Allora
seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme
a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a
restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco
dell'angelo - C.R.Z]
L'uomo uccide
sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio
può ambire al paradiso}
La casa che hanno preso in
affitto in Giappone è proprio un buco. Lurida, dai muri nudi
e coperti di muffa. Il salotto che prima era ricolmo di computer e
telecamere, oltre alla televisione e le consolle, adesso mostra i segni
della rabbia di chi l'ha abitata in questi giorni; è tutto
distrutto, hard disk gettati per terra tra le custodie infrante dei cd,
cavalletti riversi e dalle gambe rotte, schermi scheggiati e vetri sul
pavimento impolverato e cosparso di cartacce di cioccolata ad indicare
l'unico nutrimento del ragazzo seduto sul vecchio divano di pelle
rovinata.
La poltrona
e i pouf sono stati fatti a pezzi come le altre cose, gettati
alla rinfusa per quella stanza che ora sembra più un campo
di battaglia che la postazione di Matt, come era stata per tutto quel
tempo.
Ma no. Non
era solo la postazione di Matt, o il luogo in cui il ragazzo si svagava
giocando ai suoi stupidi giochi. Quello era anche il posto della casa
in cui potevano passare più tempo insieme, anche soltanto a
guardare i notiziari, scorrere i documenti o parlare, chi mangiando
cioccolata chi fumando e guardando il soffitto. Sembrava quasi una vita
normale, la loro, in quei momenti.
Ma il solo
pensarci fa arricciare le labbra del ragazzo dai capelli biondi in una
smorfia amara, che indurisce ed incattivisce un'espressione resa
perennemente arcigna dalla cicatrice che deturpa un viso che mostra
ancora i segni di una bellezza passata. Eppure quegli occhi che non
sembrano capaci di afferrare un solo colore e mantenerlo, cangianti e
perennemente in tempesta, nuvoli come un mare sferzato da pioggia e
vento, non riescono a mostrare un'emozione che sia una. Non odio, non
rabbia, nemmeno rassegnazione.
Sta
lì senza un perchè, Mello. Sta lì
senza rendersi realmente conto di esserci. Potrebbe passare giorni
interi su quel divano, come anche ha fatto fino ad oggi, e lasciarsi
consumare e morire. A chi importerebbe? Nessuno si accorgerebbe della
sua scomparsa da questo mondo. Una ben misera uscita di scena rispetto
a quella che gli si era prospettata quasi due mesi prima. Arrivando al
punto di rimpiangere l'aver tenuto il casco impedendo a quella
puttanella della Takada di farlo fuori come sue intenzioni.
Sarebbe
stato meglio farlo, nel momento in cui suoi occhi si posavano sul
piccolo schermo tenuto vicino al volante del furgone. Nel momento in
cui il peso della croce d'oro gli era piombato fastidioso in grembo e
aveva visto il corpo dell'altro cadere in ginocchio ed accasciarsi al
suolo, simile ad un burattino a cui vengono tranciati bruscamente i
fili.
Divertente
come tutto sembri piccolo e inconsistenze dietro il vetro di una
telecamera. Quasi quello che si vede non stia accadendo realmente. E
forse è stata la speranza di ciò a costringerlo
ad aggrapparsi alla vita e salvarsi il culo.
La speranza
di poter rivedere gli occhi ridenti e il sorriso sfacciato di Matt.
Una
speranza che è andata morendo, di giorno in giorno, di ora
in ora, ad ogni fottutissimo beep
che non era altro che uno stillicidio.
Perché
non era forse morire insieme a lui, in quella stanza, quello che stava
facendo?
Logorandosi
nervi ed animo, perdendo i contatti con la realtà e quel
poco di lucidità rimasta. Nella speranza, solo nella
speranza di vederlo muoversi... almeno un poco. Solo un po', per poter
capire che quell'attesa valesse realmente qualcosa.
L'urlo che
squarcia il silenzio forse non è nemmeno il primo, di certo
non sarà l'ultimo. Si ritrova semplicemente a gridare,
Mello, cercando così di sfogare la frustrazione e tutto
ciò che si agita dentro di lui e che non trova risposte. Un
puzzle a cui mancano molti, troppi pezzi per poter essere completato a
dovere.
Buffo,
perché lui odia i puzzle. Gli ricordano la Wammy's House,
gli ricordano Near...
Near. Quell'odioso
nanerottolo.
Una sola
cosa in vita sua gli ha chiesto, abbassandosi ad ingoiare il proprio
orgoglio. Una sola volta ha chiesto aiuto a lui, e nemmeno per se
stesso - ma bugiardo lo è sempre stato, è
più facile convincersi di questo che del proprio egoismo.
E non
è riuscito a far niente. Nulla. Dov'è finita
tutta la genialità di cui si è sempre vantato?
Che fine ha fatto il prediletto di Elle?
«E'
questo che sa fare il Numero Uno? E' solo questo che sa
fare?!»
Grida,
grida fino a sentire bruciare fastidiosamente la gola ma, anche allora,
continua a gridare. Grida perché non riesce a piangere,
perché non ha altro modo per sfogare il dolore se non
tornare a devastare una casa distrutta.
