4. Diamante grezzo
Doveva solo tenere
duro.
Peccato fosse molto
più facile a dirsi che a farsi. La barra di metallo sembrava lottare contro di
lei e, ad ogni secondo, sembrava diventare sempre più scivolosa. Le dita poi,
iniziavano a minacciare seriamente di abbandonarla, il dolore infatti era
talmente insopportabile che iniziò a temere che potessero staccarsi dal resto
della mano.
E così, se già di
per se la sfida che stava affrontando era dura, le distrazioni e l’insorgere di
nuovi problemi, rendevano impossibile raggiungere la vittoria. Il cervello non
riusciva a concentrarsi sull’obbiettivo, distratto dai segnali di dolore che il
suo corpo continuava a lanciarle. Tutto le diceva di mollare, la ragione le
urlava di lasciar perdere e le suggeriva che il risultato che aveva ottenuto
fino a quel momento era già ottimo, ma a lei non bastava.
Il dolore lancinante
alle dita, i muscoli doloranti che chiedevano sollievo e la barra sempre più
scivolosa non dovevano distrarla, non dovevano esistere.
Doveva solo tenere
duro e rimanere appesa.
L’allenamento del
giorno prevedeva una prova di resistenza per testare l’effettiva forza degli
iniziati. Perciò Quattro, il loro allenatore, li aveva divisi in maschi e
femmine e aveva chiesto loro di restare appesi ad una trave di ferro il più
allungo possibile. La sfida fra i ragazzi si era conclusa con la vittoria di
Edward e, subito dopo, era iniziata quella tra le ragazze.
Erano tutte molto
agguerrite poiché, a differenza degli scontri con gli altri compagni, quell’allenamento
sembrava più facile e meno doloroso, ma niente poteva essere più sbagliato.
Le prime ragazze
erano cadute dopo poco, Tris e Christina, invece, avevano resistito molto più a
lungo ma, per fortuna, alla fine avevano ceduto.
L’ultimo ostacolo
alla vittoria rimaneva lei, Molly, la più alta e larga di spalle di tutte. Era
davvero terrificante quando combatteva, aveva mandato al tappeto tutte le altre
contro cui aveva lottato senza dimostrarsi poi tanto compassionevole.
Per i primi minuti
era riuscita abilmente a chiudere la mente, tenendo fuori dolore e stanchezza
per riuscire a rimanere sospesa senza problemi. Aveva allungato i muscoli e
controllato il respiro e, mente le altre cadevano o si lamentavano per il male
alle mani, lei rimaneva statica e silenziosa.
Peccato che, adesso
che rimanevano solo in due e quella serenità mentale le sarebbe potuta tornare
molto utile, lo sforzo fisico aveva superato di troppo il limite richiamandola
alla realtà dei fatti.
E la realtà non era
delle migliori.
Era esausta, non
riusciva a smettere di pensare al dolore e Molly non si decideva a cadere.
Cercò di chiudere gli occhi per scacciare via tutta la sofferenza ma, quando li
riaprì, se ne pentì all’istante.
Il capofazione Eric,
che affiancava spesso Quattro nell’addestramento, le si era posizionato di
fronte e la guardava con insistenza. Era stato anche davanti a Molly a fissarla
e a provocarla, certo, ma di sicuro a lei non aveva fatto lo stesso effetto.
Al solo pensiero che
lui la vedesse in quello stato pietoso e che potesse deriderla o insultarla, o
peggio, considerarla debole, la rabbia l’accecava e il cuore accelerava i suoi
battiti.
Forse avrebbe dovuto
chiedersi perché reagiva in quel modo, ma non ne aveva la possibilità.
Doveva subito
trovare una soluzione per stabilizzarsi su quella trave altrimenti sarebbe
caduta e, a quel punto, non avrebbe sopportato che Eric dichiarasse Molly
vincitrice e togliesse a lei dei punti in classifica.
In quel memento
trovò la risposta ai suoi problemi, il capofazione fermo davanti a lei a
tenerla d’occhio era un problema dal momento in cui aveva deciso di dimostrarsi
all’altezza di ogni addestramento.
