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Autore: VandasGirls    05/05/2014    2 recensioni
Si nascose istintivamente dietro ad una delle molte scafallature di libri, prima di parlare con voce piccola e intimidita.
«Chi siete? Un ladro forse? Chiamerò le guardie se così è!» Cercò di darsi un tono, facendo anche la voce grossa sull’ultima frase, ma non uscì dal suo nascondiglio.
Ancora impegnato a fissare il soffitto, Orso sobbalzò, aprendo le mani dinanzi a sé ma non sapendo bene in che direzione voltarsi.
«Nossignora!», esclamò, trattenendo a stento uno strillo. «Sono un imbalsamatore!»

Prima che l'avvetura cominciasse, c'erano due ragazzini in vena di avventure. Prima della Contessa, c'era chi agognava la libertà, anche solo per un giorno, anche solo per assaporarne l'effimera essenza.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitano Dragonetti, Giuliano Medici, Lorenzo Medici, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note

Abbiamo entrambe lo stesso, orribile esame di storia da dare. Neanche a dirlo, nessuna delle due ha voglia di studiare.

Ma la vita è bella.





Quant'è bella giovinezza

Capitolo terzo








“Misericordia divina, se mi capita pe’le mani stavolta mi sente!”
Una porta sbatté violentemente contro al muro, mentre Giuliano de’Medici irrompeva nello studio di suo fratello. L’aveva aperta con così tanta forza da ammaccarne il pomello.
Trovò Lorenzo intento a lanciare improperi al cielo, con una mano sul capo e l’altra appoggiata alla scrivania.
Quartone lo guardava impassibile, mentre madonna Orsini fissava con una certa impazienza fuori dalla finestra.
Nonostante ciò, Giuliano si azzardò a porre la stessa domanda che continuava a fare da ore, ormai
“Ancora nessuna notizia di mia sorella?”
Non faceva altro. Usciva dallo studio del Magnifico, scendeva per le vie e organizzava guardie per la ricerca. Di Beatrice, però, nemmeno l’ombra. S’era svegliato come di sua consuetudine al decimo rintocco di campana ed era sceso nella stanza della sorella migliore per domandarle di mangiare qualcosa insieme prima della solita passeggiata. Non si era preoccupato nel non trovarla, almeno sino a che non aveva scoperto che nessuno l’aveva più vista dalla cena. Aveva chiamato a rapporto Lorenzo, che aveva a sua volta organizzato la ricerca, ma nulla. Il meriggio era passato da un pezzo, ma di Beatrice nemmeno una notizia.
“Dragonetti sta cercando informazioni presso le bancarelle lungo l’Arno.” Spiegò il Magnifico, guardandolo spazientito. Sembrava quasi che Giuliano stesse per dire che non bastava, così lo incalzò “Deve essere uscita stamattina presto, quindi i pescatori sono i soli che possono avere informazioni!”
“Abbiamo domandato a chiunque, Lorenzo!” insistette il più giovane del due, mentre Clarisse sospirava. Sbattè le mani sulla scrivania, parlando direttamente in viso al maggiore dei due “Perché è fuggita senza scrivermi nulla? cosa le hai detto ieri?”
“Nulla che giustifichi un tale atto!” Si difese il Magnifico, con tono risentito. “Le ho solo detto che non può deliberatamente scavalcare o reinterpretare le mie decisioni.”
“Senza contare che l’avete rinchiusa in casa.” Aggiunse Clarisse, suscitando lo sdegno di Giuliano e un’occhiataccia del coniuge “Sicuramente si sarà sentita chiusa in gabbia e ha ben pensato di farvi prendere uno spavento, marito.”
“Da quando le giovani di buona famiglia possono scorrazzare liberamente per la città senza supervisione?” domandò irato Lorenzo, continuando quella che pareva una lite infinita.
Grazie al cielo, l’intervento di Dragonetti arrivò provvidenziale. Spinse nell’ufficio una giovane ragazza, mingherlina e dal viso un po’ sporco di polvere, attirando l’attenzione con un falso colpo di tosse.
Quando ebbe gli occhi dei Medici addosso, parlò.
“Vossignoria, forse ho delle risposte.”
Gli occhi di tutta la famiglia de’Medici si abbassarono sulla ragazza, la quale si guardò bene dal dare un saluto formale, tirando su col naso e asciugandoselo con una poso elegante passata di manica sul viso.
