cmdep.
Un tremito lo colse e il freddo delle lastre sotto i
piedi nudi dissipò ogni mormorio nella testa e tra le tempie.
Bruce scosse il capo, si piantò i palmi sopra le orecchie,
li pressò al punto di avvertire il battito iroso del cuore contro lo zigomo, la
mascella, le orbite, la fronte.
Digrignò i denti, macchiò gengive e lingua e palato
di sangue metallico, allargò le narici, ingoiò una poderosa sorsata d’ossigeno
e contò i rigagnoli lividi e i ritorcimenti rossastri che s’agitavano dietro le
palpebre serrate.
Le vertigini bubbolarono alla bocca dello stomaco,
l’Altro gli afferrò con presa bestiale le viscere, gli intestini, ne fece un
nodo, batté un pugno sullo sterno, frantumò le costole tra le nocche, si spinse
sulle vertebre e si lanciò di petto fino alla gola.
Banner, facendo appello alla nausea e al gelo
infernale che gli mordeva ogni tratto di pelle nuda, deglutì Hulk e le sue
proteste, i suoi ringhi e latrati; si sostenne il volto con una mano, le
ginocchia si piegarono fino a toccare terra e le rotule gemettero per il
dolore. I nervi emisero un versetto indignato, il dolore ruscellò nelle vene e
contrasse i muscoli in uno spasimo rantolante.
La voce che aveva udito, il canto nebbioso di sirena
che aveva trasformato i compagni in un nugolo grottesco di animali e nemici e
avversarie Hulk, spacca! non era più
d’un ricordo blasfemo, un’impronta di peccato che i secondi e gli istanti e i
minuti contribuivano a cancellare, onda dopo onda, respiro dopo respiro.
Riprendendo di nuovo una boccata d’aria, Bruce si
permise d’aprire gli occhi e il lucore fiammeggiante dei bracieri lo accecò.
Conficcò le dita nelle orbite, si chiuse nelle
spalle e incurvò la schiena, un rivolo di sudore appiccicò catrame e lerciume
sul cranio palpitante. Annaspò in cerca di nuovo fiato, scrollò la testa come
mulo recalcitrante, quindi sollevò mollemente il collo, osservando, frugando
l’intorno tra gli spazi tremuli delle falangi.
C’era Thor, poco più avanti, col corpo di una donna
stretto tra le braccia: non poteva vedere completamente il viso del Dio,
giacché lo teneva nascosto nell’incavo della spalla di lei, lo celava dietro la
sua guancia bella e cadaverica, oltre il viso abbandonato ad un sopore più
tremendo del sonno.
Loki guardava la scena con alterigia al limite dello
sprezzante –Forse troppo, troppo sprezzante, una caricatura per deviare gli
occhi e i sospetti altrui-, mentre i due efebi col balteo gli serravano uno la
spalla sinistra, l’altro il braccio destro. Tony aveva gli occhi puntati nella
figura mastodontica di Persefone e Steve aveva abbassato il capo, l’aveva
spostato appena di lato e chiuso le palpebre.
E Natasha…Natasha?
Il cuore affondò nel petto.
Vedova Nera giaceva distesa tra frammenti di
intonaco, i capelli scarlatti insozzati da polveri e lacrime di affresco; un
braccio allungato in maniera innaturale dinanzi al volto, il bacino ruotato e
sollevato, una gamba ripiegata sotto il ventre, se respirasse o meno il dottore
non avrebbe saputo dirlo.
Banner si levò faticosamente in piedi, traballò e
quasi cadde, ma una forza innominata –Insapettata-
gli rese le gambe più salde, innalzò la colonna, gli fece bruciare nuova vita
nel petto. E mentre procedeva a passi incerti verso la donna, capì che era
Hulk, che era l’Altro, a sospingerlo verso di lei: il mostro non avrebbe mai
chiesto aiuto, non lo avrebbe mai fatto, soprattutto a lui, eppure in quel
momento gli stava consegnando le ultime briciole di potere e vigore che ancora
possedeva e avrebbe potuto usare per riprendere il controllo. Gliele passava,
sì, gliele donava per raggiungere ed
arrivare indenne a Natasha, per salvare l’unica persona, l’unico essere umano
per cui valesse la pena vivere, anche se rinchiuso nel corpo rachitico, debole
e patetico dell’omuncolo di Dayton.
«Natasha…» mormorò Bruce, crollandole accanto, le
braccia allungate, tese a sfiorare a punta di dita la curva inerte della
schiena. «Natasha, ti prego…»
Un tremito percorse la spina dorsale della donna.
Vedova Nera spalancò gli occhi pallidi di terrore e
si ritrasse, vomitò un gemito dalla bocca macchiata di sangue.
«Natasha» ripetè «Natasha, sono io.»
