Bianca
– Mio fratello mi invita a casa sua.
Quando
mi risvegliai vidi una ragazza dai capelli color
del miele china su di me che mi stava spalmando una specie di pomata
fresca
sulla ferita che avevo sopra l’orecchio sinistro.
“Ah.”
Mi lamentai, quando sentii la lesione bruciare.
“Stai
calma, sta per guarire, devi solo stare ferma.”
Mi consigliò la ragazza, con voce dolce.
Mentre
finiva, la osservai. Sembrava una ragazza sui
sedici anni del tutto normale. Aveva lunghi capelli biondo scuro, gli
occhi
chiari. Era alta, snella e molto carina. Indossava un paio di jeans e
una
camicia. Era molto bella.
Dopo pochi istanti il dolore passò del tutto.
“Ecco,
dovrebbe essere guarita.” Sentenziò lei,
annuendo soddisfatta.
“grazie.”
Risposi, alzandomi a sedere. Ero ancora un
po’ stordita ma, a quanto pareva, dovevo essere ancora viva,
dato che ero cosciente
ed il dolore era reale.
“Io
sono Calipso.” Si presentò la ragazza con un
sorriso luminoso. “Sono l’aiutante di Chirone, qui,
al Campo Mezzosangue. Mi
occupo dell’infermeria e del magazzino.
Quando sei venuta qui avevi una cera davvero terribile,
per fortuna
conoscevo la cura adatta alla tua ferita.”
“Be’,
grazie.” Dissi, senza pensarci troppo. Cavolo, mi
aveva salvato la vita.
“Di
nulla, ora riposa, Chirone ha riunito i Capi Gruppo
di tutte le Case. Sembra che tu gli interessi molto.”
Aggiunse, mentre
rimetteva a posto i recipienti di varie medicine.
Sospirai.
Lo
immaginavo, quando Percy mi aveva parlato di Chirone
e della mia storia mi ero aspettata di scatenare un putiferio. Ed
infatti era
avvenuto. Tremavo al solo pensiero di essere sotto l’esame di
altri semidei e
del direttore del campo. Decisi di riposare in attesa che venissero a
chiamarmi. Dopo la mia patetica performance contro i mostri cannibali
avrei
tanto voluto sparire. Ero stata un peso per tutti e mi avevano anche
dovuta
salvare.
Sbuffai.
Chi si disturberebbe a riportare in vita una fallita
come me?
All’improvviso
la porta si spalancò ed entrò uno
ragazzo stranissimo. Aveva una cascata di lunghi ricci scurissimi,
quasi neri,
gli occhi erano azzurri, molto chiari, tanto che era difficile capire
se dove
fossero le pupille. Era alto e doveva avere un anno più di
me, al massimo.
Indossava Jeans e una maglietta arancione, ma la cosa che mi sorprese
di più
furono le due paia di ali che aveva ripiegate sulla schiena che si
attaccavano
ad essa tramite due ampi tagli all’altezza delle spalle. Le
piume erano così
bianche che sembravano riflettere la luce e sembravano sufficientemente
forti
da sostenere una persone. Esistevano ragazzi così?
“Scusa,
Calipso. Chirone avrebbe mandato a chiamare la nuova
arrivata. Poso portarla nella sala
comune per la riunione?” Chiese, calmo, con un espressione
che sembrava
addolorata.
Avevo
sentito la nota di pericolo con cui aveva
pronunciato nuova arrivata. Si
riferiva certamente a me e capii anche che, da come l’aveva
detto, che sarebbe
arrivata una specie di prova, di lì a poco.
Mi agitai.
Cosa volevano da me? Una prova? Magari che io dicessi che ero veramente
Bianca
di Angelo? Come potevo dimostrarlo?
“Credo
sia in condizioni di camminare, ma non mettetela
troppo sotto pressione. È ancora fisicamente
debole.” Rispose Calipso per me.
Quel nome mi sembrava familiare. Forse l’avevo letto in un
libro?
“D’accordo.”
Disse il ragazzo alato, per poi voltarsi
verso di me, sorridendomi. Non potei fare a meno di rispondere, io
stessa con
un sorriso. Sembrava un tipo simpatico.
