Capitolo
quattro
Il delfino
I delfini
si tuffano per vari motivi. Uno dei più importanti
è la comunicazione. I delfini comunicano non solo tramite il
loro tipico “verso” ma anche attraverso i loro
tuffi.
«Benedict, io credo che tu la stia prendendo un
po’ troppo sul personale.»
«E come altro la dovrei prendere? Prima fa
così e poi dice che siamo amici.»
«Be’ ma è vero, siete
amici.»
Ben puntò l’indice contro il suo
assistente che, ignaro di tutto, proseguiva il suo lavoro in un angolo.
«Gli amici non ti portano un decaffeinato quando gli chiedi
un caffè forte. Che me ne faccio del decaffeinato? Chi lo ha
inventato? A cosa serve?!»
Martin sospirò e mise le mani in tasca mentre una ragazza
gli sistemava di nuovo il trucco. «Davvero stai facendo tutte
queste storie per un decaffeinato? Io credo che tu sia sottopressione
per qualcos’altro.»
Benedict sbuffò.
Erano sul set di Sherlock, assieme a Mark e al resto della
troupe. Avevano iniziato da soli due giorni ma Ben si sentiva come se
fossero lì da un mese. Era piena estate e fuori dalla
location di Baker Street si alternavano raggi di sole cocente a
nuvoloni accompagnati da folate di vento gelido.
«Io non sono sottopressione.»
Così dicendo tirò fuori una sigaretta e
l’accese con tutta la stizza che poteva dimostrare.
«Certo, è chiaro… Come sta
Yasmine?», domandò Martin con finto tono
noncurante.
Benedict s’irrigidì nel sentirla
nominare. Tentò di adottare un tono disinteressato.
«Bene, credo. Non ci sentiamo da un paio di
settimane.»
«Quindi non siete usciti assieme?»
«No… no! Perché avremmo
dovuto?»
Martin alzò gli occhi al cielo. «Forse
perché stai diventando una donnetta isterica da quando non
la vedi. E sono passate poche settimane.»
«Hmp!» Ben scrollò le spalle,
come se la faccenda non lo interessasse. «Non è
vero.»
«Benedict», lo chiamò
l’amico, aspettando che si voltasse. Quando furono faccia a
faccia prese un grosso respiro e disse: «Lei ti piace, non
è vero?»
«Pfff, ma che dici?»
«Andiamo, perché non vuoi dirmelo? Lo so che ti
piace. Hai passato tutto il tempo da quando sono iniziate le riprese di
“La conversione di Philip” a parlarmi di lei, poi
ad un tratto hai smesso e non vi sentite più. Avete
litigato? Lei è fidanzata?»
Ben esitò, prese un altro tiro dalla sigaretta e
si grattò il mento, guardandosi attorno. «No, non
è fidanzata. E non abbiamo litigato.»
«E allora? Lei ti piace, si capisce che ti piace.
Perché non le chiedi di uscire?»
«Credo che non sia interessata.»
«Ma gliel’hai chiesto?»
«No ma…»
«E come fai a saperlo allora?»,
domandò Martin allargando le braccia, un sorriso dipinto sul
volto.
«Be’ noi», Benedict si
zittì un momento mentre un tecnico del suono passava di
lì, «l’ultimo giorno di riprese siamo
usciti tutti assieme e poi la sera io e lei… noi, insomma,
ci siamo baciati e siamo andati in camera e, sai, una cosa tira
l’altra…»
Martin attese paziente, senza capire quale fosse il problema.
«Il mattino dopo l’ho sentita dire a una delle
attrici che noi siamo solo amici. Capito ora perché non
è interessata?» Benedict si guardò di
nuovo attorno, quasi con disperazione. «Insomma, io pensavo
che dopo quello saremmo stati assieme, o per lo meno saremmo usciti, ma
non ci siamo più sentiti invece. Ogni tanto ci scriviamo, ma
come possiamo scriverci io e te, o due amici normali. Niente di che,
nemmeno un flirt via sms, nulla.»
Martin parve perplesso. «Be’, magari ha detto
così a quella ragazza perché non avete chiarito
la situazione. Oppure perché non sono così
amiche. Insomma Ben», l’uomo si strinse nelle
spalle, «quanti anni hai detto che ha?»
«Troppo pochi.»
«Be’, l’importante è
che sia maggiorenne e consenziente, comunque oggi come oggi il sesso
non è, per tutti, sinonimo di relazione. Perché
non uscite e basta? Tu le dici che lei ti piace e vedi che cosa ti
risponde.»
