Prima parte: La
canzone dell'amore perduto.
I walk a lonely road,
the only one that I have
ever known,
don't know where it goes,
but it's home to me and
I walk alone.
I walk this empty street,
on the blvd. of broken
dreams,
where the city sleeps,
and I'm the only one and
I walk alone.
My shadow's the only one
that walks beside me,
my shallow heart's the
only thing that's beating.
Sometimes I wish someone
out there will find me,
'til then I walk alone.
Green day, Blvd of broken
dreams.
''Ma non capisci che stai camminando a vuoto?''
Gliel' aveva urlato in faccia con tutta la forza, rivolgendosi a lei
come a se stesso davanti ad uno specchio.
Facile chiedersi cosa ci facesse lì. Con Ukyo, poi.
Dopotutto ad Akane aveva rinunciato da lungo tempo, o almeno
così si era imposto di fare, e non è sentisse
più
di tanto la mancanza di Ranma.
La cuoca di okonomiyaki non era certo un tipo che le mandava a dire, e
l'eterno disperso non ci aveva messo molto a capire che,
finchè
quel folle viaggio in Cina non fosse giunto al termine, le loro serate
sarebbero finite sempre nella stessa maniera.
Litigando.
''Ryoga, sei un deficiente! Sei stato tu a decidere di partire, te ne
sei dimenticato?''
''Io sono partito solo per rendere felice la mia Akane riportando Ranma
a casa'', rispose cupo con tono piatto, cercando, ancora una volta, di
convincere se stesso più che la sua interlocutrice.
''Bene, allora siamo qui per la stessa ragione'', prese a passare con
vigore uno straccio umido sulla piastra per cucinare che si era portata
dietro.
''No, stupida, tu speri ancora che torni da te!". Era sicuro di aver
visto i capelli della giovane muoversi come spinti dal vento, tanto
forte era stata la sua ultima affermazione.
Ukyo abbassò lo sguardo, ferita.
''Tu non capisci, non capirai mai... Vattene''.
Solo i kami sapevano quanto avesse bisogno di lei, per cui si
guardò bene dall'allontanarsi troppo per evitare
di perderla di vista mentre, lasciandola seduta davanti al
fuoco a
consumare da sola la cena che aveva preparato per due, si avvicinava
alla riva del fiume.
Non poteva perdersi, non quella volta.
Ryoga Hibiki, l'eterno disperso, colui che aveva fatto della solitudine
la sua bandiera, che aveva imparato ad accompagnarsi solo a se stesso
ed ai suoi pensieri, non poteva permettersi il lusso di intraprendere
quel viaggio da solo, non da quando la fretta di riportare Ranma a casa
e rivedere Akane serena lo avevano portato in una dimensione temporale
tutta nuova, in cui i secondi correvano veloci ed i giorni passavano
troppo in fretta.
Il suo tempo era scandito dalla paura di vedere la ragazza che aveva
imparato ad amare, quella che forse avrebbe quasi potuto considerare
almeno un'amica, crollare di nuovo, e quando ogni istante è
prezioso, non c'è davvero tempo da perdere girovagando o
andando
ad esplorare luoghi nuovi e sconosciuti, com'era solito fare.
Non questa volta, Ryoga,
si era detto, questa
volta andrai in Cina nel tempo previsto, non un secondo di
più.
Aveva realizzato solo in un secondo momento che forse, arrivato a
Jusenkyo, si sarebbe anche potuto liberare dalla sua maledizione. Non
era
partito con quell'obiettivo.
Aveva chiesto ad Ukyo di accompagnarlo perchè,
frequentandola
tramite i suoi amici, aveva notato quanto la ragazza fosse sveglia,
abile, risoluta.
Ukyo non si vestiva solamente come un uomo, aveva anche la
razionalità degli uomini, la loro intelligenza. Quando non
si
trattava di Ranma nulla la toccava, era forte e decisa come un ariete.
E poi lei ce l'aveva, il senso dell'orientamento.
Erano giorni che camminavano ed erano giorni che il giovane si chiedeva
perchè gli desse tanto fastidio vedere la sua compagna di
viaggio soffrire in quel modo per colpa di Ranma.
