Mi dispiace per la lunga attesa.
Probabilmente non vi interessano le mie
motivazioni, ma vorrei dirvi che non mi sono dimenticata di voi. Semplicemente…
sono troppo impegnata e stanca in questi ultimi mesi. Non riesco neppure a
portare avanti nuove storie in corso come vorrei, o a concentrarmi per
sistemare un capitolo in bozza. E quando mi siedo al pc,
cerco solo di distrarmi e riposare prima che il cervello si frigga.
Ad ogni modo, questo è un capitolo molto più lungo rispetto al solito,
forse intercederà per me.
SPOILER FREE: Ricordo che questa storia NON
contiene/conterrà volutamente alcuno
spoiler della quinta stagione; eventuali
coincidenze sono appunto casuali coincidenze (è già successo e
succederà in capitoli che ho già pronti).
Linea temporale: Fine
estate del terzo anno dall’arrivo di Linette a Camelot.
Seguito diretto del
capitolo precedente e settimane seguenti.
Riassunto generale: Merlin
è abituato a salvare la vita all’Asino Reale senza che questi se ne accorga, ma
stavolta non tutto va per il verso giusto. Colpito dall’incantesimo del
malvagio Ardof, il nostro mago farà i conti con una
sconvolgente novità: egli si risveglia trasformato in una donna.
Solo Gaius conosce il suo segreto e, finché non troverà il modo di tornare
normale, dovrà inventarsi delle scuse plausibili e prendere
il posto di se stesso al servizio del principe. Come riuscirà a conciliare
questa ‘nuova situazione’? Come si evolverà il suo rapporto con Arthur?
Riassunto delle
ultime puntate: Il malvagio stregone Ardof è morto,
ma la sua maledizione non si è sciolta. Merlin,
perciò, fa credere ad Arthur di essere partito alla ricerca del padre mai
conosciuto. Al principe non resta che subire questa sua scelta, mentre il tempo
passa inesorabile, e il suo legame con Linette va saldandosi sempre più… fino a
quando, durante un agguato, lui non scopre che la sua serva è una strega e lei
gli rivela che anche Merlin lo è: questa sconvolgente ammissione, ovviamente,
cambia le carte in tavola e li porta ad un nuovo
sodalizio in cui, finalmente, i due si confessano reciproco amore e cedono alla
passione… Ma la gioia è breve, perché Merlin – contrariamente a quanto sperato
– non è tornato in sé dopo essersi unito ad Arthur e quindi cede alla
disperazione…
Dedico l’aggiornamento a chi ha
recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano,
a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A Delfino97,
DevinCarnes, chibimayu,
Tappoluna98, chibisaru81, Draviran, Carmen_PS, paffy333, Hamlet_, Ishimaru, Orchidea Rosa, principessaotaku97,
Rosso_Pendragon, saisai_girl,
sejamerthurshipper, elfin emrys, Barby_Ettelenie_91, Little Fanny, Raven Cullen, Yuki
Eiri Sensei, Burupya, strangerinthistown,
Sana e Akito, melleth, aria, katia emrys, Morganalastrega, mindyxx e giulia194.
E a quanti commenteranno (SE vi
va di recensire anche dei capitoli più indietro di questo, il vostro parere non
andrà perduto!).
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She
(l’Essenza dentro l’Apparenza)
Capitolo LXXXVI
Le mani di Arthur. La
bocca di Arthur. La virilità di Arthur.
...Arthur...
“Arthur...” gemette Merlin, risvegliandosi di colpo, ansante e
madido.
Si mise una mano sulla bocca, spaventato dall’intensità
delle emozioni che provava. Non sapeva neppure se aveva urlato quel nome solo
nella sua testa o se gli aveva dato voce per davvero.
Ma quel dannato sogno – quel
dannato ricordo – era così reale,
maledizione!
Con il polso sottile si asciugò un rivolo di sudore dalla
fronte, rendendosi immediatamente conto che non sarebbe bastato, e difatti non
avvertì alcun sollievo.
Lo percepiva ancora, caldo e umido, viscoso.
Quel piacere
insoddisfatto che pulsava insistente dentro di lui e lo supplicava di venir appagato.
Merlin se ne stava sdraiato sul letto, cercando di regolarizzare il respiro affannato e chiedendosi se dovesse
impazzire di desiderio.
Non voleva cedere, non
voleva dargliela vinta.
Lo sapeva che altrimenti si sarebbe assuefatto; e quella
smania sarebbe tornata, notte dopo notte, a reclamare
il suo sonno, a popolare i suoi incubi di lussuria.
Non poteva mai più
avere Arthur, ed era masochistico sognare di essere da lui posseduto.
Merlin deglutì a vuoto, spostandosi con stizza una ciocca
appiccicata alla tempia.
Si impose di pensare ad altro, e
lanciò un’occhiata distratta alla finestra.
