Cap
1
-
Chirone, ti devo parla … - Evan si interruppe di
botto, fissando perplesso la schiera di ragazze che affollava
l’ufficio del
centauro.
-
Non adesso, Evan. –
-
Ma è importante. – protestò.
-
Questi mocciosi, sempre convinti di essere i soli
ad avere qualcosa di urgente da fare. – borbottò
Dioniso, seduto in un angolo.
– Del resto è tipico di un figlio di Apollo essere
così egocentrico. –
-
Ciao anche a te, mr D. –
Il
Dio alzò gli occhi al cielo, intravedendo la
figura muscolosa del figlio di Ares.
-
Fantastico, ci mancava solo lui, adesso sì che la
mia mattinata è completamente rovinata. –
-
Sì, anche io sono felice di vederti. –
Il
gruppo di ragazze si voltò verso di loro,
guardandoli storto, mentre quella che doveva essere la loro leader non
diede
alcun segno di averli notati e continuò a gesticolare
furiosamente. Chirone
l’ascoltava con pazienza, annuendo di quando in quando.
Evan
si soffermò su di lei, osservandola con
attenzione. Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena e
leggermente mossi, di
un bel biondo, e gli occhi più blu che avesse mai visto. Un
cerchietto
argentato riluceva tra le onde lievemente scompigliate. La carnagione
era
lievemente dorata, tipica di chi passava molto tempo
all’aperto.
-
Capisco la gravità della situazione, Kate, e ti
assicurò che faremo tutto il possibile per aiutare le
Cacciatrici. Questa sera
interpelleremo il nostro Oracolo e decideremo il da farsi. –
stabilì.
Kate
annuì, apparentemente soddisfatta, e uscì a
passi decisi dalla stanza. Le Cacciatrici la seguirono a ruota, dopo
aver
folgorato Rico ed Evan con un’occhiata che sembrava dire che li considerassero
la causa di tutti
i mali.
-
Cacciatrici, brutta razza. – borbottò Rico,
lasciandosi cadere su una delle sedie in un angolo.
Se
Nieve l’avesse sentito probabilmente gli avrebbe
rifilato una gomitata nelle costole, visto che le apprezzava molto per
il loro
coraggio e il loro valore, ma fortunatamente era rimasta in mensa.
Chirone
sospirò e, se il figlio di Ares non avesse
avuto la certezza che i Centauri non potessero soffrire di crisi di
mezza età,
avrebbe detto che era giunto il tempo che il direttore andasse in
pensione o
quantomeno si prendesse una lunga vacanza. Il pensiero che in quel
caso, però,
il Campo sarebbe rimasto unicamente sotto la gestione di Dioniso lo
fece
rabbrividire.
Sotto
la guida del Dio degli eccessi non sarebbero
durati a lungo, un paio di giorni a voler essere ottimisti.
-
Allora, di cosa volevi parlarmi? –
-
Ho visto
una cosa strana, che non sono riuscito a interpretare e pensavo che
forse tu
potessi darmi una mano. Era una cerva d’argento, intrappolata
da qualche parte,
ma non sono riuscito a capire cosa volesse dirmi. –
replicò Evan, cercando di
farsi tornare in mente quanti più dettagli possibili.
A
quelle parole Chirone prese a raspare nervosamente
sul pavimento.
Qualunque
cosa fosse non era una buona notizia,
realizzò Rico, mentre scacciava l’ipotesi di
raccontargli anche del suo sogno.
-
La Divina Artemide è stata rapita, è per questo
che le Cacciatrici sono qui, e credo che la tua visione mostrasse
proprio
questo. La cerva d’argento è il suo animale sacro.
–
No,
non era decisamente
il caso di disturbarli con uno stupido incubo.
Evan
si battè una mano sulla fronte, come se non
credesse possibile il fatto di non esserci arrivato da solo.
– Avrei dovuto
capirlo, è che queste visioni mi scombussolano sempre.
