inventate dagli uomini per darsi delle regole più severe. Aveva smesso di credere a qualsiasi cosa fin dal primo giorno senza sua madre.
Se esisteva un Dio, perché doveva essere così cattivo da averle tolto sua madre?
La sua tesi la convinceva sempre di più. Nulla esisteva.
Una volta il suo insegnante di religione chiese alla classe: " che cosa è necessario perché un uomo viva felice la sua vita?"
Johanna non credeva che fosse necessario vincere alla lotteria per vivere bene. Lei avrebbe vissuto felice se sua madre fosse stata ancora viva.
Un uomo poteva essere felice solo se poteva vivere con al fianco le persone che più amava. Quello gli permetteva di superare qualsiasi ostacolo, insieme alla musica.
Persa in quei ragionamenti, Johanna decise di suonare un po' prima di affrontare Ville.
 
" No warning sign, no alibi
We’re fading faster than the speed of light
Took a chance, crashed and burned
No one will ever, ever learn.."
 
Le dita scivolavano delicate sui tasti prima di riprendere.
 
" I fell apart, but got back up again
And then I fell apart, but got back up again.."
 
Doveva rialzarsi, vincere le sue paure, fare di tutto per sentirsi meglio.
 
" We both could see crystal clear
The inevitable end was near
Made our choice, trial by fire
To battle is the only way we feel.."
 
Ville in silenzio, giunse in salotto, curioso di vedere Johanna cantare.
Era davvero brava e con il tempo era anche migliorata.
Voleva dirglielo, ma non aveva mai avuto modo per esprimersi su tale argomento, poiché aveva sempre timore che potesse dire qualcosa di sbagliato. Amava sentire Johanna suonare il pianoforte. La casa era più piena e ciò lo faceva sentire più felice.
Da quando Ville non era più felice? Non se lo ricordava più.
Sorrise appoggiandosi al muro, aspettando che Johanna terminasse.
" Lo sai che potrei metterti in castigo per due mesi?"
Johanna sobbalzò e poi guardò suo padre.
" Solo perché a te non piacciono i Thirty Seconds to Mars."
" Esatto."
Ville si avvicinò e si sedette accanto a lei. Johanna si meravigliò e sentì che il suo cuore fece una capriola di gioia.
" Eppure sapevi che questa canzone è la loro. A questo punto mi viene da chiederti come mai la conosci visto che non è nemmeno famosa."- disse divertita. Ville suonò un tasto e poi guardò Johanna.
" Una volta tuo zio Jesse la suonò e mi disse di chi era."
" E non l'hai ammazzato di botte?"
" No, eravamo in un luogo pubblico."
" Capisco."- disse la ragazza annuendo.- " quindi non posso nemmeno dirti che vorrei sposare Jared Leto?"
Già che c'era poteva divertirsi un po'. Ville la fulminò.
" No. Anzi, non nominarlo proprio."

" Tiranno."
" Ragazza ribelle."
" Despota."

" Sorbetto al limone."
Johanna lo guardò scioccata e scoppiò a ridere.

" Che poi vorrei proprio sapere che cos'ha quell'uomo perché tutte gli corrono dietro."- commentò Ville con disprezzo poco dopo.
" Mmh..fammi pensare. È bello, talentuoso, figo e tante altre cose."- rispose Johanna sospirando.
" Ehi! Ma tu non eri una mia fan?" - chiese infastidito.
" Sì che lo sono!"- esclamò Johanna alzando gli occhi al cielo. Incredibile come l'ego delle dive era così facilmente distruttibile.
"Hai fraternizzato con il nemico!"- esclamò Ville puntandole un dito contro.
" Avrò fraternizzato con altre decine di band che forse a te fanno schifo o salire il nervoso."
" Sto esagerando, vero?"
" Solo un pochino."
Scoppiarono a ridere ancora una volta.
" Suoniamo qualcosa insieme?"- propose ad un tratto Ville.
" Cosa?"- chiese Johanna deglutendo.

