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Autore: Aurore    02/07/2014    3 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 12
Capitolo 12
Echo




I'm out on the edge and I'm screaming my name

Like a fool at the top of my lugs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm
Alright
But it's never enough
Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
My shadow, shadow
Is the only friend that I have
I don't wanna be down and
I just wanna feel alive and
Get to see your face again, once again
Just my echo, my shadow
You're my only friends.
Echo, Jason Walker¹



Che sia l'amore tutto ciò che esiste
è ciò che noi sappiamo dell'amore;
e può bastare che il suo peso sia
uguale al solco che lascia nel cuore.
Emily Dickinson



«
Signorina Cullen? Signorina Cullen!».
Con un sussulto mi resi conto che qualcuno mi stava chiamando. Sbattei le palpebre, come se mi stessi risvegliando da un sonno profondo e misi a fuoco il professor Berty che mi fissava con aria interrogativa. Ops.
«S-sì?», balbettai, presagendo un'imminente catastrofe.
«Ha sentito la domanda che le ho fatto?», proseguì Berty. Sembrava seccato. Molto seccato. E anche piuttosto stupito.
«No», ammisi, sospirando. «Mi spiace».
«In quale periodo Shakespeare ha composto Romeo e Giulietta?».
«Tra il 1594 e il 1596», risposi, senza pensarci. Grazie al cielo lo sapevo.
Lui inarcò un sopracciglio grigio e cespuglioso mentre mi fissava. 
«Ben preparata come sempre, signorina Cullen. Ma questo non la autorizza a pensare a chissà cosa durante le mie lezioni».
Sentii le guance andare a fuoco per l'umiliazione sotto gli occhi di ventiquattro persone incuriosite dal diversivo. In due anni e due mesi di scuola superiore, le occasioni in cui ero stata richiamata da un insegnante si contavano sulle dita di una mano e l'avevo sempre detestato. Abbassai lo sguardo sul banco, ingoiando il boccone amaro.
«Lo so. Mi scusi», mormorai. I fitti capelli ramati piovvero intorno al mio viso, sottraendolo alla vista degli altri.
«Bene, continuiamo», disse Berty, tagliando corto, ma in quel momento suonò la campanella. Nell'aula divampò un chiacchiericcio dapprima cauto e sommesso, poi sempre più eccitato, mentre tutti si alzavano e raccoglievano le proprie cose per scappare via. Era l'ultima ora e credo che nessuno avesse voglia di passare tra quelle mura neanche un minuto di più.
«Ehi, ehi, non così in fretta!», esclamò il professore, alzando la voce. «Non dimenticate la relazione sulle tragedie shakesperiane per lunedì. E mercoledì prossimo faremo un test per verificare le vostre conoscenze sul teatro in età elisabettiana». Dagli studenti si levò un cupo brusìo di protesta e Berty fece un sorrisino, squadrandoci al di sopra degli occhiali dalle lenti spesse. «Sì, sì, lo so che non aspettavate altro. A lunedì».
Imprecai a mezza voce mentre raccoglievo i libri e li infilavo nella borsa con gesti rapidi e nervosi. Per scrivere quella relazione ci avrei messo tutto il week end, e un test così vicino proprio non ci voleva. Ultimamente trovavo molto faticoso stare dietro a tutto, compiti in classe, interrogazioni... Avevo sentito dire che il terzo anno era più difficile, ma sapevo che il vero problema ero io. Io e la mia scarsa capacità di concentrazione in quel periodo.
«Ehi, tutto bene?», disse una voce alle mie spalle. Era Paul, che si stava alzando dal banco dietro al mio, un sorriso gentile sul volto.
Mi sforzai di ricambiare l'espressione gentile. «Sì, certo. Sai quanto me ne importa di lui e delle sue stupidaggini», risposi, indicando Berty con un cenno del capo.
Paul rise. «Sai, una cosa del genere uscita dalla tua bocca di secchiona suona molto più divertente».
Stava ancora parlando quando ci raggiunsero Holly e Jas, che erano sedute qualche banco più in là.
«Non sembra per niente che vada tutto bene», intervenne Jas. Doveva aver ascoltato la conversazione. Mi lanciò una delle sue migliori occhiate indagatrici ed io finsi di non accorgermene.
«Dai, lasciala in pace», disse Holly, scrollando i lunghissimi e lisci capelli color mogano che erano il suo orgoglio. «Come vuoi che stia dopo aver passato un'ora ad ascoltare Berty e i suoi racconti deprimenti? Ma com'è possibile che la storia di Romeo e Giulietta sia considerata romantica? Secondo me è terrificante». Guardò Paul, gli sorrise e lo baciò a timbro sulle labbra.
