Quentyn Martell
Quentyn
Martell.
Maschera.
Daenerys della nobile casa Targaryen, la Non-Bruciata, Nata dalla
Tempesta, prima del suo nome, regina di Meeren, degli Andali, dei
Rhoynar e dei Primi Uomini, Lady dei Sette Regni, Protettrice del
Reame, Khaleesi del Grande Mare d'Erba, Distruttrice di Catene -Madre
dei Draghi. È così che si fa
chiamare, scrive suo padre.
-A cosa pensi?- chiede Gwyneth, dopo aver lasciato cadere il fiore fra
l'erba ed averlo osservato per qualche istante.
Quentyn strappa una manciata di steli, distrattamente. Il sole,
annegando fra le aspre cime d'una catena montuosa, soffia un ultimo
respiro caldo. Il tramonto è dolce su quella terra
così dura.
-A niente in particolare.- assicura, giocherellando i pollici e
tradendo un certo nervosismo. Gwyneth studia il suo volto per qualche
istante, poi lascia perdere. Impossibile dire quando il principe
è preoccupato. Lui non sorride mai -nè quando
è
effettivamente preoccupato, nè quando è
tranquillo. E poi -così, per gioco- pensa che le piacerebbe
sposarlo. Non è Dorne che le interessa -è questo
fuoco nero che pervade Quentyn da dentro, come un alito di vita
crudele, come un destino turbolento e fuori dal comune. Che si riflette
sul suo viso dalla
fronte troppo alta, la mandibola troppo squadrata, il naso troppo largo.
Ma non è nemmeno il suo aspetto, pensa Gwyneth.
Tradurlo. Decrittarlo.
Scoprirlo. Ottenere la sua fiducia. Decide infine che
è in questo senso che le piacerebbe sposare Quentyn.
-Sei troppo intelligente per non pensare a niente.- protesta,
sorridendo con timidezza.
Ma il principe di Dorne non mente, ha risposto la verità.
Non pensa a niente in
particolare. Pensa in
generale.
Nella vita di Quentyn Martell ci sono state sette donne. Non troppe,
non troppo poche, per diciotto anni di vita. Un numero ragionevole.
La prima è Mellario di Norvos, i suoi riccioli in cui
affondare
le dita, la sua parlata sciolta e sinuosa come un nastro avvolto nelle
proprie spire. Lei è l'effigie di un'infanzia che
è un
limbo d'oblio, frammenti di ricordi a metà che rimangono
conficcati nella carne come cicatrici su cui ridere sopra, memorie di
giochi pericolosi sugli scogli insieme alle vipere delle sabbie.
Mellario è la dea di un paradiso terreste da cui adesso
è
recluso, e rivederla è come cercare di riabbeverarsi di quel
vento di sale, di riavventurarsi fra quelle rocce aguzze, di
riappropriarsi di quei brividi d'emozione che sono i primi, e quindi
perfetti -intoccabili come sacre reliquie. Rivederla, però,
è
soprattutto come realizzare di non poterlo più fare.
Lanciare
uno sguardo su tutto adesso, negli anni della consapevolezza, significa
scorgere le ombre che si annidano negli angoli della casa materna, che
gli occhi risparmiano solo ai bambini. Carezzarle le guance adesso,
negli anni del raziocinio, significa percorrere con le dita i solchi
delle lacrime, le fosse delle occhiaie. Adesso Mellario è
una
donna stancata dagli anni e dalle vicissitudini, un fiore nero che
vuole rimanere bocciolo fino a soffocare fra i suoi stessi petali.
Tutto è più lugubre, adesso.
La seconda donna di Quentyn è Arianne. I cinque anni che li
separano hanno fatto di lei la sua più acerrima nemica e la
sua
più fidata complice. Arianne, nella sua mente, è
sempre
una scura gazzella dalle gambe lunghissime e dalla capigliatura ispida
come la pelliccia d'una pantera, con occhi ridenti di sarcasmo e mani
magre e abili che sanno intrecciare mille ghirlande di soffioni e
braccialetti di foglie. Muoviti,
Quentyn, l'acqua
è caldissima! Se non ti decidi a tuffarti, ti prendo per i
piedi! La
sua risata ampia, malandrina, iridescente. Il suo fiato che
è una fragranza delle noci di cui è ghiotta,
l'eterna cicatrice su un fianco e su un ginocchio, il
suo corpo lungo, guizzante e morbido che Quentyn abbracciava al termine
di ogni
monelleria, ansante, con ancora una risata in gola, quel corpo che lo
stringeva con tenera gratitudine, con la sabbia sotto la nuca. Quentyn
è felice di conoscerla meglio di molti altri, di sapere
quanta
fredda e vivace intelligenza si celi dietro il suo sorriso disarmante,
però è ancora più felice di sapere la
sorella
ammantata d'una veste tempestata di piccoli segreti, di grandi misteri
che lui non svelerà mai. Poi, dopo il trasferimento presso
gli
Yronwood, l'inspiegata ostilità. Ora Arianne lo saluta con
formale
cortesia, con la voce lontana di chi accusa un delitto impronunciabile.
