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Autore: elyxyz    11/05/2014    26 recensioni
“Gaius! Aspettate! Cosa...?” esclamò il mago, squadrandolo come se fosse impazzito.
L’uomo ricambiò lo sguardo. “Perdonate l’ardire, ma... potrei sapere chi siete?”
“Sono
io!” sbottò allora, allargando le braccia “Gaius! Che scherzo è mai questo?!” domandò retorico, battendosi il petto. “Non mi ricono-” Merlin boccheggiò incredulo, accorgendosi di colpo del florido seno che stava toccando, e lanciò un gridolino terrorizzato. Fu per istinto che raccattò il lenzuolo e si coprì alla bell’e meglio.
Gaius se ne stava sull’uscio, sbigottito anche lui.
“Merlin?” bisbigliò alla fine, come se dirlo ad alta voce fosse davvero
troppo.
“Sì, sono io!” pigolò l’altro. “O almeno credo!”
“Che diamine ti ha fatto Ardof?!” l’interrogò l’archiatra.
(...) Merlin si coprì gli occhi con le mani, mugolando. “Come spiegherò questo ad Arthur?”
[Arthur x Merlin, of course!]
NB: nel cap. 80 è presente una TRASFORMAZIONE TEMPORANEA IN ANIMALE (Arthur!aquila) e può essere letto come one-shot nel caso in cui vi interessi questo genere di storie.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Prima stagione, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mi dispiace per la lunga attesa

Mi dispiace per la lunga attesa.

Probabilmente non vi interessano le mie motivazioni, ma vorrei dirvi che non mi sono dimenticata di voi. Semplicemente… sono troppo impegnata e stanca in questi ultimi mesi. Non riesco neppure a portare avanti nuove storie in corso come vorrei, o a concentrarmi per sistemare un capitolo in bozza. E quando mi siedo al pc, cerco solo di distrarmi e riposare prima che il cervello si frigga.

Ad ogni modo, questo è un capitolo molto più lungo rispetto al solito, forse intercederà per me.

 

SPOILER FREE: Ricordo che questa storia NON contiene/conterrà volutamente alcuno spoiler della quinta stagione; eventuali coincidenze sono appunto casuali coincidenze (è già successo e succederà in capitoli che ho già pronti).

 

Linea temporale: Fine estate del terzo anno dall’arrivo di Linette a Camelot.

Seguito diretto del capitolo precedente e settimane seguenti.

 

Riassunto generale: Merlin è abituato a salvare la vita all’Asino Reale senza che questi se ne accorga, ma stavolta non tutto va per il verso giusto. Colpito dall’incantesimo del malvagio Ardof, il nostro mago farà i conti con una sconvolgente novità: egli si risveglia trasformato in una donna.
Solo Gaius conosce il suo segreto e, finché non troverà il modo di tornare normale, dovrà inventarsi delle scuse plausibili e prendere il posto di se stesso al servizio del principe. Come riuscirà a conciliare questa ‘nuova situazione’? Come si evolverà il suo rapporto con Arthur?

 

Riassunto delle ultime puntate: Il malvagio stregone Ardof è morto, ma la sua maledizione non si è sciolta. Merlin, perciò, fa credere ad Arthur di essere partito alla ricerca del padre mai conosciuto. Al principe non resta che subire questa sua scelta, mentre il tempo passa inesorabile, e il suo legame con Linette va saldandosi sempre più… fino a quando, durante un agguato, lui non scopre che la sua serva è una strega e lei gli rivela che anche Merlin lo è: questa sconvolgente ammissione, ovviamente, cambia le carte in tavola e li porta ad un nuovo sodalizio in cui, finalmente, i due si confessano reciproco amore e cedono alla passione… Ma la gioia è breve, perché Merlin – contrariamente a quanto sperato – non è tornato in sé dopo essersi unito ad Arthur e quindi cede alla disperazione…

 

 

Dedico l’aggiornamento a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A Delfino97, DevinCarnes, chibimayu, Tappoluna98, chibisaru81, Draviran, Carmen_PS, paffy333, Hamlet_, Ishimaru, Orchidea Rosa, principessaotaku97, Rosso_Pendragon, saisai_girl, sejamerthurshipper, elfin emrys, Barby_Ettelenie_91, Little Fanny, Raven Cullen, Yuki Eiri Sensei, Burupya, strangerinthistown, Sana e Akito, melleth, aria, katia emrys, Morganalastrega, mindyxx e giulia194.

E a quanti commenteranno (SE vi va di recensire anche dei capitoli più indietro di questo, il vostro parere non andrà perduto!).
Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

The He in the She

 

(l’Essenza dentro l’Apparenza)

 

 

 

Capitolo LXXXVI

 

 

Le mani di Arthur. La bocca di Arthur. La virilità di Arthur.

...Arthur...

 

Arthur...” gemette Merlin, risvegliandosi di colpo, ansante e madido.

Si mise una mano sulla bocca, spaventato dall’intensità delle emozioni che provava. Non sapeva neppure se aveva urlato quel nome solo nella sua testa o se gli aveva dato voce per davvero.