«Dipende dalla tua idea di romanticismo», osservai, mentre uscivamo dall'aula camminando vicini.
«Be', la mia di sicuro non comprende il suicidio», rispose lei in tono allegro. «Praticamente... è il loro amore che li uccide. Cosa c'è di più triste di questo?».
«Eh, già», mormorai, pensierosa, fissandomi la punta degli stivali. Stavo chiedendomi come spostare la conversazione su un argomento che non mi facesse sentire ancora più abbattuta di prima, quando Holly parlò ancora.
«Paul, devo restituire un libro in biblioteca, vieni con me».
Lui fece una faccia da martire che strappò una risatina a Jas. «E io che c'entro, scusa?».
«Come che c'entri? Accompagnami!».
«Perchè? Non sai arrivarci da sola?».
«Ah-ah, che divertente! Sei il mio ragazzo, non hai la possibilità di protestare». Lo afferrò per un braccio e se lo tirò dietro come se fosse stato un rimorchio. «Ciao, ragazze! A domani!».
«Com'era quella storia dell'amore che uccide?», chiese Paul in tono retorico, ma nessuno ebbe il tempo di rispondergli; un attimo dopo Holly lo aveva già trascinato oltre l'angolo del corridoio.
«A volte mi domando seriamente per quanto resisteranno quei due», mormorai, pensierosa. Lanciai un'occhiata a Jas: mi stava fissando, di nuovo, con quell'espressione che la faceva somigliare ad un poliziotto al lavoro su un caso particolarmente difficile. Sospirai. «Per favore, potresti smettere di guardarmi come se fossi una bomba a orologeria?».
Lei distolse subito lo sguardo, ma solo perchè stavamo attraversando un corridoio affollato e non voleva finire addosso a qualcuno.
«Okay, scusa», borbottò, stizzita. Rimase zitta per cinque secondi, poi non riuscì più a trattenersi e ricominciò. «Il fatto è che sono preoccupata!», esclamò, la voce carica di angoscia.
«Lo so, Jas. Ma non devi. In questo periodo... ho tante cose per la testa, tutto qui».
«Secondo me ne hai una sola, invece», ribattè, sicura del fatto suo. «Hai più parlato con Alex?».
«Ehm... No, non proprio». Lui che coglieva ogni occasione per avvicinarmi e riprendere il discorso da dove lo avevo bruscamente interrotto l'ultima volta ed io che scappavo blaterando scuse di ogni tipo non poteva certo definirsi "parlare".
«Non voglio impicciarmi», continuò Jas, mentre camminavamo piano, «so che è presto per essere allegra e spensierata, non pretendo questo da te. L'hai lasciato dieci giorni fa. Ma devo ammettere che continua a sfuggirmi il perchè tu l'abbia lasciato».
Ovvio che le sfuggisse. Ero stata molto vaga con lei e le altre. Non avrei mai potuto raccontargli che avevo lasciato Alex per salvaguardare la sua incolumità fisica ed evitargli di soffrire molto di più tra qualche anno, quando sarei stata comunque costretta a separarmi da lui.
«Anche Seth pensa che tu non l'abbia presa affatto bene», aggiunse lei dopo un attimo di silenzio, e dal suo tono capii che si era distratta e che quella frase le era sfuggita.
Mi fermai di botto e la guardai, sconvolta. «Seth? Seth Clerawater?».
Jas sembrò rendersi conto solo allora di aver parlato troppo e la sua espressione si congelò. «Sì».
Sbattei più volte le palpebre, incredula, cercando di connettere il cervello con la bocca. «Ma... Come... Vi siete visti?», boccheggiai.
«Non ci vediamo dal tuo compleanno. Ci sentiamo qualche volta, tutto qui». Jas guardava dritto davanti a sè con ostentata tranquillità, ma si era irrigidita, forse per riflesso alla mia reazione.
«Vuoi dire per telefono? Ti ha cercata lui? Perchè non me l'hai detto?».
Scrollò le spalle. «È una cosa recente, non ne ho avuto il tempo.
È una sciocchezza».
Certo, come no. Per un attimo fui tentata di dirle che il ragazzo del quale era così palesemente invaghita si trasformava in un lupo gigante e che l'attrazione verso di lui non era altro che il frutto di una specie di magia misteriosa... Giusto per vedere quale sarebbe stata la sua espressione. Ma naturalmente non potevo. L'istante di follia passò e recuperai la ragione.
