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Capitolo 1
Gajeel uscì dalla stanza con un ghigno soddisfatto: aveva salvato
quella pazza da un sicuro spappolamento e il tutto senza aggredirla,
spaventarla o shockarla più del necessario. Lily avrebbe dovuto
rimangiarsi tutto! Rimase immobile per un po', cercando di sentire se
quella cosina avrebbe tentato qualche altra stronzata ma, non captando
nient'altro che il suo respiro, vagamente accelerato, tornò al piano di
sotto diretto alla biblioteca personale. Nonostante fosse ormai giunta
l'ora della cena e dato che la sua ospite era più che sveglia, si
poteva dire prontissima a lavorare per lui. Ne aveva fin troppo di
quella situazione e ora che aveva trovato chi poteva aiutarlo non
voleva perdere altro tempo. Insolitamente di buon umore iniziò a
canticchiare fra sé una canzone che parlava di quello che avrebbe fatto
una volta tornato quello di un tempo e sulla ferrosa maestosità dei
treni, mentre a lunghe falcate si dirigeva verso una delle sale più
grandi e più maltrattate dell'intero maniero.
È doveroso spendere qualche buona parola per spiegare, almeno in parte,
il motivo di un simile accanimento verso quella parte di casa che
normalmente viene considerata come simbolo di grandezza e cultura del
proprietario; difatti in tutti i salottini mondani non c'era signorotto
o matrona vanesia che non sciorinasse ad ogni ospite, vecchio o nuovo
che fosse, quanto fosse ben fornita e ben vasta la libreria di
famiglia; che poi tutta quella carta scritta stipata in una stanza
venisse veramente anche solo sfogliata non era dato saperlo. Gajeel fu
colpito dalla sua maledizione quando era soltanto un ragazzetto di
quattordici anni e aveva appena imparato a leggere qualche parola
appena prima di perdere la possibilità di intrattenere qualsivoglia
relazione umana, perciò il suo livello di istruzione era rimasto
scarso, quasi nullo: figuriamoci l'enorme difficoltà a decifrare interi
libri con parole lunghe e complicate! Facile immaginare quindi la sua
frustrazione e odio verso quei fogli di carta quasi illeggibili per
lui, che potevano nascondere da qualche parte la soluzione a tutti i
suoi problemi. Non che qualche ospite, titolato o meno, avrebbe mai
visto la desolante confusione di libri lanciati in ogni dove, senza
rispetto di pagine e copertine antiche o anche solo fragili. Di sicuro
non sorprese il proprietario del maniero che, accingendosi a finire la
sua nuova canzone - “Perché essere di ferro è figo, ma non puoi fare
niente; quando tornerò umano invece, sarò ancora più incosciente!♪” -
spalancò i due battenti a tutela della biblioteca e senza perdere tempo
ad accendere alcuna lampada ad olio o candela -conosceva ogni
minimo anfratto, scalino o mobile della casa- raccattò svariati libri
abbandonati a terra e lasciò nuovamente quel salone freddo e
semi-dimenticato.
Superò a gran velocità, sfidando la gravità con la sua enorme pila di
libri, il primo corridoio laterale che portava all'atrio dell'ingresso
ed intraprese poi l'ultima scalinata per giungere dalla tizia ma,
come in ogni miglior missione, avvenne il fatidico imprevisto: «Gajeel
dove pensi di andare?».
L'uomo dal corpo di ferro non poté fare a meno di tentennare alla
domanda piena di biasimo del suo amico, ma niente lo avrebbe comunque
fermato. «Non sono affari tuoi, gatto» e cercando di svignarsela
riprese la corsa nascondendo il volto, colpevole, dietro alla pila di
libri. «Non ci provare, fila a far qualcosa da mangiare, non puoi
lasciarla morire di fame!» «Io non la faccio morire di fame! Prima il
lavoro poi la cena...» «Non si ragiona a stomaco vuoto, caprone!» detto
ciò Panther Lily, spazientito, aumentò considerevolmente di taglia
abbandonando così le sue fattezze animali per rassomigliare di più ad
un uomo dalla pelle color cioccolato con ancora coda e orecchie da
gatto. Potendo ora confrontarsi alla stessa altezza si piazzò in mezzo
alle scale impedendogli ogni possibilità di fuga, se non verso il piano
sottostante e quindi la cucina. «E comunque puoi benissimo far te da
mangiare!» non avrebbe ceduto, dannazione a lui e alle buone maniere!