«Finalmente qualcuno di sveglio», commentò, fermandosi un istante a guardare Clarisse.
Si ripulì con disinvoltura camicia e calzoni dalla polvere della strada, prima di ficcare le mani nella borsa che portava a tracolla e tirarne fuori una lettera stropicciata.
«In questa città manca la giustizia!», protestò, scomodando Lorenzo dalla sua sedia. «Vostra sorella ha rapito mio fratello e ancora non ho visto una guardia muoversi per andare a salvarlo!»
Nella sala calò il silenzio.
Pesante e fitta come un banco di nebbia in pianura, quella mancanza di suoni venne interrotta da Giuliano, il quale prese un paio di profondi sospiri, avvicinandosi alla ragazza.
«Come?», chiese, titubante.
Lei roteò gli occhi.
«Vostra sorella, quella che l’altro giorno s’è alzata la gonna in piazza», specificò.
«Beatrice.»
«Chiamatela come vi pare. Stamani mi sono svegliata e al posto di mio fratello ho trovato questa.»
La lettera venne porta con rabbia a Giuliano, il quale l’afferrò frettolosamente per aprirla e immergersi nella sua lettura.
Alla fine, interdetto, riportò gli occhi sulla ragazza. Doveva essere uno scherzo.
La fronteggiò irato, chinandosi su di lei per gridarle direttamente in viso, mentre Clarisse rubava la lettera dalla sua mano, tornando verso il marito mentre leggeva preoccupata.
“Sapete cosa potrei farvi, ragazzina? Potrei strapparvi la lingua per queste menzogne!” ringhiò cattivo Giuliano, mentre anche Lorenzo iniziava a leggere oltre la spalla della donna.
“Sembra la lettera di un innamorato.” Commentò madonna Orsini, cercando di celare un sorrisetto che però non poté tenersi per sé. Lorenzo pareva dello stesso avviso di Giuliano “Beatrice non conosce vostro fratello. Di certo non è di lei che si allude in questa lettera!”
La ragazza incrociò le braccia sul petto, sbuffando.
«Lettera d’amore?», commentò, battendo un piede a terra con aria seccata. «A me pare più scritta sotto minaccia.» Si riappropriò del foglio, piegandolo per bene prima di leggere: «“Ti lascio, conscio del fatto che i nostri luminosi cammini si ritroveranno un giorno in un luogo più fiorente di avventure, per inseguire il mio sogno, la dama più bella che il Creato potesse donarmi.”» Pausa. «Orso non scriverebbe mai una roba del genere. Un ubriaco, non scriverebbe mai una roba del genere. Vostra sorella lo ha tirato fuori dal Bargello e da allora quello stolto non ha più parlato d’altro, ma un po’ di sale in zucca gli sarà anche rimasto!»
“Se non ha parlato d’altro, dev’essersi davvero innamorato.” Commentò bonaria Clarisse, sorridendo alla ragazza prima di rivolersi a Giuliano “Dove sono finite le buone maniere dei de’Medici. Offrite qualcosa da bere a questa giovane per combattere la calura estiva, prima di andare a cercare suo fratello.”
“Cosa mai può importarmi di suo fratello?” ribatté isterico Giuliano, portando le mani al viso per massaggiarsi gli occhi. Iniziava a non vederci più “Va bene, ragioniamo per gradi. Innanzi tutto, ditemi qualcosa su vostro fratello.”
Guardò la giovane ancora ostile, ma la preoccupazione per Beatrice lo costrinse alla gentilezza.
Lei sospirò, facendosi pensierosa.
«Orso è stato catturato per … bé, non so esattamente per cosa lo abbiate messo in prigione. Credo abbia trovato un’altra di quelle oche al mercato, o qualcosa del genere. Ha preso in ostaggio vostra sorella dando mostra di sé a tutta la città, come lo stupido esibizionista che è. Dopodiché lo avete messo dietro le sbarre e lei lo ha liberato.»
Si guardò intorno, soddisfatta della sua esposizione, dopodiché parve rilassarsi.
«Sentite, io e mio fratello siamo qui soltanto per vendere un vecchio tasso ai mercanti d’arte. Imbalsamiamo animali, è quello che facciamo da quando siamo nati. Non volevamo fare del male a nessuno; di certo Orso non voleva farne a vostra sorella.»