Dal buio nero oltre gli scuri, s’intuiva che l’alba era
ancora lontana.
Egli sbuffò allora, girandosi su un fianco per trovare una
posizione più confortevole e riprendere a dormire.
Ma nell’esatto istante in cui lo
fece, la camiciola strofinò il proprio tessuto sui suoi seni turgidi
paralizzandolo, lasciandolo lì a boccheggiare per diversi istanti. Il dolore e
il piacere si erano fusi in un’unica scarica che aveva travolto i suoi sensi
acuiti, riaccendendo la frenesia, facendolo contorcere...
Merlin si sentì terribilmente sporco e colpevole, ma il
demone della lussuria quella notte avrebbe vinto.
“Arthur...”
***
Credere che il passare del tempo avrebbe giovato fu solo una
pia illusione.
Dal momento in cui Gaius, a mezzodì di quel maledetto giorno dopo il colloquio,
lo aveva trovato ridotto in quello stato pietoso, il suo martirio si era solamente
aggravato.
Il vecchio mentore, vedendolo così stravolto e inappetente –
con la voce gracchiante, naso che colava, occhi
lacrimanti e arrossati –, aveva creduto che quelli fossero i sintomi di un
inconsueto attacco di allergia – particolarmente aggressivo, fra l’altro.
Merlin non si era neppure dato pena di smentirlo. Lo aveva
pregato di somministrargli un potente sonnifero e, lamentando una forte
emicrania, gli aveva chiesto di riferire al principe la propria indisposizione.
Quel sonno forzato aveva portato un po’ di requie all’animo
martoriato dello stregone, ma al suo risveglio, quella sera, la realtà gli era
piombata nuovamente addosso con tutto il suo insopportabile peso.
Rifiutandosi di consumare la
propria cena – aveva un nodo indissolubile nello stomaco chiuso –, egli comprendeva
che avrebbe fatto preoccupare il suo maestro, ma sinceramente non sapeva che
altro fare.
Non era pronto a dare spiegazioni né a condividere il
proprio dolore. Peggio ancora, non avrebbe retto al
giudizio o al disprezzo di colui che reputava come un padre.
Gaius lo aveva dissuaso fin dall’inizio, lo aveva messo in
guardia sulla pericolosità di un legame d’affetto tra Linette e l’erede al
trono.
Ma il vecchio guaritore non poteva
capire – non poteva neppure immaginare – la portata della forza di quel
sentimento.
Anche se Merlin avesse
voluto resistergli, in tutta coscienza, non ci sarebbe riuscito.
Come un guscio di noce non avrebbe mai
potuto sopravvivere indenne ad una tempesta marina, così piccolo si
sentiva lui: una goccia d’acqua in balìa della vastità dell’oceano.
Anche se Merlin avesse
voluto confessarglielo, in tutta coscienza, non avrebbe trovato le parole.
Perché nessun concetto o esempio si sarebbe – seppur
lontanamente – avvicinato al paradiso e all’inferno che aveva vissuto in quella
manciata di veglie. Nessun nome gli
rendeva giustizia.
Ma Gaius, bontà sua, non era
sciocco.
Inizialmente, il cerusico si era spaventato e preoccupato
oltremodo, per quel morbo oscuro fuori stagione che aveva colpito il suo
figlioccio in maniera così grave.
Però, poi, gli ci erano volute solo
tre veglie per capire i veri sintomi e formulare una diagnosi; decretando che –
quel morbo oscuro – tanto oscuro non era,
e anzi, aveva un nome ben preciso: quello
era mal d’amore.
Assodato ciò (e la faccia tormentata del principe incrociato
nei corridoi ne era una palese conferma), egli decise che la cosa migliore era un discreta pacatezza.
Non avrebbe preteso una spiegazione da Merlin, avrebbe
rispettato il suo silenzio e il suo dolore, offrendo comprensione e un
abbraccio consolatorio, qualora il suo pupillo avesse voluto condividere con
lui quello che provava o quello che era accaduto.
Gaius si era ormai persuaso che il suo figliolo e l’erede al
trono fossero destinati a qualcosa di unico e irripetibile
– al di là delle convenzioni, al di là del perbenismo –, a qualcosa che, probabilmente,
neppure loro avevano ancora capito, o accettato, appieno.
Forse era per questo che avevano
litigato in modo così devastante.
Quando due facce della
stessa medaglia si allontanano, l’equilibrio si spezza. Ma una metà non può
rimanere senza l’altra; una da sola non ha ragione d’esistere, si disse,
lanciando uno sguardo desolato alla porticina dietro cui
stava il suo figlioccio e, contemporaneamente, indirizzando un pensiero
altrettanto sconfortato al principe, ovunque egli fosse.
Che la strada verso Albion fosse
lunga e tortuosa, l’anziano medico lo sapeva. Ma si
dispiacque ugualmente per quei due giovani cuori, ancora una volta,
ingiustamente, messi a dura prova dal Destino.