«E comunque l'ho cercato io», aggiunse dopo una pausa. «Ho preso il numero sull'elenco e l'ho chiamato».
Restai a bocca aperta per la seconda volta nel giro di tre minuti. «E perchè lo avresti fatto?», chiesi, pur non essendo affatto sicura di voler ascoltare la risposta.
Jas sbuffò e accelerò un po' il passo; non vedeva l'ora di liberarsi di me e di quell'imbarazzante conversazione, ci avrei scommesso. «Non c'è un motivo in particolare. Avevo voglia di parlare con lui, punto.
È stato felice di sentirmi».
Poco, ma sicuro, pensai, acida.
«
È simpatico e divertente e ascolta sempre tutto quello che dico».
«Anche io ti ascolto!», esclamai senza alcuna logica.
«Sì, ma è diverso. Tu sei la mia migliore amica».
Non capii esattamente cosa intendesse, ma sulle mie labbra premeva una questione più urgente. «E Tom?».
Il suo sguardo si indurì. «Tom non mi ascolta davvero da un sacco di tempo, Renesmee».
«No, volevo dire... Sa che tu e Seth vi sentite per telefono?».
Prima di rispondere riflettè in silenzio per un bel po'. Pessimo segno, pensai, ansiosa. Pessimo segno. «No», disse infine. «Non... non ho avuto l'occasione di farlo».
«Dovresti dirglielo», suggerii, sforzandomi di mantenermi tranquilla. Ero consapevole che a Jas dovesse sembrare decisamente strana tutta quell'agitazione, ma non era facile controllarmi sapendo che i miei incubi peggiori stavano diventando realtà.
Subito la mia amica scattò sulla difensiva. «Tom non deve sapere per forza tutto quello che faccio.
È il mio ragazzo, non il mio carceriere», sbottò in tono arrabbiato e lanciando un'occhiata di fuoco al mio indirizzo.
«Se è una sciocchezza come sostieni perchè nascondergliela?».
Jas sbuffò sonoramente. «Non gli ho detto nulla perchè non c'è niente da dire. Io e Seth siamo amici, tutto qui.
È come con Paul o Scott».
«Però Paul o Scott non li senti di nascosto, giusto?», continuai, imperterrita.
A quel punto si fermò di scatto e mi guardò. La sua espressione ferita mi colpì come uno schiaffo. Ero stata io a provocarla? Ma se stavo soltanto cercando di impedire che si rovinasse la vita!
«Tu non hai il diritto di dirmi quello che devo o non devo fare, Renesmee», rispose, la voce improvvisamente dura e fredda.
Fu il mio turno di sentirmi ferita. Sussultai senza rendermene conto e la fissai in silenzio per un attimo, ammutolita e sbalordita.
«No, hai ragione», mormorai, piano. «Ma non posso lasciarti commettere un errore senza fare niente. Parla con Tom, ti prego. Se davvero non ha importanza, capirà e andrà tutto bene. Ma non mentirgli. Non se lo merita, e potresti perderlo».
Curioso come fossi proprio io, quella che aveva riempito il suo ragazzo di bugie, a suggerire a Jas di essere sincera. Forse proprio perchè la mia storia con Alex era naufragata volevo cercare di salvare la sua, finchè era possibile.
Jas aveva le braccia incrociate e il cipiglio altezzoso di quando era costretta a prendere parte ad una discussione che dal suo punto di vista era inutile. Fece un respiro profondo, come se avesse discusso silenziosamente con se stessa e infine avesse preso una decisione.
«No. Non glielo dico. Non voglio».
Mi sentii sconfitta. Per un secondo provai un tale senso di sconforto che desiderai abbandonarmi per terra con la testa sulle ginocchia e disperarmi in silenzio. E poi arrivò la rabbia. Perchè doveva essere tutto così difficile? Perchè?
«Fai come ti pare», sbottai, irritata.
Le voltai le spalle e mi allontanai, lasciandola lì, senza fretta, ma con passo deciso.
Perchè sembrava che Jas fosse determinata a rovinarsi l'esistenza e a complicare la mia? Era sempre stata testarda, sì, ma questa volta proprio non trovavo le parole per arrivare a lei e farle capire ciò che non potevo dire a voce alta. Eppure eravamo sempre riuscite a comunicare, noi due, in un modo o in un altro. Era come se qualcosa, nel nostro rapporto, si stesse inceppando. Forse era colpa dell'indispensabile barriera di bugie che mi proteggeva, ma allo stesso tempo mi isolava senza scampo, dal resto del mondo. La mia migliore amica percepiva quanto io e lei fossimo distanti in realtà? Sentiva che c'era qualcosa, tante cose, che non le raccontavo? Era questo che ci stava allontanando? Rischiavo di perderla? E se fosse successo anche con le altre?
