backtolife3
Mio
amato Kaname,
scriverti
queste righe è forse la cosa più difficile che abbia mai dovuto
fare.
Ho
lasciato un messaggio per te ai ragazzi, ma c'è qualcos'altro che
devo dirti. Non so se riuscirai mai a capire e ad accettare la mia
decisione di renderti umano, ma ti prego di credere che l'unico
motivo che mi ha spinto a farlo è quello di renderti libero. Sarebbe
meraviglioso se potessimo usare su di te la nuova cura e potessi
diventare umano senza il mio sacrificio, ma sia Hanabusa che Takuma
mi hanno preparato sul fatto che questo sarà quasi sicuramente
impossibile.
Quando
riusciremo a recuperarlo, il tuo cuore sarà così debole e fragile
che è improbabile possa sopportare un farmaco del genere.
E
mi dispiace, ti giuro che mi dispiace.
Non
sai quante volte ho sognato di poterti somministrare quel farmaco e
farti risvegliare.
Non
sai quante volte ho sognato di vederti risvegliare...
Ho
voglia di rivedere i tuoi meravigliosi occhi amaranto e quello
sguardo che riservavi solo a me, anche se so di non meritarlo, di non
avere più il diritto di sentirmi così unica e speciale per te.
Ma
lo so, che se fosse possibile, tu mi guarderesti ancora così perché
lo hai sempre fatto, anche quando sono stata crudele, anche quando la
vita stava scivolando via da te...
Ho
solo una preghiera da rivolgerti.
Non
far mai mancare quello sguardo a nostra figlia. Non hai idea di
quanto lei ti ami e di quanto abbia sofferto la tua mancanza. Per
poterti stare vicino, ha persino rifiutato di sottoporsi alla cura
che l'avrebbe tramutata in umana. Himeka è ancora una vampira Sangue
Puro, Kaname, ha preteso di restare così finché non ti avesse
conosciuto.
Starà
a te farle cambiare idea.
E
con lei, sono rimasti tali anche Hanabusa e Takuma, per proteggerla,
hanno detto.
Credo
che Himeka voglia restare una vampira finché non sarà sicura che
non corri alcun rischio, ma temo che ci sia anche dell'altro, che lei
non mi ha mai voluto confidare.
Ti
somiglia tantissimo, sai?
Ti
rivedo nei suoi silenzi, nei suoi occhi e nella sua fragilità.
Mi
manchi, Kaname.
Yuuki
Non
era stato per niente facile leggere la lettera di Yuuki, né
tanto meno lo era leggere il suo diario.
Un
tuffo nel passato, sì, ma anche un prezioso documento per aiutare
Kaname a riempire quel vuoto di mille anni, ecco cos'era quel diario.
Yuuki
non aveva tralasciato nulla, aveva riportato ogni singolo
avvenimento, emozione , occasione, ricorrenza mettendo nei suoi
racconti molta cura in modo che non mancasse nessun particolare, che
ogni singola pagina raccontasse fedelmente e esattamente ciò che era
successo.
E
c'era davvero tutto. La disperazione dei primi mesi dopo il
sonno in cui era sprofondato Kaname, la scoperta di una nuova
vita dentro di lei, la decisione di vivere quella gravidanza da sola,
lontano da tutti e la nascita della bambina.
Kaname
aveva letto così tante volte la parte in cui Yuuki descriveva la
nascita di Himeka che ormai l'aveva imparata a memoria ed il
rimpianto di non aver condiviso con lei, con loro, quei momenti si
era ormai andato ad aggiungere all'infinito numero di rimpianti che
gravavano sul suo cuore.
Dopo
la nascita di Himeka, il diario proseguiva con la descrizione dei
loro giorni insieme, dei piccoli progressi della bambina, delle cose
più buffe che faceva e che riempivano Yuuki di stupore e di orgoglio
materno, ma c'erano anche tante pagine tristi, cupe, piene di
disperazione, solitudine, senso di smarrimento e un nome ricorrente,
spesso scritto con inchiostro slavato, bagnato di lacrime: Kaname.
Yuuki
non aveva mai smesso di sentire la sua mancanza ed il proposito di
riportarlo in vita era diventato un suo punto fermo, ormai niente e
nessuno sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea, era ben chiaro:
Yuuki viveva aspettando il momento in cui avrebbe potuto sacrificarsi
per lui, aspettava solo che Himeka fosse abbastanza grande per
capirlo e per accettare la sua decisione.