Lei socchiuse gli occhi, il seno che s’alzava e
s’abbassava al tamburellare aritmico della sorpresa e dell’allerta. Lo
squadrava guardingo, cercava in lui in segni del Mostro, della follia; le
pupille si dilatavano e si restringevano, mettevano a fuoco un particolare, si
perdevano a sondare angoli e recessi –A ritrovare un briciolo anche minuscolo
di fiducia.
Banner sfiatò un sospiro esausto, una mano a
coprirsi gli occhi.
«Bruce…»
Poi furono solo le braccia di Natasha ed il profumo
rassicurante dei suoi capelli.
***
«Tu! Tu! L’hai uccisa! È morta per colpa tua!»
Loki reclinò sfrontato la testa, un ghigno metallico
gli tagliò di traverso la bocca. Arrogante, conscio di sé e del potere di cui
era Maestro.
«Oh, no, fratello.» sussurrò «E’ tua strabiliante
prerogativa perdere le persone che ami.»
Steve avrebbe voluto intervenire, magari mettendo
una mano sulla spalla di Thor –Magari tirando un pugno a Loki-, tuttavia si
trattenne. Il fatto che non fosse più di uno spirito incapace di toccare ed
essere toccato era una ragione da non sottovalutare.
«Non ti preoccupare.» la voce di Tony, ora accanto a
lui, lo fece trasalire «Lo rimetteremo in sesto» il figlio di Howard accennò
col mento alla figura desolante di Thor, al suo volto contratto e alla
disperazione che deflagrava dal respiro ansante.
Stark atteggiò le labbra in una smorfia.
«E se non ci riusciremo noi, lo farà la sua sventola
con un ceffone ben piazzato.»
Il Capitano annuì ed il sorriso scivolò via dai suoi
occhi, risucchiato dentro di lui dall’atmosfera di addio che gli infiacchiva le
ossa e gli indolenziva i muscoli. Il cuore era intirizzito ed era consapevole
che quel poco di sangue della libagione stava ormai finendo il suo effetto:
dalla punta delle dita il gelo ramificava nelle braccia e qualsiasi parvenza di
fiato diveniva pallida, ogni volta più distante dalla precedente, ogni volta
più rarefatta, ogni volta più fasulla.
Presto, lo sapeva, avrebbe guardato Tony e non lo
avrebbe visto. Avrebbe sentito le sue parole, ma non le avrebbe ascoltate.
Avrebbe avvertito il suo amore, ma esso non lo avrebbe raggiunto.
«E’ un po’ uno smacco, eh?» riprese Stark,
socchiudendo le palpebre «Insomma, niente Cancelli Dorati, niente Angeli con le
Arpe o tizi barbuti che ti sventolano un paio di chiavi davanti al naso» alzata
di spalle «Mi rassicura sapere che non mi ritroverò davanti un tizio con la
testa di sciacallo o un bellimbusto fasciato e con la faccia verde, questo sì.»
Steve rise e quel suono riverberò nel Salone con una
luminescenza argentina. I bracieri si scossero, muovendo frementi le lingue
aranciate.
«Non importa, Tony.» il Capitano si voltò –A stento ingoiò
l’istinto di alzare il braccio e passare le dita fra i capelli che erano caduti
a coprirgli la fronte «Io continuo ad avere Fede. Non mi ha mai tradito.»
Stark abbassò gli occhi, sviò il suo sguardo.
«Hai Fede in me?»
«Sempre.»
Un refolo di vento costrinse entrambi ad alzare la
testa: era giunto a loro un sottile canto di primavera, che a Steve aveva
ricordato il rumoreggiare dell’erba di Central Park, il sapore amarognolo della
pioggia sulla pelle e lo schiudersi silenzioso di una corolla.
Persefone li aveva raggiunti e sua era la tenerezza
della Madre, nell’aspetto e nell’aura che emanava. Aveva abbandonato il peplo e
i ninnoli tra i capelli e l’alto polos: i riccioli castano scuro erano divisi alla sommità della fronte da una
scriminatura centrale, stretti alla nuca da un laccio nero. La veste era un
tramestio di pieghe, un alternarsi fumoso di sbalzi di luce, di grigio ferro e
baleni di tormalina.1
Nella semplicità degli occhi liquidi, neri come
terra bagnata, e nella piega carnosa delle labbra scarlatte, era una Fanciulla
più bella di qualunque Dea.
«Non temere» bisbigliò, rivolta a Stark «Egli è
destinato ai Campi Elisi.»
«No» replicò il figlio di Howard «Il Capitano verrà
con me.»
La moglie di Plutone spalancò le palpebre.
«Che dici?»
«Rendimi la sua anima.»
«Tony» intervenne Steve, avvertendo l’incredulità e
l’incomprensione singultargli in gola «A cosa servirebbe? Hai sentito Loki, non
ho più un…»
Stark lo ignorò, lo sguardo conficcato in quello di
Persefone.