«L'ospite inattesa è tua, e tuo è il compito di trattarla come si
merita, non farmi ripetere cose ovvie» continuò imperterrito Lily e per
chiudere ancora più la questione gli prese dalle mani i libri e se ne
tornò verso la biblioteca. «Ancora non si è meritata niente» disse tra
i denti Gajeel, contrariato per essere stato costretto a far quello che
voleva lo stramaledetto gatto. «Dannata fata, te e le tue clausole!».
Mestamente intraprese la via verso le cucine, sbattendo nel tragitto
tutto quello che si trovava sulla sua strada, comprese qualche porta
già chiusa e senza risparmiare la mobilia dislocata lungo i vari
corridoi. Per non parlare delle ante dei pensili: che contenessero
pentolame o viveri in scatola, tutto era facile preda della stizza del
padrone di casa e nonostante fosse ben consapevole che il suo
comportamento fosse inutile e fondamentalmente infantile continuò
imperterrito a far il maggior rumore possibile, lasciandosi sfuggire
qualche urlo rabbioso di tanto in tanto. Come se la ragazza a un solo
piano di distanza non fosse già abbastanza spaventata.
***
Levy sarebbe rimasta volentieri in quel limbo confortante nel quale si
era lasciata affondare senza tante remore. Cosa poteva mai fare in
quella situazione? Era prigioniera in un luogo non identificato, ad una
altezza ancora da verificare e anche se si fosse trovata al pian
terreno – cosa di cui dubitava enormemente- non sarebbe mai riuscita a
liberarsi da quella catena. Oh, ci aveva riprovato a sfilarsela ma
l'unico risultato che ottenne fu un brutto segno viola sul polso e una
nuova parte del corpo che urlava vendetta e bruciava moltissimo. Aveva
pure tentato di scardinarla dal muro nel punto in cui era fissata,
tirando con tutte le sue forze, cercando un qualsiasi punto debole ma
nulla da fare nemmeno lì. Lo sconforto era totale e le idee per la fuga
ormai terminate perciò la ragazza decise che, per il momento, non
poteva fare a meno che aspettare la prossima mossa del suo rapitore.
Doveva ammettere che questa esperienza superava di gran lunga ogni
libro horror che avesse avuto la gioia di leggere – anche se in quel
momento si maledì per aver amato così tanto un genere letterario
alquanto discutibile: “Non potevo appassionarmi ai libretti rosa?!” -
visto che il suo anfitrione superava di gran lunga ogni tipo di mostro
conosciuto dalla fantasia umana. Chi si poteva mai immaginare un
energumeno tutto muscoli, fatto di ferro e dalla forza immane? Almeno
non puzzava di animale selvatico o sangue... si augurò che non avesse
qualche strano feticismo o lato perverso da sfogare su di lei.
Rabbrividì al solo pensiero. Le sue elucubrazioni vennero però fermate
da un'accesa discussione che sentì arrivare dalla porta della camera:
quindi non c'era solo la bestia in casa. Si augurò che il secondo
soggetto fosse più amichevole e disposto al dialogo del suo compagno.
Levy tese le orecchie più che poté ma dai toni concitati captò solo le
parole: lavoro e cena. Al pensiero di un pasto caldo la ragazza sentì
lo stomaco, irritato per la poca considerazione, brontolare
sonoramente. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per un pasto caldo! Se i suoi
conti erano giusti -e pregò che lo fossero- doveva essere a digiuno da
quella mattina e fortunatamente aveva saltato solo il pranzo. Si augurò
che si stessero riferendo a lei quando stavano parlando della cena!
Chissà per che cosa stavano discutendo i due... per un attimo ripensò
alle poche parole che le aveva rivolto l'energumeno: «Quando avrai
trovato la soluzione...» forse era collegato al "lavoro" che aveva
sentito un attimo prima. A pensarci bene forse avevano bisogno solo di
un qualche consulto oppure che risolvesse un indovinello... questo non
spiegava il rapimento però! «Aaah!» Esclamò strapazzandosi i capelli
come per far volar via tutti i pensieri inutili per far spazio alla
risposta giusta. Doveva mettere assolutamente qualcosa sotto i denti,
non riusciva a ragionare a stomaco vuoto. Tutto a un tratto un ruggito
lontano la fece sobbalzare spaventata. Stava comunque per credere che
si trattasse solo uno scherzo dei suoi nervi ormai provati quando al
primo ne seguirono altri, uniti a rumori ben poco amichevoli. Levy si
raggomitolò più che poté su se stessa: non ne poteva più!