Giuliano ammutolì, mentre Lorenzo sgranava gli occhi. Si rivolse immediatamente al fratello
“Preso in ostaggio? Questa parte della storia non m’è stata riferita!”
“Perché avete parlato con Beatrice, Lorenzo!” si difese subito il più giovane dei due, mentre Dragonetti alzava gli occhi al cielo e Clarisse portava una mano a coprire i suoi, in un moto di imbarazzo. Parevano due bambini che bisticciavano
“A me non è stato domandando proprio nulla!”
“Hai permesso che tornasse al Bargello per liberarlo!”
“A me ha detto che aveva ottenuto la grazia per quel giovane a nome vostro!”
“Miei Signori!” Dragonetti alzò la voce, attirandosi così addosso due occhiate di fuoco. Ottenne però il silenzio tanto bramato da tutti “Così facendo non otterremo nulla. madonna de’Medici sa il fatto suo e non temo ne per lei ne per il giovane, ma vanno ricondotti entrambi a casa. Un mercante mi ha giurato di aver venduto una mappa per Bologna ad una giovane che gli pareva vostra sorella. Direi di iniziare da qui.”
La ragazza mosse appena le labbra, sussurrando quella che sarebbe tranquillamente potuta passare come una bestemmia, prima di avvicinarsi a Giuliano con fare deciso.
«Se sono andati a Bologna, non ci resta che seguirli e sperare di essere più celeri di loro», decretò. «Non so vostra sorella, ma Orso non è mai stato fin laggiù e ha il senso dell’orientamento di un sasso. A cavallo, potremmo anche trovarli prima di venerdì.»
“Beatrice c’è stata spesso.” Disse Lorenzo pensieroso “Ma da bambina, con nostro nonno. Sicuramente avrà preso il passo degli Appennini, per arrivare prima. Se partite ora dovreste raggiungerli prima che cali la notte.”
“Partirò subito, ma da solo.” Disse Giuliano, passando accanto a Porpora senza degnarla di uno sguardo “Prenderò Bertino e cinque o sei uomini. Metterò le mani su quel ragazzetto che ha osato portarsi via la mia Beatrice e gli taglierò le mani, se ha osato allungarle. Poi marcirà a vita nel Bargello!”
Porpora si voltò, seguendolo con l’ira negli occhi.
«Non alzerete le mani su mio fratello!», gridò, raggiungendolo con un paio di balzi. «Non fosse stato per me, sareste ancora dietro la scrivania a battere la fronte sul legno!»
Adirata, gli puntò un dito al mento, scuotendo il capo per togliere i capelli castani dagli occhi.
«Verrò con voi e porterò mio fratello lontano da Firenze tirandolo per le orecchie», asserì, grave. «Ma a lui voi non torcerete un capello: sarò io, quella che lo riempirà di botte fino a Roma!»
Lorenzo decise di frapporsi da pacere, prima di veder una guerra scatenarsi nel suo studio. Avanzò verso i due, guardando per primo Giuliano “Portala con te, se lo desidera. Dopo di che si parlerà di ciò che faremo a nostra sorella insieme.” Sorrise quindi a Porpora, proseguendo “Non possiamo punire un ragazzo per una pena che non siamo certi che abbia commesso. Trovateli e riportateli a Firenze, così che quel giovane possa tornarsene nel Bargello per i reati commessi in precedenza.” Prima che la ragazza potesse ribattere, Dragonetti la spinse fuori dall’ufficio con foga. Giuliano dovette prendere atto di quella decisione, dirigendosi quindi ai suoi alloggi per prepararsi alla partenza.









Le campagne che circondavano Firenze erano verdi, l’aria fresca, il sole splendente sui prati che si stagliavano dinanzi a loro.
Se l’allegro chiacchierare di Beatrice non li avesse coperti, Orso avrebbe giurato che un gran numero di uccellini stava cantando al loro passaggio su quella modesta via sterrata, mentre, da qualche parte, lo scrosciare di un ruscello rendeva quell’atmosfera ancora più perplessa.
La giovane de’Medici gli stava raccontando della sua infanzia passata con il nonno e Orso ascoltava, ridendo a ogni battuta, perso nei ricordi e nell’idillio che in quell’istante gli pareva di stare vivendo.