«Rendimi la sua anima.» scandì.
La Dea, accigliata, corrucciò le labbra e la
mandibola si contrasse. Emanava una potenza ed una regalità talmente forti che
le ginocchia del Capitano tremarono; pur mantenendo l’illusione di essere alta al
pari di un essere umano, Steve la vedeva giganteggiare sopra le loro teste e
ciò che ordinava così sarebbe stato.
«In virtù di cosa?»
«Della nostra impresa.»
Natasha claudicò in avanti, un braccio attorno alle
spalle nude di Banner ed una mano del dottore a sorreggerle la vita. Un rivolo
di sangue le colava sopra l’occhio destro, i capelli, scarmigliati ed unti,
erano coperti di polvere e terra; la divisa nera era stracciata sotto il seno
ed un graffio rossastro si intravedeva già paonazzo sulla pelle bianca. Bruce
la teneva in piedi e la guardava con preoccupazione e profondo affetto.
«Siamo scesi…Fino alle tue porte per portare via il
Capitano» proseguì la russa, il tono debole e affaticato «Lascia tentare anche
noi, esattamente come fece Orfeo.»
E così dicendo, scostandosi di un poco da Banner,
Vedova Nera incespicò fino alla Dea e le porse il ramo d’oro, stretto tra le
dita spellate.
Persefone non rispose, ma con una lacrima a
scintillare tra le ciglia fini, prese il dono e sorrise.
Il Capitano non seppe spiegarselo, eppure le tenebre
dell’Ade furono strappate e stracciate: i capelli della Dea erano biondi di
grano e lei era bella come l’estate, meravigliosa e viva come la primavera.
Scintillava la rugiada sulle sue guance truccate di porpora ed il ventre era
cinto da fiori candidi, gli occhi avevano assunto il colore del miele.
Attoniti e strabiliati, stavano assistendo al
miracolo della Rinascita e lei era Persefone prima che l’Ade la ghermisse e l’Inverno
innevasse il suo cuore traboccante di linfa.
«E sia» accordò, sorridendo teneramente.
Una luce fioca segnò il cammino di un sentiero
scosceso, di arduo cammino ed immane fatica.
«Proseguite avanti e non vi fermate. Non guardatevi
indietro, mai, fino a quando non sarete usciti al sole ed al mondo dei mortali:
se verrete meno a questo, la sua anima sarà persa per sempre.»
***
Clint non era famoso per la propria pazienza e
quella volta era sicuro che un richiamo non glielo avrebbe tolto nessuno. Come
se avesse importanza, come se una nota di demerito o una tirata d’orecchi
potesse cambiare la situazione o anche solo avere un peso su quanto sentiva
gridare e urlare e sbraitare dentro la cassa toracica e nel fondo dello
stomaco.
Sbraitare contro Streiten chiamandolo “Vecchiaccio
della malora”, inveire perché facesse presto, maledirlo, bestemmiare in ogni
lingua padroneggiata -Ed erano tante, sebbene non paragonabili alla lista
praticamente infinita di Natasha-, farsi perforare l’orecchio dall’ordine della
Hill aggiuntasi non richiesta alla conversazione…
In poche parole, la situazione non volgeva a favore
di un rientro pacifico all’Hub.
Il problema non si poneva, comunque, giacché Clint
aveva deciso a priori che non si
sarebbe fatto vedere all’Hub, a meno di non avere un vivo e vegeto Phil Coulson
accanto. Qualsiasi rapporto, qualsiasi scempiaggine burocratica poteva e doveva aspettare quando in bilico c’era
la vita dell’Agente. Lo aveva lasciato morire una volta, non sarebbe successo
di nuovo.
Scansando i malconci Sitwell e Woo, ignorando le
proteste degli infermieri e gettando un’occhiata assassina ai poliziotti che
avevano tentato di fermarlo, rispondendo a male parole persino alla squadra di
recupero venuta per scortare Vermin a Ryker’s Island in pompa magna e il
Mutante direttamente all’obitorio, Occhio Di Falco montò sull’ambulanza e
s’appollaiò sulla panca laterale.
Gli pareva tutto così goffo l’affaccendarsi del
personale medico attorno alla barella di Coulson, tutto così approssimativo e
poco professionale.
Poteva scorgere il sudore intingere di rigagnoli
umidi del colletto e delle maniche della donna -Come sarebbe riuscita a
salvarlo, se non era nemmeno in grado di mantenere la calma?, e il ragazzo che
si stava occupando della ferita al ventre di Phil era troppo, troppo giovane,
sicuramente inesperto e aveva il polso che tremava e aveva gli occhi appannati
dalla tensione ed era bianco sulle tempie e rosso sulle mani, lì dove la pelle
veniva a contatto col sangue copioso, bollente.