La sua solitaria prigionia durò ancora poche ore, le più lunghe ed
estenuanti della sua vita. Era addirittura riuscita ad addormentarsi
per qualche minuto: subito dopo aver perlustrato tutta la stanza da
cima a fondo -no, nessun passaggio segreto-, aperto tutte le ante
dell'unico ed enorme armadio di legno scuro, saggiato la comodità del
lettone e notato solo all'ultimo un'altra porta a destra di quella per
uscire sul corridoio. Con giubilo scoprì esserci un bagno là dietro, ma
prima di poter fare la felice rivelazione ci mise almeno cinque minuti
buoni perché insicura sull'esito della sua apertura. Doveva ammettere
che aveva un terribile bisogno di usufruire di quella stanza ma il
problema rimaneva sempre quello: la catena. Certo, chi aveva pensato a
come legarla si era preso pure il disturbo di lasciare svariati metri
di gioco così da permetterle di raggiungere ogni angolo della camera,
bagno compreso, ma non aveva realizzato l'impossibilità della giusta
privacy dato che la catena non permetteva di chiudere completamente la
porta. Dunque era punto a capo: aveva fame, sete e un impellente
bisogno di natura opposta alle prime due. Ed era ancora prigioniera e
senza alcuna idea di quel che ne sarebbe stato di lei: insomma la
situazione non era cambiata per nulla e stava solo peggiorando di ora
in ora. Però aveva una sala da bagno tutta per sé.
Levy si rialzò dal letto dove una mezz'ora prima si era lanciata,
sopraffatta dall'immobilità della sua condizione e dal pesante silenzio
in cui si era chiusa la casa. Si avvicinò all'armadio ed aprì entrambe
le ante, non ricordandosi in quale delle due sapeva nascondersi uno
specchio. Cielo, stava uno schifo! Il vestito era tutto stropicciato,
una manica quasi non esisteva più e aveva la faccia di chi non dormiva
da giorni, per non parlare dei capelli divenuti una massa informe.
Nemmeno si chiese che fine avesse fatto il suo cappellino visto che
l'intricata acconciatura su cui aveva lavorato per quindici minuti
buoni quella mattina -non era ancora passato un giorno, giusto?-
rimaneva solo nei suoi ricordi. Si passò una mano tra i capelli,
cercando di sciogliere più nodi possibili e tentando, sebbene invano,
di domare quelle onde ribelli. La sua attività venne ben presto
interrotta bruscamente quando il suo rapitore entrò nella stanza
facendo sbattere con forza la porta: Levy si girò di scatto e notò
quasi subito un vassoio pieno di piatti e piattini in mano all'uomo -se
così poteva definirlo. Deglutì involontariamente e soffermò lo sguardo
su quegli occhi cremisi che, per quanto fossero spaventosi, avevano un
potere calamitante non indifferente. «È inutile che cerchi di farti
bella, stai uno schifo» disse l'ospite avendo notato l'attività in cui
stava indulgendo la sua... traduttrice? La ragazza si irrigidì come se
avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso e, stralunata, lo
guardò sconvolta. «Che c'è? Ho detto la verità!» Levy sapeva
perfettamente che il commento era assolutamente sincero ma questo non
le impedì di sentirsi offesa e oltraggiata per una simile uscita fuori
luogo e maleducata. «Ma come vi permettete di muovermi un simile
commento quando la causa di tutto questo» con un ampio gesto indicò
tutta la sua piccola figura «siete voi!». Gajeel si sentì a disagio per
un attimo: essere aggredito a parole da un cosino così piccolo, legato
per di più, lo aveva lasciato disorientato. «Oi bimbetta, stai calma!
Altrimen-» «Altrimenti cosa, screanzato? Non solo mi hai rapita in modo
ignobile, mi hai pure rinchiuso qui dentro, mi hai legata e mi stai
facendo morire di fame! In più non sono una bimbetta!» No, decisamente
gli avevano scambiato la ragazzina: che fine aveva fatto quella cosina
informe che aveva tentato il tuffo dell'angelo? Questa piccola arpia
sputa-fuoco lo stava disabilitando un poco. «E sentiamo, quanti anni
avresti, donna vissuta?» Però doveva ammettere che era più stimolante
questa qui; sperò solo che fosse comunque capace di leggere. «Cosa!?