Ben fece una smorfia. «Ma non sono
sicuro…»
«Ma non puoi essere sempre sicuro!»,
esplose Martin, al limite della pazienza. Uno dei cameraman si volse a
guardarli, al che l’uomo abbassò la voce.
«Voglio dire… non puoi stare solo con donne che
chiaramente sbavano per te perché sei sicuro che vogliano
una relazione. Se questa ragazza ti piace, dovresti dirglielo. Avanti,
tuffati per una volta. E se non va bene, andrà meglio la
prossima volta.»
«Fra un minuto ricominciamo!» La voce di Mark
Gatiss distrasse Martin dal loro discorso. L’uomo diede a Ben
una pacca sulla spalla e si allontanò.
Benedict rimase a guardare la schiena dell’amico,
ripensando alle sue parole. Era una buona idea, lo sapeva. Anzi era
l’unica idea che avesse un senso, l’unica idea che
poteva prendere in considerazione un adulto. Ma lui, negli ultimi tempi
e soprattutto quando si parlava di Yasmine, non poteva considerarsi
adulto. E non era mai stato particolarmente adulto quando si trattava
di capire quando valeva la pena rischiare e, come aveva detto Martin,
tuffarsi. Ma prima o poi doveva imparare a farlo. Un bel tuffo, come
quelli dei delfini.
Durante
la caccia, i delfini si tuffano per confondere i banchi di pesci.
Quella settimana Yasmine aveva avuto il compito di aprire la
galleria per la quale lavorava. Il suo capo era andato a Oxford per
fare delle lezioni agli studenti di storia dell’arte e le
aveva lasciato le chiavi del negozio. La galleria d’arte non
era molto grande, aveva quattro stanze da esposizione e una saletta per
i dipendenti dove potevano lasciare le borse e trascorrere una pausa
caffè. Non era molto grande, ma era anche vero che oltre a
Frederick, il proprietario, gli unici altri dipendenti erano Yasmin e
David, la guardia. Il negozio si trovava in una zona molto centrale e
trafficata, vicino a Regent’s Park. Yasmine era contenta che
Frederick si fidasse di lei a tal punto da lasciarle la completa
gestione della galleria. Le sarebbe piaciuto che succedesse
più spesso.
Mancavano dieci minuti all’orario di chiusura per
la pausa pranzo, che era di un’ora, quando Yasmine
alzò lo sguardo da dietro il bancone di benvenuto, sentendo
la porta aprirsi. «Benedict, ciao»,
salutò sorpresa quando lo vide entrare e sorriderle. La
ragazza uscì da dietro il bancone e lo abbracciò,
sotto lo sguardo attento di David, un metro e novanta di puro muscolo.
«David, lui è un mio amico, Benedict.»
I due si strinsero la mano e la ragazza propose a Ben di fare
una giro lungo la galleria. «Che cosa fai da queste
parti?»
«Non sono mai venuto a vedere la tua galleria
d’arte, ed era da un po’ che non ci sentivamo,
così…» L’uomo si strinse
nelle spalle. «Fai una pausa per pranzo?»
Yasmine guardò il cellulare. «Dieci
minuti, poi vado.»
«Ti va di mangiare qualcosa assieme?»
«Perché no?»
Benedict si fermò di fronte a quello che pareva un
vaso di latta preso a manganellate. «Che… che cosa
dovrebbe rappresentare?», domandò indicandolo.
Yasmine si strinse nelle spalle. «Be’
sai, c’è a chi piace avere un cestino per i
rifiuti di design.»
Dopo aver discusso sull’utilità di avere un
cestino per i rifiuti di design i due uscirono a pranzo, fermandosi in
un locale poco lontano e prendendo posto in uno dei tavolini
all’aperto.
«Come va il montaggio del film?»
«Quasi finito. In realtà non mi occupa moltissimo
tempo, Jerry mi invia ogni settimana qualche file da guardare e devo
dire che sono tutti perfetti. E poi, insomma ammettiamolo, io non
saprei come farli diversamente. Voglio dire, non è il mio
lavoro, non ho idea di come si faccia!»
«Capisco- Ah, grazie.» Benedict
scostò il tovagliolo per fare spazio agli spaghetti di soia
che il cameriere gli aveva portato e quando questi se ne
andò lui e Yasmine incominciarono a mangiare.
«Il mio è buonissimo, vuoi
assaggiare?», domandò la ragazza.
«Cos’è?»
«Gnocchi cinesi con funghi e
bambù.»
«Scambio culturale?», domandò
Benedict allungando il suo piatto alla ragazza.
Lei si strinse nelle spalle. «Perché
no?»