Il colore fluiva dal volto di Phil allo squarcio
irregolare allo stomaco e in un attimo di sbandamento, di follia, Clint si
chiese se non sarebbe bastato mettere le dita a coppa sulla ferita perché non
fuoriuscisse, si fermasse, perché il fiato, il respiro non abbandonassero i
polmoni e il bronchi si dilatassero a far passare boccate d’ossigeno una più
profonda della precedente. Scacciò quel pensiero con uno scossone stizzito
della testa, la nausea che incollava i denti come mastice.
Occhio di Falco si portò le mani alla testa e
conficcò i polsi nelle tempie, strizzò le palpebre, contrasse la mandibola. Se
prima i rumori gli erano arrivati alle orecchie ovattati e privi di contesto,
se prima il tremolio dell’asfalto sotto le ruote era stato meno di un rollio
costante, se le mosse dei due davanti a sé possedevano la gommosa ottusità del
sogno, ora il reale stava prendendo di nuovo piede e il tempo aveva cominciato
a scorrere di nuovo e in fretta, troppo in fretta.
Boccheggiando, Barton ingoiò un ansimo e poi un
altro ancora e ancora e di nuovo fino a quando la fronte non ondeggiò e
l’intontimento gli permise di approcciarsi con maggior lucidità, per quanto
fosse un controsenso evidente, a ciò che succedeva.
Il pigolio ripetuto e affilato delle macchine gli
affondò nel cervello, la goccia pallida della flebo singhiozzò un singulto
bianco mentre scorreva fangoso dalla saccoccia fino al polso di Coulson.
L’arciere reclinò appena la testa sulla spalla, giacchè
non si ricordava proprio che le vene dell’uomo fossero tanto striminzite, come
graffi appena accennati, incisioni timide, un poco abbozzate sulla carne. Le
aveva baciate un numero infinito di volte, era stato in grado di sentire il
palpito del sangue sulle labbra e sulle lingue, eppure era certo, dolorosamente
certo, che se vi avesse appoggiato l’orecchio a malapena avrebbe colto l’armonia
cadenzata del battito cardiaco.
«Signore…» mormorò Clint, scendendo dalla propria
postazione e avvicinandosi al capezzale traballante di Phil «Andiamo.» torse
appena il collo ed ebbe coscienza dello stato pietoso in cui doveva versare
soltanto dalla maniera in cui la donna, sul punto di intimargli di stare
indietro, aveva contratto le labbra e s’era fatta da parte, perché potesse
sistemarsi meglio senza disturbare nessuno «Andiamo, non mi lasci così.»
«Barton» esalò Coulson, in un sussulto roco, e tale
fu lo stupore di Occhio di Falco che quasi si dimenticò di respirare
–Rispondere era una reazione troppo al di là delle poche facoltà mentale di cui
si trovava in possesso. «Barton, parlami.»
«Signore! Phil!» esclamò «Dio sia ringraziato!»
«Credevo…» continuò l’Agente, socchiudendo le
palpebre e lasciando intravedere un frammento unto di iride «Credevo che non
credessi in Dio.»
«Credo nel Dottore, che è un po’ la stessa cosa.»
Phil arricciò la bocca in quello che doveva essere
un sorriso, ma l’attimo dopo s’era già trasfigurato in un gemito di dolore:
sollevò i fianchi, lo stomaco eruttò un conato sanguinolento, costringendo il
paramedico ad intervenire e Clint a retrocedere.
Dai piedi della barella, ora, Barton intravedeva le
labbra pendule, macchiate di salive giallastra, dell’altro, il mento incurvato
grottesco contro lo sterno nel tentativo di assumere una posizione che gli
permettesse di guardarlo negli occhi senza ricadere con la nuca all’indietro.
Operazione non facile, però, considerando l’impedimento costituito dal collare
cervicale e da…Clint si impose di non far scorrere lo sguardo più in basso del
petto dell’uomo, si costrinse a mantenerlo dritto nelle sue pupille offuscate
–Ma Occhio Di Falco vede tutto, vede ogni cosa, e per quanto cercasse di
mantenere la concentrazione sulle rughe affaticate che accartocciavano la
fronte di Coulson, per quanto si fosse messo d’impegno a contare gli slabbri
già rimarginati alle guance e sotto gli zigomi, il segno indelebile della
coltellata dell’italiano era qualcosa che non poteva in alcun modo cancellare. Esisteva,
dannazione, e il bubbolio del sangue a contatto con le fasciature non smetteva
di ricordarglielo.
«Dovresti essere all’Hub.»
«Non la lascio solo un’altra volta, signore.»
Phil sbuffò una risata frammista a colpi di tosse.
«Non sei stato tu, Clint. Non sei mai stato tu.»
smozzicò, le parole rese scivolose e claudicanti dai farmaci e dalla coscienza
palesemente sempre più labile.