 

Ma quel dannato sogno – quel dannato ricordo – era così reale, maledizione!

 

Con il polso sottile si asciugò un rivolo di sudore dalla fronte, rendendosi immediatamente conto che non sarebbe bastato, e difatti non avvertì alcun sollievo.

 

Lo percepiva ancora, caldo e umido, viscoso.

Quel piacere insoddisfatto che pulsava insistente dentro di lui e lo supplicava di venir appagato.

 

Merlin se ne stava sdraiato sul letto, cercando di regolarizzare il respiro affannato e chiedendosi se dovesse impazzire di desiderio.

 

Non voleva cedere, non voleva dargliela vinta.

Lo sapeva che altrimenti si sarebbe assuefatto; e quella smania sarebbe tornata, notte dopo notte, a reclamare il suo sonno, a popolare i suoi incubi di lussuria.

 

Non poteva mai più avere Arthur, ed era masochistico sognare di essere da lui posseduto.

 

Merlin deglutì a vuoto, spostandosi con stizza una ciocca appiccicata alla tempia.

Si impose di pensare ad altro, e lanciò un’occhiata distratta alla finestra.

Dal buio nero oltre gli scuri, s’intuiva che l’alba era ancora lontana.

 

Egli sbuffò allora, girandosi su un fianco per trovare una posizione più confortevole e riprendere a dormire.

Ma nell’esatto istante in cui lo fece, la camiciola strofinò il proprio tessuto sui suoi seni turgidi paralizzandolo, lasciandolo lì a boccheggiare per diversi istanti. Il dolore e il piacere si erano fusi in un’unica scarica che aveva travolto i suoi sensi acuiti, riaccendendo la frenesia, facendolo contorcere... 

 

Merlin si sentì terribilmente sporco e colpevole, ma il demone della lussuria quella notte avrebbe vinto.

 

Arthur...

 

 

***

 

 

Credere che il passare del tempo avrebbe giovato fu solo una pia illusione.
Dal momento in cui Gaius, a mezzodì di quel maledetto giorno dopo il colloquio, lo aveva trovato ridotto in quello stato pietoso, il suo martirio si era solamente aggravato.

 

Il vecchio mentore, vedendolo così stravolto e inappetente – con la voce gracchiante, naso che colava, occhi lacrimanti e arrossati –, aveva creduto che quelli fossero i sintomi di un inconsueto attacco di allergia – particolarmente aggressivo, fra l’altro.

 

Merlin non si era neppure dato pena di smentirlo. Lo aveva pregato di somministrargli un potente sonnifero e, lamentando una forte emicrania, gli aveva chiesto di riferire al principe la propria indisposizione.

 

Quel sonno forzato aveva portato un po’ di requie all’animo martoriato dello stregone, ma al suo risveglio, quella sera, la realtà gli era piombata nuovamente addosso con tutto il suo insopportabile peso.

 

Rifiutandosi di consumare la propria cena – aveva un nodo indissolubile nello stomaco chiuso –, egli comprendeva che avrebbe fatto preoccupare il suo maestro, ma sinceramente non sapeva che altro fare.

Non era pronto a dare spiegazioni né a condividere il proprio dolore. Peggio ancora, non avrebbe retto al giudizio o al disprezzo di colui che reputava come un padre.

Gaius lo aveva dissuaso fin dall’inizio, lo aveva messo in guardia sulla pericolosità di un legame d’affetto tra Linette e l’erede al trono.

Ma il vecchio guaritore non poteva capire – non poteva neppure immaginare – la portata della forza di quel sentimento.

 

Anche se Merlin avesse voluto resistergli, in tutta coscienza, non ci sarebbe riuscito.

Come un guscio di noce non avrebbe mai potuto sopravvivere indenne ad una tempesta marina, così piccolo si sentiva lui: una goccia d’acqua in balìa della vastità dell’oceano.

 

Anche se Merlin avesse voluto confessarglielo, in tutta coscienza, non avrebbe trovato le parole.

Perché nessun concetto o esempio si sarebbe – seppur lontanamente – avvicinato al paradiso e all’inferno che aveva vissuto in quella manciata di veglie. Nessun nome gli rendeva giustizia.

 

Ma Gaius, bontà sua, non era sciocco.

Inizialmente, il cerusico si era spaventato e preoccupato oltremodo, per quel morbo oscuro fuori stagione che aveva colpito il suo figlioccio in maniera così grave.

Però, poi, gli ci erano volute solo tre veglie per capire i veri sintomi e formulare una diagnosi; decretando che – quel morbo oscuro – tanto oscuro non era, e anzi, aveva un nome ben preciso: quello era mal d’amore.

 

Assodato ciò (e la faccia tormentata del principe incrociato nei corridoi ne era una palese conferma), egli decise che la cosa migliore era un discreta pacatezza.

Non avrebbe preteso una spiegazione da Merlin, avrebbe rispettato il suo silenzio e il suo dolore, offrendo comprensione e un abbraccio consolatorio, qualora il suo pupillo avesse voluto condividere con lui quello che provava o quello che era accaduto.