Uscii nel cortile, camminando velocemente, la testa china e la mente distratta da quelle riflessioni, e di colpo mi trovai davanti un altro dei miei problemi: Alex, in piedi davanti all'ingresso dell'edificio, che mi aspettava. Quando mi vide, scattò in avanti. Ci fissammo da lontano per un attimo, immobili. Mi sfuggì un gemito tra le labbra.
«Oh, no», mugugnai sottovoce. Non era proprio la giornata adatta per affrontare anche lui.
Decisi di far finta di nulla. Ripresi a camminare e attraversai il parcheggio, diretta verso la mia Mercedes. Pregavo in silenzio che cogliesse il messaggio e mi lasciasse in pace, ma subito me lo ritrovai alle spalle, impegnato a tallonarmi con determinazione.
«Renesmee, fermati. Dobbiamo parlare», disse in tono fermo.
Ascoltare la sua voce, saperlo così vicino, a pochi passi da me, faceva male al cuore, un male tremendo. Inghiottii la fitta di dolore ed evitai di rispondere direttamente.
«Da quanto tempo eri lì ad aspettarmi? Hai saltato l'ultima ora?».
Evitò a sua volta la domanda e a quel punto non dubitai più che avesse davvero perso l'ultima lezione. Fantastico.
«Ti vuoi fermare?», esclamò, esasperato. Aveva un passo piuttosto veloce, ma faticava a starmi dietro adesso che cercavo di liberarmene. Alzò le spalle con uno sbuffo. «Okay, d'accordo, se preferisci parlaremo camminando».
«Non posso, mi dispiace».
«Be', io non me ne vado», ribattè, il tono quasi aggressivo.
«Non posso, vado di fretta. Ho un impegno».
Tenevo lo sguardo ben fisso sulla mia macchina che si avvicinava, evitando accuratamente di incrociare il suo; se avessi scorto le fiamme di rabbia che immaginavo scintillare nei suoi occhi, avrei ceduto.
«Certo, come no. Posso suggerirti almeno di cambiare scusa? Questa sta diventando ripetitiva».
«Smettila, Alex», sbottai tra i denti, stringendo forte nel pugno serrato le chiavi dell'auto. Mancavano pochi metri, pochissimi. Potevo farcela.
«Voglio soltanto parlare! Soltanto questo! Non pensi di dovermelo?».
Esitai per un istante e trattenni il fiato. Sapevo che aveva ragione, ma... Non potevo correre il rischio.
«Abbiamo già parlato, Alex».
«No, tu mi hai raccontato un bel po' di balle: questo non è parlare», disse, arrabbiato. Per fortuna eravamo arrivati alla macchina. Aprii in tutta fretta la portiera. «Solo dieci minuti!», aggiunse, e la disperazione nella sua voce mi inchiodò sul posto. Dovetti costringermi a muovere le gambe e a salire in auto.
«Mi dispiace», sussurrai, chiudendo la portiera con un tonfo che sentii risuonare in fondo al cuore. «Lascia perdere».
Misi in moto con qualche difficoltà, perchè mi tremavano le mani, e feci manovra più lentamente del solito. Guardavo dritto davanti a me e non vidi la sua faccia neanche una volta, ma un secondo prima che accelerassi per allontanarmi, mi gridò qualcosa.
«Non mi arrendo! Hai sentito, Renesmee? Non mi arrendo!».
Mentre guidavo lungo Main Street le mani non accennavano a tornare salde e stringevo il volante con più forza del necessario, temendo che mi sfuggisse tra le dita stranemente fredde e deboli. La sua voce carica di rabbia e sofferenza mi risuonava nelle orecchie. Non si sarebbe arreso... Naturalmente. Lo conoscevo bene e sapevo che non avrebbe mollato subito, senza insistere, senza lottare. Ma ormai ci eravamo lasciati da giorni e mi auguravo che di lì a poco si sarebbe stufato di corrermi dietro. La Forks High era piena di ragazze pronte a dare battaglia per il bell'Alexander Hayden. E ormai frequentava l'ultimo anno: a giugno, dopo gli esami, lo aspettavano le solite vacanze e poi il college. Probabilmente sarebbe tornato in città solo di tanto in tanto per vedere Phoebe e Julie. Io avrei fatto in modo di evitarlo il più possibile e allora sì che mi avrebbe dimenticata davvero.