Quando i piatti tornarono ai loro proprietari Benedict bevve un sorso
di coca cola e si schiarì la voce. «Stavo
pensando… Forse una sera potremmo uscire, impegni
permettendo.»
«Che cosa stai facendo ora?»
«Sto girando un’altra stagione di
Sherlock. Abbiamo appena iniziato. Mi prende tutto il giorno, a volte
la sera, ma non ho altri impegni a parte quello. Pensavo»,
l’uomo si strinse nelle spalle, «che potevamo
andare a cena assieme.»
Yasmine si fermò con una forchettata di gnocchi a
mezz’aria e sorrise. «È un
appuntamento?»
Benedict fece una smorfia indecisa. «È
molto importante?»
«Solo per sapere a cosa devo prepararmi. Ci sono
molte opzioni.»
Ben sorrise e incrociò le braccia. «Ma
dai? Sentiamo.»
«Be’ potrebbe essere una semplice uscita
fra amici, oppure un appuntamento galante, oppure potrebbe essere...
come l’ultima volta.»
Al sentire quelle parole, Benedict raggelò. Non
poteva, non doveva essere come l’ultima volta!
Perché l’ultima volta era stato fantastico, certo,
magnifico, e non avrebbe disdegnato una replica, ma dopo averci pensato
bene era stato solo sesso. Lui non voleva solo sesso, da
Yasmine. Voleva una storia. Voleva invitarla a dormire da lui nel
weekend, organizzare piccole gite fuori città, presentarla
agli amici, conoscere la sua famiglia. Ecco perché
raggelò, al ricordo di com’era stato
l’ultima volta, e le uniche parole che gli vennero in mente,
e che pronunciò precipitosamente e con un enfasi che venne
male interpretata, furono: «No! Come l’ultima volta
no.»
Yasmine si ritrasse un poco e il lieve sorriso che le era
comparso in volto, svanì. «Oh, scusa, non
intendevo…» Guardò altrove e prese
fiato. Tornò a fissare gli occhi su Benedict. «Se
non vuoi, possiamo non parlarne più.»
«Come?»
«Di quello che è successo. Se tu non vuoi, faremo
finta che non sia successo nulla.» Con grande sforzo,
sorrise, come se la cosa non le pesasse. La verità era che
si era sentita oltremodo felice quando aveva visto Benedict entrare in
negozio, e che nelle ultime settimane era tornata spesso, con la mente,
ai momenti trascorsi assieme a lui. Le piaceva Benedict. Era un uomo
simpatico, alla mano, molto intelligente e stare con lui –
sentirsi a suo agio con lui – era facile. Non era affatto
preoccupata del divario dell’età, non ci aveva mai
pensato ad essere sinceri, per il semplice fatto che lei non lo sentiva,
L’uomo scosse la testa. «Non è
che mi sia dispiaciuto, al contrario. Solo, la prossima volta che
usciamo possiamo non farlo. Insomma, se tu vuoi, per me va bene, ma se
non vuoi…»
Yasmine aggrottò le sopracciglia. «Sono
confusa…»
«Anche io.»
I due rimasero un attimo in silenzio, poi la ragazza prese
fiato e domandò: «Che cosa vuoi,
Benedict?»
L’uomo non poté impedirsi un sorrisino. Era
arrivato il momento, come aveva detto Martin, di tuffarsi. Prese fiato
e guardò Yasmine negli occhi. «Tu mi piaci, vorrei
che uscissimo assieme come ad un appuntamento. L’altra
volta… sono stato un cretino, pensavo che dopo quello che
era successo ci saremmo fidanzati, in automatico.» Scosse la
testa. «Sono proprio un vecchio eh?»
Yasmine ridacchiò e gli diede una leggera botta
sul braccio. «Scemo. Non sei un vecchio. Io… non
credevo che volessi uscire con me. Quella sera, in ascensore, pensavo
che dopo esserci baciati sarebbe finita lì, per il momento.
Invece, poi», Yasmine si guardò attorno e si
chinò sul tavolo, bene attenta a non farsi sentire da
nessuno, «mi hai toccato il sedere, e allora credevo che per
te fosse solo una questione fisica.»
Benedict fece una smorfia. «Perché ti ho
toccato il sedere?»
La ragazza parve imbarazzata. «Be’
sì. Insomma, un uomo ti bacia e subito inizia a toccarti il
sedere. Che cosa dovevo pensare?»
«Ma, voglio dire, era lì. Tu eri
lì, lui era poco più in basso, ho pensato che
toccarlo non fosse un problema.»
Yasmine annuiva. «Certo, ma certo. A me non
è dispiaciuto, a lui neanche. Ho solo… male
interpretato il gesto.»
