C 12
Capitolo 12
Echo
I'm
out on the edge and I'm screaming my name
Like
a fool at the top of my lugs
Sometimes
when I close my eyes I pretend I'm
Alright
But
it's never enough
Cause
my echo, echo
Is
the only voice coming back
My
shadow, shadow
Is
the only friend that I have
I
don't wanna be down and
I
just wanna feel alive and
Get
to see your face again, once again
Just
my echo, my shadow
You're
my only friends.
Echo, Jason
Walker¹
Che
sia l'amore tutto ciò che esiste
è
ciò che noi sappiamo dell'amore;
e
può bastare che il suo peso sia
uguale
al solco che lascia nel cuore.
Emily Dickinson
«Signorina Cullen?
Signorina Cullen!».
Con un sussulto mi resi conto che qualcuno mi stava chiamando. Sbattei
le palpebre, come se mi stessi risvegliando da un sonno profondo e
misi a fuoco il professor Berty che mi fissava con aria interrogativa.
Ops.
«S-sì?»,
balbettai, presagendo un'imminente catastrofe.
«Ha sentito la
domanda che le ho fatto?», proseguì Berty.
Sembrava seccato. Molto seccato. E anche piuttosto stupito.
«No»,
ammisi, sospirando. «Mi spiace».
«In quale periodo
Shakespeare ha composto Romeo
e Giulietta?».
«Tra il 1594 e il
1596», risposi, senza pensarci. Grazie al cielo lo sapevo.
Lui inarcò un sopracciglio grigio e cespuglioso mentre mi
fissava. «Ben preparata come
sempre, signorina Cullen. Ma questo non
la autorizza a pensare a chissà cosa durante le mie
lezioni».
Sentii le guance andare a fuoco per l'umiliazione sotto gli occhi
di ventiquattro persone incuriosite dal diversivo. In due anni e due
mesi di scuola superiore, le occasioni in cui ero stata richiamata da
un insegnante si contavano sulle dita di una mano e l'avevo sempre
detestato. Abbassai lo sguardo sul banco, ingoiando il boccone amaro.
«Lo so. Mi scusi», mormorai. I fitti capelli ramati
piovvero intorno al mio viso, sottraendolo alla vista degli altri.
«Bene, continuiamo», disse Berty, tagliando corto,
ma in quel
momento suonò la campanella. Nell'aula divampò un
chiacchiericcio dapprima cauto e sommesso, poi sempre più
eccitato, mentre tutti si alzavano e raccoglievano le proprie cose per
scappare via. Era l'ultima ora e credo che nessuno avesse voglia di
passare tra quelle mura neanche un minuto di più.
«Ehi, ehi, non così in fretta!»,
esclamò il
professore, alzando la voce. «Non dimenticate la relazione
sulle
tragedie shakesperiane per lunedì. E mercoledì
prossimo
faremo un test per verificare le vostre conoscenze sul teatro in
età elisabettiana». Dagli studenti si
levò un cupo
brusìo di protesta e Berty fece un sorrisino, squadrandoci
al di
sopra degli occhiali dalle lenti spesse. «Sì,
sì, lo
so che non aspettavate altro. A lunedì».
Imprecai a mezza voce mentre raccoglievo i libri e li infilavo nella
borsa con gesti rapidi e nervosi. Per scrivere quella relazione ci
avrei messo tutto il week end, e un test così vicino proprio
non
ci voleva. Ultimamente trovavo molto faticoso stare dietro a tutto,
compiti in classe, interrogazioni... Avevo sentito dire che il terzo
anno era più difficile, ma sapevo che il vero problema ero io. Io e la mia
scarsa capacità di concentrazione in quel periodo.
«Ehi, tutto bene?», disse una voce alle mie spalle.
Era Paul, che
si stava alzando dal banco dietro al mio, un sorriso gentile sul volto.
Mi sforzai di ricambiare l'espressione gentile.
«Sì, certo.
Sai quanto me ne importa di lui e delle sue stupidaggini»,
risposi,
indicando Berty con un cenno del capo.
Paul rise. «Sai, una cosa del genere uscita dalla tua bocca
di secchiona suona molto più divertente».
Stava ancora parlando quando ci raggiunsero Holly e Jas, che erano
sedute qualche banco più in là.
«Non sembra per niente che vada tutto bene»,
intervenne Jas.
Doveva aver ascoltato la conversazione. Mi lanciò una delle
sue
migliori occhiate indagatrici ed io finsi di non accorgermene.
«Dai, lasciala in pace», disse Holly, scrollando i
lunghissimi e
lisci capelli color mogano che erano il suo orgoglio. «Come
vuoi che
stia dopo aver passato un'ora ad ascoltare Berty e i suoi racconti
deprimenti? Ma com'è possibile che la storia di Romeo e
Giulietta sia considerata romantica? Secondo me è
terrificante». Guardò Paul, gli sorrise e lo
baciò a
timbro sulle labbra.
