Capitolo 20 - Meta
Raccogliere bacche, non
c'è cosa più noiosa. Eppure il pensiero della festa lo consola: a breve sarà
circondato dalla gente che ama, dalle loro risate, dai brindisi e dalle battute
rumorose degli zii accorsi da nord e da ovest. Potrà di nuovo ascoltare le
storie del nonno e del deserto, le leggende di quell’Entei che è il simbolo
della loro antica casata. E quanto sarà felice la madre e orgoglioso il padre,
quando Serak tornerà con tutte queste bacche, da farne gran vassoio ed esporlo
a centro tavola!
Per la strada del ritorno,
però, sente degli strani rumori, come ringhi e mugolii, provenienti da un posto
non molto lontano. Superato qualche cespuglio si ritrova davanti alla scena: un
branco di Zangoose… e uno sembra non essere gradito da tutti gli altri.
“Non è affare che mi
riguarda” pensa Serak. Con il suo bel sacco di bacche gira i tacchi e punta
verso casa.
Il fuoco. Allegro scoppietta
nel camino. Sulla lunga tavola, attorniata da tutta la famiglia estesa, piatti
ricchi di carni, bicchieri pieni di bevande, e al centro la montagna di frutti
raccolti da Serak.
La serata era esattamente come
se l’era immaginata, pervasa da quel calore che ti riempie l’anima.
Tutto è come deve essere.
Niente è fuori posto.
«Ehi, Serak… siamo
arrivati» lo sveglia la delicata voce di Quinn, prima che questa, appena il
ragazzo apre gli occhi, si allontani arrossendo.
Serak, ancora un po’
rintontito, si strofina gli occhi mentre si appoggia sui gomiti per sollevarsi
dal legno del pavimento del carro, ancora sobbalzante. K è già sveglio mentre
ora Quinn sta svegliando Jay, impresa che si rivela più ardua della precedente.
Aveva dimenticato quanto
potesse essere confortevole il mondo dei sogni, una realtà in cui tutto va
sempre nel migliore dei modi. Gli capita raramente ormai di poterlo visitare;
talmente di rado che non è più abituato a distinguerlo dalla realtà. Né
tantomeno si aspettava di poter fare sogni felici proprio in queste condizioni,
con una missione potenzialmente pericolosa alle porte.
Raggiunge Terry alla guida
del carro, con Zangoose sempre taciturno al suo fianco.
«Quella è la nostra meta»
gli indica il vecchio Custode con un cenno del capo.
Davanti a loro, dopo un
altro breve tratto di strada fangosa, delle porte di legno, imponenti, ma più
marce e decrepite di quelle del Rifugio. Tutta la zona è offuscata da una folta
nebbia, che corre e si perde tra cupi tronchi d’albero tutt’intorno.
E’ notte, ma le stelle
sono coperte da nuvole e la luna è buia, oscura, luna nuova.
Il carro si ferma davanti
alle porte chiuse. Sotto alle mura, al ciglio della strada, c’è un piccolo
capanno, le cui lanterne stanche sembrano salutare con la loro luce la compagna
solitaria che segue i Custodi nel loro viaggio, come vecchi amici che si
incontrino per caso lungo la via.
Una guardia all’interno
del capanno, dietro un bancone, sta dormendo con le braccia conserte ed una
picca stretta da queste. Ma si agita, il volto corrucciato, farfuglia “no no”
quasi a voler scacciare l’invisibile.
Terry, non vedendo
reazioni, si schiarisce la voce a richiamare l’attenzione.
Subito la guardia
sobbalza, quasi cadendo dalla sedia.
«Chi va là? Chi siete?
Cosa volete?» urla brandendo la picca.
«Siamo dell’esercito di
Sua Maestà l’Imperatore della Grande Nazione del Fuoco» proclama il vecchio.
Serak rimane stupito.
«Ah sì? E dove sono le
armature? Gli stendardi? I proclama? I plotoni?» fa sospettosa la guardia.
«Siamo in guerra,
figliolo, e qui siamo anche molto vicini al confine. Fossimo venuti qui in
pompa magna avremo scatenato una battaglia. E non è questo quello che vogliamo,
vero? Qui ho quattro dei migliori soldati della Nazione, e tu stesso stai
parlando con uno dei veterani più navigati, non abbiamo bisogno di plotoni. In
più abbiamo i pokémon – indica Zangoose – e solo l’esercito può avere pokémon,
non è una prova sufficiente per te? O dobbiamo riferire al Generale che non
volete il nostro aiuto?» il tono calmo e sicuro sembra sortire il giusto
effetto, perché subito il volto, incavato e pallido, della guardia cambia
espressione, e diventa quasi supplichevole.
«Finalmente! Sapevamo che
l’Imperatore non si era dimenticato di noi! Grazie! Altre guardie all’interno vi
scorteranno al Palazzo» detto ciò aziona una grossa manovella e le porte,
lentamente, si aprono.
«E grazie per avermi
svegliato – fa poi sottovoce a Terry, quasi in modo confidenziale – rischiavo
di…» ma poi si blocca bruscamente, abbassando il capo, finché non scompare
dietro le porte richiuse alle loro spalle.
Le nebbia, come un
silenzioso Ekans, è strisciata anche all’interno, bassa sulle strade fangose e
mal tenute della città, come fosse a caccia della sua prossima preda.
Le ruote del carro si
infrangono fragorose sulle pozzanghere, creando ampi cerchi nella fanghiglia.