 

Gaius si era ormai persuaso che il suo figliolo e l’erede al trono fossero destinati a qualcosa di unico e irripetibile – al di là delle convenzioni, al di là del perbenismo –, a qualcosa che, probabilmente, neppure loro avevano ancora capito, o accettato, appieno.

Forse era per questo che avevano litigato in modo così devastante.

Quando due facce della stessa medaglia si allontanano, l’equilibrio si spezza. Ma una metà non può rimanere senza l’altra; una da sola non ha ragione d’esistere, si disse, lanciando uno sguardo desolato alla porticina dietro cui stava il suo figlioccio e, contemporaneamente, indirizzando un pensiero altrettanto sconfortato al principe, ovunque egli fosse.

 

Che la strada verso Albion fosse lunga e tortuosa, l’anziano medico lo sapeva. Ma si dispiacque ugualmente per quei due giovani cuori, ancora una volta, ingiustamente, messi a dura prova dal Destino.

 

 

***

 

 

Anche per Arthur, il trascorrere del tempo fu solo una vana illusione di ripresa.

Le ferite che portava incise interiormente avevano un’unica forma e un’unica firma e ogni cosa del suo mondo gli ricordava lei: a partire dal letto in cui dormiva – in cui avevano dormito, insieme, più volte, e in quell’unica notte così diversa – passando per il suo equipaggiamento – le armi e la cotta che lei puliva, lucidava e affilava –, per giungere alla sua presenza fantasma in ogni luogo del castello e della città, dove abitualmente passeggiavano insieme.

 

Fu all’incirca verso il decimo giorno dalla diserzione della sua serva, che il principe ebbe il contraccolpo peggiore.

Giunto nei pressi delle stalle – poiché sentiva l’impellente bisogno di sfogarsi con una cavalcata scavezzacollo, per buttare fuori tutta la tempesta di sentimenti che litigavano dentro di sé – egli trovò un garzone, che non conosceva, ad occuparsi di Antrax.

 

Il giovane, appena lo vide, gli fece un rispettoso inchino, mentre riceveva l’ordine di preparare il necessario per la sortita.

 

“Sire…” incominciò questi, impacciato, e forse intimorito dalla presenza dell’erede al trono. “Perdonate l’ardire… ma… come sta Linette? È da parecchi giorni che non la si vede qui e…”

 

“Riprenderà i suoi doveri fra qualche dì”, tagliò corto il cavaliere, stringendo la mascella, allungando una mano guantata per farsi consegnare le redini e chiudere così la spinosa questione.

 

Lo scudiero gliele porse immediatamente, eppure, prendendo coraggio, egli risollevò lo sguardo sull’erede, facendogli chiaramente intendere che aveva altro da dire.

 

“Maestà?” lo apostrofò, infatti, mentre il giovane Pendragon stava già per dargli le spalle.

 

Probabilmente l’occhiata torva, che il nobile gli lanciò, non bastò a mortificarlo.

 

“Mio Signore… mi è stato riferito che, per vostro ordine diretto, a nessuno è concesso di intrattenersi con lei e-

 

“Arriva al punto”, lo incalzò, benché il tono sembrasse dire l’esatto contrario: avrebbe zittito all’istante anche il più temerario dei fuorilegge.

 

“Beh, Sire… I-io…” titubò il servo, gonfiando poi il petto, dimostrando un inusuale ardimento. “Io vorrei chiedere il vostro permesso per corteggiarla…

 

“Qual è il tuo nome?” pretese di sapere Arthur, prestandogli l’attenzione che prima non gli aveva dato, sondandolo a fondo, come se avesse improvvisamente avuto davanti un insospettabile nemico.

 

C-Carl, Sire”, balbettò questi, preso in contropiede. “Mi chiamo Carl”, completò, con un altro inchino.

 

“Perché non mi ricordo la tua faccia?” lo interpellò nuovamente, pressandolo come se quello fosse l’interrogatorio di un prigioniero.

 

“Forse… perché sono nuovo, Maestà. Lavoro nelle scuderie da poco…” motivò il ragazzo, sentendosi come se avesse combinato un guaio tremendo senza esserne consapevole. “Provengo da uno dei villaggi a Est del regno. Mio zio Blaise mi ha-”

 

Improvvisamente, l’erede dei Pendragon rievocò mentalmente che il Capostalliere gli aveva parlato della questione, più di una luna addietro.
Gli aveva chiesto il permesso di assumere tra i garzoni quel nipote – un ragazzo senza esperienza, ma volenteroso di imparare – rimasto orfano da poco. 

Arthur ricordava di avergli dato distrattamente il suo consenso, accettando la parola dell’uomo e il suo buonsenso come garanzia, perché in quel periodo i suoi pensieri erano rivolti altrove. Con ironia, egli rammentò che, per altre vie, erano ugualmente rivolte a Lin.

 

Ed ora, questo Carl pretendeva di corteggiarla…

 

Il principe scandagliò il suo sguardo, un castano caldo e corposo, come la terra fertile dopo l’aratura.