E lui pretendeva
sempre il massimo da loro.
Non era come Quattro,
Eric chiedeva sempre agli iniziati di raggiungere il limite, e lei quel limite
voleva superarlo. Voleva spingersi oltre e dimostrare il proprio potenziale,
magari togliendo quel sorrisino derisorio dalla faccia di Eric, facendogli
vedere quanto valeva.
Decise di dover
modificare a suo favore la situazione, perciò, con uno sforzo immane, fece
ruotare una delle sue mani e cambiò il modo in cui si teneva alla trave. Se
prima entrambe le mani erano orientate in avanti, adesso una era girata
all’indietro, così seguì la spinata delle braccia messe in opposizione e si
girò mettendo la line delle spalle in verticale rispetto alla quella della
trave.
Una volta raggiunta
quella posizione, le fu più facile dondolarsi in avanti con il bacino per dare
uno slancio con la gamba e aggrapparsi anche con il tallone. Ovviamente la
spinta le era constato uno sforzo immane, dato che il suo corpo era stremato, e
aveva rischiato davvero di cadere. Ma, adesso che tutto il suo peso non
scaricava più solo sulle braccia, ma si appoggiava anche sulla caviglia che
aveva agganciato alla trave, le sembrava di essere leggera come una piuma.
Forse il sollievo
non sarebbe durato tanto a lungo, ma abbandonò ugualmente la testa all’indietro
e prese un profondo respiro, sollevata.
-Così non vale!-
protestò con voce stridula Molly, appesa poco più avanti.
-Perché?- Esclamò
Eric, incrociando le braccia al petto. -Dovete rimanere appese più che potete,
nessuno ha specificato come!-
Il capofazione era
ancora davanti a lei, così ad Aria bastò voltare appena la testa a sinistra per
incrociare il suo sguardo e, con un tuffo al cuore, poté chiaramente scorgere
il sorriso con cui le ricambiò lo sguardo.
Per la ragazza quel
sorriso fu la più grande delle soddisfazione.
Avrebbe voluto
dirgli che tutti gli anni passati fra gli Eruditi non erano stati del tutto
inutile, e che ovviamente ingegnarsi per trovare sempre la soluzione migliore
faceva parte di lei, ma per svariati motivi non poteva. Dovette quindi
accontentarsi di quella piccola vittoria che il sorriso di Eric rappresentava.
Era riuscita a dare
dimostrazione delle sue abilità e lui aveva apprezzato, rendendola complice di
quel ghigno sinistro con cui era solito manifestare la propria soddisfazione.
Il secondo dopo,
Molly si staccò dalla trave e atterrò con un tonfo.
Aria abbandonò
ancora la testa all’indietro e sorrise. Lentamente fece passare il piede oltre
la trave e, dopo che le gambe furono tornate in verticale, lasciò andare anche
le mani e atterrò sulle ginocchia.
-Abbiamo una
vincitrice!- dichiarò Eric, e Quattro prese nota scrivendo su una lavagnetta.
Quando, con estrema
cautela si raddrizzò, tutti i muscoli del suo corpo protestarono e le
lanciarono scariche di dolore che le trapassarono la mente.
Fece un passo e si
trovò a zoppicare ma, sollevando gli occhi, Eric le era sempre di fronte e con
le braccia ancora incrociate al petto. Prima di raggiungere Quattro, lui le
fece un cenno con il capo e i lineamenti del suo viso si allargarono in un
sorriso maligno mentre, con fare ammiccante, si inumidiva le labbra passandovi
sopra la lingua.
Nel momento in cui
la sua amica Sasha le si avvicinò dandole un colpetto sulla spalla, Aria dovette
nascondere la soddisfazione che provava, mentre si massaggiava le mani
doloranti l’una con l’altra.
-Insomma, vuoi
diventare come il Carrarmato!-
esclamò la bionda.
Carrarmato era il
nomignolo che Sasha aveva affidato a Molly dopo che, nell’incontro che aveva
dovuto sostenere contro di lei, si era ritrovata con un occhio nero e un fianco
dolorante.
