polverenera
Note
Abbiamo entrambe lo stesso,
orribile esame di storia da dare. Neanche a dirlo, nessuna delle due ha
voglia di studiare.
Ma la vita è bella.
Quant'è
bella giovinezza
Capitolo terzo
“Misericordia divina, se mi capita pe’le mani
stavolta mi sente!”
Una porta sbatté violentemente contro al muro, mentre
Giuliano de’Medici irrompeva nello studio di suo fratello.
L’aveva aperta con così tanta forza da ammaccarne
il pomello.
Trovò Lorenzo intento a lanciare improperi al cielo, con una
mano sul capo e l’altra appoggiata alla scrivania.
Quartone lo guardava impassibile, mentre madonna Orsini fissava con una
certa impazienza fuori dalla finestra.
Nonostante ciò, Giuliano si azzardò a porre la
stessa domanda che continuava a fare da ore, ormai
“Ancora nessuna notizia di mia sorella?”
Non faceva altro. Usciva dallo studio del Magnifico, scendeva per le
vie e organizzava guardie per la ricerca. Di Beatrice, però,
nemmeno l’ombra. S’era svegliato come di sua
consuetudine al decimo rintocco di campana ed era sceso nella stanza
della sorella migliore per domandarle di mangiare qualcosa insieme
prima della solita passeggiata. Non si era preoccupato nel non
trovarla, almeno sino a che non aveva scoperto che nessuno
l’aveva più vista dalla cena. Aveva chiamato a
rapporto Lorenzo, che aveva a sua volta organizzato la ricerca, ma
nulla. Il meriggio era passato da un pezzo, ma di Beatrice nemmeno una
notizia.
“Dragonetti sta cercando informazioni presso le bancarelle
lungo l’Arno.” Spiegò il Magnifico,
guardandolo spazientito. Sembrava quasi che Giuliano stesse per dire
che non bastava, così lo incalzò “Deve
essere uscita stamattina presto, quindi i pescatori sono i soli che
possono avere informazioni!”
“Abbiamo domandato a chiunque, Lorenzo!” insistette
il più giovane del due, mentre Clarisse sospirava.
Sbattè le mani sulla scrivania, parlando direttamente in
viso al maggiore dei due “Perché è
fuggita senza scrivermi nulla? cosa le hai detto ieri?”
“Nulla che giustifichi un tale atto!” Si difese il
Magnifico, con tono risentito. “Le ho solo detto che non
può deliberatamente scavalcare o reinterpretare le mie
decisioni.”
“Senza contare che l’avete rinchiusa in
casa.” Aggiunse Clarisse, suscitando lo sdegno di Giuliano e
un’occhiataccia del coniuge “Sicuramente si
sarà sentita chiusa in gabbia e ha ben pensato di farvi
prendere uno spavento, marito.”
“Da quando le giovani di buona famiglia possono scorrazzare
liberamente per la città senza supervisione?”
domandò irato Lorenzo, continuando quella che pareva una
lite infinita.
Grazie al cielo, l’intervento di Dragonetti arrivò
provvidenziale. Spinse nell’ufficio una giovane ragazza,
mingherlina e dal viso un po’ sporco di polvere, attirando
l’attenzione con un falso colpo di tosse.
Quando ebbe gli occhi dei Medici addosso, parlò.
“Vossignoria, forse ho delle risposte.”
Gli occhi di tutta la famiglia de’Medici si abbassarono sulla
ragazza, la quale si guardò bene dal dare un saluto formale,
tirando su col naso e asciugandoselo con una poso elegante passata di
manica sul viso.
«Finalmente qualcuno di sveglio»,
commentò, fermandosi un istante a guardare Clarisse.
Si ripulì con disinvoltura camicia e calzoni dalla polvere
della strada, prima di ficcare le mani nella borsa che portava a
tracolla e tirarne fuori una lettera stropicciata.
«In questa città manca la giustizia!»,
protestò, scomodando Lorenzo dalla sua sedia.
«Vostra sorella ha rapito mio fratello e ancora non ho visto
una guardia muoversi per andare a salvarlo!»
Nella sala calò il silenzio.
Pesante e fitta come un banco di nebbia in pianura, quella mancanza di
suoni venne interrotta da Giuliano, il quale prese un paio di profondi
sospiri, avvicinandosi alla ragazza.
«Come?», chiese, titubante.
