mika 26 fine
Cap 26
The Origin of Love
Epilogue
“From the
air I breathe to the love I need
Only thing I
know you’re the Origin of Love
From the God above to the one I love
Only thing
that’s true the origin is you”
“You’ve got the words to change a nation
But you’re biting your tongue
You’ve spent a lifetime stuck in silence
Afraid you’ll say something wrong
If no one ever hears it how we gonna learn your
song?
So come on, come on
Come on, come on”
Sono passati due anni
da quando ho vinto X Factor, e mai come ora sono convinto di riuscire a
guardare indietro e di poter tracciare un bilancio della mia vita fino ad ora.
Subito dopo la mia vittoria io e Mika siamo andati a vivere
insieme e abbiamo cercato di farlo senza dare molto nell’occhio ma anche
evitando di nasconderci.
Lo vedete quel palazzo vicino a Villa Borghese nel cuore di
Roma, quello tinto di bianco in stile liberty? Ecco, è lì che viviamo,
nell’attico, quando non siamo in giro per concerti.
Ci avremmo passato si e no due settimane, giusto il tempo di
un trasloco e delle vacanze di natale. Poi, è stato una montagna russa di
emozioni.
Si da quando, un paio di mesi dopo la mia vittoria, tornai a
casa in fretta e furia perché doveva parlarmi.
“Vuoi venire in tour con me?”
Furono queste le parole che gli uscirono dalle labbra, prima
che io pensassi solo a chiedergli il perché di quella chiamata improvvisa. Mi
guardava speranzoso, appollaiato sul bracciolo della sua poltrona preferita, un
tic nervoso nelle mani che non riuscivano a stare ferme.
“Apriresti tutti i miei concerti del tour e potresti cantare
le tue canzoni, faremmo dei duetti… rimarresti con me. Non voglio lasciarti”
aggiunse subito, in risposta alla mia occhiata interrogativa. Non fece neanche
in tempo a finire la frase, mi lanciai verso di lui, baciandolo con foga e
sbattendolo allo schienale della poltrona.
“Wow, lo prendo per un si” sussurrò, prima di passarmi una
mano sulla schiena ed approfondire il bacio.
Non ero un tipo da discorsi complicati quanto uno da lunghe
riflessioni. Eppure quella volta non avevo avuto bisogno neanche di un secondo
di tempo per accettare. Semplicemente il mio cuore aveva deciso per me, la
discussione con la mia mente non aveva avuto ragione di iniziare.
Così lo avevo seguito in tour. In due mesi avevo visto mezzo
mondo, coperto quasi 2oomila chilometri – più di quanto avessi mai immaginato
di viaggiare in tutta la mia vita- e aperto i concerti del mio ragazzo.
“You’ve got a heart as loud as lions
So why let your voice be tamed?
Maybe we’re a little different
There’s no need to be ashamed
You’ve got the light to fight the shadows
So stop hiding it away
Come on, come on”
Questa è la mia storia. Non voglio insegnare, perché non ne
sarei capace, ma solo raccontare quali miracoli a volte l’amore sia in grado di
compiere. È riuscito a trasformarmi da un timido ragazzino avverso al mondo e
che credeva di aver toccato il fondo ad un uomo contento della vita che si è
guadagnato, speranzoso verso il futuro e alleggerito dall’amore.
Mika. Mika è sempre stato il mio faro, la mia ancora di
salvezza nella tempesta. Lui, i suoi modi di fare, il suo profumo, i suoi
occhi, la sua voce, il suo sorriso.
“I wanna sing, I wanna shout
I wanna scream ‘til the words dry out”
Potrei rimanere delle
ore a raccontare cosa voglia dire per me alzarmi ogni mattina con lui attaccato
al mio fianco, i capelli ricci perennemente stravolti e appiccicati alla mia
faccia quanto alla sua.
Potrei parlarvi di come trascorriamo la nostra vita, in
barba a tutto e a tutti , staccando il telefono ogni volta che ci fermiamo in
un posto per più di 72 ore, chiudendo le imposte e lasciando che il nostro
amarci ed appartenerci l’uno l’altro prenda il sopravvento fino al prossimo
volo.
“So put
it all of the papers
I’m not afraid
They can read all about it, read all about it,
oh”
Potrei raccontarvi con le lacrime agli occhi per le risate di ogni volta in cui, durante i concerti ci
accorgiamo di come l’altro cammini con aria sofferente e di come, girandosi a
lanciare improperi, si accorgi che anche il suo compagno è nelle stesse
condizioni.