“Ciao,
io sono Jack Frost, figlio di Borea.” Si
presentò lui, porgendomi la mano.
“Bianca…
ehm, vorrei poter dire figlia di qualche
divinità, ma non so nemmeno chi sia, anche se sembra che io
sia figlia di Ade.”
Risposi al limite di esplodere per l’imbarazzo. Il problema
di avere una vita
del genere, fondamentalmente, era che non potevo essere certa di nulla.
Scesi
dal letto barcollando. Sembrava tutto a posto, ma mi girava un
po’ la testa;
sperai che durasse poco.
“Piacere
di conoscerti. Conosco la tua storia… immagino
sia un bel casino non ricordarsi nulla.” Mi
rassicurò, stringendosi le spalle.
Almeno non si faceva problemi a parlare con una morta.
“Non
hai idea… è da ieri che cerco di ricordare
qualcosa.” Replicai, mestamente, mentre mi avviavo verso la
porta, con il
figlio di Borea al fianco “Ma quelle ali?” Chiesi,
subito, ansiosa di cambiare
argomento.
Lui
le stese un po’ sorpreso e disse: “Oh, queste. Sai,
è strano, alcuni semidei figli degli Dei dei Venti tendono a
sviluppare ali per
sfruttare al meglio i venti e volare più veloci.”
“Sembra
bello.” Commentai, affascinata. Mi chiesi cosa
si provava.
“Lo
è, ci si sente liberi. Essere capaci di volare è
un
dono raro, persino per quelli come me. Attualmente sono
l’unico semidio, in
trent’anni ad avere le ali.” Rispose con un sorriso
che tradiva l’orgoglio di
avere qualcosa di così bello. Non potei fare a meno di
invidiarlo.
Almeno
era simpatico. Jack aveva detto di conoscere la
mia storia, ma non sembrava farsi troppi problemi, anzi, sembrava molto
naturale, come se dovesse parlare del tempo. Quando uscimmo
iniziò ad indicarmi
le case, spiegando che, negli ultimi due anni, erano aumentate, dato
che a
tutti gli Dei, anche a quelli minori, erano state assegnate case per i
loro
figli semidei. La casa di Borea sembrava un grosso iglù a
forma di casa, ma
intuii che il ghiaccio era magico dato che, pur battendo il sole,
quello non si
scioglieva. La casa tredici, quella di Ade, mi interessò in
modo particolare.
Era nera, molto tetra, con due fuochi verdi davanti
all’entrata.
Eppure
ero attratta da quel luogo, come se mi stesse
inviando un richiamo silenzioso.
Mi
concentrai e seguii Jack fino alla Casa Grande.
All’entrata c’era un uomo che mi guardò
negli occhi, gelido e fermo, come per
analizzarmi. Avrei voluto ricambiare con un occhiata innocente, ma
avevo
problemi a capire quale degli occhi guardare. Ce n’erano
almeno una decina di
visibili: sulla fronte, sui palmi delle mani, sul collo. Sospettai che
ce li
avesse anche in altre parti, ma non volevo indagare. Ad ogni modo
cercai di far
capire che non ero un pericolo e quello dovette recepire il messaggio
perché
annuì come per farmi capire che potevo entrare.
“Argo.”
Spiegò Jack Frost, intuendo la mia perplessità.
“Lui ha occhi ovunque, letteralmente. È il capo
della sicurezza del campo.”
Entrammo
in una grande sala con al centro un tavolo da
ping pong. Intorno ad essa erano radunati una ventina di ragazzi, forse
di più.
Riconobbi tra loro Percy, Annabeth ed il ragazzo che mi aveva salvato
al mio
arrivo. Accanto a loro, a capo tavola c’era un uomo, o
meglio, un centauro. Il
busto le braccia e la testa erano di uomo e aveva una barba ben curata
che gli
dava l’aria del professore. Indossava una camicia a quadri.
Dalla vita in giù,
però, era un grosso stallone bianco.
