Gli
occhi sono lo
specchio dell'anima
0.1 - Le ombre del passato avvolgono il presente
Siria
attraversò l'ingresso e aprì la grossa porta in
legno che le stava di fronte, mentre la confusione cominciava ad
avvolgerle la mente. Avanzò fino a raggiungere il primo dei
tre gradini posti di fronte all'abitazione, spalancando gli occhi per
la sorpresa. Un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra quando si rese
conto che niente di quel magico panorama era cambiato: gli alberi,
l'aria di montagna, il balcone, l'erba, l'insegna in legno appesa sul
lato destro del portone, i tavolini, il Castello, erano ancora tutti
lì. Lo spiazzo in terra battuta si trovava ancora di fronte
ai suoi piedi e su di esso, sul lato destro, sostava ancora un canestro
mobile decisamente troppo alto per lei. Incredula lasciò
vagare lo sguardo, cercando di ricordare se tutto ciò che
stava vedendo era realmente come l'aveva lasciato.
Il
bosco copriva il panorama su tutti e tre i lati che era in grado di
osservare. Di fronte a lei, se la memoria non la ingannava, ad appena
una trentina di metri, avrebbe trovato un campo di pallavolo piuttosto
rudimentale: la rete cadeva a pezzi e sul campo, che era certa fosse
stato sgombro tempo addietro, sostavano mucchi di sassi e radici
lasciati crescere nel tempo. Poco oltre di esso, un recinto in rete e
cemento delimitava il confine della proprietà e separava la
terra e l'erba dall'asfalto della strada.
Alla
sua destra, invece, il bosco fitto correva per oltre quaranta metri
prima di poter incontrare una capanna in legno che era certa fosse
stata occupata, un tempo, da un guardiacaccia. Una volta aveva provato
ad entrarvi, accompagnata da degli amici, e tutto ciò che
era stata un grado di trovare erano stati dei rudimentali attrezzi da
boscaiolo e qualche fucile. Oltre di essa, il bosco sarebbe poco a poco
scomparso, lasciando spazio a un prato incolto, colorato da alcune
margherite bianche e gialle. Sulla destra del prato, ricordava di aver
trovato una serie di bersagli, forse adibiti al tiro con l'arco, e
qualche ostacolo che supponeva appartenesse a un esteso percorso di
sopravvivenza che occupava buona parte degli alberi del bosco
sovrastante. Alla sinistra del prato era certa si trovasse ancora il
campo da calcio in ghiaia dove aveva passato buona parte dei giorni
trascorsi in quel luogo. Aveva lasciato più sangue su quella
terra di quanto non glie ne stesse scorrendo nelle vene in quel
momento. Sorrise al ricordo, aggiungendo un'altra pietra a quel
paesaggio. Tra le foglie se ne poteva quasi intravedere la sagoma. Di
fronte al campetto, esattamente a metà strada tra esso e la
Villa che le stava alle spalle, si trovava un gigantesco Hotel a cinque
stelle, o almeno così le era sembrato, visto il lusso al suo
interno. Ci era entrata una volta soltanto e quella volta era bastata
per capire che non si sarebbe mai potuta permettere più di
una notte al suo interno.
Quasi
risvegliata da un sogno, ancora meravigliata dal panorama che i suoi
occhi potevano accarezzare, voltò il capo a sinistra,
riuscendo a intravedere, sopra le chiome più alte della
schiera di alberi che circondava la Villa, la sagoma dei tetti di
alcune torrette: Il castello dei Savoia era ancora lì, con
le sue grasse torri dai tetti azzurri, in posizione elevata rispetto a
un giardino ricoperto di fiori, le cui piante recavano un cartellino
con indicato il nome scientifico e non della specie di
appartenenza. Era stato magico attraversare i vialetti che
conducevano al castello, respirare il profumo di quei mille fiori e,
infine, provare a immedesimarsi negli abitanti dell'epoca, una volta
entrata dal portone principale.
Peccato
che al momento a separarla da esso non vi fossero solamente una
manciata di alberi, bensì quella lunga rete metallica che
correva lungo tutto il confine. Qualche anno prima, durante una
'spedizione' organizzata dai suoi responsabili dell'epoca, aveva
trovato un buco gigantesco che le aveva permesso di trovare un sacco di
legna secca da bruciare nel falò della domenica. Inutile
dire quanto fosse stato stupido avvnturarsi in un pezzo di terreno
incolto, con erba sassi e legna fino alla vita, col rischio di trovare
lunghi serpenti arrotolati alle caviglie al ritorno. Col tempo quella
falla nella recinzione era diventata il loro ritrovo e, nonostante
stessero crescendo e diventasse sempre più difficile
avventurarsi dall'altra parte del terreno, continuavano a sottrarre
legna e idearvi prove di coraggio.
