Piccolo
epilogo per concludere la mia storia. Capitolo leggermente
più corto rispetto agli altri.
I
dialoghi tra Sir Edward, Marian e Robin nell’ultima scena
sono stati ripresi dall’episodio 1x01 “Ritorno a
Casa”.
Marian
POV.
Epilogo
“Sto per partire,
Marian. Vado in Terra Santa...”
“Resta qui.
Con me... Ti prego...”
“Non posso...
Mi dispiace...”
“Allora addio,
Robin di Locksley...”
CINQUE
ANNI DOPO...
Cammino
annoiata tra i banchi del mercato, in cerca di qualche oggetto
interessante.
Per quanto, questi piccoli e miseri banchetti possano essere definiti mercato.
Da quando mio padre non è più lo Sceriffo, le
cose sono molto cambiate a Nottingham: le tasse sono sempre
più alte, la povertà aumenta, le persone muoiono
di fame e le strade sono sempre più piene di poveri
disperati che non hanno più nulla.
Persino oggi, giorno di mercato, ci sono pochissime persone in giro.
Nessuno può più permettersi nulla.
Continuo a girovagare annoiata, finché vedo uscire un gruppo
di guardie, dalle porte del castello, con a capo... Oh no! Guy di Gisbourne!
Speriamo solo che non mi veda! Da qualche tempo, quest’uomo
ha preso a darmi il tormento!
Mi volto di spalle prima che sia troppo vicino e fingo interesse per
uno strano fermacapelli. Lo osservo con attenzione, sfiorandolo appena,
ma una fastidiosa voce alle mie spalle mi obbliga a girarmi.
“Buongiorno Lady Marian.” Mi saluta educatamente
Gisbourne.
“Sir Guy.” Dico freddamente.
“Vi dedicate agli acquisti quest’oggi,
milady?” Chiede, tentando inutilmente di fare conversazione.
Alzo le spalle. “Faccio solo una passeggiata.”
Lui annuisce, senza dire nulla. Probabilmente ha capito che non sono in
vena di chiacchiere e quindi, dopo un ultimo inchino, si allontana ed
esce dalla piazza.
Sospiro sollevata. Quell’uomo è davvero irritante!
Non fa altro che starmi alle costole, maledizione!
Infastidita, torno a concentrarmi sui fermagli, sperando di far passare
il mio malumore.
“Gisbourne era davvero di pessimo umore oggi,
vero?” Sento il venditore, chiaramente divertito, chiedere ad
un cliente. “Chissà che gli è
capitato…”
L’uomo, accanto a me, ridacchia. “Perché
non hai sentito? Pare che stamattina non abbia potuto fare il
prepotente, come al solito.”
Sorrido appena, prendendo tra le mani il fermaglio.
Certo non si può dire che la gente di Nottingham ami
Gisbourne. Anzi, credo che sia la persona più odiata della
contea. Dopo lo Sceriffo, ovviamente.
“E come mai?” chiede il venditore, interessato.
L’uomo si avvicina al banco, con fare cospiratore.
“Pare che volesse punire gli abitanti di Locksley per un
furto, compiuto da un povero ragazzo, ma qualcuno glielo ha
impedito.”
“Davvero? E chi è il pazzo che osa sfidare
Gisbourne? Sicuramente gliela farà pagare cara!”
L’uomo scoppia in una risata gioiosa. “E’
questo il bello della faccenda! Gisbourne non può
fargliela pagare perché l’uomo che gli ha chiuso
la bocca non è altro che il legittimo padrone del feudo, il conte di Huntingdon!”
Il fermacapelli mi cade dalle mani, mentre il sorriso svanisce
immediatamente dal mio viso.
“Il Conte di Huntingdon?” chiede stupito il
mercante. “Ma allora vuol dire che...”
L’uomo al mio fianco annuisce, felice. “Proprio
così! Robin di Locksley è tornato tutto intero
dalle Crociate e, appena rimesso piede al villaggio, come prima cosa,
ha cacciato Gisbourne dalle sue terre! Oh come avrei voluto
esserci!” Conclude, ridendo ancora, subito seguito dal
venditore.
Io resto lì, immobile, totalmente inerme, incapace di fare o
dire qualunque cosa e mi appoggio appena al bancone, stordita.
Robin? A casa? Non
è possibile!
Una donna si avvicina a me con espressione preoccupata. “Lady
Marian, siete sicura di stare bene?” mi chiede premurosa.
“Siete bianca come un cencio.”
La sua voce mi riscuote. Abbozzò un sorriso.
“Si, vi ringrazio. Non preoccupatevi.”
“Ne siete certa? Volete un goccio
d’acqua?”
“No, no.” Dico, scuotendo la testa. “Devo
solo andare a casa.” E mi allontano velocemente da lei.
Mentre cavalco verso casa, un solo pensiero mi attraversa la mente.