Avrebbe passato secoli, se non eoni interi, ad ascoltare Beatrice parlare, ridere e scherzare. Il suo tono era così dolce, le sue parole così fini … nulla a che vedere con ciò che fino a quel giorno lo aveva circondato.
Lei era la stella nel cielo, il fiore nel prato, il frutto sull’albero.
Vergognandosene un poco, Orso sperava che quel viaggio a cavallo da Firenze a Bologna non finisse mai, o che venisse in qualche modo prolungato quanto più possibile.
Da un pasto, per esempio.
«Che ne dite se provassimo a pescare qualcosa da mettere sotto i denti?», propose, tirando le redini del suo cavallo per arrestarne il trotto. «Ho udito rumore d’acqua; forse c’è un torrente!»
La ragazza alzò gli occhi verso il cielo, notando che il giorno stava giungendo al termine. Sperava di arrivare a Bologna prima della fine della giornata, ma nemmeno al galoppo ci sarebbero riusciti. Se per caso i suoi fratelli fossero a loro volta riusciti a capire la direzione da prendere, difficilmente li avrebbero trovati fuori dal percorso. L’idea del ruscello aveva quindi senso.
Sorrise al giovane, annuendo “Credo che dovremmo accamparci per la notte. Non possiamo cavalcare al buio e, in più, inizio a sentire la mancanza del pranzo che così presi abbiamo saltato.”
Orso le sorrise, contento che la sua idea fosse stata accolta così bonariamente, e si affrettò a mostrare un sentiero che si inoltrava nel bosco.
«Da questa parte», disse, lieve. «Sono certo che troveremo un buon posto dove passare la notte.»
Dopo qualche minuto tra gli alberi, sbucarono sulle rive di un torrente piuttosto largo, perfetto per pescare.
Orso si compiacque della sua idea di portare con sé la rete da pesca che aveva intrecciato nel viaggio da Roma. Di certo, quella sua precauzione avrebbe garantito loro una degna cena.
«Riposatevi, Beatrice», disse, quindi, scendendo da cavallo per recuperare la borsa. «Al pesce ci penso io!»
Anche se non aveva mai pescato in vita sua.
Ma, in fondo, non poteva essere così difficile. Lo facevano tutti, no?
“Qualcuno dovrà accendere il fuoco, non credete?” disse allegramente la ragazza, che ormai aveva preso tutto quel viaggiare per un gioco. In parte lo era, dopotutto. Passere settimane intere a caccia con suo fratello aveva portato più di un beneficio: sapeva accamparsi per la notte rendendo la cosa anche piuttosto confortevole.
Di fatti dispiegò un grande lenzuolo e fissò una corta a due alberi per creare una tenda improvvisata, prima di iniziare a cercare qualche stecco per accendere il fuoco. Lanciò uno sguardo al ragazzo che l’accompagnava, mentre questi sembrava intento a fare un bel risvolto per bagnare il meno possibile i calzoni, dopo aver già abbandonato le scarpe.
Orso gettò  la rete nel fiume con minuzia, assicurandosi di non lasciarla scappare con la corrente, dopodiché rimase in attesa.
Non sapeva esattamente quanto tempo dovesse passare prima di trovare un pesce, ma era fiducioso del fatto che non ne sarebbe passato troppo.
Sua sorella pescava spesso, quando erano in viaggio. Cacciava, anche.
Lui, di solito, si limitava a cuocere la carne.
Prese in considerazione l’idea di tornare da Beatrice, magari avanzando la proposta di raccogliere qualche bacca e di abbandonare la carne, quando una trota neanche troppo piccola guizzò veloce sulla superficie dell’acqua per poi impigliarsi nella rete.
«L’ho presa!», gridò Orso, alzando le braccia in aria e annaspando nel torrente per agguantare il pesce. Lo prese tra le mani e gli spezzò il collo senza ripensamenti, bloccando così ogni tentativo di fuga. «Beatrice! L’ho presa!»
La ragazza rise davanti a tanto entusiasmo, sporgendosi per prendere il pesce fra le mani. Non aveva di certo problemi a sporcarsi o altro, motivo in più per apprezzarla e preferirla ad ogni altra donna di alto rango. Era intelligente, educata ma allo stesso tempo molto terra-terra. Il fuoco che aveva acceso scoppiettava, mentre la tenda allestita sembrava solida. Aveva persino tolto le selle ai cavalli per farli riposare.
