"Ciò
che propriamente fa rivoltare contro la sofferenza non è la
sofferenza in sé, bensì l'assurdità
del soffrire"
Friedrich Nietzsche,
Genealogia della morale,
1887
Le
si avvicinò con passo incerto
e il corpo scosso da un lieve tremore. Avrebbe voluto sparire ma allo
stesso
tempo inglobarla nella sua anima, si sarebbe incastrata bene in
quell’immenso
baratro di solitudine e di amarezza e allora le loro ferite, profonde
come
voragini avrebbero pulsato all’unisono, nel perfetto silenzio
del cosmo
sottraendosi alla consapevolezza dell’insensatezza del
vivere. Cercò i suoi
occhi e vi si fissò per un istante soltanto,
perché la loro profondità gli
scavò addosso vertigini.
C’era
il tutto in quei grandi
oceani nocciola, la dilaniante quotidianità, lo spietato
diktat di un secolo
crudele verso il suo sesso e la sua condizione. Aveva gli occhi da
principessa,
Teresa, ma nell’assurda commedia dell’esistenza le
era stata assegnata la parte
sbagliata ed ora sentiva ardere nei meandri più oscuri e
riposti della sua
anima il desiderio di riscrivere il copione o di scendere dal palco.
Distolse
lo sguardo, Teresa,
anch’ella stordita dalla profondità e
dall’amara mestizia che traboccava da
quegli occhi color del cielo nei quali a fatica riusciva a scorgere una
luce
fioca e tremolante, come una vaga folle immotivata speranza che
resisteva al
disincanto più gelido. Cercò di ritrarsi con
gesti impercettibili, sebbene non
desiderasse altro che essere salvata. Vide una mano incerta protendersi
verso
di lei, una mano consapevole di essere rifiutata a prescindere.
Istintivamente
allungò un braccio sino a sfiorarla, poi chiuse gli occhi e
la strinse
convulsamente
“Signorina…
permettetemi di aiutarvi,
per quanto mi sarà possibile” Mormorò
senza posare gli occhi su di lei. Si rese
conto di non essere mai stato tanto vicino ad una donna in vita sua.
Teresa
non disse nulla, non ne
aveva le forze. Inspirò a fondo e tentò di
rimettersi in piedi, aggrappandosi
ancora di più a quella mano. C’era tutto il peso
dell’umiliazione ad
appesantire il suo esile corpo eppure riusciva ancora, anche se a
stento, a
fare leva sulle sue gambe stanche, prive di forze. Si trattenne fino a
che le
fu possibile poi scoppiò in un pianto convulso.
Giacomo
le strinse appena la
mano. “E’ tutto finito, venite con me, abbiate
fiducia vi aiuterò, non dovete
avere timore alcuno”. Si stupì di tanta fermezza,
guardò la fanciulla di
sottecchi e la vide fare lo stesso.
La
fanciulla annuì asciugandosi
le lacrime, in fondo non aveva altra scelta.
“Che
è successo?” Sentì suo
fratello rivolgersi a suo padre.
“Nulla.
Quella puttana di tua
sorella non riesce a ficcarsi nella testa chi comanda qui”
La
parola “puttana” pronunciata
con il peggior disprezzo da suo padre la pugnalò a morte.
Pianse ancora ma di
rabbia . “State perdendo molto sangue”
Constatò Giacomo riportandola alla
realtà. “Seguitemi, vi
aiuterò” le ripetè rendendosi conto in
quell’istante che
“in pratica” non sapeva nemmeno fare una
medicazione.
La
condusse nelle scuderie e la
fece sedere su un covone di fieno. “Aspettatemi
qui…” Ritornò dopo un tempo che
le parve interminabile con una bacinella di acqua, delle bende e una
bottiglia
di aceto. Nessuno dei due osò rompere quel silenzio
meraviglioso e terribile,
quel ponte sospeso sull’eternità e sulle loro
fragili esistenze.
“Vi
ringrazio… conte” mormorò
Teresa con un filo di voce. Sollevò appena lo sguardo e
capì all’istante. Si
allungò a fatica verso la bottiglia di aceto, la
aprì e versò un po’ del suo
contenuto su di una benda. Giacomo la fissò immobile mentre
cercava di
slacciarsi il corsetto, macchiato di sangue in più punti.
“Sentite molto male?”
Teresa sobbalzò quasi incredula del suo interesse.
Continuò ad armeggiare con
il corsetto, inutilmente. “Le ferite che sanguinano dolgono
per poi
rimarginarsi e guarire, quelle all’orgoglio e al cuore
invece… uccidono.”
Mormorò la fanciulla più a se stessa che a lui.
Rimase esterefatto da tale
considerazione, era stata veramente lei a parlare oppure aveva udito la
voce
della sua coscienza parlare attraverso le labbra della povera figlia
del
cocchiere? “Non permetteteglielo, di uccidervi”.
Teresa scoprì completamente le
spalle e con le mani tremanti si avvicinò la benda alle
scapole. Il contatto
con l’aceto la fece rabbrividire. Vide Giacomo voltarsi in
fretta e senza
volerlo sorrise lievemente. “Sapete di mia madre?”