Aria la spintonò via
scherzosamente.
-Bene, adesso si
combatte!- Disse improvvisamente Quattro, avvicinatosi al ring insieme ad Eric.
Aria alzò la testa
e, trattenendo il dolore che aveva alle articolazioni, si trascinò insieme
all’amica vicino al resto del gruppo.
-Dato che sono state
le ultime due a cadere…- Continuò Eric, -Molly ed Aria sul ring!-
-Wow!- sussurrò con
finto entusiasmo Sasha, al suo fianco.
Aria intensificò lo
sguardo verso Molly che saliva sul ring. Erano entrambe stremate e la cosa
poteva essere sconveniente quanto vantaggiosa.
Sotto lo sguardo
preoccupato dell’amica, la ragazza passò accanto agli altri iniziati davanti a
lei e salì sul ring. Una volta che furono l’una di fronte all’altra, le ragazze
si misero in posizione di difesa e si prepararono a combattere.
Ragionando il più in
fretta che poteva, Aria analizzò le proprie possibilità ed individuò il metodo
migliore per agire. La stanchezza era il fattore dominante, dato che sia lei
che Molly avevano consumato quasi tutte le energie alla trave.
Perciò, l’unica alternativa
che aveva era quella di mettere l’avversaria al tappeto il prima possibile,
usando tutte le forze che aveva ancora in corpo. Se lo scontro fosse andato
avanti per troppo tempo, non avrebbe avuto la forza di sostenerlo, e la superiorità
fisica di Molly avrebbe avuto la meglio.
La sua avversaria,
oltre ad essere più grossa, era anche sempre la prima ad attaccare, ma non
poteva darle questo vantaggio. Era distrutta e le mani le facevano malissimo,
anche un solo pugno incassato avrebbe potuto farle perdere energie e farla
cadere a terra senza più la forza per rialzarsi.
Doveva annientarla
subito.
Quando, come era
prevedibile, il pugno di Molly partì verso di lei, il precedente sforzo di
rimanere appesa ad una trave di ferro l’aveva rallentata, così Aria riuscì non
solo ad intercettare il pugno, ma anche ad afferrarle il polso.
Senza lasciare la
presa, l’aggirò e le bloccò il polso contro la schiena piegandolo in maniera
innaturale, tanto che Molly urlò dal dolore e cadde in ginocchio. Dato che era
alle sue spalle, approfittando della morsa in cui teneva ancora la sua
avversaria, le diede un potente calcio ai lombari che la fece finire faccia a
terra.
Molly provò a
rialzarsi appoggiandosi sulle braccia, ma Aria non le lasciò scampo e la mandò
nuovamente al tappeto con un calcio in pieno viso. Per evitare che provasse
nuovamente a rialzarsi, le assestò un ulteriore calcio al fianco, strappandole
ancora un urlo.
Dopo alcuni secondi,
Molly si abbandonò totalmente a terra.
-Incontro
terminato!- Dichiarò Quattro.
Mentre scendeva dal
ring, Aria vide Eric vicinissimo al bordo dove era ancora accasciata Molly, intento
a fissarla con un misto di disgusto e delusione.
Forse credeva che
sarebbe stata lei a vincere, considerato che era visibilmente più forte, ma
Aria aveva vinto grazie all’astuzia nonostante l’ inferiorità fisica. Il fatto
che fossero entrambe reduci da un esercizio sfibrante era stato d’aiuto dato
che, probabilmente, con Molly al pieno delle forza la velocità e la brutalità
non avrebbero funzionato.
-Hai appena vinto il
titolo di Carrarmato in seconda!- Sasha l’aspettava dietro ad altri due ragazzi
e, quando la vide, scosse il capo e sospirò.
Aria la raggiunse e
si massaggiò le mani doloranti ma, quando notò l’espressione imbronciata
dell’amica, sorrise.
Come sempre i
corridoi sotterranei erano scarsamente illuminati, ma lui li conosceva a
memoria e non erano certo un po’ di ombre a spaventarlo.