Lei roteò gli occhi.
«Vostra sorella, quella che l’altro giorno
s’è alzata la gonna in piazza»,
specificò.
«Beatrice.»
«Chiamatela come vi pare. Stamani mi sono svegliata e al
posto di mio fratello ho trovato questa.»
La lettera venne porta con rabbia a Giuliano, il quale
l’afferrò frettolosamente per aprirla e immergersi
nella sua lettura.
Alla fine, interdetto, riportò gli occhi sulla ragazza.
Doveva essere uno scherzo.
La fronteggiò irato, chinandosi su di lei per gridarle
direttamente in viso, mentre Clarisse rubava la lettera dalla sua mano,
tornando verso il marito mentre leggeva preoccupata.
“Sapete cosa potrei farvi, ragazzina? Potrei strapparvi la
lingua per queste menzogne!” ringhiò cattivo
Giuliano, mentre anche Lorenzo iniziava a leggere oltre la spalla della
donna.
“Sembra la lettera di un innamorato.”
Commentò madonna Orsini, cercando di celare un sorrisetto
che però non poté tenersi per sé.
Lorenzo pareva dello stesso avviso di Giuliano “Beatrice non
conosce vostro fratello. Di certo non è di lei che si allude
in questa lettera!”
La ragazza incrociò le braccia sul petto, sbuffando.
«Lettera d’amore?», commentò,
battendo un piede a terra con aria seccata. «A me pare
più scritta sotto minaccia.» Si
riappropriò del foglio, piegandolo per bene prima di
leggere: «“Ti lascio, conscio del fatto che i
nostri luminosi cammini si ritroveranno un giorno in un luogo
più fiorente di avventure, per inseguire il mio sogno, la
dama più bella che il Creato potesse
donarmi.”» Pausa. «Orso non scriverebbe
mai una roba del genere. Un ubriaco, non scriverebbe mai una roba del
genere. Vostra sorella lo ha tirato fuori dal Bargello e da allora
quello stolto non ha più parlato d’altro, ma un
po’ di sale in zucca gli sarà anche
rimasto!»
“Se non ha parlato d’altro, dev’essersi
davvero innamorato.” Commentò bonaria Clarisse,
sorridendo alla ragazza prima di rivolersi a Giuliano “Dove
sono finite le buone maniere dei de’Medici. Offrite qualcosa
da bere a questa giovane per combattere la calura estiva, prima di
andare a cercare suo fratello.”
“Cosa mai può importarmi di suo
fratello?” ribatté isterico Giuliano, portando le
mani al viso per massaggiarsi gli occhi. Iniziava a non vederci
più “Va bene, ragioniamo per gradi. Innanzi tutto,
ditemi qualcosa su vostro fratello.”
Guardò la giovane ancora ostile, ma la preoccupazione per
Beatrice lo costrinse alla gentilezza.
Lei sospirò, facendosi pensierosa.
«Orso è stato catturato per …
bé, non so esattamente per cosa lo abbiate messo in
prigione. Credo abbia trovato un’altra di quelle oche al
mercato, o qualcosa del genere. Ha preso in ostaggio vostra sorella
dando mostra di sé a tutta la città, come lo
stupido esibizionista che è. Dopodiché lo avete
messo dietro le sbarre e lei lo ha liberato.»
Si guardò intorno, soddisfatta della sua esposizione,
dopodiché parve rilassarsi.
«Sentite, io e mio fratello siamo qui soltanto per vendere un
vecchio tasso ai mercanti d’arte. Imbalsamiamo animali,
è quello che facciamo da quando siamo nati. Non volevamo
fare del male a nessuno; di certo Orso non voleva farne a vostra
sorella.»
Giuliano ammutolì, mentre Lorenzo sgranava gli occhi. Si
rivolse immediatamente al fratello
“Preso in ostaggio? Questa parte della storia non
m’è stata riferita!”
“Perché avete parlato con Beatrice,
Lorenzo!” si difese subito il più giovane dei due,
mentre Dragonetti alzava gli occhi al cielo e Clarisse portava una mano
a coprire i suoi, in un moto di imbarazzo. Parevano due bambini che
bisticciavano
“A me non è stato domandando proprio
nulla!”
“Hai permesso che tornasse al Bargello per
liberarlo!”
“A me ha detto che aveva ottenuto la grazia per quel giovane
a nome vostro!”