Ville iniziò a suonare e  riuscì immediatamente a capire di quale canzone si trattasse e la cosa per lei fu abbastanza sorprendente, dal momento che non pensava minimamente che a suo padre potessero piacere canzoni come quelle di Elton John.
Ville sorrise e lei senza pensarci su a lungo, iniziò a cantare.
 
" It’s a little bit funny
This feeling inside
I’m not one of those
Who can easly hide
I don’t have much money
But boy, if I did
I’d buy a big house
Where we both could live.."
 
E poi fu la volta di Ville.
 
" If I was a sculptor, but then again no,
Or a man who makes potions
In a travelling show
 I know it’s not much,
But it’s the best I can do
My gift is my song
And this one’s for you.."
 
E poi Johanna si inserì in maniera perfetta.
 
"And you can tell everybody,
This is your song
It may be quite simple
But now that it’s done."
 
E poi giunse il momento in cui padre e figlia unirono le loro voci per il ritornello.
 
"I hope you don’t mind,
I hope you don’t mind
That I put down in words
How wonderful life is
While you’re in the world."
 
Continuarono a cantare creando una grande magia intorno a loro. Erano perfettamente in sintonia e mai come in quel momento, entrambi si sentirono a proprio agio, come se la musica riuscisse ad unirli senza farli sentire incompresi. Si sentivano bene, sorridevano e cantavano come se quella fosse la cosa più giusta da fare in un piccolo momento di rabbia e malinconia che nel cuore di Johanna sembravano aver trovato casa. In lei ora si erano fatti spazio i sentimenti più belli che  forse sarebbero morti insieme alle ultime note del pianoforte. Ma non importava.
Ciò che in quel momento contava più di ogni altra cosa era che lei e suo padre cantassero insieme affiatati come se stessero ad un concerto. Certo, non era lo stile musicale che ci si aspettava da Ville Valo, e forse nessuno, al di fuori di sua figlia, lo avrebbe mai sentito cantare quel repertorio, ma se ciò gli permetteva di vedere sua figlia felice, cantare perfettamente con lui e addirittura meglio di lui, allora voleva dire che avrebbe cantato quel repertorio ancora una volta.
" Wow.."
Fu l'unica cosa che riuscì a dire Johanna alla fine.
" Sì, devo ammettere che è stato davvero bello"- commentò Ville.
Guardò serio sua figlia e chiese: "  vuoi davvero fare la cantante?"
" E' uno dei miei desideri più grandi."
" Sei brava, potresti riuscirci."

" Grazie."
" Però devi sapere che il mondo lì fuori, quello di cui io faccio parte è davvero tosto. Hai ancora molto da imparare, sei molto giovane."
" Ma.."
" Non guardare i ragazzini che sono diventati famosi per due semplici canzoncine sciocche. Fra qualche anno nessuno saprà più chi sono. E sai perché?"
Johanna scosse la testa.
" Perché non hanno messo la loro anima in quello che fanno e non hanno l'umiltà. Non si scusano se sbagliano e la maggior parte delle volte non ne sono nemmeno consapevoli. Johanna, prima di essere un cantante, un attore, uno scultore, o qualsiasi artista, devi imparare ad essere umile..e geniale. Nel caso del cantante segui sempre ciò che ti dice la testa e proponila ai tuoi musicisti. Vai d'accordo con loro e sii gentile. Il resto non conta, meno di tutti le case discografiche. Quelle sono demoni, ma anche se ti leghi a loro, cerca sempre di farti rispettare."
Johanna annuì decisa. Poi all'improvviso di alzò, allontanandosi da suo padre. Continuava a tormentarsi le mani mentre il suo cuore rischiava di uscire dal petto. Aveva la test china e cercava disperatamente di ripescare quel coraggio che proprio in quel momento le era venuto meno.
" Johanna?"- chiese incerto Ville.
" Senti..io..io volevo dirti una cosa."- disse all'improvviso senza riflettere bene.
" Mark ti ha importunata?"
" No!"
" Johanna, non tenermi nascosto niente."
" Ville! Ho semplicemente intenzione di dirti una cosa che non centra niente con tutto quello che mi hai chiesto."

" Ah..okay. Beh..allora dimmi."- disse l'uomo ancora più confuso.
" E' difficile, non so da dove iniziare."