«Dipende dalla tua idea di romanticismo», osservai,
mentre uscivamo dall'aula camminando vicini.
«Be', la mia di sicuro non comprende il suicidio»,
rispose lei in
tono allegro. «Praticamente... è il loro amore che
li uccide.
Cosa c'è di più triste di questo?».
«Eh, già», mormorai, pensierosa,
fissandomi la punta degli
stivali. Stavo chiedendomi come spostare la conversazione su un
argomento che non mi facesse sentire ancora più abbattuta di
prima, quando Holly parlò ancora.
«Paul, devo restituire un libro in biblioteca, vieni con
me».
Lui fece una faccia da martire che strappò una risatina a
Jas. «E io che c'entro, scusa?».
«Come che
c'entri? Accompagnami!».
«Perchè? Non sai arrivarci da sola?».
«Ah-ah,
che divertente! Sei
il mio ragazzo, non hai la possibilità di
protestare». Lo
afferrò per un braccio e se lo tirò dietro come
se fosse
stato un rimorchio. «Ciao, ragazze! A domani!».
«Com'era quella storia dell'amore che uccide?»,
chiese Paul in
tono retorico, ma nessuno ebbe il tempo di rispondergli; un attimo dopo
Holly lo aveva già trascinato oltre l'angolo del corridoio.
«A volte mi domando seriamente per quanto resisteranno quei
due»,
mormorai, pensierosa. Lanciai un'occhiata a Jas: mi stava fissando, di
nuovo, con quell'espressione che la faceva somigliare ad un poliziotto
al lavoro su un caso particolarmente difficile. Sospirai.
«Per
favore, potresti smettere di guardarmi come se fossi una bomba a
orologeria?».
Lei distolse subito lo sguardo, ma solo perchè stavamo
attraversando un corridoio affollato e non voleva finire addosso a
qualcuno.
«Okay, scusa», borbottò, stizzita.
Rimase zitta
per cinque secondi, poi non riuscì più a
trattenersi e
ricominciò. «Il fatto è che sono
preoccupata!»,
esclamò, la voce carica di angoscia.
«Lo so, Jas. Ma non devi. In questo periodo... ho tante cose
per la testa, tutto qui».
«Secondo me ne hai una sola, invece»,
ribattè,
sicura del fatto suo. «Hai più parlato con
Alex?».
«Ehm... No, non proprio». Lui che coglieva ogni
occasione per
avvicinarmi e riprendere il discorso da dove lo avevo bruscamente
interrotto l'ultima volta ed io che scappavo blaterando scuse di ogni
tipo non poteva certo definirsi "parlare".
«Non voglio impicciarmi», continuò Jas,
mentre
camminavamo
piano, «so che è presto per essere allegra e
spensierata,
non pretendo questo da te. L'hai lasciato dieci giorni fa. Ma devo
ammettere che continua a sfuggirmi il
perchè tu l'abbia lasciato».
Ovvio che le sfuggisse. Ero stata molto vaga con lei e le altre. Non
avrei mai potuto raccontargli che avevo lasciato Alex per salvaguardare
la sua incolumità fisica ed evitargli di soffrire molto di
più tra qualche anno, quando sarei stata comunque costretta
a
separarmi da lui.
«Anche Seth pensa che tu non l'abbia presa affatto
bene»,
aggiunse lei dopo un attimo di silenzio, e dal suo tono capii che si
era distratta e che quella frase le era sfuggita.
Mi fermai di botto e la guardai, sconvolta. «Seth? Seth Clerawater?».
Jas sembrò rendersi conto solo allora di aver parlato troppo
e
la sua espressione si congelò.
«Sì».
Sbattei più volte le palpebre, incredula, cercando di
connettere
il cervello con la bocca. «Ma... Come... Vi siete
visti?»,
boccheggiai.
«Non ci vediamo dal tuo compleanno. Ci sentiamo qualche
volta, tutto
qui». Jas guardava dritto davanti a sè con
ostentata
tranquillità, ma si era irrigidita, forse per riflesso alla
mia
reazione.
«Vuoi dire per telefono? Ti ha cercata lui? Perchè
non me l'hai detto?».
Scrollò le spalle. «È una cosa recente,
non ne ho avuto il tempo. È una
sciocchezza».
Certo, come no. Per un attimo fui tentata di dirle che il ragazzo del
quale era così palesemente invaghita si trasformava in un
lupo
gigante e che l'attrazione verso di lui non era altro che il frutto di
una specie di magia misteriosa... Giusto per vedere quale sarebbe stata
la sua
espressione. Ma naturalmente non potevo. L'istante di follia
passò e recuperai la ragione.