Si
rannicchia sul divano, stringendosi nelle spalle e nascondendo la testa
fra le gambe. Cerca di non vedere, di dimenticare, di contenere le urla
ed il dolore.
Ma sono
sempre lì, che graffiano sottopelle. Che bruciano come fuoco
nelle vene e lungo la gola, riarsa e simile a carta vetrata adesso che
non ha più un singolo fiato da spendere.
E vorrebbe
solo ripetere che gli dispiace, che è colpa sua. Che non
avrebbe dovuto, che non avrebbe voluto.
Che non
è altro che un codardo anche adesso, incapace di rimanere al
fianco di chi ha mandato a morire perché terrorizzato
dall'idea di vedere finire tutto. Di rendersi davvero conto di averlo
ucciso - poco importa che le pallottole non fossero quelle della sua
pistola.
Dondola su
stesso, come un bambino spaventato dal mondo e che cerca inutilmente di
difendersi da esso convincendosi che nessuno lì
potrà toccarlo. Invadere il suo spazio vitale.
Maledizione
a lui e quando ha permesso a Matt di farlo. Maledizione a lui e maledizione
a Matt, che non ha voluto mandarlo a fanculo quando
avrebbe dovuto. Che gli è sempre tornato al fianco, anche
dopo essere cacciato via più e più volte, in
più e più modi.
Tra lo
spiraglio delle braccia poi li vede.
Sono
gettati per terra, vicino ad un cuscino spiumato, con crudele
noncuranza.
I vetri
arancioni (o forse gialli?) ammiccano verso di lui, colpiti dalla fioca
luce che filtra dalle tapparelle rotte.
Sembrano
quasi dimenticati lì, come se il loro distratto proprietario
li avesse lasciati cadere giocando ai videogames. Può quasi
immaginarsi di vederlo girare con aria perplessa - idiota,
assolutamente idiota - per la stanza, chiedendogli a gran voce se li
avesse visti, per caso, che dei fottuti occhiali non possono mica
sparire nel nulla o mettere i piedi e andare a farsi un giro al centro.
Un sorriso
affiora sulle labbra screpolate, ma è solo una smorfia. Una
smorfia bagnata da un'unica lacrima e che scandisce un'ammissione
fastidiosa.
Consegnata
a nessun altri che alle macerie della propria vita e ad un paio di
occhialoni da pilota.
«Ti ho ucciso io.»
Il
cellulare squilla, squilla fastidiosamente e vibra sul pavimento sporco
su cui è stato abbandonato.
Chissà
da quant'è che squilla, non lo sa e non gli importa.
Viene
ignorato e lasciato lì, a suonare da solo, a vibrare la sua
protesta senza che il suo proprietario si degni di allungare la mano
per premere un singolo bottoncino.
Che sia
quello per accettare o rifiutare la chiamata.
Ma cosa
importa, cosa importa...
Si sente
così stanco, la sua mente non collabora figurarsi il corpo.
Se solo non fosse bloccato, come in uno stand by catatonico, forse
arriverebbe a chiedersi chi diamine abbia il suo numero di cellulare. E
rendersi conto che non sono in molti ad avere il privilegio - o
l'onere, forse.
Il
cellulare squilla ancora una, due volte. Poi sembra rassegnarsi.
Oh,
finalmente.
Il display
si illumina per un attimo, però. Ha dimenticato la
segreteria telefonica.
Sono un
netto contrasto con lo sfondo i caratteri neri che compongono il nome
di chi così a lungo sembra averlo cercato.
Near. Near? Eppure
è troppo lontano...
>>>>>>>>>>>
Angolino Rosso
Ahm.
Sono sparita, lo so. Ho lasciato perdere questa long, lo so di nuovo.
Ero quasi
indecisa se cancellarla, se devo proprio essere onesta. Continuavo a
rileggerla e non mi convinceva, oltre al fatto che non riuscissi
proprio a buttare giù una frase che fosse una per
continuarla. Però, però... però
c'è chi di voi mi ha chiesto di farlo, di provarci. E mi
sono detta... perché no? Perché buttare un lavoro
nel cestino senza nemmeno sforzarmi di provare a continuare?
E allora c'ho
provato.
Questo
capitolo l'ho voluto dedicare a Mello e a ciò che l'ha
spinto ad abbandonare Matt. Mi piace come personaggio, il biondo, mi
piace giocare con la sua psicologia e cercare di capirlo. Non dico di
riuscirci, ma almeno ci provo e mi dà la spinta per
continuare.
E
così è questa, una prova. Non assicuro che
riuscirò a dare un finale a questa storia, né che
da ora inizierò magicamente ad aggiornare periodicamente e
stabilmente. Sarebbero promesse che non posso mantenere.
Però
provo a non abbandonarla, se posso.
E ne
approfitto per ringraziare chi mi ha spinto a provarci di nuovo. Ugh...
sembra così tanto drammatico. La chiudo qui che è
meglio.
Chuu...?
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