Ma
non era stata quella la parte più difficile per una
ragazzina di undici anni, quanto il trascinar le valigie lungo il
sentiero che correva perpendicolarmente rispetto alla Villa e fungeva
da collegamento tra di essa, l'Hotel e la strada. Al termine di essa vi
era uno spiazzo di terra ricoperta da sassolini bianchi; ed era
lì che il pullman si fermava e riconsegnava cibo e valigie.
Il sorriso sul volto della giovane si allargò al ricordo
della fatica e dell'orgoglio provato nel posare le valigie esattamente
dove i suoi piedi sostavano in quel momento.
Ma
c'era una cosa che stonava in quel panorama.
Qualcosa
che non ricordava di avervi mai visto.
Una
sagoma sostava sul sentiero, al limitare del bosco. Era un ragazzo, un
uomo, dai capelli neri e un'espressione incuriosita e sarcastica sul
volto. Attendeva immobile, le braccia lungo i fianchi e un giubbotto in
pelle nera, appena mosso dal vento, nascondeva quasi interamente la
maglia nera con lo scollo a V che vi portava sotto. I pantaloni e le
scarpe riprendevano lo stesso colore. Interamente scuro stonava con il
paesaggio dai colori accesi che lo circondava.
Gli
occhi grigi di lui sembravano ricambiare il suo sguardo con
un'intensità che la metteva piuttosto a disagio,
così, sia per spezzare il silenzio, sia nella speranza che
egli svanisse, gli rivolse la parola.
"Cerchi
qualcuno?" domandò, non riuscendo a ricordare in
quell'istante perché avesse la certezza che non vi fosse
nessun altro oltre loro due.
"Sì,
si potrebbe dire che io stia cercando qualcuno." rispose in modo
piuttosto criptico, lasciando che l'ironia contagiasse anche il suo
lieve sorriso.
"Mi
dispiace, ma il mio gruppo è partito per il villaggio
mezz'ora fa, quindi, a meno che tu non stia cercando me credo dovrai
tornare più tardi..." cosa le desse la sicurezza di
professarsi sola in una zona remota come quella, non riusciva ad
afferrarlo, ma, quando lo vide alzare le spalle e sollevare un
sopracciglio, non se ne stupì. Lo vide fare un passo
indietro e poggiarsi con la schiena a uno degli alberi che definivano
il confine del sentiero, mentre continuava a osservarla con l'aria di
chi stesse studiando una specie in via d'estinzione.
Sembrava
aver voglia di scambiare due parole o comunque di non voler lasciare
quel luogo, così, Siria scese il gradino dal quale aveva
osservato il panorama e vi si sedette, lasciando vagare lo sguardo di
fronte a sé.
"Stai
al Belvedere?" domandò rivolgendosi all'uomo.
"Cosa
te lo fa pensare?" chiese lui di rimando.
"Beh,
chiaramente non sei di questa zona. Non è un luogo dove si
passa per caso e non ho sentito il rumore di alcun motore, quindi sei
arrivato qui a piedi. Se abitassi in paese probabilmente saresti
arrivato in macchina o in moto e dubito fortemente che qualcuno decida
di farsi a piedi quattro chilometri nella speranza di trovare qualcuno
senza curarsi, però, di telefonare prima. Quindi, o sei
pazzo, o alloggi al Belvedere."
C'era
qualcosa di tremendamente sbagliato in quelle parole, ma la ragazza non
se ne curò. In risposta a quell'eccesso di logica, l'uomo
semplicemente rise.
"Beh,
sì, confesso..." ammise in seguito, avvicinandosi e
sedendosi accanto a lei.
Rimasero
in silenzio entrambi per alcuni secondi, ognuno perso nei propri
pensieri. Fu Siria a rompere ancora una volta il silenzio.
"Non
mi hai ancora detto chi stai cercando." disse voltando il capo verso di
lui.
"Non
sto propriamente cercando qualcuno. Diciamo che... mi sono perso.
Più che altro sto cercando uno sguardo... una ragione..."
"Quindi,
in pratica sei qui per... nulla." rispose con un velo d'ironia. Ma,
l'uomo, voltandosi, lesse nel suo sguardo un qualcosa che andava oltre
l'ironia, vi lesse comprensione. "Uno sguardo è un po' vago
come indizio, sai?"
"Già,
ma per ora è tutto quello che ho. Ho letto qualcosa in esso,
mi ha ricordato qualcosa del mio passato, anche se non ho idea di che
cosa." nel suo tono era chiara l'irritazione oltre all'ovvia sorpresa e
curiosità.