Oppure vi diremmo di quando ci chiedemmo di sposarci
contemporaneamente, o magari questa
davvero da raccontare.
Eravamo a Parigi – terribilmente cliché, ma che volete
farci? Quella città mette in testa strane idee- e avevamo deciso di andare a
cena fuori quella sera, niente di impegnativo, o almeno così volevamo far
credere all’altro.
Già da come arrivammo, entrambi con i fiori preferiti
dell’altro tra le mani, avrei dovuto capire come si sarebbe prospettata la
serata, incredibilmente romantica con una cena al lume di candela, frasi
sussurrate e talmente amorevoli da togliere il fiato con uno sguardo.
“At night we’re waking up the neighbours
While we sing away the blues
Making sure that we’re remembered, yeah
Cause we all matter too
If the truth has been forbidden then we’re breaking
all the rules
So come on, come on
Come on, come on”
O avrei dovuto aspettarmelo quando si mise al piano,
cantando con voce carezzevole Read all
about it, solo per me, per noi. Amavo quella canzone, poi cantata da lui… la
sua voce non la finiva mai di emozionarmi, così calda e imprevedibile quando
finiva sui falsetti, il suo amato chante oriéntal che solo lui riusciva a fare.
Avevo i brividi.
E quando, sfumando sulle ultime strofe, mi chiese “Will you
marry, me?”, portando all’altezza dei miei occhi una scatolina di seta blu
contenente una semplice fascetta argentata
non seppi come, ma resistetti alle lacrime giusto il tempo di mostrargli
la mia e rispondergli “Si, se lo vuoi anche tu”.
Guardò l’anello che avevo scelto per lui solamente di
sfuggita, fu troppo occupato a lasciare il pianoforte per correre a baciarmi e
sussurrarmi un “Si” pieno di amore e felicità.
“Si” che continuammo a ripetere mentre ci guardavamo negli
occhi e ci scambiavamo piccoli baci a stampo, dicendolo ogni volta respirandoci
sulle labbra.
Quando finalmente riuscii a mettergli il mio anello, lui lo fissò, percorrendo con
un dito le due piccole note musicali che vi avevo fatto incidere e che
splendevano contro l’argento.
“Non è giusto, il tuo è più bello” borbottò “Io non te l’ho
scelto così.. perfetto” disse, guardandomi imbronciato. Non potei fare a meno
di sorridere, passando una mano sulla sua guancia e perdendomi nei suoi occhi
“Invece a me lo sembra” sussurrai. Posai le mie labbra sulle sue “Perfetto”
ripetei mentre sentivo le sue labbra modellarsi perfettamente sulle mie e
chiedere subito più accesso alla mia bocca.
Accesso che diedi senza neanche pensare che ci trovassimo in
un ristorante, con centinaia di occhi puntati addosso.
Inutile dire che quella sera pagammo e ci fiondammo a casa, impazienti di
dare libero sfogo al nostro amore. Quella fu una delle notti più belle della
mia vita, piena di dolcezza, coccole e attenzioni. Così come prometteva di
essere la nostra vita da quel momento in poi.
“Let’s get TV and the radio to play our tune again
It’s about time we got some airplay of our
version of events
There’s no need to be afraid
I will sing with you my friend
Come on, come on”
Quella fu solo una delle volte in cui ci demmo da fare in
circostanze non proprio propizie ed in situazioni scomode. Come quando, prima
del concetto di apertura del suo tour, me lo trascinai in camerino perché stavo
per avere un attacco di panico e mi serviva un modo per scaricare la tensione.
O lui, o uno shot di vodka.
Ma era decisamente una buona cosa
avere il mio ragazzo a portata di mano invece del minibar.
“You really
are a bad boy, Alessio”
Fu quello che mi sussurrò, prima di cogliere al volo la
situazione e iniziare a baciarmi, un ghigno divertito dipinto sul volto.
E se qualcuno fosse entrato in quel momento avrebbe visto
Mika, la star pluripremiata e più colorata del mondo inginocchiata davanti al suo ragazzo, nonché il cantante che
avrebbe aperto il suo concerto da lì a venti minuti circa. In atteggiamenti
piuttosto compromettenti, avrebbero detto. Come se Mika al lavoro su di me non
fosse già qualcosa che faceva partire
ogni neurone ancora disponibile nel mio cervello.
