[
To
love you
love
you
love
you
love you.]
Tre di
notte. A Clara sembrò di aver vissuto tremila notti, tutte quante in quelle
poche ore. Con il solito ma
finalmente non represso impulso infantile decise di stringersi il lenzuolo
bianchissimo addosso, come avrebbero fatto le eroine moderne dei suoi romanzi.
Fiere della loro perdizione, del loro urlo di libertà. Ma non c’erano state urla
di alcun genere quella notte.
Clara lo
guardò, addormentato, nella luce che, tenue, entrava dalle finestre. Aveva
lasciato tutto aperto. Nessuno di loro temeva il freddo, non quello fisico
almeno. Non aveva mai visto un uomo nudo prima di allora, non nella realtà
almeno. E ora davanti aveva il corpo perfetto di un amatore. Perché François era
semplicemente questo, un amatore. Lui amava, nient’altro.
La luce
sfiorava solo qualche ricciolo, poi abbandonava il volto e inondava il petto, il
ventre, giù fino all’incavo prima delle gambe. Clara aveva amato quel corpo. Si chiese
se davvero, si poteva amare solo il corpo di un uomo senza apparire blasfemi.
Ma era vero,
pensò, scivolando giù dal grande letto, insieme al lenzuolo. Aveva amato quel
corpo. Lei amava il corpo di François, e lo avrebbe amato sempre. Lo aveva
deciso.
Percorrendo
la camera da letto, giunse alla sala attigua. Non si stupì di vedere che il
balcone di ferro battuto era piccolo come quello del quadro: aprì la
portafinestra e si affacciò.
Roma le
venne incontro con un gran sciabordio di vita, troppo simile a quello del mare.
No, c’est l’océane, Mlle. Giusto,
c’est l’océane. Ma non era buio. Clara lasciò che un sorriso enorme, inusuale, e
anche un po’ ebete – infantile, la parola
giusta era infantile – le si distendesse sul viso.
Quella
distesa nera, compatta, immensa come l’oceano le apparve quella notte popolata –
finalmente – da centinaia, migliaia di barche.