«E comunque l'ho cercato io», aggiunse dopo una
pausa.
«Ho preso il numero sull'elenco e l'ho chiamato».
Restai a bocca aperta per la seconda volta nel giro di tre minuti.
«E perchè lo avresti fatto?», chiesi,
pur non
essendo
affatto sicura di voler ascoltare la risposta.
Jas sbuffò e accelerò un po' il passo; non vedeva
l'ora
di liberarsi di me e di quell'imbarazzante conversazione, ci avrei
scommesso. «Non c'è un motivo in particolare.
Avevo voglia di
parlare con lui, punto. È stato
felice di sentirmi».
Poco, ma sicuro,
pensai, acida.
«È
simpatico e divertente e ascolta sempre tutto quello che
dico».
«Anche io ti ascolto!», esclamai senza alcuna
logica.
«Sì, ma è diverso. Tu sei la mia
migliore amica».
Non capii esattamente cosa intendesse, ma sulle mie labbra premeva una
questione più urgente. «E Tom?».
Il suo sguardo si indurì. «Tom non mi ascolta
davvero da un sacco di tempo, Renesmee».
«No, volevo dire... Sa che tu e Seth vi sentite per
telefono?».
Prima di rispondere riflettè in silenzio per un bel po'.
Pessimo
segno, pensai, ansiosa. Pessimo segno. «No», disse
infine. «Non... non ho avuto l'occasione di farlo».
«Dovresti dirglielo», suggerii, sforzandomi di
mantenermi
tranquilla. Ero consapevole che a Jas dovesse sembrare decisamente
strana tutta quell'agitazione, ma non era facile controllarmi sapendo
che i miei incubi peggiori stavano diventando realtà.
Subito la mia amica scattò sulla difensiva. «Tom
non deve sapere per forza tutto quello che faccio. È
il mio ragazzo, non il mio carceriere», sbottò in
tono
arrabbiato e lanciando un'occhiata di fuoco al mio indirizzo.
«Se è una sciocchezza come sostieni
perchè nascondergliela?».
Jas sbuffò sonoramente. «Non gli ho detto nulla
perchè non c'è niente da dire. Io
e Seth siamo amici, tutto qui. È come
con Paul o Scott».
«Però Paul o Scott non li senti di nascosto,
giusto?», continuai, imperterrita.
A quel punto si fermò di scatto e mi guardò. La
sua
espressione ferita mi colpì come uno schiaffo. Ero stata io
a
provocarla? Ma se stavo soltanto cercando di impedire che si rovinasse
la vita!
«Tu non hai il diritto di dirmi quello che devo o non devo
fare,
Renesmee», rispose, la voce improvvisamente dura e fredda.
Fu il mio turno di sentirmi ferita. Sussultai senza rendermene conto e
la fissai in silenzio per un attimo, ammutolita e sbalordita.
«No,
hai ragione», mormorai, piano. «Ma non posso
lasciarti commettere
un errore senza fare niente. Parla con Tom, ti prego. Se davvero non ha
importanza, capirà e andrà tutto bene. Ma non
mentirgli.
Non se lo merita, e potresti perderlo».
Curioso come fossi proprio io, quella che aveva riempito il suo ragazzo
di bugie, a suggerire a Jas di essere sincera. Forse proprio
perchè la mia storia con Alex era naufragata volevo cercare
di
salvare la sua, finchè era possibile.
Jas aveva le braccia incrociate e il cipiglio altezzoso di quando era
costretta a prendere parte ad una discussione che dal suo punto di
vista era inutile. Fece un respiro profondo, come se
avesse discusso silenziosamente con se stessa e infine avesse preso una
decisione.
«No. Non glielo dico. Non voglio».
Mi sentii sconfitta. Per un secondo provai un tale senso di sconforto
che desiderai abbandonarmi per terra con la testa sulle ginocchia e
disperarmi in silenzio. E poi arrivò la rabbia.
Perchè
doveva essere tutto così difficile? Perchè?
«Fai come ti pare», sbottai, irritata.
Le voltai le spalle e mi allontanai, lasciandola lì, senza
fretta, ma con passo deciso.
Perchè sembrava che Jas fosse
determinata a rovinarsi l'esistenza e a complicare la mia? Era sempre
stata testarda, sì, ma questa volta proprio non trovavo le
parole per arrivare a lei e farle capire ciò che
non potevo
dire a voce alta. Eppure eravamo sempre riuscite a comunicare, noi due,
in un modo o in un altro. Era come se qualcosa, nel nostro rapporto, si
stesse inceppando. Forse era colpa dell'indispensabile barriera di
bugie che mi proteggeva, ma allo stesso tempo mi isolava senza scampo,
dal resto del mondo. La mia migliore amica percepiva quanto io e lei
fossimo
distanti in realtà? Sentiva che c'era qualcosa, tante
cose, che non le raccontavo? Era questo che ci stava allontanando?