***
Anche per Arthur, il trascorrere del tempo fu solo una vana
illusione di ripresa.
Le ferite che portava incise interiormente avevano un’unica
forma e un’unica firma e ogni cosa del suo mondo gli ricordava lei: a partire dal letto in cui dormiva – in cui avevano dormito,
insieme, più volte, e in quell’unica
notte così diversa – passando per il suo equipaggiamento – le armi e la
cotta che lei puliva, lucidava e affilava –, per giungere alla sua presenza
fantasma in ogni luogo del castello e della città, dove abitualmente
passeggiavano insieme.
Fu all’incirca verso il decimo giorno dalla diserzione della
sua serva, che il principe ebbe il contraccolpo peggiore.
Giunto nei pressi delle stalle – poiché sentiva l’impellente
bisogno di sfogarsi con una cavalcata scavezzacollo, per buttare fuori tutta la
tempesta di sentimenti che litigavano dentro di sé – egli trovò un garzone, che
non conosceva, ad occuparsi di Antrax.
Il giovane, appena lo vide, gli fece un rispettoso inchino, mentre
riceveva l’ordine di preparare il necessario per la sortita.
“Sire…” incominciò questi, impacciato, e forse intimorito
dalla presenza dell’erede al trono. “Perdonate l’ardire… ma… come sta Linette? È
da parecchi giorni che non la si vede qui e…”
“Riprenderà i suoi doveri fra qualche dì”, tagliò corto il
cavaliere, stringendo la mascella, allungando una mano guantata
per farsi consegnare le redini e chiudere così la spinosa questione.
Lo scudiero gliele porse immediatamente, eppure, prendendo
coraggio, egli risollevò lo sguardo sull’erede, facendogli chiaramente
intendere che aveva altro da dire.
“Maestà?” lo apostrofò, infatti, mentre il giovane Pendragon stava già per dargli le spalle.
Probabilmente l’occhiata torva, che il nobile gli lanciò,
non bastò a mortificarlo.
“Mio Signore… mi è stato riferito che, per vostro ordine
diretto, a nessuno è concesso di intrattenersi con lei e-”
“Arriva al punto”, lo incalzò, benché il tono sembrasse dire
l’esatto contrario: avrebbe zittito all’istante anche il più temerario dei
fuorilegge.
“Beh, Sire… I-io…” titubò il servo,
gonfiando poi il petto, dimostrando un inusuale ardimento.
“Io vorrei chiedere il vostro permesso per corteggiarla…”
“Qual è il tuo nome?” pretese di sapere Arthur, prestandogli
l’attenzione che prima non gli aveva dato, sondandolo a fondo, come se avesse
improvvisamente avuto davanti un insospettabile nemico.
“C-Carl, Sire”, balbettò questi,
preso in contropiede. “Mi chiamo Carl”, completò, con un altro inchino.
“Perché non mi ricordo la tua faccia?” lo interpellò
nuovamente, pressandolo come se quello fosse l’interrogatorio di un
prigioniero.
“Forse… perché sono nuovo, Maestà. Lavoro nelle scuderie da poco…”
motivò il ragazzo, sentendosi come se avesse combinato
un guaio tremendo senza esserne consapevole. “Provengo da uno dei villaggi a
Est del regno. Mio zio Blaise mi
ha-”
Improvvisamente, l’erede dei Pendragon
rievocò mentalmente che il Capostalliere gli aveva
parlato della questione, più di una luna addietro.
Gli aveva chiesto il permesso di assumere tra i garzoni quel nipote – un
ragazzo senza esperienza, ma volenteroso di imparare – rimasto orfano da
poco.
Arthur ricordava di avergli dato distrattamente il suo
consenso, accettando la parola dell’uomo e il suo buonsenso come garanzia, perché
in quel periodo i suoi pensieri erano rivolti altrove. Con ironia, egli rammentò che, per altre vie, erano ugualmente rivolte
a Lin.
Ed ora, questo Carl pretendeva di
corteggiarla…
Il principe scandagliò il suo sguardo, un castano caldo e
corposo, come la terra fertile dopo l’aratura.
Era limpido e innocente, eppure quegli occhi avevano
conosciuto il dolore. Il dolore della
perdita.
“Fammi vedere le tue mani!” gli ordinò di colpo, facendolo
sussultare, impreparato.
Lo stalliere le allungò prontamente e il nobile gliele
afferrò senza garbo, studiando brevemente il palmo e il dorso.
Erano mani curate, ma callose. Segno che era abituato al duro lavoro.
“Lei lo sa?” chiese Arthur, a bruciapelo.
Carl sbatté le palpebre, smarrito, ritrovandosi libero dalla
presa del nobile.
“Co-cosa?” tartagliò, incapace di
raccapezzarsi.
“Linette lo sa?” insistette Sua Maestà, spazientito. “Sa che
vuoi frequentarla?”