Deglutii più volte per mandare giù il nodo che mi stringeva la gola. Nel tentativo di distrarmi, ripensai alla conversazione con Jas. Mi dispiaceva averle detto quelle cose e che lei se la fosse presa. Decisi che quella sera l'avrei chiamata per chiederle scusa, ma non ero pentita: l'avrei rifatto perchè credevo sinceramente che stesse commettendo un errore. Tom era un bravo ragazzo, ma non era un santo. Era già passato sopra all'avventura estiva di Jas, sopportava sempre di buon grado le sue scenate e i suoi capricci, e negli ultimi tempi era così strano e taciturno. Se la loro storia fosse finita, non soltanto Jas avrebbe perso un fidanzato fantastico, ma Seth avrebbe avuto campo libero, pensai, stizzita, cambiando le marce con gesti bruschi. E questo non doveva succedere. A costo di rapire Jas e tenerla chiusa da qualche parte, non avrei permesso che Seth si inserisse nella sua vita, la trascinasse in un mondo pieno di pericoli, le raccontasse tutto di me e mi privasse per sempre della mia migliore amica.
Alex, ormai, lo avevo perso... Dovevo perderlo, perchè fosse al sicuro, perchè vivesse un'esistenza tranquilla e normale con una ragazza adatta a lui. Una ragazza umana, tanto per cominciare. Non potevo perdere anche Jas o sarei impazzita. Dovevo restare al suo fianco e arginare il pericolo, che al momento si presentava sotto le spoglie delle telefonate di Seth.
Chissà da quanto andava avanti questa faccenda? Sicuramente Jacob sapeva tutto e pensai che forse me ne avrebbe parlato quel pomeriggio. Non avevo mentito dicendo ad Alex che ero impegnata: avevamo un appuntamento a casa sua; era stato lui a chiedermi di vederci, perchè ultimamente passavamo poco tempo insieme e perchè doveva parlarmi di qualcosa. Forse si trattava proprio delle telefonate tra Seth e Jas.
Prima di andare da Jake, feci un salto a casa. Un bigliettino di papà attaccato al frigorifero mi informava che lui e la mamma erano insieme ai nonni e agli zii. Dopo una rapida doccia, mi rivestii, mandai giù una tazza di delizioso sangue di cervo e mezz'ora più tardi ero pronta per uscire di nuovo e raggiungere la riserva.
Avevo appena imboccato La Push Road quando la vidi. Una macchina ferma sul ciglio della strada. La riconobbi all'istante e mi sentii investire da un'ondata di orrore. Con una brusca sterzata accostai anch'io, togliendomi dalla strada, scesi con tale rapidità che quasi inciampai nei miei stessi piedi e mi precipitai a passo di marcia verso l'Audi Coupè di un nero scintillante. Alex aveva il finestrino abbassato e finalmente lo guardai dritto in faccia: aveva un'espressione di calma, fredda, granitica determinazione. Merda.
«Che cavolo ci fai qui?», sbraitai, un tantino aggressiva.
Non si scompose minimamente. «Ti stavo aspettando».
«Questo lo vedo! Che cosa vuoi? E non dirmi parlare altrimenti giuro che ti vengo addosso con la macchina!».
Alex alzò le spalle, disinvolto. «Okay, non lo dico. Sono qui per raccogliere funghi nei boschi: è il mio nuovo hobby. Va bene così?».
Dovetti trattenermi con tutte le mie forze per non mollargli una sberla. Quando faceva così era insopportabile.
«Sei un idiota, Alex».
«Stai andando da lui, vero?», chiese per tutta risposta.
Sentii un tuffo al cuore, ma all'esterno rimasi impassibile. «Come facevi a sapere dov'ero?».
«Me l'ha detto Jas. L'ho chiamata per sapere se oggi saresti stata a casa o se... avevi altri progetti», concluse, alzando le sopracciglia con aria significativa.
Jas? Jas?
«E perchè avrebbe fatto una cosa del genere? Stavolta mi sente», sibilai a denti stretti, furiosa.
«Non prendertela con lei.
È stata sincera, a differenza di te», rispose, tranquillo, guardandomi negli occhi senza alcuna traccia di imbarazzo o esitazione. Un comportamento così sfrontato, eccessivo anche per Alex, poteva nascere solo dalla consapevolezza di essere nel giusto. Non stava tirando a indovinare con la storia delle bugie: lo sentiva davvero. Sentiva che non ero sincera. E questo complicava notevolmente le cose.