Rischiavo di perderla? E se fosse successo anche con le altre?
Uscii nel cortile, camminando velocemente, la testa china e la mente
distratta da quelle riflessioni, e di colpo mi trovai davanti un altro
dei miei problemi: Alex, in piedi davanti all'ingresso dell'edificio,
che mi aspettava. Quando mi vide, scattò in avanti. Ci
fissammo
da lontano per un attimo, immobili. Mi sfuggì un gemito tra
le
labbra.
«Oh, no», mugugnai sottovoce. Non era proprio la
giornata adatta per affrontare anche lui.
Decisi di far finta di nulla. Ripresi a camminare e attraversai il
parcheggio, diretta verso la mia Mercedes. Pregavo in silenzio che
cogliesse il messaggio e mi lasciasse in pace, ma subito me lo ritrovai
alle spalle, impegnato a tallonarmi con determinazione.
«Renesmee, fermati. Dobbiamo parlare», disse in
tono fermo.
Ascoltare la sua voce, saperlo così vicino, a pochi passi da
me,
faceva male al cuore, un male tremendo. Inghiottii la fitta di dolore
ed evitai di rispondere direttamente.
«Da quanto tempo eri lì
ad aspettarmi? Hai saltato l'ultima ora?».
Evitò a sua volta la domanda e a quel punto non dubitai
più che avesse davvero perso l'ultima lezione. Fantastico.
«Ti vuoi fermare?», esclamò, esasperato.
Aveva un passo
piuttosto veloce, ma faticava a starmi dietro adesso che cercavo di
liberarmene. Alzò le spalle con uno sbuffo. «Okay,
d'accordo,
se preferisci parlaremo camminando».
«Non posso, mi dispiace».
«Be', io non me ne vado», ribattè, il
tono quasi aggressivo.
«Non posso, vado di fretta. Ho un impegno».
Tenevo lo sguardo ben
fisso sulla mia macchina che si avvicinava, evitando accuratamente di
incrociare il suo; se avessi scorto le fiamme di
rabbia che
immaginavo scintillare nei suoi occhi, avrei ceduto.
«Certo, come no. Posso suggerirti almeno di cambiare scusa?
Questa sta diventando ripetitiva».
«Smettila, Alex», sbottai tra i denti, stringendo
forte nel pugno
serrato le chiavi dell'auto. Mancavano pochi metri, pochissimi. Potevo
farcela.
«Voglio soltanto parlare! Soltanto questo! Non pensi di
dovermelo?».
Esitai per un istante e trattenni il fiato. Sapevo che aveva ragione,
ma... Non potevo correre il rischio.
«Abbiamo già parlato, Alex».
«No, tu mi hai raccontato un bel po' di balle: questo non
è
parlare», disse, arrabbiato. Per fortuna eravamo arrivati
alla
macchina. Aprii in tutta fretta la portiera. «Solo dieci
minuti!», aggiunse, e la disperazione nella sua voce mi
inchiodò sul posto. Dovetti costringermi a muovere le gambe
e a
salire in auto.
«Mi dispiace», sussurrai, chiudendo la portiera con
un tonfo che
sentii risuonare in fondo al cuore. «Lascia
perdere».
Misi in moto con qualche difficoltà, perchè mi
tremavano
le mani, e feci manovra più lentamente del solito. Guardavo
dritto davanti a me e non vidi la sua faccia neanche una volta, ma un
secondo prima che accelerassi per allontanarmi, mi gridò
qualcosa.
«Non mi arrendo! Hai sentito, Renesmee? Non mi
arrendo!».
Mentre guidavo lungo Main Street le mani non accennavano a tornare
salde e stringevo il volante con più forza del necessario,
temendo che mi sfuggisse tra le dita stranemente fredde e deboli. La
sua voce carica di rabbia e sofferenza mi risuonava nelle orecchie. Non
si sarebbe arreso... Naturalmente. Lo conoscevo bene e sapevo che non
avrebbe mollato subito, senza insistere, senza lottare. Ma ormai ci
eravamo lasciati da giorni e mi auguravo che di lì a poco si
sarebbe stufato di corrermi dietro. La Forks High era piena di ragazze
pronte a dare battaglia per il bell'Alexander Hayden. E ormai
frequentava l'ultimo anno: a giugno, dopo gli esami, lo aspettavano le
solite vacanze e poi il college. Probabilmente sarebbe tornato in
città solo di tanto in tanto per vedere Phoebe e Julie. Io
avrei fatto in modo di evitarlo il più possibile e allora
sì che mi avrebbe dimenticata davvero.