«Allora mi permetta di esserle accanto adesso.»
Coulson s’arrischiò a lanciargli un veloce
sorrisetto, poco convinto e poco vitale. Le cicatrici purulente che gli
insozzavano il volto si contrassero e uggiolarono, scricchiolanti, creando un
accartocciamento grottesco e nauseante.
«L’Agente Attis diventerà una furia» ridacchiò e
tossì «Il suo LMD si è rotto in mille pezzi.»
Clint avvertì distintamente un moto di rabbia bruciargli
la bocca dello stomaco: inveire contro Phil era l’ultima cosa da farsi, in una
situazione come quella, pur tuttavia non riuscì a trattenersi e il ringhio, il
grido, gli uscirono dalla bocca come vomito e come bile.
«La smetta di dire cazzate!» abbaiò «Lei non è un LMD! È per questo che mi sono
fidato!» la donna gli lanciò un’occhiata di fuoco, cui Barton reagì snudando i
denti e soffiando iroso «Nessun LMD avrebbe mai confessato di esserlo! Lei è
vero, Phil! Lei non è un LMD!»
«…Oh.» sussurrò l’altro, abbandonando la nuca
all’indietro, l’iride che scompariva, opaca e vitrea, dietro le palpebre sempre
più basse «Ma io non stavo parlando di me…»
***
«Sai, Reed stava quasi per farsela nelle mutande.»
«Johnny.»
«E’ vero! Sue ha pensato gli sarebbe venuto un colpo
apoplettico, io e Ben abbiamo scommesso si sarebbe bagnato i pantaloni prima di
svenire.»
«Johnny, ricordami un po’ perché sei salito con noi,
per cortesia?»
La Torcia Umana fece spallucce e appoggiò la schiena
alla parete dell’ascensore, passandosi la punta della lingua sulla piega
irridente della bocca. Richards lo fulminò con lo sguardo e Tony, dal canto
proprio, non ebbe il cuore di trattenersi da una breve, liberatoria risata.
Sapeva che Reed era in ebollizione e probabilmente
non aveva neanche dormito, ma la cosa, invece di fargli pietà, contribuiva ad
aumentare quel senso di euforia e gioia indomabile che esplodeva nel petto ad
ogni battito del cuore. Non erano passati nemmeno cinque minuti dacché l’anima
di Steve era deflagrata in una luminescenza accecante e lui era ripartito in
volo alla volta di Manhattan, che J.A.R.V.I.S. lo aveva avvertito di una
chiamata del Baxter Bulding. Era stato quasi di tentato di non rispondere, in
verità, poi un pizzico di egocentrica filantropia e il tono costernato, affrettato,
incredulo di Richards era rimbalzata da una curva all’altra del casco.
Abbassa la voce,
Reed! Lo aveva
ripreso Tony, ridendo ed esultando, ogni parvenza di serietà scomparsa dal
volto affaticato e incredibilmente eccitato Così
divento sordo!
Richards aveva preteso venisse subito al Baxter
Building, ma il magnate aveva rifiutato l’invito: aveva una cosa da fare,
prima. Aveva chiuso la comunicazione prima che lo scienziato potesse sciorinare
repliche e spiegazioni e balbettii e mani nei capelli e Tutto questo non ha senso, Tony! e, quando finalmente aveva
appoggiato il piede sulla piattaforma d’atterraggio della Tower, si era
disfatto in fretta dell’armatura, correndo fino al salone dell’attico.
Pepper, seduta sui cuscini del divano con una tazza
di the fumante in mano e gli occhi ancora rossi, aveva alzato di scatto la
testa e si era levata immediatamente in piedi. Tony era rimasto fermo, sulla
soglia, ad osservarla per lunghi minuti, senza il coraggio né la forza di dire
nulla, di interrompere quell’attimo di eterna sospensione che poteva e avrebbe
significato ogni cosa.
Non sapendo neanche come, si era ritrovato stretto
nell’abbraccio di Virginia. Il suo profumo nelle narici, sottopelle, i suoi
singhiozzi e la sua presenza erano stati una rassicurazione più calda del
sangue.
Avevano trascorso la serata e la notte così, in
silenzio, Stark allungato e protetto contro e da Pepper, le dita di lei che
scivolavano piano tra i suoi capelli.
Neil film fanno sempre vedere quei flash-forward al limite
dell’ansiogeno, con le nuvole che si rincorrono e sdrucciolano e si sfilacciano
e si rompono contro un cielo azzurro arancione rosso grigio blu, tutto
conficcato di stelle, tutto punteggiato, smerigliato e ingentilito appena da
qualche goccia di pioggia e dal mosaico luminoso delle finestre e dei palazzi.