«Bene. Se pensi che io ti abbia mentito, perchè non mi lasci perdere?».
«Perchè prima di chiudere voglio che tu mi dica come stanno veramente le cose».
«Sono stufa. Se vuoi continuare questo stupido gioco, allora gioca da solo».
Me ne andai senza aggiungere altro. Montai di nuovo in macchina, superai Alex e continuai a guidare, faticando a mantenere la concentrazione, in preda ad un profluvio di sentimenti amari. Ero arrabbiata, addolorata, preoccupata, ferita... Mi sembrava di aver esaurito lo spazio disponibile per provare qualcosa.
Un secondo più tardi scoprii che per un po' di rabbia extra c'era sempre spazio. Con un'occhiata nello specchietto retrovisore mi accorsi che Alex mi stava seguendo. Mi stava seguendo! Per un bel pezzo mi limitai a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, senza fiato per l'incredulità, fissando la sua macchina invece di guardare la strada e rischiando di finire contro un albero da un momento all'altro. E adesso cosa dovevo fare?
Pensai di ignorarlo. Alex era troppo abituato ad essere al centro dell'attenzione, più davo importanza a quello che faceva, più lui avrebbe continuato. Non avrebbe potuto starmi dietro per sempre, giusto? Però... se mi avesse seguita alla riserva avrebbe incontrato Jacob e non potevo lasciare che accadesse. Avevo il presentimento che Jacob avrebbe preso piuttosto male il comportamento di Alex nei miei confronti.
Sbuffando, frenai di colpo, fermando la macchina nel mezzo della strada. Alex, che stava guidando piuttosto veloce per non perdermi, frenò a sua volta a pochissima distanza da me con un forte stridìo di gomme sull'asfalto. Scesi dall'auto e lui mi imitò. Mi venne incontro con quell'aria tempestosa che avevo scorto sul suo viso poco prima, nel parcheggio della scuola. Camminavamo l'uno verso l'altra così rapidamente che per poco non ci fu uno scontro frontale.
«Ma sei completamente impazzito?Vuoi andartene?».
«No!», gridò Alex di rimando a un centimetro dalla mia faccia, fuori di sè quanto lo ero io. Forse avremmo dovuto provare a calmarci, ma non riuscivo a pensare a nulla in quel momento. Riuscivo a malapena a respirare. «No! Non me ne vado finchè non mi dirai che non mi ami! Dimmi che non provi niente per me!». Con un movimento così repentino che non riuscii quasi a vederlo mi afferrò con forza per le spalle mentre scandiva lentamente l'ultima frase, fissandomi dritto negli occhi con una determinazione d'acciaio.
Ricambiai il suo sguardo in silenzio, paralizzata tra le sue mani. L'azzurro intenso che amavo tanto si era fatto cupo, minaccioso, vorticante, come se qualcosa dentro di lui, nel profondo, stesse cambiando. Faceva male vederlo così diverso, un male dannato, al punto che lottai per racimolare la forza di aprire bocca.
«Io non ti amo», risposi, la voce bassa e tremante. Cercai di liberarmi dalla sua stretta, ma invano. Avrei dovuto usare tutta la mia forza e non potevo, non davanti a lui. Quella sensazione di prigionia scatenò in me un'ondata di rabbia così violenta che quasi senza rendermene conto diedi un forte strattone e per poco non gli sfuggii. Lo vidi aggrottare la fronte, sorpreso. «Io non ti amo! Non ti amo!», continuai, alzando la voce fin quasi ad urlare di nuovo.
Le sue dita si strinsero ancora di più sulle mie braccia, facendomi male. «Non ti credo! So cosa provi per me, te l'ho letto negli occhi un milione di volte!».
«Ma perchè devi rendere tutto così complicato? Perchè?», proruppi con voce rotta, esausta e senza fiato. «È finita, non lo capisci? Era finita ancora prima che cominciasse! Non posso stare con te, non posso! Devi dimenticarmi! Ti prego, ti scongiuro, Alex, dimenticami!».
Lui scuoteva la testa fissandomi con un'espressione così ferita che mi odiai per il male che gli stavo facendo.
«No, non può finire così. Io non ti lascio andare... Non ti lascio andare...».
Senza ascoltarlo, cercai nuovamente di sgusciare tra le sue mani. Basta, non ne potevo più. Dovevo andarmene da lì, allontanarmi da lui. Mi sentivo come se qualcuno mi stesse strappando il cuore dal petto.
«Lasciami, mi stai facendo male! Alex, lasciami!».