Deglutii più volte per mandare giù il nodo che mi
stringeva la gola. Nel tentativo di distrarmi, ripensai alla
conversazione con Jas. Mi dispiaceva averle detto quelle cose
e che
lei se la fosse presa. Decisi che quella sera l'avrei chiamata per
chiederle scusa, ma non ero pentita: l'avrei rifatto perchè
credevo sinceramente che stesse commettendo un errore. Tom era un bravo
ragazzo, ma non era un santo. Era già passato sopra
all'avventura estiva di Jas, sopportava sempre di buon grado le sue
scenate e i suoi capricci, e negli ultimi tempi era così
strano
e taciturno. Se la loro storia fosse finita, non soltanto Jas avrebbe
perso un fidanzato fantastico, ma Seth avrebbe avuto campo libero,
pensai, stizzita, cambiando le marce con gesti bruschi. E questo non
doveva succedere. A costo di rapire Jas e tenerla chiusa da qualche
parte, non avrei permesso che Seth si inserisse nella sua vita, la
trascinasse in un mondo pieno di pericoli, le raccontasse tutto di me e
mi privasse per sempre
della mia migliore amica.
Alex, ormai, lo avevo perso... Dovevo
perderlo, perchè fosse al sicuro, perchè vivesse
un'esistenza tranquilla e normale con una ragazza adatta a lui. Una
ragazza umana, tanto per cominciare. Non potevo perdere anche Jas o
sarei impazzita. Dovevo restare al suo fianco e arginare il pericolo,
che al momento si presentava sotto le spoglie delle telefonate di Seth.
Chissà da quanto andava avanti questa faccenda? Sicuramente
Jacob sapeva tutto e pensai che forse me ne avrebbe parlato quel
pomeriggio. Non avevo mentito dicendo ad Alex che ero impegnata:
avevamo un appuntamento a casa sua; era stato lui a chiedermi di
vederci, perchè ultimamente passavamo poco tempo insieme e
perchè doveva parlarmi di qualcosa. Forse si trattava
proprio
delle telefonate tra Seth e Jas.
Prima di andare da Jake, feci un salto a casa. Un bigliettino di
papà attaccato al frigorifero mi informava che lui e la
mamma
erano insieme ai nonni e agli zii. Dopo una rapida doccia, mi rivestii,
mandai giù una tazza di delizioso sangue di cervo e mezz'ora
più tardi ero pronta per uscire di nuovo e raggiungere la
riserva.
Avevo appena imboccato La Push Road quando la vidi. Una macchina ferma
sul ciglio della strada. La riconobbi all'istante e mi sentii investire
da un'ondata di orrore. Con una brusca sterzata accostai anch'io,
togliendomi dalla strada, scesi con tale rapidità che quasi
inciampai nei miei stessi piedi e mi precipitai a passo di marcia verso
l'Audi Coupè di un nero scintillante. Alex aveva il
finestrino abbassato e finalmente lo guardai dritto in faccia: aveva
un'espressione di calma, fredda, granitica determinazione. Merda.
«Che cavolo ci fai qui?», sbraitai, un tantino
aggressiva.
Non si scompose minimamente. «Ti stavo aspettando».
«Questo lo vedo! Che cosa vuoi? E non dirmi parlare altrimenti
giuro che ti vengo addosso con la macchina!».
Alex alzò le spalle, disinvolto. «Okay, non lo
dico. Sono qui
per raccogliere funghi nei boschi: è il mio nuovo hobby. Va
bene
così?».
Dovetti trattenermi con tutte le mie forze per non mollargli una
sberla. Quando faceva così era insopportabile.
«Sei un
idiota, Alex».
«Stai andando da lui, vero?», chiese per tutta
risposta.
Sentii un tuffo al cuore, ma all'esterno rimasi impassibile.
«Come facevi a sapere dov'ero?».
«Me l'ha detto Jas. L'ho chiamata per sapere se oggi saresti
stata a
casa o se... avevi altri progetti», concluse, alzando le
sopracciglia con aria significativa.
Jas? Jas?
«E perchè avrebbe fatto una cosa del genere?
Stavolta mi sente», sibilai a denti stretti, furiosa.
«Non prendertela con lei. È
stata sincera, a differenza di te», rispose, tranquillo,
guardandomi
negli occhi senza alcuna traccia di imbarazzo o esitazione. Un
comportamento così sfrontato, eccessivo anche per Alex,
poteva
nascere solo dalla consapevolezza di essere nel giusto. Non stava
tirando a indovinare con la storia delle bugie: lo sentiva davvero.