Osate offendermi ancora di più! Non lo sapete che un vero gentiluomo
non chiede mai l'età ad una signorina? Con quel tono poi» Sbuffò
irritata incrociando le braccia al petto e, per condire al meglio il
tutto, lo guardò con biasimo. «Cosa...? Senti, microbo, ti ho portato
da mangiare, se lo vuoi vedi di star zitta e non aggredire chi ti sta
aiutando!» Rispose Gajeel alzando il vassoio quel tanto che bastava per
farle attirare l'attenzione sul cibo. «Visto che sei così gentile
allora slegami!» «Seh certo, così puoi riprovare il tuo volo
acrobatico? No, grazie» Levy stava iniziando a spazientirsi. Possibile
che dovesse trattare con un testone simile? «Stavo tentando di
scappare, zuccone!» Quella cosina aveva preso la brutta abitudine di
offenderlo con troppa leggerezza. «Mi pare di capire che non hai fame:
molto bene Miss Volevo Solo Scappare Uccidendomi, passate una buona
notte» e, dopo aver usato il collo del piede per recuperare la porta
riuscì, in qualche modo oscuro alle leggi della fisica, a chiudersela
dietro, senza rovesciare nulla di quello che era presente nel vassoio.
Levy corse alla porta e urlò: «Fammi uscire di qui! Ehi! Ti conviene
liberarmi, ormai saranno tutti sulle tue tracce e quando ti
troveranno...!» la risposta le arrivò subitanea «Con tutti intendi quei
due bambocci? In tal caso non avrò molti problemi, gihihihi». Ma quel
tipo sapeva solo offendere?, si chiese Levy. Gli intimò subito di non
insultarli, ma non venne proferita altra parola.
«Ehi, la mia cena!»provò allora ad urlare, ma tutto quello che riuscì a
sentire come replica fu un ringhio basso. Si abbandonò contro il legno
chiaro dandosi della stupida e, per meglio ribadire il concetto, iniziò
a dar leggere testate all'uscio e darsi sommessamente della stupida.
Pochi minuti più tardi un leggero bussare la destò dal suo triste
mantra. Levy si chiese chi potesse essere, dato che quella bestia
insensibile sarebbe entrata senza troppi convenevoli – cosa che aveva
già fatto due volte- e con fatica, visto che tra stanchezza e i vari
lividi i suoi muscoli stavano iniziando ad abbandonarla, si rialzò e
lentamente aprì la porta. Era la prima volta che lo faceva con le
proprie mani: nonostante fosse sempre stata consapevole del fatto che
non era mai stata chiusa dentro a chiave non aveva mai avuto il
coraggio di affacciarsi dalla stanza, e sentì il cuore correre più
velocemente: chissà cosa la stava aspettando! Con delusione scoprì che
non c'era nessuno ad attenderla. Si chiese preoccupata se stesse
diventando pazza ma un «Sono quaggiù» le fece rimangiare la paura.
«Un gatto.»
«Buonasera Miss-»
«Un gatto.»
«Diciamo di sì, è un po' lunga da spiegare... il mio nome è Phanter
Lily-»
«Un gatto parlante»
«Già. Dicevo, può chiamarmi semplicemente Lily-»
«Facile Levy: è un gatto, parlante»
«Sì, vi sto parlando e se voleste-»
«È così ovvio! Chi non ha un gatto con il dono della parola?!»
«Ehm, Miss Levy tutto bene?»
«Eheh, certamente... posso toccarti le orecchie?» e senza aspettare
risposta la ragazza si inginocchiò di fronte a quel singolare gatto dai
modi di gentiluomo e delicatamente prese le due soffici e rotonde
protuberanze in cima alla sua testa. Il nuovo venuto fu preso da
sgomento e si lasciò sfuggire mugolii di apprezzamento che lei
interpretò come fusa. Accettò per qualche momento ancora quei leggeri
massaggi poi, con calma, le allontanò le mani accorgendosi – dal
sussulto che ebbe la giovane - poi che un polso era ancora legato e
aveva raggiunto una brutta colorazione violacea. Avvicinò a sé il
livido per studiarlo meglio: «Sono state le catene immagino, deve farvi
molto male!» Lei gli rispose che sì, non era piacevole ma tra tutti
mali che aveva di sicuro la fame era quello più pressante. «Gajeel non
vi ha portato su la cena!?» chiese esterrefatto Lily, eppure lo aveva
visto salire la scalinata con il vassoio! «Portato è la parola giusta,
poi se ne è tornato via senza lasciarlo» quindi il nome della bestia
era Gajeel... «Quello stupido... venite, provvederò a curarvi la ferita
e a darvi qualcosa con cui riempirvi lo stomaco, dovete essere allo
stremo ormai». Lei lo guardò con gratitudine ma mestamente gli fece
notare che era ancora legata in quella stanza. Lily si scusò per la
maleducazione del suo amico provvedendo a liberarla immediatamente, e
lo fece così velocemente che la ragazza non riuscì nemmeno a vedere
come ci fosse riuscito.