E la gente parla e parla e parla, vomita eterni discorsi di incredibili,
pindarici confessioni e l’Universo potrebbe anche mettersi il cuore in pace,
l’ONU dichiarare la cessazione di ogni conflitto se solo simili discorsi
potessero farsi davvero, se solo simili discorsi davvero esistessero.
Niente di questo accadde, insieme a Pepper.
Il minuti si trascinarono lenti, il mattino si fece
attendere come una diva non ancora pronta a mostrarsi sul filo sospeso
dell’orizzonte. Non si erano detti nulla, se non un Ora devi andare mormorato, bisbigliato nel dormiveglia degli occhi
spalancati sui primi balbettii dell’alba.
E adesso che Tony era stato lasciato solo e Johnny
aveva convinto Reed a concedergli un po’ di privacy –A volte quel ragazzo lo
stupiva: dietro la dabbenaggine perfettamente inscenata nascondeva una profonda
umanità di pensieri che al confronto persino Steve avrebbe sfigurato-, il
magnate ringraziò mentalmente Pepper per il caldo tepore della presenza che
ancora aleggiava attorno a lui.
Con le proprie, uniche forze, altrimenti, non
sarebbe mai stato in grado di affrontare il passo oltre la soglia, il lampo
luminoso dei macchinari contro il viso nell’istante in cui le porte scorrevoli
gli avevano accordato l’accesso.
La stanza era bianca. Immota.
Pannelli bianchi alle pareti. Lastroni bianchi del
pavimento. Rettangoli bianchi incassati al soffitto. Finestre sottilissime e
oblunghe, incorniciate di bianco. Macchinari pigolanti e bianchi.
Un letto, bianco, nel centro –Un corpo disteso,
vestito d’un camicie azzurro tenue.
Lenzuola ruvide. Bianche –Due mani, appoggiate su di
esse, spolverate di pallido rosa.
Cuscino bianco –Capelli biondo cenere, ciglia finissime,
spruzzate di pulviscolo dorato, labbra soffuse di rosso.
Susan aveva posizionato una seggiola blu proprio
accanto al materasso, sotto i computer. Il loro pigolio era così intenso che
Tony sentì il cuore comprimersi nel petto. Sugli schermi neri passavano e
sfilavano nastri di dati, segmenti di battiti, pulsazioni e respiri;
srotolavano incessanti il cammino della vita, mettevano prepotentemente in
mostra l’esplodere inconfutabile dell’esistenza.
Stark avanzò di un passo e poi un altro, un altro
ancora, punta di dita sfiorò il dorso di quella mano adagiata sulla coperta: il
calore che emanava la pelle era appena percettibile, ma per il figlio di Howard
era come se andasse a fuoco.
La sentì arroventargli la carne attraverso lo spazio
e l’aria e l’ossigeno, quel barlume di calore scoccò simile a fiamma lungo le
vene e si sostituì al sangue, gli diede nuova forza.
Si accomodò sulla sedia, accavallò le gambe.
Un singulto dei macchinari ed un tremito delle
palpebre chiuse. Un suono roco dalle profondità della gola, di chi è sul punto
di svegliarsi da un sonno pesante, di chi si sta liberando faticosamente dalle
catene del sogno. Sulla bocca di Tony affiorò un sorriso.
Alle labbra di Steve arrivò un respiro talmente
profondo che l’altro lo avvertì fin dentro le ossa.
«Buongiorno, Capitano.» lo salutò Stark,
innegabilmente divertito.
E fiero, anche. E soddisfatto. Usare un Life Model
Decoy per la camera ardente e tenere Steve in refrigerazione forzata al Baxter Building per evitare qualsiasi processo
di decomposizione -Nonché il controllo medico costante di Reeds, che nonostante
la somma genialità di cui era in possesso faticava a coordinare pensieri logici
complessi- era stata un’idea al limite del patetico. E, visti i risultati,
piuttosto azzeccata.
Il primo che gli ricordava di avere una lieve tendenza al sovra-reagire sarebbe
stato mandato al diavolo senza possibilità di appello e calciato via in un
punto imprecisato del globo terracqueo.
Possibilmente Timbuctù.
Steve emise un gemito disfatto, aggrottando la
fronte. Deglutì un paio di volte prima di riuscire a prendere parola, le nocche
che si flettevano per far ripartire la circolazione. Piegò la testa sul
guanciale, inspirò a fondo. Una contrazione agli angoli delle palpebre, il
tremolio delle ciglia e finalmente, Dio,
finalmente il Capitano riaprì gli occhi sul mondo.
Il fiato di Tony s’incrinò.
Come diceva il ragazzo schizzato di American Beauty?
A volte c’è così
tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…Il mio cuore sta per
franare.
Un sorriso stanco si profilò nello sguardo e
nell’espressione serena, esausta, tranquilla e scanzonata di Steve.
«Per favore.» mormorò «Dimmi che nessuno mi ha
baciato.»