Con un ultimo strattone mi sottrassi alla sua presa e barcollai all'indietro. Nello stesso istante udii una voce gridare il mio nome, poi una grossa figura piombò su di noi e si frappose tra me e Alex. Indietreggiai istintivamente, disorientata, e misi a fuoco la persona che ci aveva interrotti: Jacob. Era lì, in piedi davanti a me, per proteggermi. Da dove cavolo spuntava fuori? Ma sì, certo... mi aveva detto che prima di incontrarsi con me sarebbe stato di ronda nei boschi. Probabilmente si trovava lì intorno e aveva sentito le nostre voci. Non potevo guardarlo in viso, perchè mi dava le spalle, ma quando parlò sentii un brivido lungo la schiena.
«Lasciala stare», ringhiò. Era teso in avanti, pronto in qualunque momento a... Corsi da lui e mi aggrappai al suo braccio muscoloso.
«Jacob, no...».
«E tu da dove sei spuntato?», sbottò Alex per tutta risposta. Fissava Jake negli occhi e non mostrava traccia di paura, ma non era pienamente in sè, in quel momento; forse non avrebbe giudicato pericoloso neanche lanciarsi da un ponte, figurarsi far arrabbiare uno che era due volte più robusto di lui. «Levati di mezzo».
Jacob non si mosse di un millimetro. «Qual è il tuo problema?», sibilò.
«Sei tu il mio problema. Sparisci», ribattè Alex, il tono freddo e un'aperta aria di sfida in volto.
«Datti una calmata».
Alex fece un passo avanti con fare aggressivo. «Perchè non ce la vediamo qui, adesso? Non dirmi che non ci hai pensato anche tu».
Sussultai. Non ero sicura che Jacob avesse capito di cosa parlava Alex e invece, con mio profondo stupore, non manifestò la minima sorpresa. Si limitò ad un mezzo sorriso dall'aria letale.
«Se fossi in te ci penserei bene, ragazzino».
«Chi credi di essere? Stupido pallone gonfiato...», ringhiò Alex, e fece per lanciarsi contro Jacob. Rapidissima, mi infilai tra loro con un balzo e tesi le braccia per fermarlo.
«No!», gridai, spaventata. «No, no, no! Basta, smettetela!».
Sentii due braccia possenti che mi circondavano da dietro e mi spostavano di peso come se fossi stata una piuma. Jacob, ovviamente.
«Renesmee, stanne fuori», disse.
«Sì, stanne fuori. 
È ora che risolviamo questa faccenda», concordò Alex senza smettere di fissare Jake come se avesse voluto farlo a pezzi.
«Non c'è niente da risolvere! Io non sono più la tua ragazza, cosa faccio e con chi sto non ti riguarda!», esplosi, sporgendomi per cercare di recuperare il mio posto in mezzo a loro anche se Jacob continuava a tenermi saldamente tra le braccia, facendomi scudo con il suo corpo.
Di colpò Alex sembrò dimenticare Jacob. Mi guardò come se tutto il suo mondo si riducesse a me. Contrasse la fronte in un'espressione di dolore quasi fisico, gli occhi velati, il respiro affannoso. Sembrava che avesse la febbre. Poi mi prese per un braccio, un gesto delicato, ma fermo, e sentii Jacob irrigidirsi; pregai silenziosamente che non cercasse di staccarglielo.
«Andiamo via», mormorò, la voce bassa e senza traccia di insicurezza. Cercò di tirarmi verso di sè.
«No...», protestai, ma Jacob si intromise di nuovo. Bloccò Alex con una mano sul suo braccio e contemporaneamente rafforzò la stretta intorno alla mia vita, quasi togliendomi il respiro. Mi ritrovai letteralmente intrappolata tra i due.
«Ho detto lasciala stare», ripetè in tono duro.
«E io ho detto levati di mezzo!».
Alex si liberò della mano di Jacob con uno scrollone. Jake ebbe uno scatto istintivo ed io mi sentii travolgere dal terrore al pensiero che potesse trasformarsi da un momento all'altro. Mi infilai di nuovo tra loro e spinsi via Alex, che sembrava sul punto di indirizzare il pugno serrato verso la mascella di Jacob. Lui indietreggiò, sorpreso.
«Basta!», esclamai, disperata. Dovevo fermarli, subito, a qualunque costo. Anche a costo di ferire profondamente Alex. «
È finita!», ripetei ancora. «È finita e tu devi riuscire ad accettarlo!».