Quentyn vorrebbe urlare, ma non è nelle sue corde. Perchè,
sorella? Perchè non mi prendi più per mano e non
mi
conduci in quei ritagli di universo ch'erano solo nostri?
Perchè, quando sei arrabbiata con me, non tieni
più il
broncio in quella maniera che tanto amavo, per poi perdonarmi in una
lotta di solletico e cuscini? Ma tutto è
cambiato, senza disturbarsi ad avvertirlo nè tantomeno a
chiedergli il permesso. Quentyn non odia Arianne per il suo distacco,
come non odia sua madre per la sua tristezza. Gli fa solo un po' male.
Il sapore del veleno che tortura l'amato è più
acre sul palato di chi ama. Arianne si volta di spalle, mentre Quentyn
sospira tra sè. Tutto è più difficile,
adesso.
La terza non è una donna, è una
bambina. Si chiama
Ynys e ha i capelli biondi. Quentyn non è un menestrello:
non sa
se sono biondi come il grano, come il sole o come l'oro. Sa solo che
sono bellissimi. Lei è bellissima. Si vede che dedica molto
tempo a quei capelli. Quando li getta dietro le spalle, allo stesso
modo in cui farebbe
con un velo troppo lungo, frusciano come sabbia fra le dita, come spuma
sul bagnasciuga. Ha un viso piccolo, gote fresche, labbra gonfie, occhi
vividi- cangianti, che cambiano colore a seconda della direzione della
luce. I suoi vestiti paiono piccole chiazze di colore a tempera, da
lontano, riflessi di arcobaleno in una pozza d'acqua pura. È
piccola e preziosa, e Quentyn si sente uno sciocco quando lei lo guarda
e sorride. Sembra sempre che lo stia deridendo. Ynys. Un
bel nome. Ha una sua musica, un suo incanto. È la prima
cotta
che Quentyn si sia mai preso, dopotutto. E il suo piccolo viso, se
tenuto fra le mani, è freddo o caldo? Dieci anni dopo, lei
si
chiama sempre Ynys e i suoi capelli sono ancora biondi, ma non ha
più tanto tempo da dedicarci. Sotto la foggia austera
dell'abito, il seno è sfatto dal latte con cui ha nutrito i
figli che Ryon Allyrion le ha dato. La sua voce è alta e
petulante quando grida ai suoi bambini di non mettere in bocca quella
roba. Forse
è allora che Quentyn si accorge che lo splendore
dell'infanzia
è contraffatto da un dio avverso -che qualcosa di sinistro
sta
avvenendo, che c'è odore di pioggia nell'aria vibrante. Ynys
non è più bambina e non c'è
più musica nel suo suono. Ingrigiranno presto, quei capelli
biondi. Tutto è più profano, adesso.
La quarta e la quinta sono gemelle, le gemelle Drinkwater. Quentyn non
riesce mai a distinguerle, ma in fondo non è così
importante. Nemmeno loro sembrano avere gran voglia d'essere distinte.
Hanno il sorriso della giovinezza sulle labbra e il vigore ebbro di
ballare fino a schiantarsi per terra. In un'altra era, quando durante
le sue visite Doran Martell sorrideva ancora, Quentyn ne
baciò una. Era
il suo primo bacio. Sapeva di quelle bacche selvatiche, non
identificate, che i bambini raccolgono nei giardini vicino a casa.
Sapeva di strano e di bagnato, ma aveva fatto sentire Quentyn
più principe di quanto non fosse riuscito suo padre in una
vita.
Poi la gemella l'aveva fissato per qualche istante, era scoppiata a
ridere -evidentemente per via della sua espressione sgomenta- ed era
scappata a cercare l'altra per raccontarglielo. Cletus le ha
un giorno proposte a Quentyn come concubine, amanti da portarsi
appresso e da consumare il giorno in cui il talamo nuziale gli fosse
venuto a noia. Per un secondo, Quentyn le ha immaginate, i corpi
fiorenti e così tremendamente simili accostati sulle
lenzuola
bianche, i capelli sparsi sulla federa del cuscino. Lui è
troppo
timido per accettare simili proposte. E poi, l'idea non gli piace.
Sarebbe come rovinare qualcosa -deturpare l'illustrazione a pastello
d'un libro di fiabe. Sarebbe come dissacrare un altare.
Perchè un giorno anche le gemelle saranno come Ynys, donne
avvizzite ed esasperate da ogni labile traccia di giovinezza. A Quentyn
va
bene così. Non sarà lì a guardarle,
quella volta. Tutto è più chiaro, adesso.
La sesta donna della sua vita, anche se Quentyn l'ha appreso da poco,
è Daenerys Targaryen. La regina armata di Immacolati, draghi
e una lunga treccia di capelli d'argento. La moglie che gli
offrirà la gloria in dote. La donna per cui
abbandonerà tutto
questo, l'angoscia, l'indifferenza, la perdita, la rinuncia. La donna
per cui abbandonerà Gwyneth. La settima, pensa, davanti a me.
-Un giorno me lo dirai, a cosa pensi?- È solo una ragazzina.