“Benvenuta,
Bianca… o forse dovrei dire ben tornata, ad
ogni modo, permettimi di presentare i nostri capigruppo. Conosci
già Percy,
Annabeth e Jack, figlio di Borea. Lui è Nico.”
Disse, indicando il ragazzo
pallido dai capelli neri.
Il
mio cuore accelerò.
Nico.
Mio
fratello.
Avrei
voluto parlargli, ma quando mi guardò vidi i suoi
occhi, freddi come il ghiaccio, come se mi stessero esaminando ogni
molecola
del corpo. Mi sentii triste. Avevo sperato in qualcosa di
più da parte di mio
fratello, invece mi stava trattando come un fantasma. E probabilmente
aveva
ragione: ero un fantasma. Per di più lo avevo abbandonato.
Mi meritavo un
trattamento del genere.
Ad uno ad uno mi furono presentati tutti i capigruppo.
Jason che, per la verità, era un figlio di Giove, ma si era
trasferito al Campo
Mezzosangue, Clarisse, figlia di Ares, Leo, figlio di Efesto, Piper
(che mi
stava simpatica), figlia di Afrodite, Will Solace, i fratelli Stoll e
molti
altri. Non avrei mai ricordato tutti, ma i principali mi furono chiari.
Inoltre, tramite un messaggio Iride, mi presentarono anche Frank Zang,
figlio
di Marte e Reyna, figlia di Bellona, Pretori di Nuova Roma. Mi
guardavano tutti
intensamente. I due figli di Ermes sembravano i più sorpresi
di tutti.
Clarisse, invece, era semplicemente accigliata, come se stesse cercando
il modo
migliore per rimandarmi nell’Ade
“Somiglia
molto.” Sentenziò Connor, dopo diversi minuti
di silenzio.
“Sì…
somiglia davvero a Nico.” Rincarò la figlia di
Ares.
“Ecco
perché vi abbiamo riuniti.” Spiegò
Chirone,
rivolto sia a noi che ai romani. “Abbiamo molto di cui
discutere, anche con voi
di Campo Giove.”
“Lo
sappiamo, Chirone. Manderò una pattuglia nei pressi
di Monte Otri per scoprire se Atlante ha trovato un modo per
liberarsi.”
Assicurò Reyna, dopo che ebbe ascoltato il resoconto del
centauro. “ora, però,
possiamo passare al nostro… altro
problema?”
“Già…
con tutto il rispetto, Bianca, ma siamo sicuri
che sei davvero tu Bianca di Angelo? La sorella di Nico?”
Rincarò il suo
collega, accigliato. Sembrava che stesse prendendo la mia presenza come
qualcosa di personale.
“Mi
dispiace… ma non ricordo nulla. Non posso
assicurarvi di essere io.” Risposi, abbassando lo sguardo
dispiaciuta. Non
sapevo nemmeno io se volevo esserlo. Da una parte mi sentivo
terribilmente a
disagio con il mio presunto fratello. Dall’altra sarebbe
stato interessante avere
un passato. Non avevo voglia di ricominciare le ricerche da zero.
“Io
credo davvero che sia mia sorella.” Mi sostenne,
sorprendentemente Nico. “Mi somiglia e anche il suo aspetto
è simile a quello
di mia sorella. Se fosse cresciuta, sarebbe lei.”
“Non
ne dubito. Solo che non possiamo esserne sicuri.”
Precisò Jason, il biondo figlio di Giove, che continuava ad
osservarmi con un
certo interesse. Stava facendo balzare lo sguardo da me a Nico, come se
stesse
cercando una specie di conferma o reazione.
“Però,
quando vede o sente qualcosa di… familiare,
ha delle sensazione.” Disse
Annabeth, in mia difesa.
“Sentite…”
Provai a suggerire qualcosa, ma la mia voce
su sovrastata da quella degli altri che parlavano.
“Basta!”
Li interruppe, Nico, ad un certo punto. “Ho
già deciso io, lei, per ora, starà con me, nella
Casa di Ade, per ora, anche se
non siamo sicuri, lei è mia sorella.”