Era limpido e innocente, eppure quegli occhi avevano conosciuto il dolore. Il dolore della perdita.

 

“Fammi vedere le tue mani!” gli ordinò di colpo, facendolo sussultare, impreparato.

 

Lo stalliere le allungò prontamente e il nobile gliele afferrò senza garbo, studiando brevemente il palmo e il dorso.

 

Erano mani curate, ma callose. Segno che era abituato al duro lavoro.

 

“Lei lo sa?” chiese Arthur, a bruciapelo.

 

Carl sbatté le palpebre, smarrito, ritrovandosi libero dalla presa del nobile.

Co-cosa?” tartagliò, incapace di raccapezzarsi.

 

“Linette lo sa?” insistette Sua Maestà, spazientito. “Sa che vuoi frequentarla?”

 

“Beh, n-no. Non ancora…” incespicò il servo, preso in contropiede. “Ho ritenuto giusto chiedere prima a voi…” motivò.

 

“E cosa ti fa credere che lei ti contraccambi?” lo interrogò, ancora.

 

Un inaspettato sorriso fiorì sulle labbra dello staffiere.

“Linette è sempre così gentile e disponibile con me… mi è stata molto vicina, quando sono arrivato a Camelot e non conoscevo ancora nessuno – nessuno… tranne mio zio, ovviamente – e non era tenuta a farlo, perciò credo di piacerle e-”

 

“Lei è gentile e disponibile con tutti. Questo non fa testo”, lo freddò il nobile Pendragon, senza riguardi, ma il servitore, anziché avvilirsi, allargò la sua espressione innamorata.

 

“Se permettete, Sire… lasciate che sia lei a deciderlo. Voglio solo una possibilità”.

 

“E tu pensi seriamente che funzionerà? Sai già cosa dirle?”

 

“Non ancora, ma spero che mi dirà di sì”, sorrise il giovane, con quella spensieratezza tipica dei cuori conquistati.

 

Arthur sentì lo stomaco attorcigliarsi ancora una volta.

Lo invidiava. Invidiava la facilità con cui quell’uomo umile poteva stare con lei. E forse renderla felice come lui non era riuscito a fare.

 

Se Linette avesse accettato la sua corte, forse si sarebbe distratta dalle sue colpe e dai suoi tormenti.

E loro, in qualche modo, avrebbe ricucito quel loro rapporto lacerato.

 

Certo. Dare quel consenso gli strappava il cuore brandello per brandello. Ma era per il bene di lei, no?

E quel ragazzo sembrava davvero un tipo perbene, le sue intenzioni parevano onorevoli.

Oltretutto, Blaise non avrebbe mai tollerato uno scavezzacollo, parente o non parente.

 

“D’accordo. Hai il mio permesso”, concesse infine, con solennità. E mentre il giovane spalancava un’espressione di pura gioia, egli si sentiva sprofondare nella disperazione più cupa.

Ma bada bene!” gli intimò, serio, prima di andarsene – non si era neppure accorto del nervosismo di Antrax, finché non notò come il cavallo stava sbuffando impaziente per quell’imprevista attesa. “Resta inteso che, se la farai soffrire, farai i conti con me!”

 

Ma il ragazzo sorrise ancora, i lineamenti del viso presero una forma ebete, quella caratteristica di chi era innamorato perso. “È lei che mi spezzerà il cuore, se mi dirà di no!”

 

In tutta onestà, Arthur non seppe cosa augurarsi. Se sperare di vederla riprendere la propria vita, felice, con qualcun altro accanto… O se essere egoista, e sapere che lei avrebbe rifiutato Carl perché, in qualche modo, il suo ricordo era ancora in lei.

 

 

***

 

 

Cosa gli avrebbe consigliato di fare, Merlin?, si chiese il principe. Cosa – dannazione – cosa?, si arrovellò, lanciando al galoppo il suo fedele stallone, con disperazione, appena oltre le mura di cinta.

Ma Merlin non c’era. Non c’era più. Non era più suo consigliere da troppo tempo.

 

Lo avrebbe picchiato, con quelle sue braccine magre e i suoi modi goffi? Oppure gli avrebbe riversato contro la sua rabbia, lo sdegno, la delusione, la magia che possedeva, per punirlo in qualche modo per ciò che aveva fatto con Linette? Gli avrebbe palesato il suo senso di tradimento? O invece, ancora una volta, avrebbe trovato un amico in lui, e parole sagge e conforto?

Merlin avrebbe mai capito il sentimento viscerale che provava per Lin?

Sì, l’avrebbe fatto. Perché quell’idiota – anche se un po’ gli costava ancora ammetterlo – lo conosceva a fondo, lo conosceva anche più di se stesso.

 

Ma, alla fine, lui con chi si sarebbe schierato? Avrebbe parteggiato per lei?
Qualcosa disse al principe che, scoprirlo, lo avrebbe fatto soffrire ancor di più e preferì rimanere nella mite ignoranza.