“Beh, n-no. Non
ancora…” incespicò il servo, preso in contropiede. “Ho ritenuto giusto
chiedere prima a voi…” motivò.
“E cosa ti fa credere che lei ti contraccambi?” lo
interrogò, ancora.
Un inaspettato sorriso fiorì sulle labbra dello staffiere.
“Linette è sempre così gentile e disponibile con me… mi è
stata molto vicina, quando sono arrivato a Camelot e non conoscevo ancora nessuno – nessuno…
tranne mio zio, ovviamente – e non era tenuta a farlo, perciò credo di piacerle
e-”
“Lei è gentile e disponibile con tutti.
Questo non fa testo”, lo freddò il nobile Pendragon,
senza riguardi, ma il servitore, anziché avvilirsi, allargò la sua espressione
innamorata.
“Se permettete, Sire… lasciate che sia lei a deciderlo. Voglio solo una possibilità”.
“E tu pensi seriamente che funzionerà? Sai
già cosa dirle?”
“Non ancora, ma spero che mi dirà di sì”, sorrise il
giovane, con quella spensieratezza tipica dei cuori conquistati.
Arthur sentì lo stomaco attorcigliarsi ancora una volta.
Lo invidiava.
Invidiava la facilità con cui quell’uomo umile poteva stare con lei. E forse renderla felice come lui non era
riuscito a fare.
Se Linette avesse accettato la sua corte, forse si sarebbe
distratta dalle sue colpe e dai suoi tormenti.
E loro, in qualche modo, avrebbe
ricucito quel loro rapporto lacerato.
Certo. Dare quel
consenso gli strappava il cuore brandello per brandello.
Ma era per il bene di lei, no?
E quel ragazzo sembrava davvero un tipo perbene, le sue
intenzioni parevano onorevoli.
Oltretutto, Blaise non avrebbe mai
tollerato uno scavezzacollo, parente o non parente.
“D’accordo. Hai il mio permesso”, concesse
infine, con solennità. E mentre il giovane spalancava un’espressione di
pura gioia, egli si sentiva sprofondare nella disperazione più cupa.
“Ma bada bene!” gli intimò, serio,
prima di andarsene – non si era neppure accorto del nervosismo di Antrax, finché non notò come il cavallo stava sbuffando
impaziente per quell’imprevista attesa. “Resta inteso che, se la farai soffrire,
farai i conti con me!”
Ma il ragazzo sorrise ancora, i
lineamenti del viso presero una forma ebete, quella caratteristica di chi era
innamorato perso. “È lei che mi spezzerà il cuore, se mi dirà di no!”
In tutta onestà,
Arthur non seppe cosa augurarsi. Se sperare di vederla riprendere la
propria vita, felice, con qualcun altro accanto… O se essere egoista, e sapere
che lei avrebbe rifiutato Carl perché, in qualche modo, il suo ricordo era
ancora in lei.
***
Cosa gli avrebbe
consigliato di fare, Merlin?,
si chiese il principe. Cosa – dannazione
– cosa?, si
arrovellò, lanciando al galoppo il suo fedele stallone, con disperazione,
appena oltre le mura di cinta.
Ma Merlin non c’era. Non c’era più. Non era
più suo consigliere da troppo tempo.
Lo avrebbe picchiato, con quelle sue braccine
magre e i suoi modi goffi? Oppure gli avrebbe riversato contro la sua rabbia,
lo sdegno, la delusione, la magia che possedeva, per punirlo in qualche modo
per ciò che aveva fatto con Linette? Gli avrebbe palesato il suo senso di
tradimento? O invece, ancora una volta, avrebbe trovato un amico in lui, e parole sagge e conforto?
Merlin avrebbe mai
capito il sentimento viscerale che provava per Lin?
Sì, l’avrebbe fatto. Perché quell’idiota – anche se un po’
gli costava ancora ammetterlo – lo conosceva a fondo, lo conosceva
anche più di se stesso.
Ma, alla fine, lui con chi si sarebbe
schierato? Avrebbe parteggiato per lei?
Qualcosa disse al principe che, scoprirlo, lo avrebbe fatto soffrire ancor di
più e preferì rimanere nella mite ignoranza.
Da molto non si interrogava sul suo
vecchio servo, benché il suo ricordo rimanesse dentro di lui, quotidianamente
sopito, perché più il tempo passava e più l’erede si era rassegnato a non
rivederlo mai più e, per proteggersi, Arthur si era raccontato tante piccole
bugie che acquietassero il cuore e l’animo dolorante.
Quello non era il
momento buono per ripensare al suo abbandono. No, non ora, che l’inossidabile
rapporto con Linette si era incrinato – forse per sempre? – e tutte le sue
certezze stavano vacillando.
E dannazione a quel
Carl!,
imprecò il cavaliere, piantando i talloni nei fianchi di Antrax
e lanciandolo in una corsa ancor più disperata, con la vana illusione di
dimenticare tutti i suoi mali, almeno per un po’.