Il pensiero mi fece eccitare se possibile ancora di più e
anche lui era nelle mie stesse condizioni. Venni quasi subito nella sua bocca e
poi ribaltai velocemente le posizioni, riservandogli lo stesso trattamento. E
se qualcuno fosse entrato, stavolta si sarebbe stupito di vedermi all’opera su
di lui, come se un cantante affermato come Mika non potesse avere attacchi di
panico da palcoscenico.
Nah, chi volevo prendere in giro, quelli venivano solo a me.
Mika voleva solo un pompino.
E detta così sembra davvero una cosa brutta, se non fosse
che io amavo concederglieli.
“I wanna sing, I wanna shout
I wanna scream ‘til the words dry out
So put it all of the papers
I’m not afraid
They can read all about it, read all about it,
oh”
Oppure, ricordo ancora quella volta in cui ci trovavamo a
Washington. Era pazzesco, ancora non riuscivo a capire come facessimo ad
esibirci persino lì, si vociferava che persino il Presidente volesse una nostra
esibizione privata, cosa molto ambigua e sconcertante anche senza le battutine
del mio ragazzo, che si chiedeva di che tipo di “esibizione” stessimo parlando.
Comunque, a parte la stupidità dilagante, avevo insistito
per andare alla Biblioteca Nazionale. Avevo visto un documentario, da piccolo,
e da quel momento sognavo il giorno in cui avrei guadagnato quel tanto bastasse per andarci per conto mio.
Amai ogni singolo angolo di quella biblioteca, era un
mausoleo, un vero tempio. C’erano prime stampe, edizioni rarissime, collezioni
dei presidenti, tutto quello che la mente umana poteva arrivare ad immaginare
in fatto di libri.
E, dulcis in fundo, un pianoforte a coda faceva bella mostra
di sé su un soppalco su un soppalco.
Allora, la scena fu questa: io che indicavo quella parete,
Mika che si precipitava nell’unica cosa che avesse senso per lui in tutta la
Biblioteca, visto che non riusciva a leggere quelle edizioni, era come se
fossero carta straccia ai suoi occhi, nonostante non vi portasse rancore. Era
una parte di lui, come i suoi ricci o il suo sorriso. Io gli ripetevo sempre
“Non funzioni male, sei solo settato un gradino più in alto rispetto a chiunque
altro” e per me era davvero così.
Così io passavo adorante da un ripiano all’altro mentre lui
si appropriava con un sospiro soddisfatto della possibilità di far ascoltare
musica di qualità persino dentro la Biblioteca Nazionale: la sua.
“Yeah, we’re all wonderful, wonderful people
So when did we all get so fearful?
Now we’re finally finding our voices
So take a chance come help me sing this
Yeah, we’re all wonderful, wonderful people
So when did we all get so fearful?
And now we’re finally finding our voice
Just take a chance, come help me sing this”
Era il secondo natale che passavamo a Roma, e per
l’occasione erano arrivati tutti, ma proprio tutti.
Era arrivata tutta la
famiglia di Mika, con mamma e i suoi quattro fratelli al seguito. Era scesa
Cristina da Milano, portandosi dietro mio padre, Rosy e persino Isabella.
E, signori e signore, direttamente dalla Sunny LA ci avevano
deliziato con la loro compagnia Adam e la loro band, più Mr. Brian May che
aveva deciso di trascorrere le vacanze con Adam e di conseguenza con noi.
Casa nostra non vide giorni più caotici di quelli, ve lo
posso assicurare. Chi cantava da una parte, chi occupava i bagni (tre!! Scusate
se sono pochi, eh superstar) chi chiacchierava del più e del meno in minimo
quattro lingue diverse.
Yasmine, la sorella artista – come la chiamava lui,
facendola arrabbiare- si era placidamente accomodata sul terrazzo, piantandoci
una tenda, e scendendo solo per mostrarci i suoi nuovi dipinti da appendere
alle pareti o per mangiare. Come facesse a rimanere là fuori al freddo non lo so
e non so dirmi nemmeno grazie a quale santo sono riuscito a farla dormire
dentro almeno la sera della vigilia.