 

Da molto non si interrogava sul suo vecchio servo, benché il suo ricordo rimanesse dentro di lui, quotidianamente sopito, perché più il tempo passava e più l’erede si era rassegnato a non rivederlo mai più e, per proteggersi, Arthur si era raccontato tante piccole bugie che acquietassero il cuore e l’animo dolorante.

 

Quello non era il momento buono per ripensare al suo abbandono. No, non ora, che l’inossidabile rapporto con Linette si era incrinato –  forse per sempre? – e tutte le sue certezze stavano vacillando.

 

E dannazione a quel Carl!, imprecò il cavaliere, piantando i talloni nei fianchi di Antrax e lanciandolo in una corsa ancor più disperata, con la vana illusione di dimenticare tutti i suoi mali, almeno per un po’.  

 

 

***

 

 

Passarono appena un paio di giorni, – di Linette non v’era ancora traccia, benché lei compisse molteplici doveri che non fossero direttamente collegati alla sua nobile persona – quando il principe incrociò Carl, lo stalliere, appena fuori dalle scuderie reali.

 

La prima cosa che colpì il giovane Pendragon fu l’aria mogia del servo, così concentrato a trasportare della biada a testa china che subito non s’accorse di lui.

Quando lo staffiere finì quasi per sbattergli contro, sollevò lo sguardo da cane bastonato e lo salutò, sorpreso dell’incontro, con un mezzo inchino deferente.

 

“S-Sire!” smozzicò il giovane, riprendendo la giusta distanza fra loro.

 

“Hai parlato con la mia serva?” gli chiese Arthur, senza convenevoli, perché quella domanda gli pizzicava la lingua da troppe veglie.

 

“Sì, Maestà”, rispose questi, torturandosi le labbra coi denti.

 

“E…?” l’incalzò, incurante di essere indelicato, soffocando il dolore che sentiva in fondo allo stomaco, temendo la risposta che non voleva udire.

 

“Mi ha lanciato contro la spazzola con cui stava strigliando Antrax e mi ha minacciato, dicendo che staccherà la testa a morsi a qualunque uomo tenterà di avvicinarsi a lei…” confessò il ragazzo, imbarazzato e deluso.

 

Incredibilmente, la veemenza di Linette, e ancor più il suo rifiuto, strapparono un breve sorriso al principe. Poi però egli sentì pena per quel pretendente rifiutato, maltrattato principalmente per causa sua.

“Comprendo, comprendo…” lo consolò, per maschile solidarietà. “Ti eri illuso che fosse dolce e pacata, ma Linette è una brutta gatta da pelare!” lo canzonò, con una punta di vittoria nella voce. Solo io so com’è davvero.

 

Eppure – gli ricordò amaramente la sua nobile coscienza – se lui non poteva più averla, Carl era sicuramente il pretendente migliore per lei. Meglio affidarla a questo giovane, che a qualsiasi scavezzacollo di cui si sarebbe potuta invaghire.

 

“Lascia passare un po’ di tempo. Poi ritenta. Forse sarai più fortunato”, gli consigliò quindi, contro ogni suo interesse, dandogli una virile pacca sulla spalla.

 

Il servo sollevò di colpo lo sguardo su di lui, stupito di quelle parole.

“Grazie del consiglio, Sire!”

 

Arthur stiracchiò le labbra in un sorriso dolceamaro.

Anche se amava Linette alla follia, per il bene di lei avrebbe dovuto accettare di vederla contenta e serena con qualcun altro che non era lui. E Carl, col tempo, avrebbe potuto renderla felice.

 

 

***

 

 

Tutti i suoi nobili propositi naufragarono in fretta, quando la mancanza di Lin divenne insopportabile e Arthur decise che aveva procrastinato abbastanza ogni decisione, e che era ora di prendere in mano la situazione e di farla convocare per l’indomani mattina, con la sua colazione.

E così fu.

 

Ma, benché egli fosse stato sveglio da molto prima dell’alba, si era a malapena alzato dal letto, poiché aveva perso tempo arrovellandosi su cosa dire e cosa fare con lei, una volta che Lin fosse stata finalmente al suo cospetto.

 

Eppure, appena ella varcò la soglia, tutto quello che aveva premeditato era scomparso dalla sua mente.

Vederla entrare, con una circospezione che lei non aveva mai avuto prima d’allora, lo ferì enormemente.

Linette sembrava quasi un animale in gabbia. Braccato.

 

Anche da lontano, anche nella penombra del sole nascente che filtrava dalle tende ancora tirate, Arthur si accorse di quando fosse sciupata.

E una parte di lui si rammaricò nel vederla così, pallida e smagrita.

Eppure, un’altra voce dentro di lui si alterò, indignata. Perché diamine lo aveva assecondato nella sua follia, se in realtà lei non lo voleva e si stava sfinendo dal rammarico?

 

“Mio padre paga così poco Gaius da farti patire la fame?!” la provocò, anche se quella, in realtà, era l’ultima delle sue intenzioni.

 

Merlin sussultò, sorpreso e impreparato di fronte a quell’attacco inatteso.