«Bhè. A questo, Capitano, possiamo sempre porre
rimedio.»
Cor Mortem Ducens
#10 American Beauty
1 Persefone, di Rossetti.
Inizio
processo cancellazione dati.
«Sto parlando da solo.
Volevo dettare una volontà o qualcosa
del genere, ma sono molto lontano dall’essere in grado di intendere e di
volere. Anzi…Nella mia testa non è rimasto molto.*»
Processo
cancellazione dati.
Avvio.
«Sembra ci siamo solo io e te, amico.
Tu ed io contro il mondo.*»
Avvio
registrazione.
[ Crepitio. ]
[ Interferenze. ]
[ Compare un volto. Stanco. Emaciato.
Sudato. Barba incolta. Occhi folli. Sguardo spaesato. È Tony Stark o una
parvenza di ciò che Tony Stark è stato e forse non sarà più. Tiene un microfono
in mano. Cavi ovunque. ]
«Sono convinto che…Sia cominciato
tutto con la morte di Clint. Non chiedermi da dove mi venga questa certezza.
Non lo so. Non so più niente.
L’ho dimenticato.
Qualcosa mi dice che è così e io non
posso negarlo.
Lo ricordo, sai? Il viso di Coulson.
Se avesse pianto sarebbe stato meglio. Se avesse gridato avrebbe esorcizzato l’orrore
e reso i nostri cuori meno pesanti.
Ma credo non ci fosse più voce in
lui. Solo silenzio.
Ha lasciato i ranghi. Ha dato il benservito
a Fury.
Il dolore lo ha fatto uscire pazzo.
Vaneggiava della Casata Maximoff, dei
Mutanti, di Clint. Diceva che era vivo, che l’aveva visto, che abitavano
insieme in una casa a Long Island. Parole senza senso.
A che pro ascoltarlo? Delirava.»
[ Tony Stark si stringe la radice del
naso tra le dita. Ha le nocche sbucciate. I polsi tremano. ]
«Non mi andava di ricordarlo così,
però. Preferisco pensare ad Agente mentre alza il bicchiere di Pepsi e annuncia
l’imminente matrimonio con Barton.
Quando è stato, Steve?
Eravamo in qualche locale bislacco,
sì, dopo una missione contro Viper e i suoi sgherri.
Due giorni dopo mi sono cimentato in
un comizio logorroico e magniloquente davanti alle Nazioni Unite.
E Agente tirava indietro la sedia,
Barton roteava gli occhi pesti a guardarlo da sottinsù.
Due giorni dopo, ubriaco come una
spugna senza aver bevuto un goccio di alcool, ho minacciato l’insigne delegato di Latveria.
“Ci sposiamo.”
Due giorno dopo, Clint mi ha voltato
le spalle, tu sei stato l’unico a credermi.
“Tu e chi?”
Due giorni dopo, la Tower è esplosa.
“Io e Clint.”
Due giorni dopo, Barton è morto.»
[ La voce si interrompe. Tony Stark
contrae la mandibola. ]
«Non volevo ricordarlo così.
Non volevo.
Dio, quanto erano stupide e felici le
loro facce.»
[ Sta piangendo. Non se ne accorge. ]
«Non importa. Tanto non lo ricorderò.
Clint è morto.
Quando è stato, Steve? Anni? Ore?
Minuti? Settimane?
L’ho dimenticato.
L’ho dimenticato, tuttavia è stato il
mio campanello d’allarme.
Perché no. Non è iniziato tutto con
la morte di Clint. È iniziato prima e dalla morte di Clint il tempo è franato e
non riuscivo a raggiungerlo, lo rincorrevo senza posa, ma era sempre davanti a
me, mai dietro.
Ricordo lo spirito di mia madre, sul
ciglio dell’Ade.
Impalpabile come nella mia memoria.
Intangibile come lo è stata nella mia vita.»
[ Gli occhi si perdono appena, lo
sguardo si offusca. Un ronzio del microfono, scintille dai cavi. Il nastro non
fa rumore. ]
«Ti ho sposato con la sua maledetta
profezia nel petto. Ce l’hai fatta, hai visto, a farti mettere un anello al
dito? Eravamo sulla spiaggia e Pepper camminava sulla battigia, si teneva il
vestito per timore di bagnarlo. Come nella mia visione.
Il cielo era sgombro, non c’era
tempesta, ma quell’azzurro era solo illusione.»
[ Qualcosa si incrina e la figura di
Tony Stark si accartoccia, come quella di un bambino che cerca protezione in se
stesso e difesa contro il mondo nelle spalle chiuse. ]
«La morte di Clint è stato il primo
boato.
Quando Nitro è esploso, la pioggia
stava cadendo su di noi già da tempo.