***
Passarono appena un paio di giorni, – di Linette non v’era ancora traccia, benché lei compisse molteplici doveri
che non fossero direttamente collegati alla sua nobile persona – quando il
principe incrociò Carl, lo stalliere, appena fuori dalle scuderie reali.
La prima cosa che colpì il giovane Pendragon
fu l’aria mogia del servo, così concentrato a trasportare della biada a testa
china che subito non s’accorse di lui.
Quando lo staffiere finì quasi per sbattergli contro,
sollevò lo sguardo da cane bastonato e lo salutò, sorpreso dell’incontro, con
un mezzo inchino deferente.
“S-Sire!” smozzicò il giovane, riprendendo la giusta
distanza fra loro.
“Hai parlato con la mia serva?” gli chiese Arthur, senza
convenevoli, perché quella domanda gli pizzicava la lingua da troppe veglie.
“Sì, Maestà”, rispose questi, torturandosi le labbra coi denti.
“E…?” l’incalzò, incurante di
essere indelicato, soffocando il dolore che sentiva in fondo allo stomaco,
temendo la risposta che non voleva udire.
“Mi ha lanciato contro la spazzola con cui stava strigliando
Antrax e mi ha minacciato, dicendo che staccherà la
testa a morsi a qualunque uomo tenterà di avvicinarsi a lei…” confessò il
ragazzo, imbarazzato e deluso.
Incredibilmente, la veemenza di Linette, e ancor più il suo
rifiuto, strapparono un breve sorriso al principe. Poi
però egli sentì pena per quel pretendente rifiutato, maltrattato principalmente
per causa sua.
“Comprendo, comprendo…” lo consolò,
per maschile solidarietà. “Ti eri illuso che fosse dolce e pacata,
ma Linette è una brutta gatta da pelare!” lo canzonò, con una punta di
vittoria nella voce. Solo io so com’è
davvero.
Eppure – gli
ricordò amaramente la sua nobile coscienza – se lui non poteva più averla, Carl era sicuramente il pretendente
migliore per lei. Meglio affidarla a questo giovane, che a qualsiasi
scavezzacollo di cui si sarebbe potuta invaghire.
“Lascia passare un po’ di tempo.
Poi ritenta. Forse sarai più fortunato”, gli consigliò quindi,
contro ogni suo interesse, dandogli una virile pacca sulla spalla.
Il servo sollevò di colpo lo sguardo su di lui, stupito di
quelle parole.
“Grazie del consiglio, Sire!”
Arthur stiracchiò le labbra in un sorriso dolceamaro.
Anche se amava Linette
alla follia, per il bene di lei avrebbe dovuto accettare
di vederla contenta e serena con qualcun altro che non era lui. E Carl, col
tempo, avrebbe potuto renderla felice.
***
Tutti i suoi nobili propositi naufragarono in fretta, quando
la mancanza di Lin divenne insopportabile e Arthur
decise che aveva procrastinato abbastanza ogni decisione, e che era ora di
prendere in mano la situazione e di farla convocare per l’indomani mattina, con
la sua colazione.
E così fu.
Ma, benché egli fosse stato sveglio
da molto prima dell’alba, si era a malapena alzato dal letto, poiché aveva
perso tempo arrovellandosi su cosa dire e cosa fare con lei, una volta che Lin fosse stata finalmente al suo cospetto.
Eppure, appena ella varcò la
soglia, tutto quello che aveva premeditato era scomparso dalla sua mente.
Vederla entrare, con una circospezione che lei non aveva mai
avuto prima d’allora, lo ferì enormemente.
Linette sembrava quasi
un animale in gabbia. Braccato.
Anche da lontano, anche nella penombra del sole nascente che
filtrava dalle tende ancora tirate, Arthur si accorse di quando fosse sciupata.
E una parte di lui si rammaricò nel
vederla così, pallida e smagrita.
Eppure, un’altra voce dentro di lui si alterò, indignata. Perché diamine lo aveva assecondato nella
sua follia, se in realtà lei non lo voleva e si stava sfinendo dal rammarico?
“Mio padre paga così poco Gaius da farti patire la fame?!” la provocò, anche se quella, in realtà, era l’ultima
delle sue intenzioni.
Merlin sussultò, sorpreso e impreparato di fronte a
quell’attacco inatteso.
“Forse siete voi a pagarmi troppo poco!” ribatté, per
difendere istintivamente il suo mentore.
“Non pago per dei
servigi che non mi sono stati resi”, si
tutelò il principe, piccato, maledicendo poi la propria impulsività. “No, senti, io-”
Fu un bussare urgente che li interruppe, e la testa di un
valletto che faceva capolino scusandosi dell’intromissione.
“Sire!” salutò, deferente, preferendo ignorare la tensione fra loro. “Linette! Gaius ha urgente necessità del tuo aiuto con un
paziente grave! Mi ha mandato a chiamarti!” le comunicò,
dileguandosi.