“Miei Signori!” Dragonetti alzò la voce,
attirandosi così addosso due occhiate di fuoco. Ottenne
però il silenzio tanto bramato da tutti
“Così facendo non otterremo nulla. madonna
de’Medici sa il fatto suo e non temo ne per lei ne per il
giovane, ma vanno ricondotti entrambi a casa. Un mercante mi ha giurato
di aver venduto una mappa per Bologna ad una giovane che gli pareva
vostra sorella. Direi di iniziare da qui.”
La ragazza mosse appena le labbra, sussurrando quella che sarebbe
tranquillamente potuta passare come una bestemmia, prima di avvicinarsi
a Giuliano con fare deciso.
«Se sono andati a Bologna, non ci resta che seguirli e
sperare di essere più celeri di loro»,
decretò. «Non so vostra sorella, ma Orso non
è mai stato fin laggiù e ha il senso
dell’orientamento di un sasso. A cavallo, potremmo anche
trovarli prima di venerdì.»
“Beatrice c’è stata spesso.”
Disse Lorenzo pensieroso “Ma da bambina, con nostro nonno.
Sicuramente avrà preso il passo degli Appennini, per
arrivare prima. Se partite ora dovreste raggiungerli prima che cali la
notte.”
“Partirò subito, ma da solo.” Disse
Giuliano, passando accanto a Porpora senza degnarla di uno sguardo
“Prenderò Bertino e cinque o sei uomini.
Metterò le mani su quel ragazzetto che ha osato portarsi via
la mia Beatrice e gli taglierò le mani, se ha osato
allungarle. Poi marcirà a vita nel Bargello!”
Porpora si voltò, seguendolo con l’ira negli occhi.
«Non alzerete le mani su mio fratello!»,
gridò, raggiungendolo con un paio di balzi. «Non
fosse stato per me, sareste ancora dietro la scrivania a battere la
fronte sul legno!»
Adirata, gli puntò un dito al mento, scuotendo il capo per
togliere i capelli castani dagli occhi.
«Verrò con voi e porterò mio fratello
lontano da Firenze tirandolo per le orecchie»,
asserì, grave. «Ma a lui voi non torcerete un
capello: sarò io, quella che lo riempirà di botte
fino a Roma!»
Lorenzo decise di frapporsi da pacere, prima di veder una guerra
scatenarsi nel suo studio. Avanzò verso i due, guardando per
primo Giuliano “Portala con te, se lo desidera. Dopo di che
si parlerà di ciò che faremo a nostra sorella
insieme.” Sorrise quindi a Porpora, proseguendo
“Non possiamo punire un ragazzo per una pena che non siamo
certi che abbia commesso. Trovateli e riportateli a Firenze,
così che quel giovane possa tornarsene nel Bargello per i
reati commessi in precedenza.” Prima che la ragazza potesse
ribattere, Dragonetti la spinse fuori dall’ufficio con foga.
Giuliano dovette prendere atto di quella decisione, dirigendosi quindi
ai suoi alloggi per prepararsi alla partenza.
Le campagne che circondavano
Firenze erano verdi, l’aria fresca, il sole splendente sui
prati che si stagliavano dinanzi a loro.
Se l’allegro chiacchierare di Beatrice non li avesse coperti,
Orso avrebbe giurato che un gran numero di uccellini stava cantando al
loro passaggio su quella modesta via sterrata, mentre, da qualche
parte, lo scrosciare di un ruscello rendeva quell’atmosfera
ancora più perplessa.
La giovane de’Medici gli stava raccontando della sua infanzia
passata con il nonno e Orso ascoltava, ridendo a ogni battuta, perso
nei ricordi e nell’idillio che in quell’istante gli
pareva di stare vivendo.
Avrebbe passato secoli, se non eoni interi, ad ascoltare Beatrice
parlare, ridere e scherzare. Il suo tono era così dolce, le
sue parole così fini … nulla a che vedere con
ciò che fino a quel giorno lo aveva circondato.
Lei era la stella nel cielo, il fiore nel prato, il frutto
sull’albero.
Vergognandosene un poco, Orso sperava che quel viaggio a cavallo da
Firenze a Bologna non finisse mai, o che venisse in qualche modo
prolungato quanto più possibile.
Da un pasto, per esempio.
