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Autore: R e d_V a m p i r e     26/07/2014    3 recensioni
Mello e Matt non sono morti quel ventisei Gennaio. Eppure per Mihael sarebbe stato meglio se la sua vita fosse terminata quel giorno, piuttosto che dover passare i mesi seguenti con la sola compagnia di un angoscioso senso di colpa. E ritrovarsi a dover fare forzatamente i conti con i suoi sentimenti.
Perché Mail non è morto, è vero, ma è come se lo fosse. E dal coma, del resto, è difficile risvegliarsi. Così come lo è continuare a sperare.
«Perché non muovi quel pigro culo da drogato di videogames e ti svegli? Hai dormito abbastanza e siamo qui da quasi un mese...»
«... svegliati, Mail... voglio tornare a casa...»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri personaggi, Matt, Mello | Coppie: Matt/Mello
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Allora seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco dell'angelo - C.R.Z]



L'uomo uccide sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio può ambire al paradiso}








La casa che hanno preso in affitto in Giappone è proprio un buco. Lurida, dai muri nudi e coperti di muffa. Il salotto che prima era ricolmo di computer e telecamere, oltre alla televisione e le consolle, adesso mostra i segni della rabbia di chi l'ha abitata in questi giorni; è tutto distrutto, hard disk gettati per terra tra le custodie infrante dei cd, cavalletti riversi e dalle gambe rotte, schermi scheggiati e vetri sul pavimento impolverato e cosparso di cartacce di cioccolata ad indicare l'unico nutrimento del ragazzo seduto sul vecchio divano di pelle rovinata.
La poltrona e i pouf  sono stati fatti a pezzi come le altre cose, gettati alla rinfusa per quella stanza che ora sembra più un campo di battaglia che la postazione di Matt, come era stata per tutto quel tempo.
Ma no. Non era solo la postazione di Matt, o il luogo in cui il ragazzo si svagava giocando ai suoi stupidi giochi. Quello era anche il posto della casa in cui potevano passare più tempo insieme, anche soltanto a guardare i notiziari, scorrere i documenti o parlare, chi mangiando cioccolata chi fumando e guardando il soffitto. Sembrava quasi una vita normale, la loro, in quei momenti.
Ma il solo pensarci fa arricciare le labbra del ragazzo dai capelli biondi in una smorfia amara, che indurisce ed incattivisce un'espressione resa perennemente arcigna dalla cicatrice che deturpa un viso che mostra ancora i segni di una bellezza passata. Eppure quegli occhi che non sembrano capaci di afferrare un solo colore e mantenerlo, cangianti e perennemente in tempesta, nuvoli come un mare sferzato da pioggia e vento, non riescono a mostrare un'emozione che sia una. Non odio, non rabbia, nemmeno rassegnazione.
Sta lì senza un perchè, Mello. Sta lì senza rendersi realmente conto di esserci. Potrebbe passare giorni interi su quel divano, come anche ha fatto fino ad oggi, e lasciarsi consumare e morire. A chi importerebbe? Nessuno si accorgerebbe della sua scomparsa da questo mondo. Una ben misera uscita di scena rispetto a quella che gli si era prospettata quasi due mesi prima. Arrivando al punto di rimpiangere l'aver tenuto il casco impedendo a quella puttanella della Takada di farlo fuori come sue intenzioni.
Sarebbe stato meglio farlo, nel momento in cui suoi occhi si posavano sul piccolo schermo tenuto vicino al volante del furgone. Nel momento in cui il peso della croce d'oro gli era piombato fastidioso in grembo e aveva visto il corpo dell'altro cadere in ginocchio ed accasciarsi al suolo, simile ad un burattino a cui vengono tranciati bruscamente i fili.
Divertente come tutto sembri piccolo e inconsistenze dietro il vetro di una telecamera. Quasi quello che si vede non stia accadendo realmente. E forse è stata la speranza di ciò a costringerlo ad aggrapparsi alla vita e salvarsi il culo.
La speranza di poter rivedere gli occhi ridenti e il sorriso sfacciato di Matt.
Una speranza che è andata morendo, di giorno in giorno, di ora in ora, ad ogni fottutissimo beep che non era altro che uno stillicidio.
Perché non era forse morire insieme a lui, in quella stanza, quello che stava facendo?
Logorandosi nervi ed animo, perdendo i contatti con la realtà e quel poco di lucidità rimasta. Nella speranza, solo nella speranza di vederlo muoversi... almeno un poco. Solo un po', per poter capire che quell'attesa valesse realmente qualcosa.