Con quella scusa, il mago si congedò, con lo stomaco in
subbuglio e una pressante voglia di piangere, di urlare o di rompere qualcosa. Possibilmente in testa all’Idiota Reale.
***
Fu solamente a tardo pomeriggio che Linette ricomparve,
ancor più stanca e pallida.
Arthur ebbe compassione di lei. Per
questo, non osò chiederle nulla e, invero, l’ultimo dei desideri di Merlin era
fare conversazione con il nobile Babbeo e finire per litigarci di nuovo.
Lo stregone gli preparò il bagno in religioso mutismo e,
mentre il principe si lavava, egli riordinò gli appartamenti reali compiendo
alcune faccende che quel giorno nessun sostituto aveva portato a termine per
lui.
Era un silenzio
irreale quello che gravava fra quelle mura.
Una quiete solo
apparente, un’atmosfera cupa.
Aria tesa, e musi
lunghi.
Merlin aveva scelto la linea del silenzio, rivolgendosi
all’erede il minimo indispensabile, non avendo idea di dove incominciare, e
Arthur non lo aiutò a superare questo scoglio fra loro, in realtà perché anche lui non sapeva come fare.
Erano consapevoli entrambi del fatto che fingere che tutto
fosse normale era folle, eppure quella era ugualmente
una fragile tregua o un punto d’inizio.
Fu forse per questo che, all’ora di cena, quando Lin tornò col vassoio delle vivande, il principe si
sconcertò.
“Perché il pasto è di una sola porzione?” le chiese Arthur,
allungando d’istinto una mano verso di lei per sfiorarla e, a quel gesto,
Linette s’era ritratta impulsivamente, amareggiandolo.
“Non ho fame, Sire. Mi dispiace. Non mi sento bene”, aveva sussurrato Merlin, evitando accuratamente
di guardarlo. Se l’avesse fatto,
avrebbe visto lo sguardo ferito del principe.
Ma, un secondo dopo, il nobile s’era
ricomposto, stringendo la mascella.
“Bene. Puoi andare. Non mi servono più i
tuoi servigi per oggi”.
L’ancella se n’era andata con un inchino, senza neppure
augurargli la buonanotte.
***
Il giorno dopo, se
possibile, fu anche peggio.
Poiché dal cielo cadeva un’incessante pioggia, l’erede dei Pendragon aveva trascorso la mattinata a smistare della
corrispondenza seduto alla propria scrivania, mentre la valletta reale, usando
la magia per sbrigare in fretta i lavori di modo da stare il meno possibile con
lui, come il dì addietro aveva cercato di non guardarlo, di fingere che non
fosse lì, nella stessa stanza.
I tempi delle
confidenze e dell’affiatamento sembravano ormai lontani, quasi dimenticati.
E c’era il tormento, lo
stesso tormento, nei loro occhi. Se solo si fossero
guardati…
Quando giunse l’ora del pranzo, nuovamente la serva porse i
piatti al principe e fece per congedarsi.
Ma lui, con una mossa fulminea, le
afferrò un polso sottile, trattenendola.
“Resta. Ti prego”,
le disse, con un tono ansioso e disperato al contempo, che strinse il cuore di
Merlin.
“Sire…” protestò debolmente.
“Non puoi fingerti indisposta tre settimane in un mese, Lin-Lin”, tentò lui, con un piccolo sorriso. “Se non hai
fame, puoi sempre tenermi compagnia…” propose esitante, porgendole però una
scodella con dei frutti di cui sapeva lei era ghiotta,
anche se non poteva permettersi di prenderli al mercato perché troppo costosi.
Era un’offerta di
pace. E potevano ricominciare da lì.
Merlin lo comprese, annuì e si sedette, benché rigido,
accanto a lui. Da lì, iniziò un pasto
strano.
Fatto di imbarazzo, e voglia di riavviare quel meccanismo perfetto
che si era inceppato.
Forse entrambi non si
erano ancora leccati le ferite a sufficienza, ma se volevano continuare verso
il loro Destino, era tempo di interrompere quella pausa forzata e di riprendere
il cammino.
Incredibilmente, fu Arthur ad
iniziare, inghiottendo il proprio orgoglio.
“Ieri… non ti ho convocata per
litigare. Non era mia intenzione farlo”, si scusò, a modo
suo.
Linette rimase ferma, attenta. Quasi stordita da quella rivelazione. Ma
poi il principe vide il suo corpo rilassarsi impercettibilmente contro lo
schienale della sedia.
“Potresti… riprendere tutti i tuoi doveri?” le propose Sua
Maestà, malcelando la speranza intrisa nella voce.
“Oh, temo sia inevitabile”, sbuffò Merlin, fingendo
accondiscendenza. “State facendo ammattire tutti i valletti che mi hanno
sostituito! Malcom è venuto a supplicarmi, perché interceda per lui preso di voi…
teme di finire al rogo, o una cosa così”.
