Ombrello verde e
impermeabile giallo
E così, di nuovo. Si sentiva di
nuovo come tanti anni prima, quando suo fratello si divertiva a tormentarla,
quando l’aveva gettata in un tale abisso di paura da farle temere qualunque
contatto con l’altro sesso. Ed era successo di nuovo, di nuovo quelle
discussioni tra lui e suo padre, di nuovo quegli sguardi duri, quelle porte che
sbattevano, tutte quelle incomprensioni… In una famiglia non dovrebbe essere
così, non dovrebbe. Incapace di continuare a stare in quella casa, se n’era
andata, le mani che cercavano di coprire le orecchie, di non sentire più
niente…
Tuttavia pioveva, e nella fretta
Anko aveva dimenticato di prendere un ombrello, un impermeabile… qualunque cosa!
Ma avrebbe preferito prendere una polmonite, piuttosto che tornare là dentro.
Stringendosi nel golfino rosa che indossava, si avventurò sotto la pioggia
scrosciante, incurante di tutto, triste e arrabbiata.
Come se non fosse già stata
abbastanza sconvolta, ci si misero anche degli stupidi ventenni in giubbotto di
pelle a darle fastidio, facendola spaventare ancora di più.
-
Ehi, tesoro, dove stai andando? Ti ha mollato il ragazzo? Vieni
con me, vedrai che saprò farti felice.
-
Quel golfino rosa bagnato è così sexy, ma so io come
asciugarti…
Per fortuna sembravano solo degli
sbruffoni in vena di battute un po’ pesanti, perché quando Anko si mise a
correre spaventata, nessuno di quegli idioti la seguì.
Ormai camminava da parecchio, era
stanca e bagnata… Era arrivata in una zona che non conosceva, e la pioggia a
catinelle certo non aiutava. Per strada non c’era nessuno, a parte un cane dal
pelo arruffato che sembrava più spaventato di lei. Si diresse verso un parco
grigio e anonimo, e si sedette su una panchina sotto un albero spoglio. Erano
solo gli inizi di marzo, la primavera tardava ad arrivare e quella pioggia
fredda si insinuava nelle ossa, facendo tremare la povera Anko che ormai non
sapeva più se erano gocce di pioggia o lacrime quelle che le rigavano le
guance.
Anzi, a pensarci bene una
differenza c’era: la pioggia era fredda, mentre le lacrime erano calde e
bruciavano. Da quanto tempo stava piangendo in quel modo? Dov’era?
Ormai la povera ragazza si
trovava in uno stato tale che cominciava a non importarle più niente: “Dopotutto
a chi importa qualcosa di me? E poi perché dovrebbero? Ai miei interessano solo
le apparenze, per mia madre l’unica cosa che conta è che sia sempre la signorina
Uehara ben vestita e con buoni voti, per mio padre esiste solo mio fratello. Le
mie “amiche” di un tempo adesso saranno in qualche karaoke con i loro ragazzi, e
io sono qui e non importa a nessuno… Se sono un peso per tutti tanto vale che
sparisca dalla loro vita, starebbero tutti molto meglio…”
-
Uehara, che cosa ci fai qui?
Sentirsi rivolgere la parola
all’improvviso, in quel posto deserto, la destò dalle sue disperate
elucubrazioni. Guardò verso l’alto e vide che un grande ombrello verde chiaro la
stava riparando, sostenuto da uno Yoshikawa in impermeabile giallo, con in mano
la borsa della spesa e un’espressione sorpresa e preoccupata dipinta in
viso.
-
Come sei finita nel mio quartiere? È parecchio distante da casa
tua. E poi sei tutta bagnata, con questo freddo… ti prenderai una polmonite.
Uehara, mi hai sentito? Che cos’hai? Ti senti bene?
Ancora intontita dalla pioggia e
dalla sorpresa di trovarsi davanti proprio lui, proprio Yoshikawa, Anko non
aveva ancora spiaccicato parola. Ma alle parole del ragazzo si riscosse con un
fremito e, guardandolo meglio, notò che l’impermeabile che stava indossando era
enorme, più grande di almeno un paio di taglie.