Forse perchè non aveva mai sopportato i modi da casanova di
quello sbruffone, pensò.
La scrutò.
Era carina, non bella come Akane, forse, e non così dolce,
ma
c'era stato un momento, dalle parti di Nagoya, Sapporo o forse
Yokohama, in cui si era messa un fiore tra i capelli e gli aveva
sorriso, mentre lui era intento a pescare, e l'aveva fatto arrossire.
Strano, aveva pensato, in fondo Ukyo era l'unica ragazza che non
l'aveva mai messo in imbarazzo.
D'altro canto la cuoca nominava Ranma sempre meno, e, quando si
riferiva a lui, aveva pian piano eliminato l'odioso suffisso -chan che tanto
dava fastidio ad Akane, quando la sentiva rivolgersi così al
codinato.
Nel vederla mangiare da sola un pasto pensato per due persone, in
silenzio, col capo chino sul piatto e l'aria
stanca, triste e forse impaurita di chi è stata strappata
dalla
propria vita per intraprendere un viaggio che aveva come scopo il far
tornare il ragazzo che amava dalla sua legittima fidanzata,
s'intenerì.
In fondo era una ragazza, una bella
ragazza, ed era da sola al buio in una foresta.
Raccolse un ramoscello di glicine e la raggiunse, grattandosi la testa
imbarazzato.
Seconda parte:
La ballata dell'amore cieco.
You never turned around to see
the frowns,
on the jugglers and the
clowns.
When they all come down
and did tricks for you
you never understood
that it ain't no good.
You shouldn't let other
people get your kicks for you,
you used to ride on the
chrome horse with your diplomat.
Who carried on his
shoulder a Siamese cat.
Ain't it hard when you
discover that
he really wasn't where
it's at,
after he took from you
everything he could steal.
How does it feel
to be on your own,
with no direction home,
like a complete unknown,
Like a rolling stone?
Bob Dylan,
Like a rolling stone.
''Dannazione, Xian Pu! E' possibile che tu non veda più in
là del tuo naso?"
Gliel' aveva urlato in faccia con tutta la forza, rivolgendosi a lei
come a se stesso davanti ad uno specchio.
Aveva scagliato il piatto nel lavandino così forte che il
disco
di ceramica aveva rimbalzato due volte nella vaschetta del lavabo prima
di rompersi in mille pezzi, uno dei quali era andato conficcandosi nel
suo dito indice e l'aveva tagliato, facendone sgorgare quello che
sembrava un fiume di sangue.
''Lo vuoi capire o no che quel bastardo di Saotome s' interessava solo
di se stesso?'', strillò ancora prendendo un tovagliolo e
coprendo goffamente la ferita, cercando di fermare l'emorragia, mentre
la donna che amava da sempre lo guardava incredula.
Non si era mai rivolto a lei con quel tono, Mousse, e non le aveva mai
parlato nella loro lingua madre. Nonostante fosse in Giappone da molto
meno tempo di lei, lui
l'idioma del posto l'aveva imparato.
Tacque, abbassando lo sguardo. Dopotutto aveva ragione lui.
Per
Mousse non era stata facile, la vita.
Anche il maschio alpha per eccellenza avrebbe avuto non poche
difficoltà nel villaggio amazzone di Nujiézu,
figurarsi
un tipo strambo, sensibile ed eccentrico come lui.
Saotome sì, che ci sarebbe stato bene.
Ci avrebbe sguazzato in mezzo a tutte quelle femmine.
''Mu si, molla quella robaccia'', lo ammonì -dolcemente,
sembrava- Shampoo mentre si accendeva l'ennesima sigaretta della
giornata, raggiungendola in sala.
Avevano appreso della partenza di Ranma da quattro giorni, e da quattro
giorni aveva iniziato a fumare.
Tutto, pur di distrarsi dalle scenate cui la sua amica -se
così poteva definirla- e collega lo sottoponeva ogni
mezz'ora.
''Vai a letto, sei stanco. E... Scusami. Per tutto, dico''
Deglutì. L'ultima volta in cui Shampoo gli aveva chiesto
scusa
era una bambina di sei anni che gli aveva rovesciato per sbaglio una
porzione di ramen bollente sulla testa.