"Beh,
è una bella grana, non credi? E come avresti intenzione di
ritrovare quello sguardo?" domandò, riconoscendosi in
qualche modo nelle sue parole.
"Ci
sto lavorando."
Improvvisamente
si rese conto di ciò che non andava in quell'atmosfera. Era
certa di essersi alzata, quella mattina, con l'influenza, eppure
ricordava immagini sfocate di lei alle prese con la scuola, il lavoro e
una cena con degli amici. Era certa di avere la febbre ma non avvertiva
alcun brivido di freddo, nonostante indossasse una maglietta a maniche
corte, e non si sentiva obbligata a stendersi, come era solita fare...
Era seduta accanto a uno sconosciuto a parlare di cose che sembrava
comprendere, ma delle quali non sapeva assolutamente niente, sul
gradino di una villa che era certa di non visitare da almeno cinque
anni. Il sospetto si fece largo nella sua mente, così,
ignorando l'uomo seduto accanto a lei, immaginò le curve di
un pallone da calcio prendere forma a qualche metro da lei e, pochi
istanti dopo, lo vide comparire esattamente dove lo aveva immaginato.
Lo
sguardo del ragazzo si fece più consapevole vedendo quella
sfera prendere forma di fronte a sé. Non l'aveva
contemplata. Voltò il capo, osservando con stupore e un velo
di meraviglia la ragazza seduta accanto a sé. E' in
grado di controllarli, pensò, in modo
piuttosto rudimentale, certo, ma è in grado di farlo; prima o poi avrebbe capito
che egli non era frutto della sua mente.
"E'
solo un sogno, non è vero?" domandò, infatti.
Lontano
dalle loro coscienze, il suono di una tazza su un piano in legno
disturbò l'uomo. Aveva perso troppo tempo a ricercare quelle
immagini e la casa nella quale non aveva il permesso di entrare si
stava animando. Aveva ancora qualche secondo, forse, prima che la
sveglia della ragazza suonasse, così, l'immagine di
sé custodita nella mente della ragazza, si alzò
con un sorriso.
"Esattamente."
disse, voltandosi appena un attimo verso di lei, prima di incamminarsi
lungo il sentiero.
"Ehi,
aspetta, non mi hai nemmeno detto il tuo nome!" esclamò la
giovane, alzandosi.
"Chiamami
Damon." rispose, scomparendo alla vista.
"Spero
tu riesca a trovare ciò che stai cercando, Damon!"
urlò, cercando di restare ancorata a quella
non-realtà, ignorando il rumore della sveglia.
Aprì
gli occhi appena in tempo per vedere due occhi grigi e una sagoma scura
svanire dalla sua finestra. Si diede della stupida con un sorriso. Era
stato un sogno, quell'uomo era solamente frutto della sua
immaginazione. Immaginazione che in quel momento stava attraversando
alla velocità della luce le vie della città,
osservando il mondo con uno sguardo confuso.
NDA:
Che dire, ho impiegato due settimane a trovare delle foto per dar vita
a quel penoso banner che sta sotto il titolo. Direi che mi merito un
applauso...
Imbarazzanti constatazioni a parte, il capitolo era pronto da un po',
ma mi urtava profondamente postarlo grezzo e senza grafica,
perciò ho impiegato più del previsto a
regalarvelo, spero di non avervi fatto penare troppo.
Damon, giustamente ha deciso di stressare Siria via sogno prima di
concepire l'idea di incontrarla di persona. Personalmente suppongo mi
spaventerebbe l'idea di incontrare una persona che sia in grado di
rendere evidenti i miei errori semplicemente con uno sguardo... se da
un lato maledico il fato, dall'altro ringrazio che Damon sia solamente
il frutto dell'immaginazione di una scrittrice: già
è difficile affrontare certe considerazioni nella solitudine
della propria mente, figuriamoci farlo di fronte una persona che agisce
esattamente come te.
Il luogo descritto nella storia esiste realmente e si trova a Gressoney
Saint-Jean, nascosto alla vista da una distesa di alberi. Ovviamente,
l'uomo si è servito della memoria della ragazza per trovare
un luogo che la facesse sentire a suo agio, ragion per la quale ha
sprecato l'intera nottata.
Non ho la minima idea di quando si incontreranno, ma so per certo che
Siria dovrà raccontare a qualcuno ciò che ha
sognato e ho la vaga impressione che una tale Marta apparirà
come per magia ad ascoltarla...
Se volete sapere come abbia fatto Siria a far apparire un pallone dal
nulla e non avete idea di che cosa siano i Sogni Lucidi, vi consiglio
vivamente di cercarlo su Google, vi si aprirà un mondo!
Detto questo mi dileguo ;)
Baci!
Siria.
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