Percosse il tunnel
con passo sicuro, senza prendersi il disturbo di guardarsi in torno troppo a lungo
e, quando infine scorse la scia di luce che veniva fuori dalla grotta che
voleva raggiungere, decise di rallentare il passo per non fare troppo rumore.
Il suo piano funzionò e i suoi passi vennero coperti dal rumore di spari che
proveniva dal poligono così, quando raggiunse l’entrata, pensò di non
disturbare la persona all’interno e rimase ad attendere che fosse lei ad
accorgersi del suo arrivo.
Aria era diversa
dalle altre, e su questo punto ormai la discussione con sé stesso era chiusa. Doveva
riconoscere che non erano in tante ad essere così brillanti negli addestramenti,
così determinate, e a poter vantare un discreto fascino.
La vide schiudere le
labbra per lasciare passare un sospiro, mentre con la mano libera dalla pistola
si passava il dorso contro la fronte per liberarla da alcuni ciuffi di capelli.
Per quel pomeriggio aveva scelto di raccogliere la chioma corvina in una
traccia che le scendeva su una spalla e, mentre stendeva i muscoli del suo
corpo per rilassarsi, lasciando cadere la mano armata lungo il fianco, Eric
pensò che quella ragazzina rasentasse un tipo di perfezione a cui lui non era
disposto a rinunciare.
La sentiva come
qualcosa di suo a cui doveva dedicare attenzioni e cure, era come un diamante
grezzo da modellare perché arrivasse al massimo splendore, per poi custodirlo
con attenzione.
Era sempre stato
ambizioso da che ne aveva memoria, e uno in costante cerca della perfezione
come lui, non poteva certo non spingersi oltre il limite per raggiungere la
perfezione di quella ragazzina e prendersela senza lasciare agli altri quella
stessa possibilità.
Era la sua rosa nel
deserto, che cresce contro ogni previsione, da preservare con cura e da tenere
al riparo della intemperie. Perché rinunciarvi e lasciare che qualcun altro la
cogliesse al posto suo?
L’attenzione
dell’iniziata venne attirata dal suono lento e scandito di un applauso e,
quando si voltò verso la fonte del rumore, vide finalmente il capofazione
davanti all’ingresso che batteva lentamente le mani verso di lei in modo
ironico.
-I miei più sentiti
complimenti!-
Non capendo se le
parole appena udite fossero una presa un giro oppure un rimprovero, Aria scosse
la testa nascondendo un piccolo sorriso.
-Pensavo che un
capofazione avesse un sacco di faccende da sbrigare, invece tu devi annoiarti
molto se sei sempre qui!-
Eric si concesse un’
alzata di spalle. -Infatti è così, sono pieno di impegni, ma non potevo certo
perdermi l’occasione di congratularmi con te.-
Aria lo guardò senza
capire.
-Frederic è venuto a
cercarmi poco fa,- spiegò avvicinandosi di qualche passo. -Mi ha detto che sei
in gamba e che secondo lui potresti diventare una tiratrice niente male.
Inoltre si è complimentato con me, per averti portata da lui.-
La ragazza mascherò
il suo sorriso di gioia dietro una smorfia strafottente, poi scrollò le spalle.
-Bene!-
Mentre la vedeva
raggiungere il tavolo con le armi, Eric pensò che non gli avrebbe mai dato la
soddisfazione di ringraziarlo o di apparire felice per il complimento.
Forse faceva parte
della sua maschera di orgoglio dare per scontato gli apprezzamenti da parte di
Frederic, oppure lo puniva per non aver creduto veramente in lei sin
dall’inizio.
Invece di apparire
compiaciuta restava impassibile, come a volergli ricordare che era stato lui a
minacciarla affinché raggiungesse ottimi risultati, perciò i traguardi
raggiunti avrebbero dovuto stupire lui, perché mai lei?
Lei sapeva già come
sarebbero andate le cose, ma se si aspettava delle scuse aveva sbagliato del
tutto persona.