E si era scusata solo dopo che suo padre, uomo tutto d'un pezzo e
fissato con le buone maniere, l'aveva praticamente obbligata.
Aveva fiutato il pericolo e capito che qualcosa non andava nell'esatto
momento in cui la sua adorata aveva reagito con tanta arrendevolezza
alla sua sfuriata, per cui glielo disse un'altra volta, in caso non le
fosse stato chiaro.
''Ti amo, Xian Pu, ti
amo più
della mia stessa vita e sarà così per sempre, da
qui a
tutto il tempo che mi verrà concesso su questa Terra. Ti
aspetterò''.
Si aggiustò gli occhiali sul naso, in attesa di una risposta
che, sapeva, non sarebbe arrivata.
''Sì'', rispose con tono sbrigativo lei evitando il suo
sguardo,
alzando l'ultima sedia sul tavolo della sala principale del Nekko Haten
ed allungando la mano verso l'interruttore della luce, guadagnando
l'uscita, ''A domani, Mu Si, buonanotte''.
Ed a luci spente ci vide bene per la prima volta in vita sua. Non ci
sarebbe stato nessun domani, non per loro.
Rientrò in cucina, passò nuovamente il dito
ferito sotto
l'acqua fredda e vi arrotolò intorno un tovagliolino pulito.
Si sedette sul davanzale della finestra, e non fu una sorpresa vederla
andare via, scappare nella notte come una ladra.
In fondo, se Obaba non avesse avuto la febbre per tre giorni di fila,
lo avrebbe fatto molto prima.
Accese un'altra sigaretta e, nel vederla allontanarsi, si
sentì
improvvisamente colto dal bisogno di parlare con l'ultima persona con
la quale avrebbe mai pensato di poter avere a che fare.
Non aveva mai provato più di tanto trasporto per Akane
Tendo,
nemmeno più di tanta simpatia, in realtà, ma lei
poteva
capirlo. Lei era l'unica che avrebbe potuto capirlo.
L'indomani le avrebbe comprato un regalo e sarebbe andato a vedere come
se la passava, pensò guardando l'amore della sua vita
allontanarsi.
Terza parte: In
direzione ostinata e contraria.
Lascio libero uno
spazio per potermi avvicinare,
per sentire la mancanza e un vuoto da riempire.
Mi allontano dal tuo abbraccio per poterci ritornare,
perché sia sempre una scelta e non un patto da
onorare.
Niccolò Fabi,
Lontano da tutto.
''Non sei per
niente, per niente carina! Chi mai potrebbe amare una persona come
te?''
Gliel' aveva urlato in faccia con tutta la forza, rivolgendosi a lei
come a se stesso davanti ad uno specchio.
Ed aveva sbattuto la porta della sua stanza, buttandosi a
faccia in giù sul futon e chiudendo gli occhi un secondo
prima di sentire sbattere anche la sua, di porta.
Si girò sulla schiena.
Perchè faceva così caldo, quella sera?
Un minuto, dieci minuti, un'ora.
Era incredibile quanto una casa che era tanto caotica di giorno potesse
diventare silenziosa di notte.
L'aveva sentita spogliarsi e buttare i vestiti per terra, l'aveva
sentita chiamare l'odioso P-Chan a sè ed abbracciarlo,
l'aveva sentita piangere soffocando i singhiozzi ed infine
addormentarsi.
Verso la mezzanottte sentì la porta della sua camera
aprirsi, e corse a vedere se per caso fosse uscita per andarsi a
preparare un bicchiere di latte, magari avrebbe potuto prepararglielo
lui per farsi perdonare.
Certo, pensò, come se un disastro di quelle proporzioni
fosse stato riparabile in qualche modo.
Sai, Akane, ho vissuto a
scrocco a casa tua per tre anni, ho messo quasi tutti i giorni in
pericolo la tua vita, ti ho piantata sull'altare dopo aver fatto finta
di non averti detto che ti amavo, ti ho distrutto la casa, ho
spezzettato, sbriciolato e calpestato ripetutamente e di proposito la
tua autostima e stasera ti ho dato del mostro psicopatico, ma hey, ti
sto preparando un bicchiere di latte caldo, baby, vieni qui ed
abbraccia il supereroe.