Benedict fece per dire qualcosa, ma poi rise. «Se avessi
saputo che una semplice palpata avrebbe portato a tutte queste
incomprensioni, mi sarei tenuto le mani in tasca.»
Yasmine rimase seria ma poco dopo non poté
trattenersi e rise anche lei. Uscirono dal locale e Benedict si
offrì di accompagnare la ragazza fino alla galleria. Prima
di entrare le chiese: «Allora va bene? Che ne dici di domani
sera?»
«Per me va bene.»
«Passo a prenderti alle otto allora.»
Yasmine sorrise e si salutarono con un bacio sulla guancia.
Per non destare incomprensioni.
Alcuni
studiosi, osservando l’indole giocosa dei delfini, affermano
che i delfini si tuffino per giocare e divertirsi.
I flash dei fotografi erano come piccole esplosioni di luce,
tanto potenti quanto fastidiose. Yasmine ci mise un po’ ad
abituarsi e quando i suoi occhi non vennero più accecati
dalle luci poté distinguere l’entrata del cinema.
Tutte le persone con le quali aveva lavorato erano lì, vide
Dominic e Jerry che si facevano fotografare assieme, poi gli occhi del
regista caddero su di lei.
«Yasmine!» Le fece segno di raggiungerlo.
«Dom, ciao!» La ragazza si
avvicinò e salutò entrambi, poi si misero in posa
qualche attimo per farsi fotografare. «Dove sono gli
altri?»
«Gli altri sono arrivati prima di noi, sono
già dentro al cinema, ma non ho ancora visto
Benedict.»
«Siamo venuti assieme, eccolo
lì.» Yasmine indicò un punto dove i
fotografi stavano creando una piccola folla.
Dominic le lanciò un’occhiata di sbieco.
«Ah, siete venuti assieme. Come sei elegante!»,
esclamò poi sorridendo allegro.
«Grazie.» Yasmien girò su
sé stessa mostrando l’abito da sera. Non era certo
paragonabile a quello delle stelle di Hollywood, ma le piaceva come le
stava. Era color blu notte con qualche brillantino qua e là,
lo scollo a v scendeva fino a sotto il seno senza però
mostrare nulla, la gonna cadeva morbida sulle gambe e uno spacco sulla
destra saliva fino a metà coscia. Il tutto accompagnato da
una spilla argentata che i suoi genitori le avevano regalato.
Era a forma di delfino, il suo animale preferito.
Benedict li raggiunse e salutò Dominic e Jerry.
«Allora, Yasmine mi ha detto che siete venuti
assieme», commentò il regista con un piccolo
sorriso.
«Già, è così
infatti.» Benedict fece scivolare una mano a prendere quella
di Yasmine e la ragazza ringraziò il trucco di coprire le
sue guance che si arrossavano.
«Ottimo! Vogliamo entrare?»
I quattro si incamminarono verso l’entrata del
cinema, seguiti dal rumore delle fotocamere. Yasmine credette che
sarebbero esplose a forza di fare fotografie, quando Benedict si
chinò su di lei per parlarle all’orecchio, sempre
tenendole la mano. La ragazza fu molto sollevata quando furono al
riparo delle mura del cinema.
Prima dell’inizio del film c’era ancora qualche
minuto, così cercò con lo sguardo la sua famiglia
e andò loro incontro. I suoi due fratelli, sua madre e il
suo compagno, erano già seduti al loro posti.
«Ciao, avete avuto problemi ad arrivare fino a qui?»
«Oh no, figurati, abbiamo preso un taxi»,
disse sua madre, tutta un sorriso. «Ah! Hai messo la
spilla!»
«Sì», Yasmine
giocherellò con il delfino all’altezza della
spalla. «Ci sta bene, vero? Comunque, ho pensato che magari
domani sera potrei farvi vedere il mio appartamento. Potete venire a
cena.»
«Perché no? E poi così ci
presenti il tuo fidanzato!»
Yasmine sorrise. «Non vede l’ora. Si sta
facendo mille pensieri già da quando gli ho detto che
sareste venuti.»
«Chi interpreta nel film?»,
domandò Cam, il fidanzato di sua madre.
«Il protagonista, Philip. Comunque ha fatto molti
altri film, è quello che fa Sherlock!»
Fabian, uno dei suoi fratelli, sgranò gli occhi.
«Stai con Sherlock?!»
«Si chiama Benedict», rispose Yasmine
piccata.
«No, impossibile, si chiama Sherlock.»
«Ma…», sua madre parve
perplessa, «quanti anni ha?»