-
Ehi, ma che cosa ti sei messo addosso? Sembri un pompiere! Non hai
visto che era troppo grande per te? – esclamò la ragazza, accennando un
sorriso.
Visto che Anko era ancora in
grado di scherzare, Yoshikawa tirò mentalmente un sospiro di sollievo, e
sorridendo a sua volta rispose:
-
Sì, è vero, è almeno un paio di taglie in più rispetto alla mia.
Apparteneva a un mio zio, un fratello di mia madre, che era grande e grosso e
faceva il pompiere. Comunque è l’ideale in questi giorni di pioggia, ripara alla
perfezione e sotto si sta caldi e all’asciutto.
-
Ma scusa, a tuo zio non serve? Perché adesso ce l’hai tu? È forse…
- Anko si fermò, pensando di aver detto troppo, ficcando il naso in questioni
personali.
-
No, non gli è successo niente, non preoccuparti. È solo che adesso
non gli serve più: durante una vacanza in Nuova Zelanda con dei colleghi ha
conosciuto una ragazza maori e l’ha sposata, fermandosi là con lei.
-
Cosa? – Anko non sapeva se credergli o no, tuttavia non riuscì a
non scoppiare a ridere – Mi prendi in giro, Yoshikawa?
-
Assolutamente no, te l’assicuro. Forse mio zio è sempre stato un
tipo un po’ folle, ma ora è felice. E io ho guadagnato una zia straniera.
-
Dev’esserci una vena di follia nella tua famiglia. Anche tu sei un
tipo un po’ strano, un otaku fissato con i videogiochi…
-
Può darsi, non ci avevo mai pensato. Però, Uehara, senti, tu sei
tutta bagnata e rischi sul serio di prenderti qualcosa. Perché non vieni a casa
mia, così potrai asciugarti un po’? È qui vicino, non ci metteremo molto.
La ragazza si alzò,
accostandoglisi sotto l’ombrello verde. Notò che Yoshikawa si era alzato molto
in quel periodo: non era più un nanerottolo, ormai era alto quando lei, se si
voltava poteva guardarla tranquillamente negli occhi.
-
È per questo che stavi passando di qui? Stavi tornando a casa?
-
Sì, tagliando per questo parco ci si mette molto meno. È qui da
sempre, l’hanno eretto quando non ero ancora nato, e da bambino venivo spesso
qui a giocare. Sono andato a fare un po’ di spesa: mia madre non c’è, è andata a
trovare mia nonna che abita fuori città e non si sente molto bene, mentre mio
padre è via da un paio di giorni per lavoro.
-
Così sei da solo – ad Anko non passò nemmeno per la testa il
pensiero che stava andando a casa di un ragazzo e che sarebbero stati da soli, e
continuò a chiacchierare, cosa che le riusciva incredibilmente
semplice quand’era in compagnia di Yoshikawa – Ma… allora devi arrangiarti
in tutto? Prepararti da mangiare, fare la lavatrice…
-
…stirarmi i vestiti, pulire un po’… Sì, proprio così. Ma quando
sei da solo non c’è poi molto da fare. Metto un po’ in pratica quello che ci
insegnano a economia domestica.
-
Però, come sei bravo, Yoshikawa! Non sono molti gli uomini che si
degnano di occuparsi di una casa, anche se solo per un paio di giorni! – esclamò
Anko, non accorgendosi che l’aveva involontariamente chiamato “uomo”, e non
“ragazzo”.
-
Beh, sai, casa mia è anche un appartamento abbastanza piccolo…
E così chiacchierando, i due
ragazzi si diressero verso la casa di Yoshikawa, camminando sotto la pioggia che
non sembrava più tanto fredda e pungente, anzi era diventata la cornice ideale
di quell’inaspettato momento di intimità.
E il lime? E il rating arancione? Eh, eh…
voi recensite, che io mi affretto a postare il prossimo
capitolo!
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