A
nulla serviva la presenza dei suoi amici di sempre, di Kaien e
neanche quella di Zero, che non la lasciava mai, che era sempre con
loro, che si occupava della bambina come se fosse sua, crescendola
con infinito amore e venendo ripagato dallo stesso amore.
Zero
diventava sempre più presente e più importante man mano che le
pagine scorrevano, fino ad diventare un vero compagno di vita che
condivideva con lei tutto, i giorni e le notti, e un altro figlio.
Allora
le pagine del diario avevano ricominciato ad essere più serene,
felici, leggere, pur mantenendo quel profondo affetto per il suo
destinatario.
Era
palese che Yuuki fosse certa che prima o poi Kaname avrebbe letto
quel diario, perché il modo in cui gli raccontava tutto era lo
stesso che usava quando parlavano a voce, molto tempo prima. E in
quel suo rivolgersi a lui, c'era sempre una raccomandazione per
Himeka, una preghiera di badare a lei e di non lasciarla mai sola,
perché Himeka gli somigliava tantissimo e portava dentro di sé un
profondo senso di solitudine che Yuuki da sola non riusciva a
colmare.
Sembrava
impossibile, ma più Zero ed il piccolo Ichiru entravano nel diario,
più Himeka ne usciva, perché aveva cominciato a chiudersi, a
diventare silenziosa, cupa. Non era gelosa di Ichiru, non lo era mai
stata, e amava tantissimo Zero, però si capiva che dentro di lei si
stava agitando qualcosa, e questo qualcosa secondo Yuuki era la
mancanza di Kaname.
Himeka
sapeva tutto di suo padre, una volta scoperta la verità non c'era
giorno che non andasse da lui e se da una parte Yuuki era felice di
questo attaccamento, dall'altra capiva benissimo la solitudine che
cresceva nel cuore della loro bambina. Non si tirava mai indietro
quando Himeka le chiedeva di parlarle di Kaname, e non lo faceva mai
nemmeno Zero, tanto che per i due bambini venne naturale crescere con
l'idea che avevano due padri. Ma se per Ichiru questo concetto era
facile da capire, per Himeka non lo era per niente.
Kaname
chiuse il diario e si stese sulla sua chaise-longue, riflettendo
profondamente su quanto aveva appena letto.
Doveva
trovare un modo per avvicinarsi a sua figlia, per parlare un po' con
lei e chiarire la situazione una volta per tutte. Era consapevole del
fatto che sarebbe stato difficile e che avrebbe dovuto fornire molte
spiegazioni scomode, ma lo doveva fare, non c'era altra via di
uscita.
Decise
che quella sera stessa sarebbe andato nella camera di sua figlia e
sarebbe rimasto là fino a quando non avessero parlato, a costo di
restare in piedi davanti a quella porta chiusa in eterno!
Si
mise d'accordo con Hanabusa, e al momento stabilito salì la scale
che conducevano alla camera della ragazza, dove Himeka stava finendo
di studiare, aiutata da Aidoh.
Bussò
e attese con pazienza, ricevendo da sua figlia un sincero sguardo
sbalordito e stupito quando questa spalancò la porta e si trovò di
fronte suo padre.
“Ciao,
ti disturbo?”, le chiese Kaname, sorridendole.
Himeka
arrossì e abbassò lo sguardo, nonostante tutti i suoi sforzi non
riusciva a comportarsi in maniera naturale con lui e se da una parte
non desiderava altro che buttargli le braccia al collo e
abbracciarlo, dall'altra temeva che uno slancio così affettuoso
avrebbe potuto infastidire Kaname, dopotutto non si conoscevano per
niente!
“No...sì...no...in
effetti...”, cominciò a balbettare lei, completamente spiazzata
dal fatto di trovarsi faccia a faccia con suo padre.
Cercò
di ricomporsi e alzò lo sguardo.
“Beh...in
realtà stavo finendo di studiare con Zio Aidoh...”, sussurrò.
Non
voleva allontanarlo e sembrare sgarbata, ma al contempo non voleva
farlo entrare con il rischio di rimanere da sola con lui, perché era
certa che in tal caso il suo argine sarebbe straripato e tutte le
emozioni che teneva richiuse sarebbero esplose.