-Forse ogni tanto
dimentichi con chi hai a che fare!- le disse con voce bassa, mentre la
raggiungeva al tavolo.
Aria lo guardò e
capì perfettamente cosa volesse dire, così fece un piccolo sorriso e scosse la
testa, mentre Eric ricaricava una pistola.
-Forse è colpa tua,
sei tu che mi dai troppa confidenza!-
-Può darsi…- le
concesse il ragazzo, facendo scattare il caricatore quando lo inserì nell’arma.
La ragazza lo seguì
quando lo vide voltarsi e avvicinarsi ai bersagli. Vederlo in posizione le
diede una scarica elettrica, poiché le trasmise un misto di terrore e
ammirazione che non sapeva gestire.
Era come vedere un
intero fascio di muscoli scattanti tendersi per colpire, solido come una statua
di marmo. Lo osservò in silenzio, mentre lui affilava lo sguardo per prendere
la mira e, quando iniziò a sparare, le venne spontaneo paragonarlo alla cosa più
letale che avesse mai visto.
Eppure, si riscoprì
incapace di togliergli gli occhi di dosso.
Nonostante il
meccanismo che muoveva i bersagli fosse in funzione, Eric era riuscito a
seguirne uno solo e a trivellarlo di colpi che erano andati a segno tutti
vicino al centro rosso. A lei erano voluti giorni e i consigli del ragazzo per
raggiungere quel risultato, a lui era bastato caricare un’ arma. Senza contare
che vedere sparare lui era terrificante, mentre lei non avrebbe intimorito
nessuno.
Eric la vide
avvicinarsi alla sua spalla senza alcun timore e piegare la testa di lato per
osservare il bersaglio che aveva colpito, mentre arricciava le labbra in una
smorfia. Tutti gli anni di addestramento a cui si era sottoposto, da quando era
entrato a far parte degli Intrepidi, lo avevano forgiato rendendolo un’ arma
letale a tutti gli effetti.
Certo, ognuno aveva
il suo talento e la sua materia in cui eccelleva, e sparare era diventato il
campo della ragazzina, ma lui non sarebbe mai stato da meno.
-Vuoi che ti mostri
quante altre cose so fare?- la provocò, sussurrandole all’orecchio.
Lei si scostò ed
incrociò le braccia al petto, con la stessa smorfia di disappunto con cui aveva
osservato il bersaglio colpito. -Bè, comunque mi aspettavo di più!-
-Sta zitta!- le
disse dandole uno spintone non troppo delicato alla spalla. -Sono solo fuori
allenamento!-
Aria si lasciò
spostare dalla spinta, e scosse la testa.
Fuori allenamento? E
se si impegnava cosa riusciva a fare? Adesso capiva come mai nessuno si
stupisse più di tanto dalla sua bravura, lì erano tutti bravi a sparare.
Quando Eric la sentì
ridere, in maniera spensierata, si voltò di scatto a guardarla. Era evidentemente
bastata una spinta per farla sciogliere, costringendola a liberarsi di quella
maschera di gelo che si portava dietro.
Si concesse a sua
volta un ghigno di approvazione, mentre abbassava lo sguardo per togliere il
caricatore dall’arma. Quella ragazzina non sapeva di stare giocando con il
fuoco e che, probabilmente, aveva abbassato le sue difese con la persona
sbagliata. Ma, adesso che era caduta nella tela del ragno, non era detto che
sarebbe riuscita a liberarsi.
-Si può sapere a
cosa pensi quando spari?-
Alla parole del
ragazzo, Aria si voltò senza capire.
-Cosa?- Chiese
gentilmente.
Eric non la degnò di
uno sguardo mentre raggiungeva il tavolo delle armi per depositarvi la sua
pistola. -Sembra sempre che tu voglia uccidere qualcuno!-
Aria alzò gli occhi
e poi li fece roteare. -Santo cielo, devi avermi guardata proprio per bene allora!-
Il ragazzo la
fulminò con un’ occhiataccia. Stava ancora rimettendo in ordine le armi, quando
la vide appoggiarsi al tavolo, rivolta però verso i bersagli.