Azzardò lei levandosi in
piedi “Si, signorina. Non sapete quanto mi rincresce per la
sua malattia, vi
auguro giungano tempi migliori per la vostra famiglia, ve lo
meritate.” Teresa
si rese conto di non riuscire ad arrivare a tamponarsi le ferite e si
fece
scorrere l’aceto lungo la spina dorsale. “Mia madre
aspetta un figlio,
oltretutto” Aggiunse stringendo forte i pugni e trattenendo
le lacrime per il
forte bruciore che l’aceto le stava causando. Vide Giacomo
voltarsi lentamente
verso di lei. Non disse nulla, nessuna parola era degna di arginare
quella
voragine. “Ho detto a mio padre ciò che pensavo di
lui” Proseguì Teresa con un
filo di voce. “Io non mi sposerò mai”
aggiunse con un tono di involontario
disprezzo. Giacomo si voltò di nuovo, tornando a darle le
spalle. “Voi conte
avete letto tanti libri…” Affermò quasi
con disperazione “Voi sapete il senso
di tutto questo, non è vero?”
Giacomo
inspirò a fondo. “Vedete…
io vorrei dirvi che il sapere rappresenta una via di fuga al non senso
del
tutto, che ogni libro letto, che ogni frase scritta sono un passo in
più verso
la scoperta del senso delle cose, ma non è così.
Tutto ciò che so, che ho
appreso non ha fatto altro che farmi avvertire la mia infinita
piccolezza a
darmi certezze circa il non senso del tutto”
Teresa
ascoltò quelle parole
difficili e sentì le lacrime salire veloci e poi scenderle
copiose sulle
guance, il suo divenne un pianto convulso.
“V…venite qui” mormorò con
voce
strozzata. Aveva bisogno di un barlume di certezza
nell’assurdità
dell’esistenza.
“Prego?”
Le rispose Giacomo ansimando lievemente. “Ho bisogno di un
abbraccio, non ditemi di no” Lo implorò Teresa con
un filo di voce. Si chiese
dove fosse finito il suo orgoglio, ma si rese conto che era stato il
suo
istinto di sopravvivenza a parlare, come se solo
quell’abbraccio avrebbe potuto
tenerla in vita. Le si avvicinò quasi barcollando, le
orecchie gli fischiavano
stordendolo, si sentiva la febbre. La avvolse impacciatamente fra le
sue
braccia e le tolse dalle mani la garza imbevuta di aceto. “Se
volete posso
guardarvi le ferite” La fanciulla scosse lievemente il capo e
si appoggiò
timidamente sulla sua spalla, leggermente ricurva, il respiro del conte
divenne
più frequente- “E… le vostre ferite di
che natura sono?” Azzardò Teresa con un
filo di voce. “Sono fra quelle che uccidono, come avete detto
voi”. Teresa
avvolse timidamente le sue braccia attorno al collo di quel giovane
uomo così
diverso eppure dannato tanto quanto lei. Rimasero in quella posizione
per
qualche minuto, poi Giacomo le sussurrò in un orecchio
“Immagino che voi
possiate capire cosa significhi detestare la propria vita, il fatto
stesso di
esistere eppure non riuscire razionalmente a rinunciarvi”
“Ogni giorno” “Vedete,
Teresa, anche se l’amore sembra ciò che di
più disinteressato esista, al
contrario sfocia nella più alta forma di
egoismo…” Teresa chiuse gli occhi, non
riusciva a reggere quello sguardo. “Vi prego, non
ditelo…” Lo implorò invano la
fanciulla “Mettere al mondo dei figli, condannarli alla vita
e alla morte”
Proseguì Giacomo con voce leggermente incrinata
“Voi lo sapete bene”. Teresa
inspirò a fondo e senza dire nulla gli accarezzò
il volto. Giacomo arrossì
completamente, incapace di trovare spiegazione a quel gesto.
“Ora ditemi che
sono egoista” Giacomo sorrise della tiepida
semplicità di quell’affermazione. “Ad
ogni modo vi ringrazio” Concluse lui senza sollevare lo
sguardo. “Mi ha giovato
parlare con voi. Vi lascerò le bende e l’aceto.
E’ meglio che me ne vada ora,
in fondo non posso esservi di aiuto in alcun
modo…” Disse allontanandosi un
poco e maledicendosi per la sua stessa affermazione. Teresa
capì un’altra volta
di aver bisogno della sua presenza, lì, in
quell’istante. Gli afferrò
debolmente la mano impedendogli di allontanarsi e senza indugi gli
sfiorò le
labbra con un bacio. Giacomo avvertì il sapore del sangue,
un guazzabuglio di
pensieri si agitarono in lui, per poi spegnersi uno dopo
l’altro. “Questo è per
tutto l’affetto che vi ha negato vostra madre,
conte” Evidentemente anche la
servitù era a conoscenza
della rigidità
della marchesa Adelaide. A quelle parole Giacomo ricambiò
impacciatamente il
bacio e le sussurrò “semplicemente Giacomo. E
questo è per quello che vi ha
fatto vostro padre".
|