Sentiva che non ero sincera. E questo complicava notevolmente le cose.
«Bene. Se pensi che io ti abbia mentito, perchè
non mi lasci perdere?».
«Perchè prima di chiudere voglio che tu mi dica
come stanno veramente le cose».
«Sono stufa. Se vuoi continuare questo stupido gioco, allora
gioca da solo».
Me ne andai senza aggiungere altro. Montai di nuovo in macchina,
superai Alex e continuai a guidare, faticando a mantenere la
concentrazione, in preda ad un profluvio di sentimenti amari. Ero
arrabbiata, addolorata, preoccupata, ferita... Mi sembrava di aver
esaurito lo spazio disponibile per provare qualcosa.
Un secondo più tardi scoprii che per un po' di rabbia extra
c'era sempre
spazio. Con un'occhiata nello specchietto retrovisore mi accorsi che
Alex mi stava seguendo. Mi stava seguendo! Per un bel pezzo mi limitai
a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, senza fiato per
l'incredulità, fissando la sua macchina invece di guardare
la
strada e rischiando di finire contro un albero da un momento all'altro.
E adesso cosa dovevo fare?
Pensai di ignorarlo. Alex era troppo abituato ad essere al centro
dell'attenzione, più davo importanza a quello che faceva,
più lui avrebbe continuato. Non avrebbe potuto starmi dietro
per
sempre, giusto? Però... se mi avesse seguita alla riserva
avrebbe incontrato Jacob e non potevo lasciare che accadesse. Avevo il
presentimento che Jacob avrebbe preso piuttosto male il comportamento
di Alex nei miei confronti.
Sbuffando, frenai di colpo, fermando la macchina nel mezzo della
strada. Alex, che stava guidando piuttosto veloce per non perdermi,
frenò a sua volta a pochissima distanza da me con un forte
stridìo di gomme sull'asfalto. Scesi dall'auto e lui mi
imitò. Mi venne incontro con quell'aria tempestosa che avevo
scorto sul suo viso poco prima, nel parcheggio della scuola.
Camminavamo l'uno verso l'altra così rapidamente che per
poco
non ci fu uno scontro frontale.
«Ma sei completamente impazzito?Vuoi andartene?».
«No!», gridò Alex di rimando a un
centimetro dalla
mia faccia, fuori di sè quanto lo ero io. Forse avremmo
dovuto
provare a calmarci, ma non riuscivo a pensare a nulla in quel momento.
Riuscivo a malapena a respirare. «No! Non me ne vado
finchè non mi dirai che non mi ami! Dimmi che non provi
niente
per me!». Con un movimento così repentino che non
riuscii
quasi a vederlo mi afferrò con forza per le spalle mentre
scandiva lentamente l'ultima frase, fissandomi dritto negli occhi con
una determinazione d'acciaio.
Ricambiai il suo sguardo in silenzio, paralizzata tra le sue mani.
L'azzurro intenso che amavo tanto si era fatto cupo, minaccioso,
vorticante, come se qualcosa dentro di lui, nel profondo, stesse
cambiando. Faceva male vederlo così diverso, un male
dannato, al
punto che lottai per racimolare la forza di aprire bocca.
«Io non ti amo», risposi, la voce bassa e tremante.
Cercai
di liberarmi dalla sua stretta, ma invano. Avrei dovuto usare tutta la
mia forza e non potevo, non davanti a lui. Quella sensazione di
prigionia scatenò in me un'ondata di rabbia così
violenta
che quasi senza rendermene conto diedi un forte strattone e per poco
non gli sfuggii. Lo vidi aggrottare la fronte, sorpreso. «Io
non
ti amo! Non ti amo!», continuai, alzando la voce fin quasi ad
urlare di nuovo.
Le sue dita si strinsero ancora di più sulle mie braccia,
facendomi male. «Non ti credo! So cosa provi per me, te l'ho
letto negli occhi un milione di volte!».
«Ma perchè devi rendere tutto così
complicato?
Perchè?», proruppi con voce rotta, esausta e senza
fiato.
«È finita, non lo capisci? Era finita ancora prima
che
cominciasse! Non posso stare con te, non posso! Devi dimenticarmi! Ti
prego, ti scongiuro, Alex, dimenticami!».
Lui scuoteva la testa fissandomi con un'espressione così
ferita che mi odiai per il male che gli stavo facendo.
«No, non può finire così. Io non ti
lascio andare... Non ti lascio andare...».
Senza ascoltarlo, cercai nuovamente di sgusciare tra le sue mani.
Basta, non ne potevo più. Dovevo andarmene da lì,
allontanarmi da lui. Mi sentivo come se qualcuno mi stesse strappando
il cuore dal petto.
«Lasciami, mi stai facendo male! Alex,
lasciami!».