L'urlo che squarcia il silenzio forse non è nemmeno il primo, di certo non sarà l'ultimo. Si ritrova semplicemente a gridare, Mello, cercando così di sfogare la frustrazione e tutto ciò che si agita dentro di lui e che non trova risposte. Un puzzle a cui mancano molti, troppi pezzi per poter essere completato a dovere.
Buffo, perché lui odia i puzzle. Gli ricordano la Wammy's House, gli ricordano Near...
Near. Quell'odioso nanerottolo.
Una sola cosa in vita sua gli ha chiesto, abbassandosi ad ingoiare il proprio orgoglio. Una sola volta ha chiesto aiuto a lui, e nemmeno per se stesso - ma bugiardo lo è sempre stato, è più facile convincersi di questo che del proprio egoismo.
E non è riuscito a far niente. Nulla. Dov'è finita tutta la genialità di cui si è sempre vantato? Che fine ha fatto il prediletto di Elle?
«E' questo che sa fare il Numero Uno? E' solo questo che sa fare?!»
Grida, grida fino a sentire bruciare fastidiosamente la gola ma, anche allora, continua a gridare. Grida perché non riesce a piangere, perché non ha altro modo per sfogare il dolore se non tornare a devastare una casa distrutta.
Si rannicchia sul divano, stringendosi nelle spalle e nascondendo la testa fra le gambe. Cerca di non vedere, di dimenticare, di contenere le urla ed il dolore.
Ma sono sempre lì, che graffiano sottopelle. Che bruciano come fuoco nelle vene e lungo la gola, riarsa e simile a carta vetrata adesso che non ha più un singolo fiato da spendere.
E vorrebbe solo ripetere che gli dispiace, che è colpa sua. Che non avrebbe dovuto, che non avrebbe voluto.
Che non è altro che un codardo anche adesso, incapace di rimanere al fianco di chi ha mandato a morire perché terrorizzato dall'idea di vedere finire tutto. Di rendersi davvero conto di averlo ucciso - poco importa che le pallottole non fossero quelle della sua pistola.
Dondola su stesso, come un bambino spaventato dal mondo e che cerca inutilmente di difendersi da esso convincendosi che nessuno lì potrà toccarlo. Invadere il suo spazio vitale.
Maledizione a lui e quando ha permesso a Matt di farlo. Maledizione a lui e maledizione a Matt, che non ha voluto mandarlo a fanculo quando avrebbe dovuto. Che gli è sempre tornato al fianco, anche dopo essere cacciato via più e più volte, in più e più modi.
Tra lo spiraglio delle braccia poi li vede.
Sono gettati per terra, vicino ad un cuscino spiumato, con crudele noncuranza.
I vetri arancioni (o forse gialli?) ammiccano verso di lui, colpiti dalla fioca luce che filtra dalle tapparelle rotte.
Sembrano quasi dimenticati lì, come se il loro distratto proprietario li avesse lasciati cadere giocando ai videogames. Può quasi immaginarsi di vederlo girare con aria perplessa - idiota, assolutamente idiota - per la stanza, chiedendogli a gran voce se li avesse visti, per caso, che dei fottuti occhiali non possono mica sparire nel nulla o mettere i piedi e andare a farsi un giro al centro.
Un sorriso affiora sulle labbra screpolate, ma è solo una smorfia. Una smorfia bagnata da un'unica lacrima e che scandisce un'ammissione fastidiosa.
Consegnata a nessun altri che alle macerie della propria vita e ad un paio di occhialoni da pilota.
«Ti ho ucciso io.»


Il cellulare squilla, squilla fastidiosamente e vibra sul pavimento sporco su cui è stato abbandonato.
Chissà da quant'è che squilla, non lo sa e non gli importa.
Viene ignorato e lasciato lì, a suonare da solo, a vibrare la sua protesta senza che il suo proprietario si degni di allungare la mano per premere un singolo bottoncino.
Che sia quello per accettare o rifiutare la chiamata.
Ma cosa importa, cosa importa...
Si sente così stanco, la sua mente non collabora figurarsi il corpo. Se solo non fosse bloccato, come in uno stand by catatonico, forse arriverebbe a chiedersi chi diamine abbia il suo numero di cellulare. E rendersi conto che non sono in molti ad avere il privilegio - o l'onere, forse.
Il cellulare squilla ancora una, due volte. Poi sembra rassegnarsi.
Oh, finalmente.
Il display si illumina per un attimo, però. Ha dimenticato la segreteria telefonica.
Sono un netto contrasto con lo sfondo i caratteri neri che compongono il nome di chi così a lungo sembra averlo cercato.
Near. Near? Eppure è troppo lontano...




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Angolino Rosso
Ahm. Sono sparita, lo so. Ho lasciato perdere questa long, lo so di nuovo.
Ero quasi indecisa se cancellarla, se devo proprio essere onesta. Continuavo a rileggerla e non mi convinceva, oltre al fatto che non riuscissi proprio a buttare giù una frase che fosse una per continuarla. Però, però... però c'è chi di voi mi ha chiesto di farlo, di provarci. E mi sono detta... perché no? Perché buttare un lavoro nel cestino senza nemmeno sforzarmi di provare a continuare?
E allora c'ho provato.
Questo capitolo l'ho voluto dedicare a Mello e a ciò che l'ha spinto ad abbandonare Matt. Mi piace come personaggio, il biondo, mi piace giocare con la sua psicologia e cercare di capirlo. Non dico di riuscirci, ma almeno ci provo e mi dà la spinta per continuare.
E così è questa, una prova. Non assicuro che riuscirò a dare un finale a questa storia, né che da ora inizierò magicamente ad aggiornare periodicamente e stabilmente. Sarebbero promesse che non posso mantenere.
Però provo a non abbandonarla, se posso.
E ne approfitto per ringraziare chi mi ha spinto a provarci di nuovo. Ugh... sembra così tanto drammatico. La chiudo qui che è meglio.
Chuu...?
   
 
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