Cacciatori e Vittime.
La Profezia
Capitolo 2.
Raindrops fall from everywhere
I reach out, for you, but your
not there
So i stood, waiting, in the dark
With your picture in my hands
Story of a broken heart.
[Gocce di pioggia cadono ovunque
Ti cerco, cerco te, ma non ci sei
E me ne sto qui,
aspettando, nel buio
Con la tua foto nelle mie mani
La storia di un cuore spezzato.]
(Stay with me – Danity Kane)
Cassandra non comprendeva cosa
stava accadendo in quel momento, si stava solo disperando. Piangeva, sommessamente
nel silenzio intorno a lei, brontolando il nome di sua figlia così tante volte
nelle lacrime da trasformarla in una litania. Il ragazzo al suo fianco, giovane
allievo e suo aiutante, le stringeva le spalle, in silenzio, mentre osservava
ciò che accadeva a bocca aperta. Le catene tintinnavano, e la donna anziana non
aveva ancora capito che quel tonfo non era il rumore sordo della testa di sua
figlia che cadeva ma di un essere vestito di nero, calato – letteralmente – dal
cielo.
Lo sguardo rivolto al patibolo
mentre la gente, tutta intorno, la fissava stranita.
Un fruscio di coda.
Gli occhi si sgranarono. E poi
la folle corsa ai ripari.
«UN INFETTATO! AI RIPARI!».
«SONO ANCORA VIVI, AIUTO!».
«SI SALVI CHI PUÒ!».
«CI
UCCIDERANNO TUTTI!».
La folla di persone scappò per
tutte le vie laterali in pochi istanti, creando il panico. L’uomo sul patibolo
si alzò, mostrandosi al sole. Vestiva le vesti sacerdotali, bianche e azzurre
con caratteri strani, e in mano teneva un bastone rilucente di luce propria. Gli
occhi penetranti di un azzurro opaco, i capelli tenuti in un codino, lunghi e
biondi, la barba curata e gli zigomi rendevano la sua faccia sottile, oblunga. Sibillina.
Ci fu un attimo di silenzio,
le guardie, il boia, il sacerdote, fermi come statue ad osservare una figura
lontana, nera, familiare agli occhi di tutti.
Don, suono di campana.
Ricorda la Profezia.
Ricorda gli odori, i sapori, la luce.
L’amore.
Gli occhi di chi amavi, e sorridi.
La Vista.
Ricorda la luna.
«Joshua, cosa sta
succedendo?!» domandò l’anziana al ragazzo tra le lacrime, sentendo le urla. Non
capiva cosa era successo, e cosa stava accadendo adesso. Sentiva solo il
respiro trattenuto del ragazzo, il silenzio dopo le urla e il terreno fermo, un
odore vago, lontano. Familiare.
Nella sua mente spuntò, come
un fiore in piena campagna, il ricordo di un nome lontano, quasi dimenticato.
Ma il ragazzo non rispose, era
letteralmente sbiancato.
Quella donna era...
La figura nera osservò la
statua, di medie dimensioni, poco lontana dal patibolo. Mostrava il momento
della Purificazione, il sacrificio di Elisa per salvare il mondo, e per volere
della Dea. Era realistica, quella statua, i tratti – forse troppo femminili –
cozzavano con la figura reale che ora vi camminava vicino. Ogni falcata
mostrava la coda che, dolce e morbida, si muoveva sinuosamente dietro di lei.
Era bianca, come la luna.
I capelli erano lunghi e ricci
che morbidi si muovevano all’udire del vento.
“Fastidiosi.” Pensò la donna,
scostandoli dalla vista.
«Guardie, uccidetelo!»
sentenziò il giovane sacerdote, risvegliatosi dal torpore del momento. La punta
del bastone indicava lei, e Elisa lo guardò con occhi gialli e furenti.
Don, suono di campana.
Ricorda la Profezia.
Un manipolo di soldati si
avvicinò di corsa, spade alla mano.
La donna chiuse gli occhi. Aprì
le braccia, assaporando il movimento pacato del vento, il tepore del sole, e
ricordò – come un ricordo di bambina che scalpita tra la gente – le parole
dette dalla Dea.
“E
l’eroe cadrà dalle nuvole,
quando
alto si leverà
l’urlo
della madre bianca
per
salvare la dama di fuoco.”
I suoi movimenti, fluidi, impedirono il primo attacco degli
uomini, stordendoli e lasciandoli a terra, svenuti. I suoi muscoli rispondevano
ancora bene ai movimenti, il suo corpo era scattante e pieno di energia. Si
guardò le mani, strinse i pugni e li rilasciò. Quella sensazione di adrenalina
ed euforia, le mancava.
Elisa sorrise.
“Sì... sono ancora viva” pensò, gli occhi castani
scivolarono al patibolo. La ragazza dai capelli rossi la fissava dall’alto del
patibolo, legata al ceppo dove un boia, incoscientemente, aveva fermato la sua
sentenza di morte. I loro occhi cozzarono, e rimase abbagliata dalla sua
bellezza. Tumulto al cuore.
E capì.
«Boia, uccidila!» intimò il sacerdote, e lui alzò la lama,
pronto a colpire.