“Stasera cena da re.” Disse divertita, guardando poi perplessa il pesce “Voi sapete pulirlo? Io non sono un gran che come cuoca.”
Orso ficcò le mani in tasca, estraendone il coltello da carne che si portava dietro quando era in viaggio.
«Sono il mago della cucina», commentò, divertito, prendendo a tagliare il povero animale.
Lo ripulì a dovere, liberandolo di ogni lisca, dopodiché lo infilzò con cura su un paio di rami, piantandoli poi a terra dinanzi al fuoco.
«Tempo di una canzone e poi bisogna girarli», disse, soddisfatto. «Tempo un’altra e si potranno mangiare!»
Andò a recuperare la rete ancora ben assicurata sott’acqua, trovando un altro pesce pronto per essere cotto.
Meglio così, pensò accoppandolo.
Dopotutto, cominciava a sentirsi davvero affamato.
La ragazza prese a canticchiare un lenta litania a bocca chiusa, rinvigorendo le fiamme con qualche stecco in più. Non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui l’aveva sentita, ne chi gliel’avesse insegnata. Una ninna nanna dolce e lenta, un po’ malinconia. Forse suo padre gliela cantava prima di dormire, le poche volte che Piero de’Medici andava a trovare i figli. Sorrise quando Orso mise su un altro pesce, voltando il primo. Da una piccola sacca, Beatrice prese un piatto d’argento che aveva rubato per convenienza da palazzo prima di partire, preparandolo per il pesce. Quando la sua pancia lamentò la fame, la ragazza rise un poco imbarazzata.
“Ieri sera ho a mala pena cenato.” Si scusò, incrociando le gambe davanti a sé “Litigo famigliare, diciamo.”
«Male, molto male.»
Con cura, Orso recuperò il primo dei pezzi di pesce che aveva messo ad arrostire, servendolo sul piatto di Beatrice con un sorriso.
«Prima di un viaggio, ci si riempie sempre la pancia», disse, prendendo posto dinanzi al fuoco. «Altrimenti si va poco lontani!»
Nonostante la sera che ormai aveva preso a calare, si poteva dire allegro. Mangiare qualcosa di commestibile davanti alle fiamme gli era sempre piaciuto ed era senza dubbio più piacevole che ritrovarsi a condividere un tavolo con qualche burbero mercenario in cerca d’oro.
«Mi dispiace che abbiate litigato con i vostri famigliari», disse, sospirando al ricordo di Porpora. Chissà quale esercito aveva mobilitato per ritrovarlo. «Se vi può esser d’aiuto, neanche io andavo molto d’accordo con mio nonno, prima di lasciare Roma.»
“I vostri genitori?” domandò candidamente Beatrice, pendendosi subito quando vide gli occhi del ragazzo spegnersi un poco. Portò la mano alla bocca, dispiaciuta “Mi dispiace molto, messere. Non volevo rievocarvi alcun pensiero triste. Dimenticate la domanda.”
«Al contrario.»
Orso si sporse un poco, girando i due pezzi di pesce rimasti ad arrostire.
«Mi piace, parlare di mia madre. Era una donna sempre presa a fare qualcosa. E mio padre … », fece una pausa, ridacchiando al solo ricordo. «Bé, era un uomo dall’infinita pazienza. Io e i miei fratelli non siamo mai stati dei figli obbedienti.»
Solo in quell’istante si rese conto di quanto gli mancasse la vita a Vallesanta. Lavorare nei campi col nonno, correre tra le spighe assieme a Porpora, sentirsi richiamare da suo fratello maggiore perché stava combinando guai … era tutto sparito nel giro di una notte, portato via con le fiamme di un incendio.
«Vi sarebbe piaciuto, a Vallesanta», si ritrovò a sussurrare, mentre un sorriso amaro gli piegava le labbra. «Eravamo felici.»
Vallesanta…. Quel nome si face largo in modo invadente nella mente di Beatrice. Per un istante, uno solo, immaginò la rampa di scale a chiocciola che saliva ripida fino alla cima della torre di Palazzo della Signoria. Due bambini, un maschio dagli abiti impolverati e una piccola dama dall’abito azzurrino. Ricordò la libreria, i piedi nudi sulle mattonelle fredde e un incontro fra gli scaffali.