Non avrebbe mai funzionato.
E comunque era solo Ryoga che cercava il bagno, allontanandosi e
scendendo le scale in direzione della cucina.
Uscì a prendere una boccata d'aria ed iniziò a
correre per le vie del quartiere fino a rimanere senza fiato.
Era passato davanti al Furinkan, a casa Kuno, al parco, all'U-Chan, al
Nekko Haten, alla clinica del dottor Tofu.
Poi si era fermato, stanco, sopra ad un ponticello che si affacciava su
di un fiumiciattolo, ed aveva iniziato a fare quello che più
odiava fare al mondo. Pensare.
Tre anni da mezzo uomo. Tre anni a Nerima. Tre anni da promesso sposo
di una ragazza che non amava.
Di una ragazza che amava,
si corresse scuotendo vigorosamente la testa. Almeno con se stesso
poteva, doveva,
essere sincero, era uno dei pochissimi lussi che poteva ancora
permettersi.
Akane non aveva preso bene la faccenda del matrimonio mancato: ci aveva
provato a comportarsi come sempre, Ranma gliene era riconoscente anche
solo per aver tentato, ma i pettegolezzi dei loro compagni di scuola,
le continue pressioni dei suoi corteggiatori, più agguerriti
che mai dopo quanto accaduto, e le umiliazioni inflittale di proposito
dalle sedicenti fidanzate di lui l'avevano resa diversa, peggiore.
Mentre Ranma non sarebbe riuscito a togliersi dalla testa l'immagine di
lei in abito da sposa nemmeno se avesse vissuto cento anni, lei
sembrava aver archiviato la faccenda del matrimonio sotto il file: ''Non ci sposeremo mai, che
cazzo ci fai ancora a casa mia?''. Era fredda, cinica,
arrogante.
Non passava giorno in cui non gli ricordasse che era un ospite
indesiderato, un mangiapane a tradimento, uno scroccone. Non c'era
giorno in cui non gli rinfacciasse la sua dualità sessuale,
come se quella dannata maledizione se la fosse cercata lui, non c'era
giorno in cui non gli facesse presente il fatto che voleva sposarlo,
sì, ma solo per cedergli l'acqua della Nan-Nichuan.
E quella sera lui gliene aveva dette quattro.
O forse cinque, o sei.
Ranma aveva sofferto principalmente per l'inganno, la menzogna cui era
stato vittima. Di tutte le donne con cui aveva avuto a che fare nella
vita, mamma e Kasumi escluse, Akane era l'unica che non si era mai
servita del ricatto per ottenere ciò che voleva. Avrebbe
immaginato di svegliarsi vestito da sposo dopo un sonno imposto e
trovarsi davanti Shampoo, forse Ucchan, certamente Kodachi, ma non
Akane.
Certo, lei glielo aveva spiegato che voleva solo fargli avere il dono
di nozze, da lui stesso definito più importante della sua
stessa vita, ma tant'era.
Le aveva detto che era uguale a tutte le altre, e che comunque non
avrebbe mai, nemmeno sotto tortura, sposato un maschiaccio violento e
privo di sex appeal come lei.
Le aveva sbattuto la porta in faccia, ed ora era su un ponte, di notte,
da solo.
E la tentazione di buttarsi di sotto per tagliare la gola a quel
maledetto cane che continuava a mordersi la coda era forte, ma l'idea
di morire annegato, e per giunta nel corpo di una donna, era troppo
umiliante anche solo per pensarci.
Tornando a casa, camminando lentamente, si rese conto che l'aver
pensato al suicidio -anche se in maniera decisamente superficiale e
poco convinta- era stata la cosiddetta goccia, quella che faceva
straripare il mare.
Entrò nella sua stanza dalla finestra ed iniziò a
preparare lo zaino, infilandoci le pochissime cose di cui era in
possesso prima di arrivare in casa Tendo.
Non il portafogli, regalo di Natale di Nabiki, non la sciarpa gialla e
malconcia che gli aveva confezionato Akane, non l'orologio antico che
gli aveva ceduto Soun. Se avesse portato via anche solo uno di quegli
oggetti gli sarebbe sembrato di rubare. Più di quanto non
avesse già fatto.