La ragazza sospirò
accanto a lui, ed incrociò le braccia al petto mentre il suo sguardo si perdeva
sui contorni dei bersagli. Secondo il parere di Eric, la sua espressione non
era delle più docili mentre si allenava sparando, e forse la chiave stava
davvero nei suoi pensieri.
O nei suoi ricordi…
Una bambina di circa
sei anni, o poco più, stava correndo.
Davanti a lei c’era
una vecchia giostra arrugginita, una di quelle con tante piccole scale per
arrampicarsi in cima. Non aveva per niente un aspetto rassicurante.
Quattro travi di
ferro erano conficcate nel terreno e si ergevano in verticale, le loro
estremità in cima erano collegate tra loro da altre quattro travi portanti. Su
uno dei lati della struttura, arpionate alle travi verticali, erano state
intrecciate delle corde ormai vecchie e logore che formavano una rete sul quale
arrampicarsi. Sulle altre tre facciate erano invece state inserite semplici
barre di metallo più sottile a formare delle scale.
Ma alla bambina non
importava tanto della giostra, lei aveva occhi solo per i bambini che ci si
arrampicavano sopra. Avevano pratici pantaloni scuri, anche le ragazze, e
comode t-shirt nere. Li vedeva salire sulla giostra senza paura, e appendersi
in cima come se la gravità non esistesse.
Erano liberi. Erano
figli di Intrepidi.
Corse a perdi fiato
verso di loro, sentendo il vento sulla pelle e la gioia scorrerle nelle vene
così, quando li raggiunse, si fermò a guardali a testa in su.
Erano due femmine e
due maschi, seduti ognuno su una delle travi messe in orizzontale per tenere
insieme quelle verticali. Una bambina si lasciò cadere all’indietro, rimanendo
aggrappata alla trave con le ginocchia e, una volta a testa in giù, si accorse
della nuova arrivata.
-Chi è?- Chiese.
-È solo un’ Erudita,
non ce la farà mai a salire qua su!- le rispose un ragazzino più grande,
dondolando le gambe oltra la trave.
La piccola non si
perse d’animo, anzi, sentì una forza esploderle dentro e darle una scarica di
energia. Moriva dalla voglia di sapere cosa si provava ad essere appesi lassù,
voleva sentirsi libera come i bambini di quella fazione e non le importava di
sporcarsi o di farsi male.
La struttura era
alta due volte e mezza lei quando iniziò ad arrampicarsi per la scaletta
laterale, aggrappandosi con le mani e con i piedi, salendo gradino dopo
gradino. Indossava uno scomodo vestitino blu con tanto di maniche a palloncino
che le stringevano le braccia, ma non si lasciò infastidire troppo nemmeno
dalla stoffa che le scopriva le gambe mentre saliva, e raggiunse la cima.
Una volta lì rimase
in piedi sulla scaletta, appoggiando le mani alla trave sui cui era seduto il
ragazzino che aveva parlato per ultimo.
-Brava, c’è l’hai
fatta!- canticchiò la bambina seduta sulla trave di fronte, lanciando un pugno
per aria in segno di approvazione, con tanto impeto che per poco non cadde.
Il ragazzino accanto
a lei ridacchiò. -Forte, sei stata brava! Vuoi venire a giocare con noi anche
domani?-
La piccola Erudita
lo guardò con occhi luccicanti. -Davvero? Siete qui anche domani?-
-Sì, i nostri
genitori sono venuti nel quartiere degli Eruditi per ritarare dei nuovi
computer! Come ti chiami?-
La piccola bambina guardò
gli altri seduti sulla sommità della giostra, la stavano guardando e l’altro
bambino si stava perfino spostando per farle posto. -Mi chiamo…-
-Ariana!-
La piccola si voltò,
ancora aggrappata alla scaletta, e vide una donna vestita di blu avanzare a
grandi passi verso di lei. L’aveva chiamata con voce adirata e, anche dal modo
in cui camminava, non sembrava per nulla calma.
-Devo andare…- disse
agli altri bambini, e scese la scaletta tornado con i piedi per terra.