“Alla gogna, non
al rogo…” biascicò l’Asino Reale, vergognandosi un po’ delle proprie minacce e
prepotenze. “Ma non era certo colpa mia se lui-” non era te “era un tale incompetente!”
Merlin sollevò un sopracciglio come il suo maestro.
“Allora posso rassicurarlo del fatto che domani avrà ancora
salva la vita?” lo incalzò.
E d’improvviso, l’erede comprese che Lin
si stava prendendo gioco di lui.
“Solamente se io e te andremo a
caccia, domattina. Solo noi due. Come ai vecchi tempi”.
“Accetto”, acconsentì il mago, su
due piedi, d’impulso.
Eppure, inaspettatamente il principe assottigliò lo sguardo,
sondando la sua faccia.
“No, aspetta… fammi capire… fai tutto questo per quel…
quel Malcom?”
indagò, sembrando sospettoso – e forse
geloso.
Anziché rispondergli, Merlin sbuffò
nuovamente.
“Giù, nelle cucine, si fanno scommesse… su
quanto durerà il prossimo valletto. La più quotata è mezza veglia. Lo
sapevate?” gli rese noto, con una smorfia sarcastica.
Arthur, sentendosi umiliato, s’indignò.
“Sono solo un branco di incompetenti
e-”
“E voi fate i capricci come un bambino viziato”, gli appuntò
il servo, con tono leggero, per poi ridivenire serio: “Non mi avevate forse
promesso di rendere Camelot
un luogo migliore? Niente più prepotenze né ingiustizie?” gli
rammentò, pungolandolo nell’onore.
“E tu non mi avevi forse giurato che non avresti mai usato
la tua magia contro di me?”
Merlin sussultò, colpevole, notando che – malgrado
i molti giorni trascorsi – vi è ancora una discreta traccia del livido sul
nobile volto. A causa della penombra nella stanza, il giorno addietro, quando
lo aveva rivisto dopo tanto, non se n’era reso conto subito.
Bugia. Era perché
aveva cercato di guardare in faccia Arthur il meno possibile.
“Mi avete chiesto voi di colpirvi…” si giustificò, ingoiando
i sensi di colpa. “Perché non lo avete fatto curare?”
“Era solo una sciocchezza…” si schernì il cavaliere,
distogliendo lo sguardo, a disagio.
“Una sciocchezza non impiega più di mezza luna a guarire…”
lo contestò Merlin, sollevandosi dalla sedia per accostarsi a lui.
Vedendolo da vicino, comprese che sarebbe servito un buon
unguento per aiutare l’assorbimento dell’ematoma, ma probabilmente l’Asino era
stato troppo orgoglioso per chiedere aiuto, e dover
magari giustificare il perché di quel livido.
Arthur sarebbe morto,
si disse, piuttosto che rivelare di
essere stato colpito da una donna.
Ma, in verità, avrebbe potuto
mascherare quella percossa come un incidente occorso durante gli allenamenti o
una distrazione fatale. E il suo smisurato amor proprio ne sarebbe uscito
intatto…
“Dovevate farvi visitare da Gaius…” considerò, con occhio
clinico. Probabilmente aveva esagerato
con la propria forza magica. “Forse lo zigomo si è fratturato”.
“Me lo meritavo”.
Arthur non le confessò
che il dolore di quel livido non era niente, se paragonato alla voragine che
sentiva dentro.
E che la considerava
una giusta punizione. Una – benché minima – espiazione per il dolore di lei.
“Su questo non v’è dubbio”, concordò lo scudiero, e tuttavia
egli allungò, lentamente, le proprie dita sulla zona ferita, sfiorandola con
delicatezza.
Arthur sussultò ugualmente, poi strinse i denti ordinandosi di non arretrare.
Chiudendo gli occhi,
si lasciò invadere la mente da quel tocco lieve e gentile, dal profumo di lei – quanto gli era mancato! – dalla sua
vicinanza.
Anche Merlin si sentiva turbato, ma si impose
di non fuggire, mentre gli sussurrava un incantesimo di guarigione e la pelle
martoriata guariva miracolosamente.
Solo alla fine, il mago si accorse che il principe gli aveva
afferrato un lembo della gonna.
Come avrebbe fatto un
bambino spaventato, temendo di essere abbandonato da sua madre.
“Mi dispiace. Non vi colpirò mai
più”, si scusò, a sua volta, prendendosi finalmente il tempo di specchiarsi
negli occhi che tanto amava, ora così lucidi e vulnerabili.
“Potremmo… ritornare ad essere
amici? Sarebbe un buon inizio”, offrì il principe, come
proposta di pace.
Ed egli annuì.
Per egoismo. Per
necessità.
E perché gli accordi
per il matrimonio di Morgana andavano conclusi prima dell’inverno.
Continua...