Mi fissò senza dire nulla per un minuto che mi parve interminabile. L'atmosfera era sospesa, Alex immobile con gli occhi fissi nei miei, Jake dietro di me che fremeva nel tentativo di trattenersi, io nel mezzo, ansimante per l'agitazione, tremante, ogni singolo nervo teso al massimo. Alex alzò lentamente una mano e la tese verso di me. Un invito, questa volta.
«Vieni con me», disse con voce spaventosamente calma.
Scossi piano la testa. «No, Alex».
Ma lui non si mosse. Il suo torace si alzava e si abbassava velocemente, i lineamenti del suo viso sembravano distorti, ma non mostrava un briciolo di esitazione. Non abbassò la mano. «Vieni con me adesso o tra noi è finita davvero. Per sempre», insistè, scandendo bene le parole come se dubitasse della mia capacità di comprensione.
«No», ripetei stancamente.
Misi in quell'unica parola tutta la forza che mi restava e pregai che quella fosse l'ultima volta. L'ultima volta che ero costretta a rifiutarlo.
Il dolore che lessi nei suoi occhi mi disse che avevo finalmente raggiunto il mio scopo. Lo avevo perso. Avevo sempre saputo che prima o poi avrebbe ceduto e il momento era arrivato. Quello che non avevo previsto era quanto sarebbe stato difficile sopportarlo, quel momento.
Alex lasciò ricadere la mano, impassibile. Sollevò il mento, come per sfidarmi. «Te ne pentirai, Renesmee. Giuro che te ne pentirai».
Si allontanò in fretta, salì in macchina senza degnarmi di un altro sguardo, e con una sgommata e una pericolsa inversione tornò indietro, verso Forks.
Non mi accorsi che stavo tremando come una foglia finchè la stretta di Jacob intorno al mio corpo, fino a un istante prima decisa e protettiva, non divenne inaspettatamente dolce e accogliente. Mi abbandonai contro di lui, la testa sul suo petto, cercando di arginare il dolore e la sensazione di perdita. Per un attimo mi sentii strappata in un milione di frammenti come un foglio di carta. Ma non ero sola. Non ero sola. Stringendomi a Jacob, respirai profondamente il suo odore, un buon odore di legno, muschio e alberi, il profumo della foresta, della riserva, della mia infanzia, della mia intera esistenza, e all'improvviso non mi sembrò più di andare in mille pezzi: lui mi teneva tutta intera. No, non ero sola. C'era il mio Jacob con me.








Note.
1. Qui la canzone.








Spazio autrice.
Salve! Sono tornata ^^. Scusate l'assenza, che è stata un po' più lunga del previsto. Purtroppo uno dei miei esami è stato rimandato di una settimana e quindi mercoledì scorso non ho avuto neanche il tempo di pensare di aggiornare xd. Adesso per fortuna ho un po' di tempo per tirare il fiato, quindi credo che i prossimi aggiornamenti saranno regolari.
Veniamo al capitolo! Non c'è tantissimo da dire, in realtà. Alex ha serie difficoltà ad accettare la fine della sua storia con Renesmee, soprattutto perchè si è trattato di una fine brusca, improvvisa, e non sufficientemente motivata. Le risposte che Renesmee gli fornisce gli sembrano vuote, ma lui è testardo, ostinato, non si arrende facilmente, ormai lo conoscete. E la ragione più valida che riesce a trovare per il comportamento di Renesmee è che lei si stia innamorando di Jacob, dal quale Alex si è sentito minacciato nel periodo precedente. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità, come sappiamo le motivazioni di Renesmee sono ben altre, ma Alex ha visto abbastanza del rapporto che c'è tra loro due per temere Jacob e si aggrappa a questa risposta perchè è l'unica che riesca a fornirsi da sè. So che i vostri sentimenti sono molto diversi per quanto riguarda questa rottura, c'è chi ne è felice e chi vorrebbe assolutamente che tornassero insieme, ma spero che tutto vi sembri chiaro in ogni caso; e se così non fosse, chiedete pure nelle recensioni ;-).
Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà più leggero... Ci voleva, forse, dopo tutti questi capitoli densi di lacrime e tristezza xd. Sarà incentrato su Seth e Jas e Renesmee si troverà in una situazione dai risvolti tragicomici, diciamo. In genere non scrivo anticipazioni sul capitolo successivo nello spazio autrice, ma questa volta mi va, e così...
Ok, è tutto. Grazie mille alle persone che recensiscono sempre e a quelle che recensiscono solo qualche volta, appena avrò tempo risponderò ai vostri commenti. Ciao!
   
 
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