–
-
Ne riparleremo stasera, per il momento vi chiedo
di mantenere il massimo riserbo su ciò che è
successo. Aspettiamo la predizione
dell’Oracolo. – decretò il centauro.
Annuirono,
capendo che quelle parole non erano altro
che un velato congedo.
Quando
furono all’aria aperta, Rico inarcò un
sopracciglio e rivolse all’amico uno sguardo intenso.
-
Che c’è? –
-
Perché non me ne hai parlato prima? – volle
sapere.
Loro
si dicevano sempre tutto, fin da quando avevano
messo piede al Campo nello stesso anno ed erano diventati migliori
amici. Erano
arrivati a considerarsi come fratelli.
-
E tu perché non vuoi dirmi cosa ti preoccupa? –
rilanciò lui.
Sospirò,
alzando gli occhi al cielo. Quando ci si
metteva diventava tremendamente insistente.
-
Perché è una cosa stupida, priva di importanza.
–
Bene,
quando Rico diceva così si rivelava essere
sempre qualcosa di allarmante. Ormai Evan conosceva bene il suo
concetto di “privo
di importanza”.
-
Lascialo giudicare a me. – replicò, testardo.
L’arrivo
di Nieve mise fine al loro battibecco.
-
Cos’è che dovrebbe lasciarti giudicare?
– domandò,
inarcando un sopracciglio perfettamente curato e puntando gli occhi
azzurri nei
suoi smeraldini.
Un’occhiata
di Rico intercettò l’amico. Il messaggio
era chiaro come il sole: non doveva dirle niente.
-
Se è davvero in grado di prendermi a calci dentro
l’Arena. – mentì prontamente.
Nieve
non sembrava molto convinta, ma lasciò perdere
per il momento. Avrebbe potuto usare la lingua ammaliatrice, ma non le
piaceva
ricorrere a quel potere quando si trattava dei suoi amici. Forzare
qualcuno a
fare o dire qualcosa che non voleva era l’equivalente di una
vera e propria
violenza.
-
Sento odore di sfida nell’aria. –
replicò, mentre
le labbra le si arricciavano in un’espressione divertita.
-
Io più che altro sento odore di vittoria. – la
corresse Rico, sorridendo arrogantemente.
Essere
un figlio di Ares presupponeva una certa
abilità innata ed essere il suo preferito lo rendeva
… bè, diciamo solo che al
Campo non esisteva nessuno in grado di rivaleggiare con lui da quando
la sua
sorellastra, Clarisse, se ne era andata. Qualche volta il suo ricordo
gli
causava una fitta di nostalgia, ma la scacciava prontamente
perché sapeva bene
che, se solo le fosse arrivata alle orecchie una voce del genere,
avrebbe
probabilmente cominciato a prenderlo in giro da lì fino alla
fine dell’universo.
Raggiunsero
l’Arena, scegliendo un’arma che non
avvantaggiasse nessuno dei due, mentre Nieve si sistemava su uno dei
gradoni
della tribuna e li osservava indossando le vesti di giudice.
La
scelta ricadde sulla lancia. Malgrado fosse l’arma
per eccellenza di Ares, infatti, Rico non si trovava mai del tutto a
suo agio a
usarla. Lui era un uomo da spada, punto e basta.
Soppesò
l’impugnatura, passandosela di mano in mano,
finchè non appurò che il bilanciamento era quasi
perfetto.
-
Allora, cominciamo? – chiese Evan.
-
Ti lascio la prima mossa, mi sento particolarmente
magnanimo questa mattina. – concesse Rico, sorridendo sicuro
di sé.
-
Troppa grazia. –
Si
lanciò in avanti, menando fendenti che falciavano
l’aria e ringhiando per la frustrazione quando Rico
parò colpo su colpo. – Parato
… parato … parato di nuovo. –
Venne
il turno del moro di passare all’attacco,
muovendosi fulmineo e costringendolo in ginocchio. Usò
l’asta della lancia per
serrargli il collo in una presa mortale.