“Forse siete voi a pagarmi troppo poco!” ribatté, per difendere istintivamente il suo mentore.

 

Non pago per dei servigi che non mi sono stati resi”, si tutelò il principe, piccato, maledicendo poi la propria impulsività. “No, senti, io-”

 

Fu un bussare urgente che li interruppe, e la testa di un valletto che faceva capolino scusandosi dell’intromissione.
“Sire!” salutò, deferente, preferendo ignorare la tensione fra loro. “Linette! Gaius ha urgente necessità del tuo aiuto con un paziente grave! Mi ha mandato a chiamarti!” le comunicò, dileguandosi.

 

Con quella scusa, il mago si congedò, con lo stomaco in subbuglio e una pressante voglia di piangere, di urlare o di rompere qualcosa. Possibilmente in testa all’Idiota Reale.

                                                                                                                                                   

 

***

 

 

Fu solamente a tardo pomeriggio che Linette ricomparve, ancor più stanca e pallida.
Arthur ebbe compassione di lei. Per questo, non osò chiederle nulla e, invero, l’ultimo dei desideri di Merlin era fare conversazione con il nobile Babbeo e finire per litigarci di nuovo.

 

Lo stregone gli preparò il bagno in religioso mutismo e, mentre il principe si lavava, egli riordinò gli appartamenti reali compiendo alcune faccende che quel giorno nessun sostituto aveva portato a termine per lui.

 

Era un silenzio irreale quello che gravava fra quelle mura.

Una quiete solo apparente, un’atmosfera cupa.

Aria tesa, e musi lunghi.

 

Merlin aveva scelto la linea del silenzio, rivolgendosi all’erede il minimo indispensabile, non avendo idea di dove incominciare, e Arthur non lo aiutò a superare questo scoglio fra loro, in realtà perché anche lui non sapeva come fare.

 

Erano consapevoli entrambi del fatto che fingere che tutto fosse normale era folle, eppure quella era ugualmente una fragile tregua o un punto d’inizio.

 

Fu forse per questo che, all’ora di cena, quando Lin tornò col vassoio delle vivande, il principe si sconcertò.

 

“Perché il pasto è di una sola porzione?” le chiese Arthur, allungando d’istinto una mano verso di lei per sfiorarla e, a quel gesto, Linette s’era ritratta impulsivamente, amareggiandolo.

 

“Non ho fame, Sire. Mi dispiace. Non mi sento bene”, aveva sussurrato Merlin, evitando accuratamente di guardarlo. Se l’avesse fatto, avrebbe visto lo sguardo ferito del principe.

 

Ma, un secondo dopo, il nobile s’era ricomposto, stringendo la mascella.

“Bene. Puoi andare. Non mi servono più i tuoi servigi per oggi”.

 

L’ancella se n’era andata con un inchino, senza neppure augurargli la buonanotte.

                                                                                                                                                   

 

***

 

 

Il giorno dopo, se possibile, fu anche peggio.

Poiché dal cielo cadeva un’incessante pioggia, l’erede dei Pendragon aveva trascorso la mattinata a smistare della corrispondenza seduto alla propria scrivania, mentre la valletta reale, usando la magia per sbrigare in fretta i lavori di modo da stare il meno possibile con lui, come il dì addietro aveva cercato di non guardarlo, di fingere che non fosse lì, nella stessa stanza.

 

I tempi delle confidenze e dell’affiatamento sembravano ormai lontani, quasi dimenticati.

E c’era il tormento, lo stesso tormento, nei loro occhi. Se solo si fossero guardati…

 

Quando giunse l’ora del pranzo, nuovamente la serva porse i piatti al principe e fece per congedarsi.

Ma lui, con una mossa fulminea, le afferrò un polso sottile, trattenendola.

“Resta. Ti prego”, le disse, con un tono ansioso e disperato al contempo, che strinse il cuore di Merlin.

 

“Sire…” protestò debolmente.

 

“Non puoi fingerti indisposta tre settimane in un mese, Lin-Lin”, tentò lui, con un piccolo sorriso. “Se non hai fame, puoi sempre tenermi compagnia…” propose esitante, porgendole però una scodella con dei frutti di cui sapeva lei era ghiotta, anche se non poteva permettersi di prenderli al mercato perché troppo costosi.

 

Era un’offerta di pace. E potevano ricominciare da lì.

 

Merlin lo comprese, annuì e si sedette, benché rigido, accanto a lui. Da lì, iniziò un pasto strano.

Fatto di imbarazzo, e voglia di riavviare quel meccanismo perfetto che si era inceppato.

 

Forse entrambi non si erano ancora leccati le ferite a sufficienza, ma se volevano continuare verso il loro Destino, era tempo di interrompere quella pausa forzata e di riprendere il cammino.

 

Incredibilmente, fu Arthur ad iniziare, inghiottendo il proprio orgoglio.

“Ieri… non ti ho convocata per litigare. Non era mia intenzione farlo”, si scusò, a modo suo.

 

Linette rimase ferma, attenta. Quasi stordita da quella rivelazione. Ma poi il principe vide il suo corpo rilassarsi impercettibilmente contro lo schienale della sedia.