Con un ultimo strattone mi sottrassi alla sua presa e barcollai
all'indietro. Nello stesso istante udii una voce gridare il mio nome,
poi una grossa figura piombò su di noi e si frappose tra me
e
Alex. Indietreggiai istintivamente, disorientata, e misi a fuoco la
persona che ci aveva interrotti: Jacob. Era lì, in piedi
davanti
a me, per proteggermi. Da dove cavolo spuntava fuori? Ma sì,
certo... mi aveva detto che prima di incontrarsi con me sarebbe stato
di ronda nei boschi. Probabilmente si trovava lì intorno e
aveva
sentito le nostre voci. Non potevo guardarlo in viso, perchè
mi
dava le spalle, ma quando parlò sentii un brivido lungo la
schiena.
«Lasciala stare», ringhiò. Era teso in
avanti,
pronto in qualunque momento a... Corsi da lui e mi aggrappai al suo
braccio muscoloso.
«Jacob, no...».
«E tu da dove sei spuntato?», sbottò
Alex per tutta
risposta. Fissava Jake negli occhi e non mostrava traccia di paura, ma
non era pienamente in sè, in quel momento; forse non avrebbe
giudicato pericoloso neanche lanciarsi da un ponte, figurarsi far
arrabbiare uno che era due volte più robusto di lui.
«Levati di mezzo».
Jacob non si mosse di un millimetro. «Qual è il
tuo problema?», sibilò.
«Sei tu
il mio problema. Sparisci», ribattè Alex, il tono
freddo e un'aperta aria di sfida in volto.
«Datti una calmata».
Alex fece un passo avanti con fare aggressivo.
«Perchè non
ce la vediamo qui, adesso? Non dirmi che non ci hai pensato anche
tu».
Sussultai. Non ero sicura che Jacob avesse capito di cosa parlava Alex
e invece, con mio profondo stupore, non manifestò la minima
sorpresa. Si limitò ad un mezzo sorriso dall'aria letale.
«Se fossi in te ci penserei bene, ragazzino».
«Chi credi di essere? Stupido pallone gonfiato...»,
ringhiò Alex, e fece per lanciarsi contro Jacob.
Rapidissima, mi
infilai tra loro con un balzo e tesi le braccia per fermarlo.
«No!», gridai, spaventata. «No, no, no! Basta,
smettetela!».
Sentii due braccia possenti che mi circondavano da dietro e mi
spostavano di peso come se fossi stata una piuma. Jacob, ovviamente.
«Renesmee, stanne fuori», disse.
«Sì, stanne fuori. È
ora che risolviamo questa faccenda», concordò Alex
senza
smettere di fissare Jake come se avesse voluto farlo a pezzi.
«Non c'è niente da risolvere! Io non sono
più la
tua ragazza, cosa faccio e con chi sto non ti riguarda!»,
esplosi, sporgendomi per cercare di recuperare il mio posto in mezzo a
loro anche se Jacob continuava a tenermi saldamente tra le braccia,
facendomi scudo con il suo corpo.
Di colpò Alex sembrò dimenticare Jacob. Mi
guardò
come se tutto il suo mondo si riducesse a me. Contrasse la fronte in
un'espressione di dolore quasi fisico, gli occhi velati, il respiro
affannoso. Sembrava che avesse la febbre. Poi mi prese per un braccio,
un gesto delicato, ma fermo, e
sentii Jacob irrigidirsi; pregai silenziosamente che non cercasse di
staccarglielo.
«Andiamo via», mormorò, la voce bassa e
senza
traccia di insicurezza. Cercò di tirarmi verso di
sè.
«No...», protestai, ma Jacob si intromise di nuovo.
Bloccò Alex con una mano sul suo braccio e
contemporaneamente
rafforzò la stretta intorno alla mia vita, quasi togliendomi
il
respiro. Mi ritrovai letteralmente intrappolata tra i due.
«Ho detto lasciala
stare», ripetè in tono duro.
«E io ho detto levati
di mezzo!».
Alex si liberò della mano di Jacob con uno scrollone. Jake
ebbe
uno scatto istintivo ed io mi sentii travolgere dal terrore al pensiero
che potesse trasformarsi da un momento all'altro. Mi infilai di nuovo
tra loro e spinsi via Alex, che sembrava sul punto di indirizzare il
pugno serrato verso la mascella di Jacob. Lui indietreggiò,
sorpreso.
«Basta!», esclamai, disperata. Dovevo fermarli,
subito, a
qualunque costo. Anche a costo di ferire profondamente Alex. «È
finita!», ripetei ancora. «È finita
e tu devi riuscire ad accettarlo!».