Disclaimer: I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono
le mie paranoie. X°D
Note: Nel lontano
capitolo 26,
mi si chiedeva di vedere Linette alle prese con uno
spasimante. Beh, eccolo.
Dopo il vampiro, s’intende. XD
Fin da subito, sapevo che questo pretendente non avrebbe
realmente minato il rapporto fra i nostri eroi (perché
MerLin non è come una certa Banderuola di nostra
conoscenza ¬.¬), ma mi ha
dato modo di lavorare sulla caratterizzazione di Arthur, da un lato pronto a
farsi da parte, dimostrando la sua maturità accresciuta, dall’altro pur sempre
egoista verso chi ama.
C’è anche uno scorcio padre-figlio sul rapporto fra Gaius e
Merlin, come chiesto.
Vi è anche un riferimento al cap. 58,
quando Merlin rammenta ad Arthur la sua promessa di rendere Camelot
un luogo migliore, senza più prepotenze né ingiustizie da parte di chi comanda.
Nel caso vi siano rimasti dubbi, chiedete pure! ^^
Precisazioni al
capitolo precedente e domande varie: (a random)
- Non ho molto da dire, perché ho già risposto sotto ai commenti.
Qualcuno ha diviso la colpa a metà, qualcun altro ha detto
che non ci sono colpevoli.
La maggior parte di voi ha parteggiato per Merlin.
Personalmente, credo che sia Arthur ad avere avuto la peggio, perché lui è due
volte massacrato. Ha sempre ‘subito’ le scelte di Merlin in questa storia e
ora, anche se ama Linette, fa la scelta più dura per quello che, lui crede, sia
il bene di lei.
È ovvio che dire – e sentirsi dire – quelle parole crudeli fosse terribile, ma lo è stato per entrambi.
- Ora che si è toccato il fondo, non ci resta che risalire e
molto ci
aspetta prima della fine.
- La cosa del capire “l’essenza dentro l’apparenza” è un
cammino interiore di accettazione.
Arthur deve capire (e accettare) che Merlin e Linette siano
la stessa persona.
Una parte di lui l’ha fatto
incredibilmente in fretta: Arthur ama Lin proprio
perché lei è così identica a Merlin.
Ma Merlin, con le sue bugie, lo ha
depistato, anziché aiutarlo a fargli capire la coincidenza esatta fra loro.
- Ancora una volta, Morgana e Uther,
a modo loro, hanno dimostrato il loro affetto, sono contenta che lo abbiate
apprezzato.
- A domande specifiche, ho risposto direttamente sotto la
recensione.
Vi metto BEN QUATTRO
anticipazioni del prossimo:
Come spesso accade, i grandi eventi nascono da piccole cose.
Ed enormi disastri sono generati da
minime distrazioni.
Le cose precipitarono un giorno come tanti altri, a metà di
un mite ottobre, quando re Uther venne
salvato da morte certa dalla sua pupilla.
(...)
Dopo il sollievo iniziale e aver punito il colpevole, il
monarca si era interrogato a lungo su quella vicenda. Ed era rimasto fortemente turbato da quella rivelazione di Morgana.
Un conto erano i suoi
incubi un po’ troppo vividi, e delle coincidenze talvolta bizzarre, un altro
paio di maniche erano delle premonizioni precise e minuziose.
Arthur si era aspettato quasi che, prima o
poi, suo padre pronunciasse la fatidica parola. Stregoneria.
Per questa ragione, dopo averne parlato con Merlin, il
principe stabilì che – per il bene della sua sorellastra – ella
avrebbe dovuto lasciare Camelot il prima possibile.
(...)
Gwen sarebbe andata con Morgana,
ovviamente, mantenendo il suo ruolo di valletta personale della principessa.
Anche per lei, lasciare Camelot era un grande passo. Ma,
in fondo, la sua signora era la sua
famiglia.
Guinevere aveva perduto tempo
addietro i propri affetti più cari – la madre e un fratello di cui non parlava
mai volentieri – e, con la morte del padre, niente la teneva davvero legata
alle terre dei Pendragon.
Eppure, anche per lei il
Destino aveva in serbo qualcosa.
(...)
“È proprio somigliante a suo cugino, non trovi?” sottolineò Gwen, facendo le
presentazioni fra loro, nello studio del medico di Corte, dove lo aveva
trascinato per rincontrare anche Gaius.
Lance osservò il mago per un
lunghissimo istante, mentre uno strano lampo gli attraversava lo sguardo, come
se avesse ricevuto un’improvvisa, soprannaturale intuizione.
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
(Se vi va di darmi un parere, lo
apprezzerei molto!)
Ringrazio i 270 utenti che hanno messo questa fic fra i ‘preferiti’, i 42 ‘da
ricordare’ e i 417 ‘seguiti’.
E i 470 utenti che mi hanno messa
fra gli autori preferiti. Grazie della fiducia.
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Come sempre, sono graditi commenti,
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elyxyz