«Che ne dite se provassimo a pescare qualcosa da mettere
sotto i denti?», propose, tirando le redini del suo cavallo
per arrestarne il trotto. «Ho udito rumore d’acqua;
forse c’è un torrente!»
La ragazza alzò gli occhi verso il cielo, notando che il
giorno stava giungendo al termine. Sperava di arrivare a Bologna prima
della fine della giornata, ma nemmeno al galoppo ci sarebbero riusciti.
Se per caso i suoi fratelli fossero a loro volta riusciti a capire la
direzione da prendere, difficilmente li avrebbero trovati fuori dal
percorso. L’idea del ruscello aveva quindi senso.
Sorrise al giovane, annuendo “Credo che dovremmo accamparci
per la notte. Non possiamo cavalcare al buio e, in più,
inizio a sentire la mancanza del pranzo che così presi
abbiamo saltato.”
Orso le sorrise, contento che la sua idea fosse stata accolta
così bonariamente, e si affrettò a mostrare un
sentiero che si inoltrava nel bosco.
«Da questa parte», disse, lieve. «Sono
certo che troveremo un buon posto dove passare la notte.»
Dopo qualche minuto tra gli alberi, sbucarono sulle rive di un torrente
piuttosto largo, perfetto per pescare.
Orso si compiacque della sua idea di portare con sé la rete
da pesca che aveva intrecciato nel viaggio da Roma. Di certo, quella
sua precauzione avrebbe garantito loro una degna cena.
«Riposatevi, Beatrice», disse, quindi, scendendo da
cavallo per recuperare la borsa. «Al pesce ci penso
io!»
Anche se non aveva mai pescato in vita sua.
Ma, in fondo, non poteva essere così difficile. Lo facevano
tutti, no?
“Qualcuno dovrà accendere il fuoco, non
credete?” disse allegramente la ragazza, che ormai aveva
preso tutto quel viaggiare per un gioco. In parte lo era, dopotutto.
Passere settimane intere a caccia con suo fratello aveva portato
più di un beneficio: sapeva accamparsi per la notte rendendo
la cosa anche piuttosto confortevole.
Di fatti dispiegò un grande lenzuolo e fissò una
corta a due alberi per creare una tenda improvvisata, prima di iniziare
a cercare qualche stecco per accendere il fuoco. Lanciò uno
sguardo al ragazzo che l’accompagnava, mentre questi sembrava
intento a fare un bel risvolto per bagnare il meno possibile i calzoni,
dopo aver già abbandonato le scarpe.
Orso gettò la rete nel fiume con minuzia,
assicurandosi di non lasciarla scappare con la corrente,
dopodiché rimase in attesa.
Non sapeva esattamente quanto tempo dovesse passare prima di trovare un
pesce, ma era fiducioso del fatto che non ne sarebbe passato troppo.
Sua sorella pescava spesso, quando erano in viaggio. Cacciava, anche.
Lui, di solito, si limitava a cuocere la carne.
Prese in considerazione l’idea di tornare da Beatrice, magari
avanzando la proposta di raccogliere qualche bacca e di abbandonare la
carne, quando una trota neanche troppo piccola guizzò veloce
sulla superficie dell’acqua per poi impigliarsi nella rete.
«L’ho presa!», gridò Orso,
alzando le braccia in aria e annaspando nel torrente per agguantare il
pesce. Lo prese tra le mani e gli spezzò il collo senza
ripensamenti, bloccando così ogni tentativo di fuga.
«Beatrice! L’ho presa!»
La ragazza rise davanti a tanto entusiasmo, sporgendosi per prendere il
pesce fra le mani. Non aveva di certo problemi a sporcarsi o altro,
motivo in più per apprezzarla e preferirla ad ogni altra
donna di alto rango. Era intelligente, educata ma allo stesso tempo
molto terra-terra. Il fuoco che aveva acceso scoppiettava, mentre la
tenda allestita sembrava solida. Aveva persino tolto le selle ai
cavalli per farli riposare.
“Stasera cena da re.” Disse divertita, guardando
poi perplessa il pesce “Voi sapete pulirlo? Io non sono un
gran che come cuoca.”
Orso ficcò le mani in tasca, estraendone il coltello da
carne che si portava dietro quando era in viaggio.
«Sono il mago della cucina», commentò,
divertito, prendendo a tagliare il povero animale.
Lo ripulì a dovere, liberandolo di ogni lisca,
dopodiché lo infilzò con cura su un paio di rami,
piantandoli poi a terra dinanzi al fuoco.