 

“Potresti… riprendere tutti i tuoi doveri?” le propose Sua Maestà, malcelando la speranza intrisa nella voce.

 

“Oh, temo sia inevitabile”, sbuffò Merlin, fingendo accondiscendenza. “State facendo ammattire tutti i valletti che mi hanno sostituito! Malcom è venuto a supplicarmi, perché interceda per lui preso di voi… teme di finire al rogo, o una cosa così”.

 

“Alla gogna, non al rogo…” biascicò l’Asino Reale, vergognandosi un po’ delle proprie minacce e prepotenze. “Ma non era certo colpa mia se lui-” non era te “era un tale incompetente!”

 

Merlin sollevò un sopracciglio come il suo maestro.

“Allora posso rassicurarlo del fatto che domani avrà ancora salva la vita?” lo incalzò.

 

E d’improvviso, l’erede comprese che Lin si stava prendendo gioco di lui.

“Solamente se io e te andremo a caccia, domattina. Solo noi due. Come ai vecchi tempi”.

 

“Accetto”, acconsentì il mago, su due piedi, d’impulso.

 

Eppure, inaspettatamente il principe assottigliò lo sguardo, sondando la sua faccia.
“No, aspetta… fammi capire… fai tutto questo per quel… quel Malcom?” indagò, sembrando sospettoso – e forse geloso.

 

Anziché rispondergli, Merlin sbuffò nuovamente.

“Giù, nelle cucine, si fanno scommesse… su quanto durerà il prossimo valletto. La più quotata è mezza veglia. Lo sapevate?” gli rese noto, con una smorfia sarcastica.

 

Arthur, sentendosi umiliato, s’indignò.

“Sono solo un branco di incompetenti e-”

 

“E voi fate i capricci come un bambino viziato”, gli appuntò il servo, con tono leggero, per poi ridivenire serio: “Non mi avevate forse promesso di rendere Camelot un luogo migliore? Niente più prepotenze né ingiustizie?” gli rammentò, pungolandolo nell’onore.

 

“E tu non mi avevi forse giurato che non avresti mai usato la tua magia contro di me?”

 

Merlin sussultò, colpevole, notando che – malgrado i molti giorni trascorsi – vi è ancora una discreta traccia del livido sul nobile volto. A causa della penombra nella stanza, il giorno addietro, quando lo aveva rivisto dopo tanto, non se n’era reso conto subito.

Bugia. Era perché aveva cercato di guardare in faccia Arthur il meno possibile.

 

“Mi avete chiesto voi di colpirvi…” si giustificò, ingoiando i sensi di colpa. “Perché non lo avete fatto curare?”

 

“Era solo una sciocchezza…” si schernì il cavaliere, distogliendo lo sguardo, a disagio.

 

“Una sciocchezza non impiega più di mezza luna a guarire…” lo contestò Merlin, sollevandosi dalla sedia per accostarsi a lui.

 

Vedendolo da vicino, comprese che sarebbe servito un buon unguento per aiutare l’assorbimento dell’ematoma, ma probabilmente l’Asino era stato troppo orgoglioso per chiedere aiuto, e dover magari giustificare il perché di quel livido.

Arthur sarebbe morto, si disse, piuttosto che rivelare di essere stato colpito da una donna.

 

Ma, in verità, avrebbe potuto mascherare quella percossa come un incidente occorso durante gli allenamenti o una distrazione fatale. E il suo smisurato amor proprio ne sarebbe uscito intatto…

 

“Dovevate farvi visitare da Gaius…” considerò, con occhio clinico. Probabilmente aveva esagerato con la propria forza magica. “Forse lo zigomo si è fratturato”.

 

“Me lo meritavo”.

 

Arthur non le confessò che il dolore di quel livido non era niente, se paragonato alla voragine che sentiva dentro.

E che la considerava una giusta punizione. Una – benché minima – espiazione per il dolore di lei.

 

“Su questo non v’è dubbio”, concordò lo scudiero, e tuttavia egli allungò, lentamente, le proprie dita sulla zona ferita, sfiorandola con delicatezza.

 

Arthur sussultò ugualmente, poi strinse i denti ordinandosi di non arretrare.

Chiudendo gli occhi, si lasciò invadere la mente da quel tocco lieve e gentile, dal profumo di lei – quanto gli era mancato! – dalla sua vicinanza.

 

Anche Merlin si sentiva turbato, ma si impose di non fuggire, mentre gli sussurrava un incantesimo di guarigione e la pelle martoriata guariva miracolosamente.

 

Solo alla fine, il mago si accorse che il principe gli aveva afferrato un lembo della gonna.

Come avrebbe fatto un bambino spaventato, temendo di essere abbandonato da sua madre.

 

“Mi dispiace. Non vi colpirò mai più”, si scusò, a sua volta, prendendosi finalmente il tempo di specchiarsi negli occhi che tanto amava, ora così lucidi e vulnerabili.

 

“Potremmo… ritornare ad essere amici? Sarebbe un buon inizio”, offrì il principe, come proposta di pace.