“Voi siete Orso di Vallesanta, il figlio dell’imbalsamatore.” Disse, collegando tutto. Sorrise dolcemente, ricordando suo nonno che la prendeva in braccio e la posava sul suo scrittoio affinché non prendesse freddo ai piedi “Voi siete il bambino che venne tanti anni fa a portare la volpe a mio nonno!”
Orso rimase immobile.
Spalancò gli occhi scuri verso il vuoto, mentre con la mano agguantava un bastoncino per mordere via la carne bruciacchiata del pesce.
«Per Dio», sussurrò, spiazzato. Alzò lo sguardo su Beatrice e sorrise, imbarazzato. «Avevo completamente rimosso quel ricordo!»
Aveva viaggiato talmente tanto a lungo, assieme a suo padre, consegnando talmente tante volpi imbalsamate, che difficilmente Firenze gli era rimasta impressa nella mente. Eppure, ora che Beatrice aveva riesumato le memorie di quella giornata, tutto era improvvisamente tornato, tanto reale da apparire vicino, palpabile.
«Avevamo giocato nel cortile», disse, ridacchiando. «Ero così stravolto che mio padre mi aveva fatto dormire nel carretto.»
“Vi ho mostrato tutta Firenze da sopra alla torre, mentre mio fratello ci controllava timoroso che poteste fermirmi.” Ricordò la giovane, prima di sospira un po’ triste, guardando il fuoco “Povero Giuliano…. Sarà spaventato e su tutte le furie per questa mia fuga, ma se deve pagare Lorenzo, deve soffrire un poco anche lui che mai prende le mie difese.” Fece una pausa, abbassando lo sguardo. Raccolse un pezzetto di pesce dal piatto che giaceva fra lei e il ragazzo, portandolo alle labbra e leccando via l’unto dal pollice. “Vi è mai capitato di sentirvi prigioniero della vostra stessa casa?”
Pensieroso, Orso scosse il capo.
«Casa mia è sempre stato dove c’era mia sorella», confessò. «Ma non mi è mai capitato di sentirmi prigioniero con lei. Ci siamo sempre voluti un gran bene, anche quando eravamo distanti.»
Prese a giocare con un rametto raccolto per terra, disegnando cerchi e fiori di polvere.
«Forse è così che va, tra fratelli», considerò. «Si litiga e si fa pace, ma senza mai sentirsi veramente prigionieri. La vostra famiglia è così terribile da farvi sentire realmente in gabbia?»
Beatrice ci pensò su, mentre portava la borraccia alle labbra per tirar un gran sorso. La passò quindi al ragazzo, asciugandosi la bocca con la manica della camicia bianca che indossava “Non credo dipenda molto dalla mia famiglia in sé, quanto da come s’ha da costumarsi a corte.” Davanti alla confusione del ragazzo, Beatrice cercò di spiegarsi meglio. “Una donna di buona famiglia si sposa giovane, invecchia giovane, fa figli giovane e muore giovane con il cuore spezzato. Questo è l’insegnamento che mi ha dato mia madre prima di…. Beh, lasciarci. Profondo, non trovate?” tirò un sorrisetto, “Io sono cresciuta sente domi dire che devo essere sempre carina e dolce, affabile così che un giorno quando verrò promessa saprò farmi voler bene. Se non fosse per Giuliano forse sarei già ad un passo dall’altare.”
«Ma non potete fare una dei quelle cose che fanno i nobili?», commentò allora il ragazzo, prendendo un sorso d’acqua con pieno disappunto sul viso.
Alla prima occhiata confusa di Beatrice, tentò di spiegarsi meglio.
«Ritirarvi in qualche villa lontana da Fiorenza fingendo di non esistere e qualcosa qualcosa? A Roma lo fanno, a volte.»
O almeno, così credeva.
Più di una giovane contessa aveva soggiornato nei dintorni di Vallesanta con la scusa di un malore per sfuggire a delle proposte di matrimonio. Orso amava vederle passeggiare nel cortile dopo che i garzoni avevano tagliato l’erba secca.
Beatrice sorrise davanti a tanta ingenuità. Sarebbe stato facile ritirarsi a villa Correggi, lasciando scorrere le giornate leggendo o allenandosi con l’arco. Però non poteva, e lo sapeva benissimo
“Mio fratello Lorenzo si occuperà di tutto a tempo debito.” Commentò semplicemente, sciogliendo la treccia di bruni capelli che aveva fatto quella mattina, per ricomporla al meglio “Sicuramente mi manderà in qualche città lontana, insieme a qualcuno con cui stabilire un’alleanza militare. Se mi va bene sposerò un Pisano. Se mi va male potrei anche ritrovarmi nel regno di Napoli, tra qualche anno.”