«Tempo di una canzone e poi bisogna girarli»,
disse, soddisfatto. «Tempo un’altra e si potranno
mangiare!»
Andò a recuperare la rete ancora ben assicurata
sott’acqua, trovando un altro pesce pronto per essere cotto.
Meglio così, pensò accoppandolo.
Dopotutto, cominciava a sentirsi davvero affamato.
La ragazza prese a canticchiare un lenta litania a bocca chiusa,
rinvigorendo le fiamme con qualche stecco in più. Non
ricordava nemmeno l’ultima volta in cui l’aveva
sentita, ne chi gliel’avesse insegnata. Una ninna nanna dolce
e lenta, un po’ malinconia. Forse suo padre gliela cantava
prima di dormire, le poche volte che Piero de’Medici andava a
trovare i figli. Sorrise quando Orso mise su un altro pesce, voltando
il primo. Da una piccola sacca, Beatrice prese un piatto
d’argento che aveva rubato per convenienza da palazzo prima
di partire, preparandolo per il pesce. Quando la sua pancia
lamentò la fame, la ragazza rise un poco imbarazzata.
“Ieri sera ho a mala pena cenato.” Si
scusò, incrociando le gambe davanti a sé
“Litigo famigliare, diciamo.”
«Male, molto male.»
Con cura, Orso recuperò il primo dei pezzi di pesce che
aveva messo ad arrostire, servendolo sul piatto di Beatrice con un
sorriso.
«Prima di un viaggio, ci si riempie sempre la
pancia», disse, prendendo posto dinanzi al fuoco.
«Altrimenti si va poco lontani!»
Nonostante la sera che ormai aveva preso a calare, si poteva dire
allegro. Mangiare qualcosa di commestibile davanti alle fiamme gli era
sempre piaciuto ed era senza dubbio più piacevole che
ritrovarsi a condividere un tavolo con qualche burbero mercenario in
cerca d’oro.
«Mi dispiace che abbiate litigato con i vostri
famigliari», disse, sospirando al ricordo di Porpora.
Chissà quale esercito aveva mobilitato per ritrovarlo.
«Se vi può esser d’aiuto, neanche io
andavo molto d’accordo con mio nonno, prima di lasciare
Roma.»
“I vostri genitori?” domandò
candidamente Beatrice, pendendosi subito quando vide gli occhi del
ragazzo spegnersi un poco. Portò la mano alla bocca,
dispiaciuta “Mi dispiace molto, messere. Non volevo
rievocarvi alcun pensiero triste. Dimenticate la domanda.”
«Al contrario.»
Orso si sporse un poco, girando i due pezzi di pesce rimasti ad
arrostire.
«Mi piace, parlare di mia madre. Era una donna sempre presa a
fare qualcosa. E mio padre … », fece una pausa,
ridacchiando al solo ricordo. «Bé, era un uomo
dall’infinita pazienza. Io e i miei fratelli non siamo mai
stati dei figli obbedienti.»
Solo in quell’istante si rese conto di quanto gli mancasse la
vita a Vallesanta. Lavorare nei campi col nonno, correre tra le spighe
assieme a Porpora, sentirsi richiamare da suo fratello maggiore
perché stava combinando guai … era tutto sparito
nel giro di una notte, portato via con le fiamme di un incendio.
«Vi sarebbe piaciuto, a Vallesanta», si
ritrovò a sussurrare, mentre un sorriso amaro gli piegava le
labbra. «Eravamo felici.»
Vallesanta…. Quel nome si face largo in modo invadente nella
mente di Beatrice. Per un istante, uno solo, immaginò la
rampa di scale a chiocciola che saliva ripida fino alla cima della
torre di Palazzo della Signoria. Due bambini, un maschio dagli abiti
impolverati e una piccola dama dall’abito azzurrino.
Ricordò la libreria, i piedi nudi sulle mattonelle fredde e
un incontro fra gli scaffali.
“Voi siete Orso di Vallesanta, il figlio
dell’imbalsamatore.” Disse, collegando tutto.
Sorrise dolcemente, ricordando suo nonno che la prendeva in braccio e
la posava sul suo scrittoio affinché non prendesse freddo ai
piedi “Voi siete il bambino che venne tanti anni fa a portare
la volpe a mio nonno!”
Orso rimase immobile.