Ma
Aidoh fu più rapido di lei e con la scusa che poteva tornare in un
altro momento, tanto erano già a buon punto, li lasciò da soli.
Kaname
rimase fermo sull'uscio, in attesa che fosse lei ad invitarlo ad
entrare. Non voleva in nessun modo essere invadente, ma temeva che
quell'invito non sarebbe mai arrivato.
“Ti
spiace se...”, le disse, facendo un cenno con la mano.
“No...no...certo...vieni...”,
rispose Himeka, mettendosi di lato e lasciando che Kaname entrasse
nella sua stanza.
Si
trovarono per un breve momento di spalle, Kaname guardava la camera
di sua figlia e dava le spalle a lei, che chiudendo la porta, vi
appoggiò sopra la fronte.
Probabilmente,
se Kaname si fosse girato, avrebbe visto gli occhi di sua figlia
brillare.
“Mi
piace la tua stanza, è molto accogliente!”
Non
era certo facile rompere il ghiaccio e forse rimanere sul vago poteva
aiutare ad allentare la tensione.
Himeka
non rispose, ma rimase a guardare Kaname che con delicatezza e
movimenti incerti incedeva nella sua stanza, osservando con cura
tutti i particolari.
Uno,
infine, colpì la sua attenzione e nello stesso istante in cui lui
sgranò gli occhi, Himeka sentì i suoi inumidirsi.
Su una
delle mensole faceva bella mostra di sé il coniglio di pezza di
Yuuki.
Kaname
l'aveva riconosciuto, aveva visto una foto di Yuuki da piccola che
stringeva tra le braccia quel coniglio, e in quella foto lui teneva
Yuuki sulle sue ginocchia.
“Era
della mamma”, cominciò la ragazza. “Me lo regalò appena venni
al mondo. E' il primo giocattolo che ho ricevuto, lo ha messo nella
mia culla e non me ne sono mai separata.”
Kaname
la stava ascoltando continuando a guardare quel coniglietto.
“So
che quel coniglio lo hai regalato tu alla mamma quando era bambina.
Non trovi strano il fatto che lei me lo abbia dato appena nata?”
La
domanda di Himeka era retorica e a Kaname questo non sfuggì.
Sorrise
amaramente scuotendo la testa. No, non era strano per niente.
“Himeka...io...non
so neanche da che parte iniziare...”, sussurrò Kaname.
“Potresti
cominciare con il dirmi cosa c'è scritto nella lettera che ti ha
lasciato la mamma”
Kaname
non immaginava che Yuuki le avesse detto della lettera, ma non
rifiutò e raccontò tutto.
“Mi
ha scritto che nessuno di voi ha voluto sottoporsi al trattamento per
diventare umani, che lo farete solo nel momento in cui io non correrò
più rischi. Mi chiede inoltre di badare a te e di starti sempre
accanto”.
Himeka
sorrise al pensiero che sua madre avesse pensato a lei fino alla
fine.
“Tipico
di mia madre, non trovi? Preoccuparsi degli altri anche quando è lei
la prima a commettere sciocchezze...”
“Quello
che posso dirti, con estrema sincerità, è che né io né tua madre
avremmo mai voluto farti tutto questo, credimi...”
“E
allora, perché...”
Himeka
cercò di parlare, di chiedere spiegazioni, ma riuscì solo a
scoppiare in un pianto a dirotto.
“Hai
idea di come ho vissuto? La Principessa Kuran, la Nobilissima
Sangue Puro, Colei in cui scorre il sangue più puro e
potente...Questa ero io, e non
sapevo neanche perché! Io non volevo essere tutto questo, io volevo
solo essere me stessa, con una madre ed un padre, chiunque essi
fossero!!!”
Era piena di rabbia, Himeka, per quel destino che le aveva segnato la
vita sin da piccola.
“Sono vissuta con uno stuolo di gente intorno che non voleva fare
altro che proteggermi: la mamma, Zero, Kaien, Takuma, Hanabusa e
tutti gli altri! Li amo alla follia, non fraintendermi, ma io non
capivo il perché di questa protezione, e ogni volta che chiedevo
spiegazioni alla mamma le si riempivano gli occhi di lacrime e mi
diceva che un giorno me lo avrebbe spiegato, quando sarei stata più
grande...”
Kaname si stupì, credeva che Yuuki le avesse parlato subito di lui.