Johanna era indecisa sul da farsi ora.
" Beh, potresti iniziare sedendoti."- consigliò Ville indicandole il posto vicino al suo.

Johanna lo guardò e non si mosse.
 " Che c'è?"
" Sembra di essere dal preside a scuola."
 " Signorina, lei si è comportata davvero molto male. Potrebbe essere espulsa, lo sa questo?"- scherzò Ville con fare professionale.
" Non sei credibile."
" Almeno ci ho provato."

Dopo un piccolo sorriso, calò nuovamente il silenzio.
" Ville?"
" Uhm?"
" Io..io ce la sto mettendo tutta per chiamarti in quel modo."
" Johan.."

" Avevo pensato che una volta giunto questo giorno io riuscissi a farti come regalo il mio sforzo..ma non ci riesco. Lo so, è passato più di un mese, forse due, e forse dovrebbe essere giunto il momento. E mi sento in colpa, ma non posso fingere. Io ti vedo ancora come l'uomo che ha dato vita al mio gruppo musicale preferito, ed è ancora strano pensare che tu possa far parte della mia vita in quest'altro modo. Per me è difficile. E poi mi manca la mamma e sono triste per questo, ma poi penso a te e mi sento meglio, ma poi mi sento in colpa perché non riesco a dire quello che dovrei dire. E quindi non ho un regalo da farti. O meglio ce l'avevo ma la mia bocca non ha intenzione di dartelo."
" Johanna.."
" Ville io davvero.."- lo interruppe nuovamente disperata.
Ville si avvicinò a lei e la prese per le spalle.
" Johanna! Vuoi stare calma?"

La ragazza restò in silenzio, in attesa che lui facesse qualcosa.
Ville si abbassò per guardarla meglio e le strinse la mano.
" Bene." - la guardò ancora.- " Io non pretendo che tu mi chiami papà. È già tanto che tu sia qui e non mi mandi a quel paese in maniera definitiva per il modo con cui a volte mi comporto con gli altri e anche con te. Non credere che per me sia come fare una passeggiata, anche io sono piuttosto bloccato. Avere una figlia e scoprirlo in questo modo..beh non è stato bellissimo. È scioccante specie per me che di figli non ne avevo in programma..ma ciò non significa che io non ti voglia bene o pretendo che dobbiamo apparire come la famigliola felice dopo soli due mesi di convivenza, uno dei quali anche forzato. Un regalo già me l'hai fatto. Grazie a te sto scoprendo una parte di me che credevo essere morta e sepolta. Il Ville Valo che hai sempre visto, non era quello che sono realmente."- si bloccò sentendo il solito nodo alla gola.- " io..io mi sento a casa anche nella mia stessa casa, ora che ci sei tu. So che quando torno in queste quattro mura non sono più solo come un cane..che c'è qualcuno che con i suoi borbottii e giornate storte mi accoglie. Che quando siamo soli possiamo cantare e suonare insieme, che ci divertiamo con poco e ci sopportiamo a vicenda quando siamo arrabbiati. Non ricordavo nemmeno più come fosse l'edificio della scuola e venirti a prendere all'uscita mi fa sentire un perfetto comune mortale, quello che vorrei essere. Con te sento che tutto sta andando nel verso giusto, per una volta nella mia vita. Quindi come vedi, il regalo per il mio compleanno me l'hai fatto.."- poi si avvicinò al suo orecchio.-  "..e sinceramente è molto meglio il tuo, di quello di tutte le altre persone che verranno oggi a casa."
Johanna era in lacrime e non riusciva a dire nulla di sensato. Così si buttò fra le braccia di Ville e lo strinse a sé. Anche a Ville scesero delle lacrime, ma fu ben deciso a non piangere. Non potevano trasformare il salotto in una valle di lacrime.
" Grazie."- disse Johanna quando ebbe finito di sfogarsi.
" Grazie a te..per aver deciso di..di provarci."