Guardo il servizio al televisore,
quando tu arrivi. Non hai vestiti addosso, il bagliore dello schermo ti si
rifrange sulla pelle. Abbiamo fatto l’amore, hai ancora il mio odore addosso –Putrefazione,
lo sento. Colpa, lo ammetto.
Hai graffi sulla schiena, io un
livido sul collo.
Sono nervoso. I battibecchi sono più
pesanti.
Sta arrivando, Steve. Cosa? Non lo
so. E intanto Stamford brucia.
Non aveva nome, lo avvertivo. Sapevo
cosa sarebbe successo, non avevo previsto in che modo. Non ho voluto affrontare
le conseguenze. Non le ho messe in conto Ho peccato.
Perdonami, Capitano, perché ho
peccato e ora sbriciolo tra le dita una messe di pianto, di ricordi che perdo e
dimentico di possedere.»
[ Tony Stark sospira. Un gemito di
dolore gli accartoccia il viso. Una goccia di sudore gli scivola alla tempia
sinistra. ]
«”Cosa succede?”, mi chiedi.
Nulla. Prendi la mia mano. Andiamo a
letto. Narcotizziamoci di baci e di ansimi. Addormentiamoci.
Stretti sotto una coltre cieca, il
mondo non ci vedrà.
“E’ cominciata” dico.
E’ finita, concludo.
È finita e non mi ricordo quando è
iniziata.
Ricordo solo il tuo volto, Steve, ed
è bello. Troppa bellezza nei tuoi occhi, fammi morire, fammi morire, Steve,
fammi morire, perché io possa assaporare in eterno la bellezza della tua vita
che ora mi è preclusa.»
[ Tony Stark si passa il pugno sugli
occhi chiusi. Quando lo sposta, la sclera è rossa, un intrico di arzigogoli
scarlatti. ]
«Registro un messaggio, nessuno lo
ascolterà.
Incido una preghiera sulla mia pelle,
leggila nel mio sangue.
Apri le braccia, quando arriverò.
Fammi appoggiare la testa sul tuo cuore. Sarò stanco. Riposerò di una morte più
dolce della vita intera.
Con la tua voce cancella le oscure
parole di mia madre. Strappa i cavi che ho sulla nuca. Affonda le dita nella mia
mente vuota. Illumina col tuo affetto i miei occhi grigi.
Guarda il mio corpo privo di
significato. Guarda le mie labbra bianche, le mie palpebre chiuse.
Chiedimi: “Ne è valsa la pena?”
Me lo hai già chiesto. Quando ti ho
risposto, non potevi più sentirmi. Troppo tardi.
Il tempo era davanti a me. Non ero
stato capace di fermarlo.
Ma presto non lo ricorderò.
Non lo ricordo più.
Ci sono cose nella mente di cui i
cattivi vogliono impossessarsi. Quindi più tempo passo attaccato ai generatori
a repulsori…E più tempo durerà il processo di cancellazione della memoria…Significa
che non sto solo perdendo le mie conoscenze. Ma anche i miei ricordi*.
Cancello ogni cosa, sono l’orma che
il mare trascina con sé.
Non ci sono passi, dietro di me.
Sono stanco, ma per quello che
ricordo, ossia sempre meno, ormai nulla, sono sempre stato fermo.
Immobile.»
[ Un singhiozzo gli sale alla gola,
ma Tony Stark lo reprime. Poi non lo nasconde e lo lascia libero. Trema. ]
«Eri bello, Steve, quando ti ho
sposato. Vorrei sposarti dieci, cento, mille volte. Solo per dire Sì. E sentirti rispondere.
Ricordo il tuo viso.
Sta svanendo.
Nebbia.
Impalpabile.
Intangibile.
…Quegli occhi---»
Registrazione interrotta.
Attenzione: dati corrotti.
Impossibile salvare.
Non
dovevi venire, figlio mio.
Oh!
Una decisione ti ha portato qui…
Una
decisione lo farà tornare nell'Ade.
Note Finali
(Questa volta per davvero)
(*)
Iron Man Requiem, Gennaio 2010
E quindi.
Cor Mortem Ducens si è conclusa.
Ringrazio Alley dal profondo del cuore, perché è una mogliaH bellissima e
adesso mi vorrà uccidere.
Ringrazio Ino Chan, bunnybenny, cory94, Crissoluv, Iceathena, Irina_Yermolayeva, Iron_Lady,
Kighto, Lakky, s t r e g a t t o, The_Lazy_Fangirl, Lady White Witch, Alpha
Hydrae, Bee S, Black Air, dandelionandburdock, Endimione, F 13, GretaJackson16,
ipp0po, Julia 98_8, LightCross, Lori Liesmith, Misako 90, Nanna 12345,
Nemenorse, Runarvisa, Saeros25, Selvy, Shannara_Sharel e Zia Enne.
Grazie a tutti voi.
Fin.
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