Devo assolutamente parlare con mio padre…
Mi
lascio cadere sulla sedia accanto al camino e chiudo gli occhi,
sospirando.
Abbandono la testa all’indietro, cercando di non pensare, di
non rivivere quei momenti, ma è tutto inutile.
Inevitabilmente, ricordi sopiti tornano, dopo tanti anni, ad affollare
la mia mente.
Il nostro primo incontro, a Locksley. E la nostra prima discussione.
La prima volta che abbiamo parlato civilmente.
Il nostro primo bacio. E poi il secondo, il terzo, il quarto...
Un sorriso spontaneo compare sul mio volto, tornando a quei giorni
così felici. Sì, perché io, malgrado
tutto, ero felice.
Con Robin al mio fianco sarei stata felice per sempre.
Altre immagini compaiono nella mia testa.
Le cavalcate insieme, le liti furibonde, che non duravano mai a lungo,
e infine quel giorno...
Il giorno in cui lui
ha distrutto ogni cosa.
Il nostro futuro, la nostra felicità, il mio cuore...
Rivedo per un attimo i tristi occhi di Robin che mi dicono che presto
se ne andrà, che mi lascerà.
E poi la sofferenza, la tristezza, le lacrime che io ho versato per
causa sua.
Ed io, che ogni notte mi addormentavo piangendo, mentre Sarah, non
volendo rattristarmi ulteriormente, faceva finta di niente, nonostante,
ogni mattina, trovasse il cuscino bagnato.
Fino al giorno in cui presi la mia decisione.
Dovevo andare avanti. Riprendere in mano la mia vita e viverla
appieno. Dovevo e volevo.
Anche se, forse, non ci sono mai riuscita del tutto, sebbene sia
passato tanto tempo.
Da allora, infatti, non ho mai voluto più nessuno accanto a
me.
Mio padre e Sarah hanno insistito fino allo sfinimento, ma io sono
stata irremovibile.
Nessun altro uomo avrebbe preso il mio cuore, per poi spezzarlo come
aveva fatto Robin.
No. Nessuno ne avrebbe più avuto l’occasione. Mai
più.
Mio padre non fa che ripetermi che, secondo lui, io sto ancora
aspettando Robin. Ecco perché ho sempre rifiutato
incondizionatamente tutti i pretendenti che hanno bussato alla nostra
porta.
Ma io so che non è così.
Robin non è più nulla per me.
Ha smesso di significare qualcosa il giorno in cui è partito
per le Crociate.
Sospiro decisa e riapro gli occhi.
Mio padre mi sta fissando preoccupato. “Stai bene,
Marian?” mi chiede.
Annuisco. “Si, padre. Non temete. Voi invece?” Mi
alzo dalla sedia e mi avvicino a lui. “Vi vedo
inquieto.”
Lui scuote la testa. “Non è nulla. Ho solo timore
che a Robin venga in mente di venire qui. Potrebbe essere pericoloso
per lui, dato che lo Sceriffo ci fa sorvegliare. E poi...”
Non termina neppure la frase.
All’improvviso scatta in piedi e, dopo aver spalancato la
porta, corre all’esterno.
Lo seguo con lo sguardo, confusa, fino a quando lo sento urlare.
“ANDATE VIA! ANDATE VIA DA QUI!” Grida.
“Edward...” lo chiama una voce familiare, che fa,
inaspettatamente, perdere un battito al mio cuore. “Sono io.
Il vostro amico Robin di Locksley.”
“So bene chi siete!” ribatte mio padre, arrabbiato.
“Banditi venuti per ingannarmi! Non vi voglio!”
Mi avvicino cauta alla porta e cerco di intravedere cosa succede fuori,
sperando che nessuno mi noti.
Mi sporgo leggermente a destra e, finalmente, lo vedo.
Allora è proprio vero! E’ tornato
davvero…
“Sono venuto in amicizia. Dovete credermi.” Lo
sento rispondere a mio padre, tentando di calmarlo.
“Andate via!” Ripete il mio anziano genitore.
“Non sono più lo Sceriffo! Lasciatemi vivere in
pace!”
Mi accorgo che Robin sta per ribattere, allora afferro il mio arco,
accanto all’ingresso, ed esco anch’io, puntando
immediatamente l’arma contro i due indesiderati ospiti.
“Avete sentito mio padre?” dico, cercando di
apparire il più minacciosa possibile.
“Andatevene!”
Subito l’attenzione di Robin è calamitata su di
me. Mi fissa, probabilmente stupito di trovarmi lì, e un
piccolo sorriso si fa strada sul suo volto.
“Marian.” Mi chiama dolcemente. “Sono io,
Robin.”
Lo guardo con freddezza mentre mi avvicino ancora a lui, sempre
impugnando l’arco.
Come può solo pensare che io non l’abbia
riconosciuto? So perfettamente chi ho davanti, ed è proprio
per questo motivo che sono così arrabbiata.