Corti capelli castani, che le sfiorano a malapena le spalle, e un tondo
viso ancora infantile. Quentyn si chiede per quale motivo le stia dando
retta. Comunque, non ha più alcuna importanza. Dopotutto,
chi non abbandonerebbe qualsiasi
cosa per la mano di Daenerys? Chi non scambierebbe la
piccola, umile Gwyneth per l'ultima dei Targaryen?
-Non ci sarà un
giorno.- obietta Quentyn, aggrottando la fronte.
-Sposerò un'altra.-
Stringe fra le dita la lettera di suo padre. Convocato ai Giardini
dell'Acqua, prima della
partenza per andare a cercare Daenerys. Per i Martell, per
i Targaryen, per il regno, per la famiglia. Per Quentyn, forse? No,
questo non l'ha letto. Per
Dorne. Lui non è affatto Quentyn. Lui
è Dorne, adesso.
Lui dev'essere Dorne,
adesso -che è diverso. Doran l'ha voluto -Doran
l'ha ordinato-
che Quentyn ci creda o meno. E nel momento in cui lui diventa Dorne,
non può permettersi di cadere.
Attento,
Quentyn. Non
equivocare un tuo dovere per un tuo desiderio. Potresti rimanere deluso
dal risultato. Più che altro, non ti conviene. I doveri si assolvono
sempre, i desideri non si realizzano mai. Ma questo Doran
Martell non l'ha scritto.
Gwyneth tace. Le piacerebbe dirgli che si sbaglia. Le piacerebbe
accarezzare con le dita quella bella maschera di bronzo
che le nasconde ciò che di più prezioso
può immaginare. Se
ne avesse il
potere, non la manderebbe in pezzi: si limiterebbe a
scostarla un
attimo, giusto per intravvedere il nucleo pulsante, vivifico di quel
fuoco nero -la
soluzione dell'enigma- e poi la rimetterebbe al suo posto
-sapendo che quella è
una porta sempre aperta per lei. La chiave rende la serratura
inoffensiva. Se solo ne
avesse il potere.
Quentyn non sposerà un'altra. Lei se lo sente.
-... tre giorni di agonia, poi gli dèi sono
stati clementi e lo hanno chiamato a sè. Bruciato vivo da un
drago. Si dice che in pochi abbiano avuto l'ardire di guardare le
ustioni sul suo corpo. Così se n'è andato, il
nostro principe.-
Mentre suo cugino Archibald parla, Gwyneth percepisce dentro di
sè l'apnea. Prova ad immaginare Quentyn trasfigurato dalle
fiamme -la maschera, la
serratura, tutto- trasfigurato dal fuoco nero. I
lineamenti che si sciolgono al tocco del fiato incandescente, lacrime
di ciglia in polvere e d'occhi liquefatti, il bronzo che cola
giù. Meno male che Gwyneth ha scostato le mani in tempo,
allora. Quentyn no. Quentyn è rimasto fedele alla sua
maschera al costo di arderci sotto, pur di non rinnegarla.
Non l'avrei spezzata,
io, quella maschera, pensa Gwyneth. L'avrei solo sollevata. Solo
sollevata per un po'... Sarebbe stato il nostro segreto. Se
solo ne avesse avuto il potere. Se solo ne avesse avuta l'occasione.
Hai visto,
Gwyneth? Alla fine, Quentyn non
ha sposato un'altra. Proprio come sentivi tu. Non
era quello che volevi?
Lui non era Dorne. Lui era Quentyn. Ma, evidentemente,
non bastava a lei sarebbe bastato.
E quindi, qual è la soluzione dell'enigma? Cosa cercavi di fare, Quentyn?
Dove andavi? Forse, tentando d'evadere dal labirinto, non hai fatto
altro che addentrartici più a fondo.
Dietro la maschera c'è una sola risposta.
Gwyneth rilassa un pugno. La cenere ruscella fra le dita.
Note dell'Autrice: Dopo una vita, rieccomi. Pensavo di postare subito
storie sulle vipere, ma poi ho deciso di dare la precedenza ai
principini.
... non apprezzo moltissimo Quentyn come personaggio, ma la sua storia
non può fare a meno di rattristarmi. Ci sono delle teorie
che lo vogliono vivo, ed io quasi quasi ci spero -ma non troppo,
perchè Martin è Martin, e se c'è
l'occasione di ammazzare qualcuno... insomma, così.
Fondamentalmente, questo giovanotto finisce col starmi simpatico
perchè non è superman. È un
adolescente nella media costretto dal suo nome ad ambire ciò
che in realtà non desidera. E quindi ho scritto questo.
Spero di essere rimasta IC.
Nella storyline di Quentyn, secondo me, emerge un po' la
personalità di Doran come vero e proprio giocatore, che non
esita a coinvolgere anche il suo stesso figlio, pur consapevole dei
rischi. A mio parere, mandare Quentyn da solo con quattro disgraziati
di quindici anni non è stata proprio una furbata.
Grazie per avere letto quest'altro capitolo, e grazie anche a tutti
quelli che hanno messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate
<3 Chi volesse lasciare una recensione, sarà da me
molto amato e riverito.
Lucy
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