Mi
sentii arrossire fino alla punta dei capelli e
ringraziai gli Dei di avere dei capelli abbastanza lunghi da
nascondermi. Mi
sentivo terribilmente in colpa per averlo lasciato e incredibilmente
grata che
lui non sembrava serbare troppo rancore per me.
“D’accordo.”
Concesse Chirone. “Bianca, tu che ne
dici?”
“Io…
ecco… per me va bene.” Risposi, sudando, sentendo
tutti quegli sguardi che mi fissavano. Avrei voluto esprimere maggiore
gratitudine per il mio fratello, ma non riuscivo a mettere due sillabe
una
davanti all’altra.
“Molto
bene. La seduta è sciolta.” Concluse il
centauro, evidentemente sollevato.
“Eccoci.”
Annunciò Nico, dopo avermi fatto strada fino
alla Casa Tredici.
Se
all’esterno aveva un aria minacciosa, come una porta
infernale, all’interno era tutto molto accogliente: i letti a
castello erano
costruiti in mogano scuro, addossati, ordinatamente, alle pareti, sotto
i quali
erano posizionati due cassepanche. C’erano anche alcune
scrivanie, in fondo e
degli armadi, intervallati regolarmente, dai letti. Al centro
c’era un tappeto
leggero nero e le tende verde scuro, non erano così
minacciosa. Davano un senso
di intimità e sicurezza.
“Sistemati
dove vuoi.” Aggiunse, indicando la fila dei
letti.
Non
sapendo dove mettermi, e avendo ben pochi averi con
cui segnare il mio letto, decisi di sedermi accanto all’unico
letto che
sembrava occupato: quello di Nico.
Sistemai la mia roba nel baule, anche se era davvero poco: I soldi, le
dracme e
un paio di vestiti di ricambio che Sally mi aveva dato.
“Allora…”
Iniziò il mio presunto fratello, sistemandosi
sul suo giaciglio, fissandomi con sguardo glaciale. Mi sentii a disagio.
“Ecco…”
Provai a ribattere, ma non sapevo cosa dirgli. Ciao,
Nico. Ti ricordi? Sono la stronza che
ti ha abbandonato al campo. No, grazie, preferivo evitargli
i ricordi
spiacevoli. Ciao, Nico, come va’?
Scusami
se ti ho fatto credere di essere rinata, non l’ho fatto a
posta. E poi? Che
gli dicevo, non ero nemmeno certa di essere davvero
sua sorella.
Eravamo in un’imbarazzante situazione di stallo: non
sapevamo cosa dire. Lui sembrava indeciso se abbracciarmi o arrabbiarsi
con me.
Io, di mio, ero più confusa che mai. Avrei voluto scusarmi,
ma sentivo come se
volessi mettere una pezza gialla sopra un abito nero. Insomma, troppo
finta per
risultare credibile.
“Senti,
Bianca.” Provò, di nuovo, Nico. “Che ne
dici se
ti faccio fare un giro del campo?”
“Sì,
grazie… sai, non ho potuto dargli un occhiata vera
e propria… e come sai non ricordo nulla.” Risposi,
con un po’ troppa fretta. Ero
solo ansiosa di fare qualcosa che non fosse imbarazzante.
All’esterno
Nico mi guidò attraverso il campo,
mostrandomi la parete d’arrampicata. Fui molto affascinata
dall’Arena e dalla
pista per la corsa di bighe. Il ragazzo mi propose di allenarmi con
lui, dopo.
Intanto ci dirigemmo all’armeria.
“Tutti
i semidei devono essere armati e preparati ad
affrontare possibili attacchi di mostri.” Spiegò,
mentre entravo nella tenda.
Le pareti erano coperte da rastrelliere piene di armi.
Lance, asce, archi, fucili, pistole e spade. Tutti sembravano fatti
dello
stesso materiale con cui era fatto il mio coltello.
“Questo
è bronzo celeste.” Spiegò Nico,
indicando le
armi. “È letale contro i mostri, ma contro i
mortali è innocuo. Stai attenta,
però, con noi funziona proprio come con i mostri.”
“Incredibile…
ma chi costruisce tutte queste armi?”