Appaiono poi come in un
sogno, o forse un incubo, le case oltre la coltre biancastra, illuminate da
altre timide fiaccole sparse lungo la strada: di legno, le abitazioni, marce e
fatiscenti anche queste. Insieme a loro dal sipario etereo di nebbia e notte
sbucano i loro abitanti, stranamente sparsi per le strade, nonostante l’ora
tarda: tutti hanno un colorito pallido, quasi come a mimetizzarsi con la nebbia,
e gli occhi incavati, stanchi.
Ma si comportano in modo
strano: le palpebre pesanti sono tirate su, a forza, spalancando gli occhi in
modo terrificante e innaturale, le espressioni del volto finte, forzate,
sorrisi da manichini. Si muovono quasi trascinati da fili, ma non sono marionette,
ché mai si è visto un marionettista tanto abile da riuscire a creare qualcosa
di così terribilmente afflitto quanto solo un corpo umano può essere. No, ma
quei fili sembrano esistere davvero, e sono fatti di paura.
Gliela si legge in faccia,
tra una pantomima e l’altra, la paura, il terrore.
Eppure non tutti sono in
piedi sul palcoscenico, qualcuno sembra esserne caduto, e giace con la schiena
contro un muro, seduto tra fango e Insetti. Gli attori non sembrano curarsi di
questi individui, ma quest’ultimi non si muovono, hanno gli occhi chiusi, forse
a stento sembrano respirare… che stiano dormendo?
Un brivido, come una
scossa, attraversa il corpo di quello che Serak sta fissando, per poi emettere
un urlo, sempre con gli occhi chiusi, e cadere, rannicchiato, di lato, la
faccia nella sporcizia. Ancora, nessuno sembra preoccuparsene: lo spettacolo
deve continuare.
Ma subito, avvertiti dal
pesante tonfo degli zoccoli di Bill nel terreno irregolare, gli abitanti si
voltano all’avvicinarsi del carro, i loro volti, stavolta, pieni di sospetto,
quasi ostilità. Magari non hanno spesso ospiti.
«Terry, che sta
succedendo? Che significa tutto questo? Da quando siamo a servizio
dell’Imperatore?» chiede Serak, distogliendo lo sguardo per non incrociare
quello indagatore dei passanti.
«Ovviamente era una bugia,
ragazzo. Vedi, stanno succedendo delle cose, in questo posto… strani fenomeni
riconducibili a dell’attività psichica… per questo crediamo che potrebbe
esserci lo zampino della reliquia di Mewtwo…» risponde Terry
«Che genere di attività
psichica?»
«Disturbo del sonno»
«L’intera città? A causa
di una sola Reliquia?»
«Già, ma non siamo
riusciti a capire esattamente dove questa si trovi…»
«Ancora non capisco cosa
centri l’impero in tutto questo…»
«Il Signore della città si
è rivolto all’autorità imperiale affinché intervenisse, ma la guerra impegna
alquanto l’Impero, che non ha tempo né energie da spendere in questioni del
genere. Lo stesso dicasi per la Nazione del Fulmine: nonostante qui siamo
vicini al confine, non ci sono stati attacchi o incursioni, dato che persino la
Nazione del Fulmine evita queste terre. Diciamo che questa città è stata
tacitamente eletta a zona franca, ma è praticamente abbandonata a sé stessa,
quasi in quarantena…»
«E così noi gli daremo
quello che volevano…»
«O almeno questo
fingeremo… ricorda, siamo qui solo per la Reliquia…»
Nel frattempo giungono
nella piazza della città: lampioni più elaborati delle fragili fiaccole
incontrate fino ad ora circondano un grande spiazzo pavimentato e salvo, almeno
questo, dal fango, ma non dalla nebbia.
All’estremità opposta
della piazza, a simbolo di una forse passata gloria, si erge un palazzo in pietra,
sospettosamente ben illuminato e fornito di guardie, in grado con la sua mole
di far impallidire gli altri edifici circostanti, ma neanche troppo imponente
come altri palazzi imperiali: si capisce che sia la sede di un’autorità
importante, ma non esattamente la più potente dell’Impero.
A testimoniare questa
distanza dal resto della Nazione vi è lo stile architettonico: completamente
differente da quello più elegante e “leggiadro” dell’impero, ma ricco di
asprezze e punte, slanciato verso l’alto, senza però particolari decorazioni
che ostentino ricchezza.
Tra i Custodi e questo
palazzo, ad affollare la piazza, decine di bancarelle, gente e mercanti
urlanti, quasi a farsi beffe dell’ora tarda. Anche i venditori, però, sono
attaccati a questi fili, e mostrano i segni dell’assenza di sonno di cui
parlava Terry: la voce, anche volendo ergersi sopra tutto il trambusto, è rotta
e a volte sottile, neanche i loro volti sono salvi dal pallore.
E anche qui, appena la
folla nota gli intrusi, tutto si ferma, persino le urla e i contrattamenti.
Attorno al carro si crea
il vuoto, con tutti i cittadini intorno, che si aprono a far passare il gruppo
come le onde sotto una nave.
Una nave che sembra anche
troppo indifesa contro una possibile mareggiata, dato che gli sguardi non
sembrano per niente benevoli.
Finalmente giungono al
palazzo e, soprattutto alle sue guardie. Già, quella all’entrata aveva parlato
di una scorta, ma probabilmente si riferiva solo al percorso dai cancelli del
palazzo fino al suo interno… forse è troppo pericoloso rompere i ranghi…
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