“I wanna sing, I wanna shout
I wanna scream ‘til the words dry out
So put it in all of the papers
I’m not afraid
They can read all about it, read all about it,
oh”
Sapete, la cosa bella di quel Natale non fu tanto la
festività in sé, anche perché con Adam ebreo ma non praticante, io che non
praticavo e Mika nemmeno, c’era ben poco da considerarla una festività
religiosa.
No, fu più l’essere insieme dopo tanto tempo, l’aver
ritrovato amici e parenti e soprattutto il cibo: quello fu qualcosa che non sto
neanche a descrivervi, non ci arrivereste comunque. Vi basti sapere che la
madre di Mika aveva portato con sé tutte
le sue armi d’attacco, approfittando del volo privato che era stato prenotato
per la sua famiglia. Tutte le pentole, i mestoli, pentolini, strofinacci,
tutto.
“Manca solo il forno” aveva commentato Mika guardando quell’ammasso
di metallo “E poi, non ci darà pace finché non le faremo mettere le mani sulla
nostra cucina” aveva aggiunto subito dopo, scoccandomi un’occhiata, preoccupato
dall’improvviso pallore del mio viso.
Ammetto di essere stato spaventato per la mia cucina. Ci
tenevo, era nuova fiammante, ma la mamma
sapeva cosa stava facendo. Fu il migliore pranzo di Natale di tutti i tempi.
Seduto a quella tavola, mentre io e Rosy passavamo i piatti
e l’amore della mia vita mi guardava sorridendo dall’altra parte del tavolo,
sentivo davvero di aver fatto la scelta giusta.
E più tardi quando tutti gli ospiti erano andati a nanna ed
eravamo rimasti solo io e lui, tra un sorriso ed un biscotto davanti alla tv,
mi sentivo davvero in pace col mondo.
“I wanna sing, I wanna shout
I wanna scream ‘til the words dry out
So put it in all of the papers
I’m not afraid
They can read all about it, read all about it,
oh”
Avevo pubblicato un album di debutto tutto in inglese,
seguito da un tour abbastanza apprezzato sia in Italia che in Inghilterra, dove
Mika era riuscito a farmi arrivare tramite i suoi concerti. Ma ci avevo messo
molto poco a capire che questo tipo di vita non faceva per me, almeno non la
parte che riguardava lo stare sotto i riflettori.
Ho lasciato la fama e quella vita per seguire l’uomo che
amo. Ora sono il suo pianista e mai una decisione mi è sembrata più benedetta
di questa.
Amo Mika sempre di più ogni giorno che passa, e so che per
lui è lo stesso. Me lo dimostra in molti modi, standomi sempre accanto,
condividendo con me ogni secondo, anche vivendo a Roma, lui che è un cittadino
del mondo.
È stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, la
decisione più dolce, insieme a quella più travagliata. Perché chi lo ha detto
che l’amore è sempre giusto o facile?
Noi per primi ne portiamo i segni sul cuore e sulla pelle. È per questo che
ringrazio ogni giorno per quello che ho, cercando di viverlo al meglio.
Una vita senza di lui non avrebbe senso.
Angolo dell’autrice
Cacchio, ho davvero finito? No, non voglio, daii ridatemi
Ale, ridatemi quel patatone del mio amore, datemi Adam, voglio Rosy, Cristina, Isabella,
il papà… vorrei persino Morgan (ti adoro tesoro, sei pazzo quanto me) daiiii.
Niente, se ne sono andati tutti. A quanto pare ho davvero
finito questa storia. Non so dirvi quanto abbia significato per me scrivere
queste pagine, pubblicare e sentire le vostre opinioni: GRAZIE.
Grazie alle 21 persone che stanno seguendo, alle 35 che mi
hanno messo tra le preferite. Non so come farei senza di voi, poi siete
tantissimeeeeee. Grazie davvero per avermi seguito in questa pazzia, perché
rendete tutto molto più normale, quando di normale in questa ff non c’è neanche
il titolo ahahahaah
Mika, amore non vedo l’ora di vederti di nuovo in tv.. giuro
che stalkererò sky finchè non uscirai, tesoro.
E Adam, dolcezza, siccome mi sei stato sempre in mezzo
mentre scrivevo questa ff, ora che devo inizare a scrivere la tua ti metterò
Mika in ogni capitolo! Sei avvisato J
Che dire, grazie alle mie amiche, ora andiamo a scrivere
Faberry, non vi preoccupate.
Love you
all, crazy people!
Bea
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