In effetti anche la casacca verde che indossava non era realmente sua,
gliel'aveva confezionata Kasumi con le sue mani, ma quella rossa che
era solito utilizzare, o almeno i brandelli che ne erano rimasti dopo
la lotta con Obaba del giorno prima, era rimasta al Nekko Haten.
Lanciò uno sguardo a suo padre, che dormiva placidamente ed
ignaro di tutto, ed aprì l'ultimo cassetto del suo comodino.
Nella foto Akane aveva ancora i capelli lunghi ed indossava il solito karateji. Era una
delle immagini che aveva requisito a Kuno quel giorno al parco, poco
dopo essere arrivato a Nerima. Chissà che ci faceva
lì.
Sorrise e la rimise al suo posto, mantenendo il proposito di
non portarsi via niente che non fosse stato realmente suo.
Aprì lentamente la porta della sua stanza, uscì
in punta di piedi e si fermò davanti a quella della
fidanzata, dell'ex
fidanzata, da quel momento in avanti.
Stette ben dieci minuti immobile davanti alla paperella gialla che
portava il suo nome, chiedendosi se gli fosse concesso un ultimo
saluto, poi decise che, in fondo, la sua vita era sempre stata regolata
dal destino, dal caos, e che tutto sommato non era stata nemmeno troppo
male.
Mise una mano nella tasca dei pantaloni e vi trovò pochi
spiccioli. Non sapeva come avrebbe fatto ad andare in Cina con un
budget che avrebbe potuto a stento pagare un pranzo in un fast food, ma
sapeva perfettamente cosa fare di una delle monete poggiate sul palmo
della sua mano.
Testa,
pensò, se
esce testa entro e la sveglio, le chiedo scusa per tutto, e.... No, no.
Se esce testa me ne vado senza dire niente. No, se esce testa entro, le
scrivo un biglietto e... Mmh, no, un biglietto è troppo
scontato. Se esce testa entro e la bacio. Ma che dici, Ranma, sei
scemo? Se esce testa, semplicemente, entro e la guardo. La guardo un
attimo e poi me ne vado. Testa la guardo, anzi no, la bacio. Un bacino
d'addio, un bacio innocente sulla fronte. Ok, Ranma, ci sto. Qua la
mano. Testa la bacio e poi me ne vado, croce me ne vado e basta.
Lanciò la moneta, con il cuore e lo stomaco in subbuglio.
Croce.
La bacio lo stesso.
MISSING MOMENT ROSE NERE
Ciao a tutti!
Dopo più di un mese di assenza e lettura silenziosa (chiedo
scusa a tutti coloro che aspettano le mie recensioni, in settimana mi
metto in pari, lo prometto!) sono tornata con questo missing moment, le
cui fanart sono come sempre della splendida Spirit99, che sapeva di
questa mia idea da mesi, mesi e mesi (in realtà lei sa
già anche quali saranno gli altri due capitoli mancanti!).
Inizialmente ero stata ispirata da un'altra canzone (di cui vi do
indizio nel titolo del capitolo), ma non è proprio il mio
genere
musicale, e poi stava troppo male con i sottotitoli che ho scelto per
le tre parti (che sono tutti di Fabrizio De Andrè), quindi
ho
cambiato le colonne sonore, che per me sono essenziali quasi quanto il
testo stesso.
So che lo stile di scrittura della terza parte (Ranma) è
più frammentario e meno curato, ma ho diviso il capitolo in
tre
parti distinte proprio per separare bene i vari stati d'animo, ed ho
pensato alla sua confusione ed esasperazione e spero di non aver
toppato, fatemi sapere!
Con gli ultimi due capitoli di questa raccolta di one shot
andrò
più spedita, ve lo assicuro, ho avuto un periodo davvero
pieno,
ma ora mi sto organizzando meglio.
Vi ringrazio tanto per essere ancora qui, dopo più di un
anno, a
leggere di Tutto come prima e... Finita questa, ho partiamo col seguito!
Un bacio e tutti e buona estate (o quello che ne resta!)
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