“Congratulazioni.
(*)” rispondo sprezzante. “Andate via.”
Robin continua a fissarmi e mi sorride. Lo stesso sorriso che tanto
volte ha rivolto a me e che ora, invece, non fa altro che farmi
ribollire il sangue. “Come state?” mi chiede come
se nulla fosse. “Vi ho pensato.”
Questo è davvero troppo! ‘Mi ha
pensato?!’
Non ne aveva nessun diritto visto che è stato proprio lui ad
andarsene e a lasciarmi... Ed ora se ne esce con queste frasi smielate
e sdolcinate, sperando che io mi getti in lacrime ai suoi in piedi,
felice che lui sia tornato?
Credo proprio che abbia capito male. Molto male.
“Andate via!” ripeto, visibilmente arrabbiata,
tendendo l’arco e rivolgendogli un’occhiata ostile.
Lo vedo indietreggiare insieme a Much e non posso non provare un senso
di soddisfazione.
Allora se lo ricorda che sono brava a tirare con l’arco!
Del resto, è stato lui ad insegnarmelo, e sa benissimo
quanto posso essere pericolosa con un’ arma in mano.
“Ce ne andiamo subito.” Risponde Much, preoccupato,
ma Robin non si arrende.
“Sir Edward, vi prego.” Dice, tornando a rivolgersi
a mio padre che, nel frattempo si è sistemato alle mie
spalle. “Se non vi ricordate di me, ricordatevi di
Nottingham, del vostro popolo...!”
Non riesco a sentire il resto, visto che io e mio padre siamo
già rientrati in casa, sbattendo la porta alle nostre spalle.
Mi ci appoggio contro e lascio scivolare a terra il mio arco,
respirando profondamente.
Mio padre si siede accanto al fuoco e inizia ad osservare in silenzio
le braci ormai morenti del camino.
Io, intanto, mi allontano dalla porta e vado verso la finestra, per
osservare i due ragazzi all’esterno.
Li vedo parlare tra loro, senza però afferrare
l’oggetto della discussione, e noto che Much rivolge a Robin
un’occhiata di rimprovero mentre lui accenna un sorriso.
Scuoto la testa, incredula.
Dopo tanti anni, sono rimasti sempre gli stessi.
Risalgono a cavallo e si allontanano veloci dalla casa.
“Sono andati via?” chiede mio padre.
“Si, padre. State tranquillo.” Gli dico,
avvicinandomi a lui, un po’ preoccupata.
Mi siedo sul bracciolo della sua sedia e gli prendo una mano.
“Non dovete agitarvi. Sapete che non vi fa bene...”
Mi sorride rassicurante. “Non preoccuparti, Marian. Io sto
bene.” Si volta verso di me, accarezzandomi delicatamente una
guancia. “E tu, invece? Come stai?” domanda serio.
Abbozzo un sorriso. “Anche io sto bene.” Lo vedo
inarcare scettico un sopracciglio. “Davvero.”
Affermo, sicura.
Annuisce poco convinto. “D’accordo. Farò
finta di crederci.” Afferma, alzandosi dalla sedia e
guardandomi con un sorriso. “Ora, però, devo
andare. Lo Sceriffo mi aspetta per il consiglio dei nobili.”
Si avvicina alla scala e si volta di nuovo verso di me. “Ti
andrebbe di accompagnarmi?”
Sgrano gli occhi, sorpresa. “A Nottingham?”
“Si, a Nottingham. Allora ti va?”
Mi alzo e lo raggiungo velocemente. “Vado subito a
prepararmi.” Gli dico, abbracciandolo di slancio.
Poi imbocco le scale ed entro nella mia stanza.
So benissimo perché mio padre mi ha chiesto di andare con
lui, al castello. Vuole farmi distrarre, in modo da non pensare a Robin
e al suo inaspettato ritorno.
Crede che io sia rimasta turbata dalla visita di poco fa. Ma si sbaglia.
Non mi importa affatto.
Vado alla finestra e guardo la strada che Robin e Much hanno percorso
per lasciare Knighton.
No. Non mi importa nulla.
Perché lui, quando se n’è andato, ha
fatto la sua scelta.
Ed ormai è tardi per rimediare.
Troppo tardi.
(*)
Traduzione letterale della battuta in inglese. Scrivere
‘rallegramenti’, come nel doppiaggio italiano, mi
faceva venire la pelle d’oca!
Ora
la storia è davvero finita!! Mi viene da piangere, anche se
credo che molto presto tornerò a scrivere altre ff sulla
coppia Robin/Marian! Li adoro da impazzire!!
Ringrazio
come sempre tutti coloro che hanno commentato e che hanno inserito la
storia tra i preferiti! Grazie mille per aver seguito, letto, recensito
o anche solo per aver dedicato un po’ del vostro tempo alla
mia fanfiction! GRAZIE e alla prossima!
Un
bacio!
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