Il loro sorriso era identico. Erano due perfetti Valo, in tutto e per tutto.
Nell'essere impacciati nei sentimenti.
Nel non tollerare i grandi discorsi.
Nell'irritarsi facilmente quando le cose non andavano come volevano.
Nel celare un amore verso l'altro molto più grande di quello che pensavano.
" Oops!"
Entrambi si voltarono verso il disturbatore che era appena entrato senza avviso.
" Jesse!"- esclamò Johanna andandogli incontro.

" Johannaaaa!"
Jesse abbracciò sua nipote e poi iniziarono a salutarsi in un maniera strana, un po' come i saluti fra rapper afroamericani. Scoppiarono a ridere mentre Ville alzò gli occhi al cielo.
" Disturbo?"- chiese Jesse guardando suo fratello.
" Ormai l'hai fatto."
" Sei sempre simpatico."
Poi Jesse guardò il pianoforte ed esclamò: " ooh! Stavate suonando? Suoniamo insieme? Johanna, cosa vuoi che lo zio canti per te?"
" Sai cantare?"- chiese la ragazza avvicinandosi a Jesse, che si era appena seduto al pianoforte.
" E' una cornacchia. Jesse levati."
" Ehi! Io devo suonare."
Ville si sedette accanto a lui e iniziarono a spingersi.

" Tu non ucciderai le mie orecchie con la tua voce da cornacchia."
" Voce da cornacchia a chi? Ehi!"
" Ti ammazzo di botte!"- esclamò Ville.
" Prima io."
" Insomma! Che sta succedendo?"
Johanna, che era piegata in due dalle risate, guardò Jackie che era appena entrata in casa.
" Zia Jackie, non farci caso. Sono così, dobbiamo tenerceli."
" Ehi!"- esclamarono in coro i due fratelli.

Jackie alzò gli occhi al cielo.
" Bene! Ora che ci siamo tutti, possiamo cantare."- propose Jesse che si alzò e trascinò Jackie con lui.
" Cosa? Ma io non so cantare!"
" Non fa niente. Ci divertiremo prima di vedere la mamma che ci ammazzerà di parole perché siamo due imbecilli." - disse Jesse indicando lui e suo fratello.
Ville scoppiò a ridere, così come tutti gli altri.
Il tempo che restò i quartetto lo utilizzò per stonare, urlare, improvvisare e suonare senza sosta. Quei sorrisi, le risate..furono tutto ciò che Johanna desiderava per stare bene.
E per quanto riguardava Ville, era sicuro che questo era il suo compleanno migliore, quello in cui veramente si sentiva felice come non lo era stato mai.

 

 

 

L'ANGOLO DI VALS.
Nemmeno fossimo ad High School Musical. Cioè rendiamoci conto dello scempio. Ville che canta Elton John e tutto il resto. Parliamone.
Comunque, facciamo finta che siano passati solo alcuni giorni dall'ultimo aggiornamento. Facciamo?
No, è giusto per non essere uccisa. SONO TROPPO GIOVANE, capite?
Va beh, la follia è sempre di casa, che ce volete fa?
Allora, come vi è sembrato? Fa tanto schifo?
Dovevo aggiornare per forza e nonostante non fossi molto convinta ho postato lo stesso questo capitolo.
E poi volevo spendere due parole per quanto riguarda il nuovo personaggio, che sembra un po' uno che sta sulle nuvole.
ALLORA, premetto che un tipo del genere io lo conosco quindi spero per lui che  non venga mai a sapere che l'ho messo qui. Capirebbe che sono una psicopatica.
POI, siccome non posso violare la privacy altrui, ho dovuto scegliere qualcun altro che interpretasse questo Thomas, quindi questo è lui. E' stata difficile scegliere, credetemi.
Non è bellissimo, però..insomma amiamolo lo stesso xD! E' questo ragazzo che probabilmente darà filo da torcere al Valo eheheheheheh u.u


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Bene. Questo è tutto.

Fatemi sapere cosa ne pensate, e se volete potete anche mandarmi a quel paese. Non c'è problema :3
Ringrazio le anime che invece di abbandonarmi, sono state qui ad aspettare e soprattutto a quelle che si sono aggiunge in questi mesi. Cioè io se fossi stata in voi non l'avrei fatto ahahah xD
Scemenza a parte, grazie davvero tanto <3
Alla prossima
Vals

 




   
 
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