Spalancò gli occhi scuri verso il vuoto, mentre con la mano
agguantava un bastoncino per mordere via la carne bruciacchiata del
pesce.
«Per Dio», sussurrò, spiazzato.
Alzò lo sguardo su Beatrice e sorrise, imbarazzato.
«Avevo completamente rimosso quel ricordo!»
Aveva viaggiato talmente tanto a lungo, assieme a suo padre,
consegnando talmente tante volpi imbalsamate, che difficilmente Firenze
gli era rimasta impressa nella mente. Eppure, ora che Beatrice aveva
riesumato le memorie di quella giornata, tutto era improvvisamente
tornato, tanto reale da apparire vicino, palpabile.
«Avevamo giocato nel cortile», disse, ridacchiando.
«Ero così stravolto che mio padre mi aveva fatto
dormire nel carretto.»
“Vi ho mostrato tutta Firenze da sopra alla torre, mentre mio
fratello ci controllava timoroso che poteste fermirmi.”
Ricordò la giovane, prima di sospira un po’
triste, guardando il fuoco “Povero Giuliano….
Sarà spaventato e su tutte le furie per questa mia fuga, ma
se deve pagare Lorenzo, deve soffrire un poco anche lui che mai prende
le mie difese.” Fece una pausa, abbassando lo sguardo.
Raccolse un pezzetto di pesce dal piatto che giaceva fra lei e il
ragazzo, portandolo alle labbra e leccando via l’unto dal
pollice. “Vi è mai capitato di sentirvi
prigioniero della vostra stessa casa?”
Pensieroso, Orso scosse il capo.
«Casa mia è sempre stato dove c’era mia
sorella», confessò. «Ma non mi
è mai capitato di sentirmi prigioniero con lei. Ci siamo
sempre voluti un gran bene, anche quando eravamo distanti.»
Prese a giocare con un rametto raccolto per terra, disegnando cerchi e
fiori di polvere.
«Forse è così che va, tra
fratelli», considerò. «Si litiga e si fa
pace, ma senza mai sentirsi veramente prigionieri. La vostra famiglia
è così terribile da farvi sentire realmente in
gabbia?»
Beatrice ci pensò su, mentre portava la borraccia alle
labbra per tirar un gran sorso. La passò quindi al ragazzo,
asciugandosi la bocca con la manica della camicia bianca che indossava
“Non credo dipenda molto dalla mia famiglia in sé,
quanto da come s’ha da costumarsi a corte.” Davanti
alla confusione del ragazzo, Beatrice cercò di spiegarsi
meglio. “Una donna di buona famiglia si sposa giovane,
invecchia giovane, fa figli giovane e muore giovane con il cuore
spezzato. Questo è l’insegnamento che mi ha dato
mia madre prima di…. Beh, lasciarci. Profondo, non
trovate?” tirò un sorrisetto, “Io sono
cresciuta sente domi dire che devo essere sempre carina e dolce,
affabile così che un giorno quando verrò promessa
saprò farmi voler bene. Se non fosse per Giuliano forse
sarei già ad un passo dall’altare.”
«Ma non potete fare una dei quelle cose che fanno i
nobili?», commentò allora il ragazzo, prendendo un
sorso d’acqua con pieno disappunto sul viso.
Alla prima occhiata confusa di Beatrice, tentò di spiegarsi
meglio.
«Ritirarvi in qualche villa lontana da Fiorenza fingendo di
non esistere e qualcosa qualcosa? A Roma lo fanno, a volte.»
O almeno, così credeva.
Più di una giovane contessa aveva soggiornato nei dintorni
di Vallesanta con la scusa di un malore per sfuggire a delle proposte
di matrimonio. Orso amava vederle passeggiare nel cortile dopo che i
garzoni avevano tagliato l’erba secca.
Beatrice sorrise davanti a tanta ingenuità. Sarebbe stato
facile ritirarsi a villa Correggi, lasciando scorrere le giornate
leggendo o allenandosi con l’arco. Però non
poteva, e lo sapeva benissimo
“Mio fratello Lorenzo si occuperà di tutto a tempo
debito.” Commentò semplicemente, sciogliendo la
treccia di bruni capelli che aveva fatto quella mattina, per ricomporla
al meglio “Sicuramente mi manderà in qualche
città lontana, insieme a qualcuno con cui stabilire
un’alleanza militare. Se mi va bene sposerò un
Pisano. Se mi va male potrei anche ritrovarmi nel regno di Napoli, tra
qualche anno.”