Orso le accarezzò la spalla, tentando di sorridere con convinzione.
«Vado spesso a Napoli», disse, allegro. «Re Ferrante mi commissiona almeno tre imbalsamazioni l’anno. Potrei passare a trovarvi, di tanto in tanto.» Fece una pausa, scrollando le spalle. «Neanche Pisa è troppo lontana, a ben pensarci. Non resterete mai da sola.» Le sorrise di nuovo, stavolta più naturale. «È una promessa, Beatrice.»
Per risposta, la ragazza si aprì in un tenero sorriso, allungandosi poi per baciare la guancia di Orso. “Siete tenero, sapete?” disse allegra, prima di farsi più vicina e spostare il piatto ormai vuoto. “Ci sono volte in cui vorrei chiamarmi in tutt’altro modo. Il cognome de’Medici è pesante come le monete per cui la nostra banca è tanto famosa.” Si fece piccola, accoccolandosi contro il fianco del giovane e appoggiando il capo alla sua spalla, strusciando appena la guancia su di essa “Vorrei non averlo fatto un cognome, per poter sposare voi. Non troverò mai più un giovane con il cuore tanto grande.”
Orso si sentì avvampare e ringraziò di non trovarsi di fronte a uno specchio per vedere le sue guance prendere fuoco. Tossicchiando, si massaggiò la mascella e sospirò.
«Vivere liberi di viaggiare è la cosa più bella del mondo», rispose. «Tuttavia, la nostra esistenza dipende dalle strette direttive da chi ci dà il denaro che ci permette di muoverci. Siamo liberi di nome ma non di fatto. »
Si prese un istante per ripensare a quelle parole, annuendo.
«Forse non esistono uomini veramente liberi, dopotutto.»
“La libertà è uno stato mentale.” Rispose la ragazza, fissando le fiamme danzare davanti a lei “Mio nonno diceva che nessuno, per quanto forte o potente che sia, potrà mai impedirci di pensare ciò che vogliamo. Non importa la crudeltà degli atti, noi siamo liberi dentro di noi. Che poi siamo legati a restrizioni è un discorso a parte.” Beatrice fece una pausa, sentendo distintamente il cuore di Orso battere forte. “Io amo i miei fratelli, ma esiste un luogo, nella mia testa, in cui loro non possono entrare. Mi rifugio lì quando Lorenzo urla, o quando Giuliano inizia ad alterarsi.”
Orso sorrise, annuendo piano.
«Allora forse è quella, casa vostra», considerò, pacato. «Ognuno ne ha una diversa, dopotutto. Non possiamo pretendere di essere tutti felici con lo stesso tetto sopra la testa.»
Tolse l’ultimo pezzo di pesce, ormai bruciato, dal fuoco e lo buttò a terra, seppure un po’ dispiaciuto per il buon cibo sprecato.
Perdersi a chiacchiere era sempre stata la sua rovina.
«Vi ammiro molto, Beatrice. Venire qui assieme a me è stata prova di grande coraggio.» Fece una pausa, ridacchiando tra sé e sé. «Diciamo che lo è stata per entrambi.»
“Quando torneremo a Firenze, messer Orso…. Quella sarà la prova di coraggio.” Con un sorriso, la ragazza si alzò, avvicinandosi alla tenda improvvisata. Prima di entrarvi, si voltò verso il giovane “C’è posto anche per voi qui.”
Per la seconda volta in quella serata, il ragazzo sentì le guance andare a fuoco.
Si alzò, titubante, grattandosi la nuca con fare imbarazzato prima di calciare un po’ di sabbia sulle fiamme con l’intenzione di spegnerle.
«Sicura che non vi recherei disturbo?», azzardò.
La ragazza scosse rapidamente il capo.
Sospirando, Orso si costrinse ad accettare l’invito.
«Starò dinanzi all’entrata, allora», propose. «Di guardia.»
Senza il fuoco, senza una coperta sufficientemente calda, senza la luna e le stelle a cullarlo, sarebbe stata una nottata assai lunga. Senza Porpora da proteggere nel sonno, però, sarebbe stata assai più piacevole.






   
 
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