Chiesi, soppesando una spada corta. Non che volessi usarla, dato che mi
pesava
parecchio e mi sentivo sbilanciata.
“Io,
insieme alla Casa di Efesto!” Rispose
allegramente, un tipo dai capelli ricci appena entrato. Lo riconobbi:
Leo
Valdez. All’inizio non l’avevo notato, ma sembrava
davvero un elfo. I capelli
ricci erano disordinati e gli incorniciavano il volto sottile.
“Ciao.”
Lo salutai, con gentilezza.
“Benvenuto
al Campo, Bianca.” Ribatté
lui, con un sorrisone.
“Ti
presento Leo Valdez, il ragazzo di Calipso e
miglior fabbro ed ingegnere del campo. Costruttore di innumerevoli
oggetti magici e
della Argo II , la nave volante che ci portò fino in
Grecia.” Lo
presentò Nico, senza scomporsi.
“Oh,
sono un tipo modesto.” Replicò Leo, con un
sorrisone.
“Allora, cercate un arma?”
“Sì.”
Risposi, automaticamente.
“Capisco…
be’, dovremmo lavorare parecchio.” Disse il
figlio di Efesto mentre iniziava a scorrere la fila di armi, sotto
l’occhio
vigile di Nico. “Allora, vediamo, tu hai iniziato con un
coltello, ma non so se
ti ci trovi bene.”
Provai
a ripensare a quanto mi ero sentita a disagio
con quella piccola arma. Non mi ci trovavo molto bene, anzi, mi sentivo
piuttosto impacciata, con un oggetto così piccolo.
“No,
infatti.” Decisi, infine. “Credo che mi troverei
meglio con una spada.”
“Vero…”
Mi squadrò con aria critica. “Io sono un
meccanico, non un armaiolo, ma credo che avrai bisogno di una spada non
troppo
lunga.”
Provammo
una decina di spade circa, ma nessuna sembrava
calzarmi a pennello. Una aveva il manico troppo largo e non riuscivo ad
impugnarla bene. Altri erano troppo lunghe e mi sbilanciavano troppo. Alla fine il mio sguardo
fu attratto da una
spada completamente nera.
“Quella
cos’è?” Chiesi, indicandola.
Nico
si rabbuiò di colpo. “Quella…
è una Spada Nera, create per i guerrieri di Ade. Lui procura, ogni tanto, del Ferro dello Stige per costruire armi. è un materiale molto raro e queste spade sono rarissime.”
Spiegò mestamente. Sembrava che la storia di quella spada
non gli piacesse.
“Come
mai si trova qui?” Chiesi, sorpresa.
“Ogni,
tanto gli Dei, ci donano armi e oggetti per il
campo. Ade ha lasciato un po' di ferro Nero, così l'abbiamo usato per creare queste armi.” Rispose Leo, scrollando le
spalle.
La
lama fatta di Ferro nero, come aveva detto Nico.
Sessanta centimetri di letale metallo nero che brillava di una tenue
luce
violacea. Pensierosa strinsi l’impugnatura che
sembrò fatta a posta per me. La
sollevai e la soppesai con attenzione. Mi sentivo stranamente in
sintonia con
quell’arma.
“Credo
userò questa.” Dissi, alla fine, facendola
roteare molto maldestramente. Almeno non mi era caduta di mano.
“Direi
che è un’ottima scelta.”
Sentenziò Leo, senza
abbandonare il suo sorriso.
“Mi
sembra una buona idea.” Confermò Nico, per la
prima
volta, con un’ombra di sorriso sul volto, come se gli
ricordassi qualcosa.
Il
resto della giornata passò tranquillamente. Nico mi
fece provare la spada all’Arena, insieme a Clarisse e Jason.
Il figlio di Giove
era molto simpatico e aperto e, dopo che mi ebbe disarmato per la
dodicesima
volta, mi ritirai sugli spalti dove incontrai la sua ragazza: Piper
Mclean,
figlia di Afrodite. Anche lei molto aperta e simpatica. Al contrario di
altri
non sembravano prendere in considerazione il fatto che ero una
non-morta e
chiacchierava amichevolmente con me.