-Ciao!- le disse la
bambina che aveva esultato quando l’aveva vista arrampicarsi.
Altri tre ciao
l’accompagnarono mentre correva verso la donna.
Nel tragitto i suoi
capelli neri le solleticarono il viso e le finirono davanti agli occhi, ma non
li scostò, le piaceva sentirsi libera e ribelle.
Quando arrivò vicino
alla donna, questa sospirò e alzò gli occhi al cielo, avvilita, portandosi poi
una mano al cuore per il sollievo. -Ma cosa ti è saltato in mente? Arrampicarti
in quel modo, potevi cadere!-
Senza perdere altro
tempo, la donna afferrò bruscamente la bambina da una mano e se la trascinò
dietro mentre si incamminava.
Prima di
allontanarsi del tutto, però, la piccola si voltò un’ ultima volta a guardare i
bambini vestiti di nero che ancora si dondolavano appesi alla giostra.
-Come sapevi che ero
lì?- chiese alla donna.
-Me lo ha detto tua
sorella, era preoccupata per te!-
La bambina guardò in
lontananza e vide una testa bionda fare capolino da dietro una casa non troppo distante,
era un’altra bambina della sua stessa età. Assottigliò lo sguardo mettendo il
broncio.
-Spia!- bisbigliò.
-Smettila di parlare
in quel modo!- la sgridò la donna, continuando a trascinarla malamente dalla
mano. -Con tutte le volte che ti ho detto di non giocare con i figli degli
Intrepidi, nemmeno a scuola! Sono pericolosi, si comportano come selvaggi e non
è un bene che ti faccia vedere con loro!-
La bambina non disse
nulla per un po’, poi si voltò verso la sua mano intrecciata a quella della
donna e salì con lo sguardo lungo il suo braccio fino a raggiungerle il viso.
Aveva anche lei folti capelli neri raccolti in una coda di cavallo e occhi
azzurri e sottili, i lineamenti erano delicati e le labbra serrate in una linea
retta.
-Ma mamma,- disse la
piccola con innocenza, seguendo il passo della donna. -Forse un giorno sarò
anch’io un’ Intrepida!-
La donna si voltò di
scatto e, con la mano libera, la colpì con uno schiaffo sulla guancia.
Da lontano, la
figura della bambina bionda nascosta dietro la casa, sussultò.
La piccola dai
capelli neri, invece, si portò timidamente la mano libera alla guancia offesa e
trattene le lacrime mordendosi il labbro.
La madre, senza
scomporsi, si rimise a posto la giacca di velluto blu e afferrò la bambina
dalle spalle, strattonandola.
Poi si chinò per
raggiungere l’altezza del suo viso e le parlò, guardandola negli occhi. -Stammi
bene a sentire Ariana, tu vieni da una famiglia di Eruditi e non infangherai il
nome di tuo padre passando alla fazione dei selvaggi, mi hai capita?-
La piccola Ariana,
con ancora una piccola mano paffuta sulla guancia lesa, guardò il volto
elegante della madre deturpato dalla rabbia, e tremò leggermente, ancora
trattenuta dalle spalle.
Si mordicchiò il
labbro, i suoi grandi occhi da bambina erano di un blu leggermente più scuro
rispetto a quello degli occhi della madre e, quando li fissò in quelli della
donna, luccicarono pieni di lacrime che però non caddero.
-Sì, mamma…-
-Allora?-
Quando la voce calda
e autorevole di Eric la riscosse, riportandola alla realtà, Aria sussultò.
Stava ancora fissando i bersagli e, nella sua mente, uno di essi divenne una
sagoma femminile vestita di azzurro. Improvvisamente, sentì una presa
immaginaria serrarsi attorno alla sue spalle e, quando la paura le creò un
vuoto allo stomaco, sentì un’ irrefrenabile bisogno di sparare e di colpire il
bersaglio.
Scosse la testa, si
portò una mano alla spalla e la strinse.
-A niente!- disse
chinando il capo. -Non penso assolutamente a niente!-
Continua…