-
Morto. – decretò, mentre Nieve si alzava in piedi
e batteva lentamente le mani.
-
Dannazione, non puoi proprio lasciarmi vincere
almeno per una volta? – borbottò Evan, accettando
la mano che gli veniva porta
e rimettendosi in piedi.
-
Dovresti saperlo che non è nella mia natura,
fratello. –
Si
presero giocosamente a spinte, sotto lo sguardo
di Nieve che scuoteva la testa, divertita
dall’immaturità che ogni tanto
dimostravano. Era in momenti come quelli che non si sentiva
così dannatamente
adulta e piena di responsabilità.
Stavano
passando davanti alla postazione del tiro
con l’arco, diretti alle scuderie dei pegasi, quando il
rumore di una pioggia
di frecce che centrava il bersaglio attirò la loro
attenzione.
-
Fantastico, ci sono le perennemente mestruate. –
borbottò Rico.
La
gomitata di Nieve lo raggiunse prontamente,
venendo accompagnata da un’occhiata assassina. –
Dicevi? –
-
Dicevo le Cacciatrici. – si corresse, sorridendo
sfrontato, e aggiunse: - L’unica figlia di Afrodite che
simpatizza con un
gruppo di tizie dagli eccessi di ira facili e votate alla
castità. Ora sì che
le ho viste tutte. –
-
Sono forti e coraggiose, ammiro le ragazze toste. –
chiarì.
-
Lo so, lo so. E tu sei la più tosta di tutte. –
concluse, chinandosi a depositarle un bacio sulla fronte.
Le
guance alabastrine di Nieve si tinsero, per un
brevissimo istante, di una delicata tonalità di rosa
pallido, ma la ragazza
riacquistò il controllo alla svelta.
Evan
non prestò attenzione al loro piccolo scambio
di battute, troppo concentrato a osservare Kate che colpiva
sistematicamente il
centro preciso del bersaglio.
Lui
era bravo con l’arco e le frecce, quasi
infallibile, ma quella ragazza era la perfezione assoluta.
Quando
la faretra fu ormai vuota, Kate si diresse
verso di loro, puntando in direzione di chissà cosa.
Probabilmente voleva
tornare alla Casa otto, quella onoraria dedicata ad Artemide.
Evan
non seppe cosa lo spinse a fermarla, ma lo
fece.
-
Ehy, ti ho vista tirare, sei stata incredibile. –
La
Cacciatrice lo guardò dall’alto in basso, come
qualunque
altra ragazza avrebbe fissato un insetto. Non era abituato a reazioni
come
quella, lui che era sempre stato considerato da tutte come un bel
ragazzo.
-
Lo so. –
-
Io sono Evan … Kate, giusto? – tentò di
nuovo.
-
Lo so, figlio di Apollo, ora perché non mi lasci
un po’ in pace? – replicò,
oltrepassandolo e tirando dritto come se niente
fosse.
L’aveva
chiamato “figlio di Apollo” come se fosse
un’offesa
particolarmente pesante. Sapeva che suo padre fosse piuttosto, come
dire, espansivo con il genere
femminile, ma
non immaginava che infastidisse anche le Cacciatrici.
-
Complimenti, amico, ti sei preso una cotta per l’unica
ragazza del Campo che non farà mai sesso con te. –
disse Rico, affibbiandogli
una pacca sulla spalla con aria solidale.
-
Non mi sono preso una cotta proprio per nessuno,
volevo solo complimentarmi perché è stata davvero
brava. –
Rico
e Nieve si scambiarono un’occhiata.
-
Tu gli credi? –
La
figlia di Afrodite scosse la testa. – Proprio per
niente. –
-
Oh, ma fatela finita. – borbottò, riprendendo a
camminare in direzione delle scuderie.
Spazio
autrice:
Capitolo
cortino, e di questo mi scuso, ma è un po’
di passaggio per introdurre il personaggio di Kate. Spero comunque che
vi sia
piaciuto e che vogliate farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt
|