Bastarono pochi istanti, e la lama si bloccò. Un braccio
fermò la sua discesa, scontrandosi contro la superficie metallica della
corazza. Elisa, in poche falcate aveva raggiunto e saltato il patibolo, e
bloccato la lama. Il boia spinse, con tutta la forza che aveva nelle poderose
braccia muscolose, ma la lama non si mosse. Elisa la fece scivolare di lato,
colpendo con un calcio il volto celato del boia che, lasciando la presa della
spada, cadde a terra rovinosamente.
La donna prese possesso della spada al volo girandola tra le
mani come se non avesse peso e la usò per spezzare le catene della ragazza,
sciogliendola dal ceppo, e alzandola bruscamente in piedi.
«Chi sei?!» domandò la donna dai capelli rossi, ma quando si
tirò su e vide il suo volto rimase pietrificata.
Quei tratti, quelle cicatrici...quella coda bianca...
«Tu sei...Elisa?» quel nome volò nell’aria, scivolando
all’interno delle membra della donna. E prese possesso oltre che di sé, anche
della propria identità. Elisa assaporò con dolcezza il suo nome sussurrato da
quelle labbra così calde, così rosse...da baciare.
«Guardie, uccideteli!» ordinò il sacerdote, indispettito.
Non si accorse che la sciabola, lanciata da Elisa, si conficcò pochi millimetri
più in là del suo piede. I suoi occhi la fissavano, al di là della distanza. E
poteva vederne l’anima, e le intenzioni, e le emozioni. Era nera, era ferma,
fredda e... arrabbiata. Molto.
Le guardie le circondarono, con picche e spade, ma poco
intenzionate ad attaccare. Avevano paura di un incubo sorto dalle più fervide
favole per bambini, avevano terrore della leggenda fattasi carne davanti a
loro.
Un Infettato era caduto dal cielo.
Erano circondati, ed Elisa doveva assolutamente proteggere
la dama di fuoco che stava vicino a lei.
L’abbracciò, stringendola a sé.
«Ti fidi di me?» domandò, con voce sottile e roca, all’orecchio.
Andrea, sentendola così vicina andò come in estasi. Il suo
corpo, la sua essenza, la sua voce, il suo respiro... erano qualcosa di al di
là dell’umana percezione, di qualcosa di più, oltre l’anima e i sentimenti. E
ne rimase turbata. Non aveva mai sentito una cosa simile, nel proprio animo. E
non rispose subito alla sua domanda.
Si voltò, la guardò in volto, era vicina, molto, e le sua
labbra sorrisero. E allora rispose.
«Sì.» e la strinse forte, chiudendo gli occhi.
Sentì rumori di ossa rompersi, e di un vento forte sferzarle
i capelli, il petto batteva all’impazzata e il suo stomaco faceva le capriole,
e tutto intorno sentiva solo l’odore di lei. Di Elisa. E sentì di preferirlo a
qualsiasi odore al mondo, perché sapeva – in qualche maniera – che quell’odore
era tutto ciò di cui aveva bisogno per respirare.
Joshua rimase abbagliato. La donna, con un secco rumore di
ossa, aveva fatto spuntare fuori dalla sua schiena un paio di ali – bianche come
la neve – enormi che, con una poderosa spinta, si innalzò in aria di parecchi
metri, effettuò una mezzaluna in aria e atterrò morbidamente a pochi passi da
loro. E il ragazzo, con la bocca ancora spalancata, rimase ancora più stordito
e meravigliato di così come erano nate le ali, così morirono nella schiena
della donna, come per magia.
Le guardie erano rimaste basite tanto quanto lui.
Joshua non si accorse nemmeno che a capo della catena che
teneva lui e la sacerdotessa imprigionati in un angolo non esisteva più,
tranciata di netto dalla spada che Elisa rubò con grazia dalla guardia rimasta
lì a sorvegliarli, ora stordita a terra.
Andrea li raggiunse, aiutando l’anziana a sollevarsi.
«Forza madre, alzatevi!» disse, prendendola per un braccio.
Cassandra sobbalzò, non aspettandosi che sua figlia fosse
ancora viva.
«Andrea, sei viva?! Grazie alla Dea!» e l’abbracciò,
stringendola come mai prima d’ora.
Ma non c’era tempo per le tenerezze. Le guardie li stavano
raggiungendo.
«Ci penso io.» disse la donna pantera, muovendosi sinuosa
verso le guardie. Ora aveva più spazio di manovra.
Si liberò di quel manipolo in pochi minuti, senza eccessivo
spargimento di sangue. Il sacerdote svanito. Erano soli ora, in quella piazza.
Ma non sarebbe stato così ancora a lungo. Stavano arrivando rinforzi, Elisa lo
sentiva nell’aria.
«Chi è?» domandò Cassandra alla rossa, indugiando. Aveva paura
di quella risposta.
«È Elisa, madre. Caduta direttamente dal cielo.» e si girò,
sorridendole in modo impacciato. La donna pantera rispose al sorriso.
Elisa si avvicinò, e rimase come paralizzata dallo sguardo
dell’anziana, bianco. Perso nel nulla.
E capì.
«...Cassandra?».