«Trentotto.» La ragazza alzò
lo sguardo e individuò Benedict fra la folla.
«Eccolo, Ben!» Agitò le mani e le fece
segno di raggiungerlo.
Benedict la scorse e si avvicinò, salutando un
amico e augurandogli buona visione. «Ciao. Iniziano fra poco,
andiamo a sederci? Siamo vicino a Jerry.»
«Sì certo, volevo presentarti i miei
genitori.»
Benedict strinse la mano a tutti, pensando che non si era mai sentito
tanto nervoso e sperando che non gli sudasse la mano. Chissà
cosa pensavano di lui, forse credevano che fosse un vecchio bavoso che
si era accaparrato la loro figlia con il fascino della fama e dei
soldi. Oppure… meglio non pensarci, la mano cominciava a
sudare.
«Ci vediamo a fine serata.» La ragazza
salutò i suoi familiari e Ben, tenendola per mano, la
condusse ai loro posti. Quando furono seduti uno di fianco
all’altro la ragazza si avvicinò al suo orecchio.
«Ho invitato i miei per cena domani sera, devi venire anche
tu.»
«Per cena? Dobbiamo andare a letto presto,
dopodomani dobbiamo andare con Martin e le bambine a pattinare,
ricordi?»
«Ah giusto…» Yasmine si morse
un labbro. «Possiamo fare una cosa veloce, gli spiego che mi
ero scordata di un impegno al mattino dopo. Puoi rimanere a dormire da
me, così facciamo prima.»
«Dovevamo invitarli a casa mia, è
più vicina.»
«Ma loro vogliono vedere casa mia, non casa
tua», bisbigliò Yasmine.
Benedict si volse di scatto verso di lei, esprimendo qualcosa
a cui stava pensando da un po’. Appena prima di aprire bocca
venne assalito dai dubbi: forse non era il posto adatto o forse
dovevano aspettare ancora un po’. Forse gli alieni li
avrebbero invasi o la regina avrebbe deciso che, dopotutto, una
repubblica non era così male! Forse, forse, forse! Benedict
scacciò dalla mente tutte queste possibilità
(quella degli alieni non era poi così improbabile, no?) e
prima di potersene pentire disse a Yasmine: «Vieni a vivere a
casa mia.»
Le luci si spensero e l’ultima immagine che vide
Benedict fu quella del viso della ragazza, girato verso di lei, in
un’espressione di totale sorpresa. L’uomo si
sistemò meglio sulla poltrona. Yasmine lo imitò.
Nel buio, senza essere vista da nessuno, sorrise. Si chinò
verso Benedict. «Okay, ci sto.»
Benedict si guardò le mani, illuminate dallo
schermo che si era acceso, e non poté reprimere un sorriso.
Allungò una mano e prese quella di Yasmine. Appena prima che
iniziasse il film, Ben non resistette e domandò:
«Credi che abbia fatto buona impressione?»
«Ma certo. Nemmeno tu puoi fare cattiva impressione
in due minuti», sussurrò Yasmine.
L’uomo le diede una leggera gomitata, ma sorrideva. Mentre il
film incominciava si ritrovò a pensare che adorava quelle
piccole, intime discussioni. Era andato tutto come aveva sperato.
Piccole gite fuori città, dormire assieme nei weekend
– e, fra poco, dormire assieme tutte le notti –
presentarsi agli amici, conoscere le famiglie. Tutto era perfetto. Alla
fine, aveva fatto bene a tuffarsi. Certo, era ancora una tartaruga
dentro di sé, ma sapeva quando valeva la pena trasformarsi
in delfino e quanto potevano essere divertenti i tuffi.
Fine
Questa
fanfiction non è stata scritta a fini di lucro ma per
divertimento. Nessuna delle persone reali citate sono a conoscenza di
questa fanfiction. I nomi di vie e città sono stati
utilizzati per dare verosimiglianza alla storia.
Buondì
a tutti!
Wooo! Non pensavo che questa storia sarebbe stata così
difficile da portare a termine. L'avevo iniziata per gioco (giusto per
avere una scusa per cercare foto e notizie su Benedict XD) ma alla fine
è diventata importante: questa è la fanfiction
con la quale torno su EFP dopo tanto, tanto tempo. Che dire? Spero che
vi sia piaciuta!
Ringrazio molto le persone che hanno letto e commentato. Mi raccomando,
dobbiamo continuare a scrivere fanfiction su Ben, questa sezione
è troppo poco frequentata! Se Ben lo venisse a sapere la sua
vita ne sarebbe distrutta! ...o forse no.
Comunque, a presto con nuove fanfiction :)
Patrizia
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