Mi raccontò della loro avventura sulla Argo II della
guerra dei Giganti e di come avevano sconfitto Gea. Non si vergognava
ad
ammettere che aveva avuto una paura folle, certe volte, ma ammirai un
sacco
che, nonostante ciò, fosse andata avanti.
La
sera arrivò presto e io mi sedetti, insieme a Nico,
al tavolo di Ade. Percy e Jason erano poco lontani e mangiavano da soli
alle
tavole dei rispettivi genitori. Mentre mangiavo il mio sguardo fu
attirato da
Jack Frost che continuava ad aiutare un suo fratellino di dodici anni
che non
riusciva a raggiungere un condimento al centro del tavolo. Quel ragazzo
mi
sembrava un fratello modello e mi fece ripensare a quanto Percy mi
aveva detto:
avevo abbandonato il mio. Mi sentii in colpa, di nuovo, in meno di due
giorni.
Dopo
cena andammo tutti nelle rispettive capanne e io
mi sistemai, indossando il pigiama. Altro regalo di Sally Jackson. Mi
sedetti
sul bordo del letto osservando Nico che mi fissava con agitazione.
“Allora…”
Provò ad iniziare.
“Nico,
ascolta… io.” Lo interruppi, nervosa.
“Non so se
sono davvero tua sorella Bianca.”
Lui
non sembrò farci molto caso: “Non lo so nemmeno
io…
ma vorrei davvero che tu lo fossi.”
Mi
salì un groppo alla gola e mi misi la testa tra le
mani.
“Per
quanto possa valere, mi dispiace, Nico.” Dissi,
con un filo di voce. Dei, come sembravo patetica. Scuse per cose che
non sapevo
se avevo fatto e senza un motivo apparente.
“Non
preoccuparti, Bianca. Non è successo nulla.”
Rispose, prendendomi una mano nella sua.
Sapevo che stava mentendo. I suoi occhi tradivano una
profonda tristezza e angoscia, ma anche rabbia e amarezza. Ma lui stava
sorridendo e mi stava dando una possibilità. Almeno potevo
dire di non essere
messa così male.
“Grazie,
Nico… buonanotte.” Risposi, asciugandomi le
lacrime.
“Buonanotte,
Bianca.” Aggiunse lui, mettendosi a letto.
Sospirai
e mi coricai anche io, lasciando che Morfeo mi
portasse nel suo regno. Senza sapere che, anche quella notte, non
sarebbe stato
una dormita tranquilla.
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[Angolo Autore]
Ed
ecco qui l’ennesimo capitolo. Ora, lasciatemelo
dire, questo capitolo è un capitolo di…
passaggio, per così dire. Qui non
accade nulla di particolarmente rilevante o di pericoloso. Come vedete
Bianca
viene solo accolta al Campo Mezzosangue e fa la conoscenza dei pretori
e dei
Capigruppo.
Sì, lo so che nel seguito ufficiale di Rick uno di questi
personaggi ci lascerà
la pelle, ma, per gli Dei, non riuscirei mai a scrivere di un Leo
morto, di un
Nico morto o di una Reyna morta. Non mi sembra giusto.
Quindi, nella mia headcanon, tutti i personaggi sono sopravvissuti,
sono vivi e
vegeti. ^_^
Ad ogni modo ho ritenuto doveroso descrivere l’arrivo di
Bianca al Campo e le
varie reazioni. Inoltre vi invito a recepire i messaggi subliminali di
una
coppietta che ho nella mia mente tra Bianca e un semidio.
Ad ogni modo, spero che recensirete in tanti.
Ancora una volta ringrazio:
_Littles_
che fa delle recensioni molto belle e
molto interessanti.
Biancadiangelo
che non so come mai, ma gli piace
questa storia. :P
Silvia_fangirl
che sono felice, sempre, dei suoi
consigli.
Nikidiangelo
che comprendo.
Quindi
grazie ancora, spero che verranno altri,
dietro di loro e non vi preoccupate. Nel prossimo capitolo i misteri si
infittiranno.
AxXx
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