 

Ed egli annuì.

Per egoismo. Per necessità.

E perché gli accordi per il matrimonio di Morgana andavano conclusi prima dell’inverno.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono le mie paranoie. X°D

 

Note: Nel lontano capitolo 26, mi si chiedeva di vedere Linette alle prese con uno spasimante. Beh, eccolo.

Dopo il vampiro, s’intende. XD

Fin da subito, sapevo che questo pretendente non avrebbe realmente minato il rapporto fra i nostri eroi (perché MerLin non è come una certa Banderuola di nostra conoscenza ¬.¬), ma mi ha dato modo di lavorare sulla caratterizzazione di Arthur, da un lato pronto a farsi da parte, dimostrando la sua maturità accresciuta, dall’altro pur sempre egoista verso chi ama.

 

C’è anche uno scorcio padre-figlio sul rapporto fra Gaius e Merlin, come chiesto.

 

Vi è anche un riferimento al cap. 58, quando Merlin rammenta ad Arthur la sua promessa di rendere Camelot un luogo migliore, senza più prepotenze né ingiustizie da parte di chi comanda.

 

Nel caso vi siano rimasti dubbi, chiedete pure! ^^

 

 

Precisazioni al capitolo precedente e domande varie: (a random)

- Non ho molto da dire, perché ho già risposto sotto ai commenti.

Qualcuno ha diviso la colpa a metà, qualcun altro ha detto che non ci sono colpevoli.

La maggior parte di voi ha parteggiato per Merlin. Personalmente, credo che sia Arthur ad avere avuto la peggio, perché lui è due volte massacrato. Ha sempre ‘subito’ le scelte di Merlin in questa storia e ora, anche se ama Linette, fa la scelta più dura per quello che, lui crede, sia il bene di lei.

È ovvio che dire – e sentirsi dire – quelle parole crudeli fosse terribile, ma lo è stato per entrambi.

- Ora che si è toccato il fondo, non ci resta che risalire e molto  ci aspetta prima della fine.

- La cosa del capire “l’essenza dentro l’apparenza” è un cammino interiore di accettazione.

Arthur deve capire (e accettare) che Merlin e Linette siano la stessa persona.

Una parte di lui l’ha fatto incredibilmente in fretta: Arthur ama Lin proprio perché lei è così identica a Merlin.

Ma Merlin, con le sue bugie, lo ha depistato, anziché aiutarlo a fargli capire la coincidenza esatta fra loro.

- Ancora una volta, Morgana e Uther, a modo loro, hanno dimostrato il loro affetto, sono contenta che lo abbiate apprezzato.

- A domande specifiche, ho risposto direttamente sotto la recensione.

 

 

Vi metto BEN QUATTRO anticipazioni del prossimo:

 

Come spesso accade, i grandi eventi nascono da piccole cose. Ed enormi disastri sono generati da minime distrazioni.

 

Le cose precipitarono un giorno come tanti altri, a metà di un mite ottobre, quando re Uther venne salvato da morte certa dalla sua pupilla.

 

(...)

 

Dopo il sollievo iniziale e aver punito il colpevole, il monarca si era interrogato a lungo su quella vicenda. Ed era rimasto fortemente turbato da quella rivelazione di Morgana.

Un conto erano i suoi incubi un po’ troppo vividi, e delle coincidenze talvolta bizzarre, un altro paio di maniche erano delle premonizioni precise e minuziose.

 

Arthur si era aspettato quasi che, prima o poi, suo padre pronunciasse la fatidica parola. Stregoneria.

 

Per questa ragione, dopo averne parlato con Merlin, il principe stabilì che – per il bene della sua sorellastra – ella avrebbe dovuto lasciare Camelot il prima possibile.

 

(...)

 

Gwen sarebbe andata con Morgana, ovviamente, mantenendo il suo ruolo di valletta personale della principessa.

Anche per lei, lasciare Camelot era un grande passo. Ma, in fondo, la sua signora era la sua famiglia.

Guinevere aveva perduto tempo addietro i propri affetti più cari – la madre e un fratello di cui non parlava mai volentieri – e, con la morte del padre, niente la teneva davvero legata alle terre dei Pendragon.

 

Eppure, anche per lei il Destino aveva in serbo qualcosa.

 

(...)

 

“È proprio somigliante a suo cugino, non trovi?” sottolineò Gwen, facendo le presentazioni fra loro, nello studio del medico di Corte, dove lo aveva trascinato per rincontrare anche Gaius.

 

Lance osservò il mago per un lunghissimo istante, mentre uno strano lampo gli attraversava lo sguardo, come se avesse ricevuto un’improvvisa, soprannaturale intuizione.

 

 

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(Se vi va di darmi un parere, lo apprezzerei molto!)

 

 

Ringrazio i 270 utenti che hanno messo questa fic fra i ‘preferiti’, i 42 ‘da ricordare’ e i 417 ‘seguiti’.

E i 470 utenti che mi hanno messa fra gli autori preferiti. Grazie della fiducia.

 

 

 

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