Mi
fissò
senza dire nulla per un minuto che mi parve interminabile. L'atmosfera
era sospesa, Alex immobile con gli occhi fissi nei miei, Jake dietro di
me che fremeva nel tentativo di trattenersi, io nel mezzo, ansimante
per l'agitazione, tremante, ogni singolo nervo teso al massimo. Alex
alzò lentamente una mano e la tese verso di me. Un invito,
questa volta.
«Vieni con me», disse con voce spaventosamente
calma.
Scossi piano la testa. «No, Alex».
Ma lui non si mosse. Il suo torace si alzava e si abbassava
velocemente, i lineamenti del suo viso sembravano distorti, ma non
mostrava un briciolo di esitazione. Non abbassò la mano.
«Vieni con me adesso
o
tra noi è finita davvero. Per sempre»,
insistè,
scandendo bene le parole come se dubitasse della mia
capacità di
comprensione.
«No», ripetei stancamente. Misi in quell'unica
parola tutta la forza che mi restava e pregai che
quella fosse l'ultima volta. L'ultima volta che ero costretta a
rifiutarlo.
Il dolore che lessi nei suoi occhi mi disse che avevo finalmente
raggiunto il mio scopo. Lo avevo perso. Avevo sempre saputo che prima o
poi avrebbe ceduto e il momento era arrivato. Quello che non avevo
previsto era quanto sarebbe stato difficile sopportarlo, quel momento.
Alex lasciò ricadere la mano, impassibile.
Sollevò il
mento, come per sfidarmi. «Te ne pentirai, Renesmee. Giuro
che te
ne pentirai».
Si allontanò in fretta, salì in macchina senza
degnarmi di un
altro sguardo, e con una sgommata e una pericolsa inversione
tornò indietro, verso Forks.
Non mi accorsi che stavo tremando come una foglia finchè la
stretta di Jacob intorno al mio corpo, fino a un istante prima decisa e
protettiva, non divenne inaspettatamente dolce e accogliente. Mi
abbandonai contro di lui, la testa sul suo petto, cercando di arginare
il dolore e la sensazione di perdita. Per un attimo mi sentii strappata
in un milione di frammenti come un foglio di carta. Ma non ero sola.
Non ero sola. Stringendomi a Jacob, respirai profondamente il suo
odore, un buon odore di legno, muschio e alberi, il profumo
della
foresta, della riserva, della mia infanzia, della mia intera esistenza,
e all'improvviso non mi sembrò più di andare in
mille
pezzi: lui mi teneva tutta intera.
No, non ero sola. C'era il mio Jacob con me.
Note.
1. Qui
la canzone.
Spazio autrice.
Salve! Sono tornata ^^. Scusate l'assenza, che è stata un
po' più lunga del previsto. Purtroppo uno dei miei esami
è stato rimandato di una settimana e quindi
mercoledì scorso non ho avuto neanche il tempo di pensare di
aggiornare xd. Adesso per fortuna ho un po' di tempo per tirare il
fiato, quindi credo che i prossimi aggiornamenti saranno regolari.
Veniamo al capitolo! Non c'è tantissimo da dire, in
realtà. Alex ha serie difficoltà ad accettare la
fine della sua storia con Renesmee, soprattutto perchè si
è trattato di una fine brusca, improvvisa, e non
sufficientemente motivata. Le risposte che Renesmee gli fornisce gli
sembrano vuote, ma lui è testardo, ostinato, non si arrende
facilmente, ormai lo conoscete. E la ragione più valida che
riesce a trovare per il comportamento di Renesmee è che lei
si stia innamorando di Jacob, dal quale Alex si è sentito
minacciato nel periodo precedente. Nulla potrebbe essere più
lontano dalla verità, come sappiamo le motivazioni di
Renesmee sono ben altre, ma Alex ha visto abbastanza del rapporto che
c'è tra loro due per temere Jacob e si aggrappa a questa
risposta perchè è l'unica che riesca a fornirsi
da sè. So che i vostri sentimenti sono molto diversi per
quanto riguarda questa rottura, c'è chi ne è
felice e chi vorrebbe assolutamente che tornassero insieme, ma spero
che tutto vi sembri chiaro in ogni caso; e se così non
fosse, chiedete pure nelle recensioni ;-).
Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà più
leggero... Ci voleva, forse, dopo tutti questi capitoli densi di
lacrime e tristezza xd. Sarà incentrato su Seth e Jas e
Renesmee si troverà in una situazione dai risvolti
tragicomici, diciamo. In genere non scrivo anticipazioni sul capitolo
successivo nello spazio autrice, ma questa volta mi va, e
così...
Ok, è tutto. Grazie mille alle persone che recensiscono
sempre e a quelle che recensiscono solo qualche volta, appena
avrò tempo risponderò ai vostri commenti. Ciao!
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