Orso le accarezzò la spalla, tentando di sorridere con
convinzione.
«Vado spesso a Napoli», disse, allegro.
«Re Ferrante mi commissiona almeno tre imbalsamazioni
l’anno. Potrei passare a trovarvi, di tanto in
tanto.» Fece una pausa, scrollando le spalle.
«Neanche Pisa è troppo lontana, a ben pensarci.
Non resterete mai da sola.» Le sorrise di nuovo, stavolta
più naturale. «È una promessa,
Beatrice.»
Per risposta, la ragazza si aprì in un tenero sorriso,
allungandosi poi per baciare la guancia di Orso. “Siete
tenero, sapete?” disse allegra, prima di farsi più
vicina e spostare il piatto ormai vuoto. “Ci sono volte in
cui vorrei chiamarmi in tutt’altro modo. Il cognome
de’Medici è pesante come le monete per cui la
nostra banca è tanto famosa.” Si fece piccola,
accoccolandosi contro il fianco del giovane e appoggiando il capo alla
sua spalla, strusciando appena la guancia su di essa “Vorrei
non averlo fatto un cognome, per poter sposare voi. Non
troverò mai più un giovane con il cuore tanto
grande.”
Orso si sentì avvampare e ringraziò di non
trovarsi di fronte a uno specchio per vedere le sue guance prendere
fuoco. Tossicchiando, si massaggiò la mascella e
sospirò.
«Vivere liberi di viaggiare è la cosa
più bella del mondo», rispose.
«Tuttavia, la nostra esistenza dipende dalle strette
direttive da chi ci dà il denaro che ci permette di
muoverci. Siamo liberi di nome ma non di fatto. »
Si prese un istante per ripensare a quelle parole, annuendo.
«Forse non esistono uomini veramente liberi,
dopotutto.»
“La libertà è uno stato
mentale.” Rispose la ragazza, fissando le fiamme danzare
davanti a lei “Mio nonno diceva che nessuno, per quanto forte
o potente che sia, potrà mai impedirci di pensare
ciò che vogliamo. Non importa la crudeltà degli
atti, noi siamo liberi dentro di noi. Che poi siamo legati a
restrizioni è un discorso a parte.” Beatrice fece
una pausa, sentendo distintamente il cuore di Orso battere forte.
“Io amo i miei fratelli, ma esiste un luogo, nella mia testa,
in cui loro non possono entrare. Mi rifugio lì quando
Lorenzo urla, o quando Giuliano inizia ad alterarsi.”
Orso sorrise, annuendo piano.
«Allora forse è quella, casa vostra»,
considerò, pacato. «Ognuno ne ha una diversa,
dopotutto. Non possiamo pretendere di essere tutti felici con lo stesso
tetto sopra la testa.»
Tolse l’ultimo pezzo di pesce, ormai bruciato, dal fuoco e lo
buttò a terra, seppure un po’ dispiaciuto per il
buon cibo sprecato.
Perdersi a chiacchiere era sempre stata la sua rovina.
«Vi ammiro molto, Beatrice. Venire qui assieme a me
è stata prova di grande coraggio.» Fece una pausa,
ridacchiando tra sé e sé. «Diciamo che
lo è stata per entrambi.»
“Quando torneremo a Firenze, messer Orso…. Quella
sarà la prova di coraggio.” Con un sorriso, la
ragazza si alzò, avvicinandosi alla tenda improvvisata.
Prima di entrarvi, si voltò verso il giovane
“C’è posto anche per voi qui.”
Per la seconda volta in quella serata, il ragazzo sentì le
guance andare a fuoco.
Si alzò, titubante, grattandosi la nuca con fare imbarazzato
prima di calciare un po’ di sabbia sulle fiamme con
l’intenzione di spegnerle.
«Sicura che non vi recherei disturbo?»,
azzardò.
La ragazza scosse rapidamente il capo.
Sospirando, Orso si costrinse ad accettare l’invito.
«Starò dinanzi all’entrata,
allora», propose. «Di guardia.»
Senza il fuoco, senza una coperta sufficientemente calda, senza la luna
e le stelle a cullarlo, sarebbe stata una nottata assai lunga. Senza
Porpora da proteggere nel sonno, però, sarebbe stata assai
più piacevole.
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