Ma ci avrebbe pensato poi, decise mentre seguiva quell'essere singolare
lungo il corridoio. Nel tragitto verso una destinazione ancora ignota
la giovane prese nota di quante stanze stavano passando, della mobilia
-incredibilmente elegante considerando l'aspetto del padrone di casa-,
dei tappeti preziosi che calpestavano e di vari quadri che rendevano
meno cupa quella casa così oscura -oscura in senso metaforico visto che
erano dislocate ogni qualche metro delle lampade accese. «Non pensi che
potrei scappare?». In tutta verità non voleva rivelare quella che era
la sua idea da qualche minuto: dopotutto ora era libera e poteva
scavalcare quel gattino in ogni momento, dato poi che quel bestione non
era nei paraggi. Non aveva resistito però alla curiosità: sembrava
essere assolutamente a suo agio e incondizionatamente certo che non
avrebbe tentato nessuna fuga, c'era qualcosa che le sfuggiva e non le
piaceva rimanere all'oscuro. Phanter Lily le rispose con un sorriso
divertito e iniziò a scendere quella che era la scalinata più bella ed
enorme che le fosse mai capitato di vedere. Era molto semplice in
verità e collegava il suo piano a quello sottostante, ma oltre a quella
direzione sulla destra c'era una sua gemella – da dove si trovava lei
non si potevano vedere i gradini ma intuì comunque la presenza
dell'altra scala dall'andamento obliquo progressivo del soffitto. In
tutto contò tre piani e lei si trovava in quello intermedio. Deridendo
il suo tentativo di fuga precedente considerò che tutto sommato il
salto non sarebbe stato poi così alto. Nella discesa si appoggiò alla
ringhiera e con tutta calma, continuando a studiare tutto ciò che aveva
attorno a sé, seguì il suo Acheronte fino all'imponente atrio che la
lasciò senza fiato. Purtroppo non ebbe modo di analizzare tutto
l'arredo perché Lily per quanto fosse piccolo teneva un passo veloce, e
dovette corrergli dietro per recuperare i metri persi.
Arrivarono nelle cucine, notò dall'ambiente inconfondibile, dove il
gatto la fece accomodare in una sedia vicino ad un caminetto e, dopo
aver preso una piccola cassettina con piccole boccette, le controllò il
polso e le spalmò con delicatezza una pomata dal forte odore mentolato.
«Ecco qua, questo unguento è portentoso» le disse mentre le avvolgeva
delle bianche bende per proteggere l'azione benefica del balsamo
«vedrai che starai meglio in pochi giorni. E ora pensiamo al cibo!».
Così dicendo si avvicinò ai fuochi che erano ad un'altezza troppo
elevata per un corpicino così basso. Sorridendo tra sé si chiese come
avrebbe mai fatto ad arrivare lassù e stava per alzarsi ad aiutarlo
quando rimase shockata: quel piccolo cosino peloso era appena diventato
un enorme uomo dalla pelle scura. Con la coda. Ora capiva perché non
fosse particolarmente preoccupato per una sua probabile fuga.
Continua...
Ta-daaaaan! Come promesso a Girl Pumpkin e Gaia_chan -che ringrazio per
i commenti gentili- ho postato al sesto giorno (credetemi, per una come
me è un vero miracolo)! Levy si è scontrata con Gajeel, è riuscita a
scappare da quella stanza e ha fatto pure la conoscenza di Lily! Nel
prossimo capitolo Levy scoprirà, finalmente, il motivo del suo
rapimento.
Ah si! Per motivi di immagine (date la colpa a Mashima) in questo
universo ambientato nel nostro mondo (si è capito un po' il periodo
storico in cui siamo?) sarà assolutamente normale avere i capelli
blu/azzurri! Non potevo stravolgerla così e purtroppo all'epoca non
c'erano tinture per capelli di quei colori così bizzarri!
Detto ciò, ringrazio chi mi segue nell'ombra, chi ha piaciato e
preferito questa piccola favola rivisitata!
E ovviamente ringrazio la mia adorata
revisionatrice ♥
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