“No, non subito...non ci riusciva. Io e la mamma siamo sempre state
insieme, da quando sono nata non mi ha mai lasciato un attimo,
condividevamo pure la stessa stanza. I miei primi ricordi di bambina
sono le mie dita che arrotolavano i suoi capelli, mentre le chiedevo
dove fosse mio padre.”
“E lei cosa ti rispondeva?”, le chiese Kaname.
“Nulla, le si inumidivano gli occhi e mi stringeva a sé. Non
capivo perché facesse così, ero troppo piccola, ma so solo che dopo
un po' smisi di chiederlo a lei. Un giorno, approfittando del fatto
che mia madre era andata ad una riunione con Zero, chiesi aiuto a
Takuma e lui, dopo averci pensato un po' su, mi prese per mano e mi
condusse lungo un corridoio dell'Accademia che sapevo essere
proibito.”
Kaname si sedette sul letto di Himeka, seguito subito dopo da lei.
Era bello trovarsi così vicini, finalmente, e parlare liberamente.
“Alla fine di quel corridoio Takuma mi fece entrare in una stanza
dove trovai un'enorme teca di ghiaccio che conteneva un uomo. Tu.”
Himeka si voltò verso Kaname e gli sorrise.
“Quella fu la prima volta che ti vidi. Takuma mi fece avvicinare,
poi mi fece sedere sulle sue ginocchia e mi raccontò tutta la tua
storia. Restammo in quella stanza per ore ed ore, perdemmo così
tanto la cognizione del tempo che non ci venne in mente che mia madre
poteva essere tornata e che magari era in pensiero. Fummo interrotti
da lei, che entrò nella stanza come una furia, piangendo disperata
perché temeva che mi fosse successo qualcosa, ma quando ci vide lì
capì subito, e abbassò lo sguardo. Da quel giorno ha cominciato a
parlarmi di te.”
Kaname ascoltò tutto il racconto e si stupì del fatto che fosse
stato Takuma a rivelarle la sua esistenza.
“E dimmi, Himeka, Yuuki si arrabbiò con te, o con Takuma?”
“No, assolutamente! Credo che invece fosse grata a Takuma, perché
in seguito lei mi ha confessato che non aveva il coraggio di portarmi
da te, temeva che potessi subire uno shock. Da quel giorno, invece,
ha cominciato a parlarmi di te e ha ricominciato a sorridere.”
“Cosa ti raccontava?”
Kaname si sentiva come un prigioniero che per troppo tempo era stato
costretto al digiuno e alle sete e ora non aveva altro desiderio che
dissetarsi e sfamarsi completamente. Ogni singola parola di Himeka
era per lui nutrimento, vita, energia che a poco a poco tornava ad
animare il suo stanchissimo corpo.
“Di tutto! Mi ha raccontato molti aneddoti della sua infanzia, di
quando l'hai salvata, del periodo che avete condiviso all'Accademia e
anche di tutto quello che accadde allora. Non ha mai nascosto niente,
so tutto, sia le cose belle che quelle brutte. Però ti posso
assicurare che non mi ha mai messo contro di te e non ha mai parlato
male di te, anzi...” terminò, arrossendo.
“Cosa c'è?”, chiese Kaname, sorridendo per quella strana
reazione.
“Mi ha sempre detto che ti somigliavo molto, che avevo i tuoi occhi
e che era felice di questo, perché i tuoi occhi erano qualcosa di
meraviglioso ed indescrivibile.”
Himeka abbassò lo sguardo e non fece nulla per trattenere le
lacrime.
“Morivo dalla voglia di vedere i tuoi occhi....Passavo ore e ore
davanti alla tua teca, sperando che tu mi sentissi ed aprissi gli
occhi. Te lo chiedevo, ti supplicavo, ma tu non li hai mai aperti...”
Con un gesto tipicamente infantile, Himeka si asciugò gli occhi con
la manica del vestito, e continuò:
“Venivo a trovarti tutti i giorni, non riuscivo a farne a meno e
stare lì accanto a te mi dava sicurezza, mi trasmetteva serenità,
anche se era solo una mia idea. Pensa che un po' alla volta ho
imparato anche a sentirti.”
Kaname la guardò con aria interrogativa, non riusciva a capirla.
“Man mano che crescevo si affinavano anche le mie facoltà di
vampira, e quindo ho iniziato a percepire la tua presenza. Mi bastava
avvicinarmi al corridoio che portava da te, e subito avvertivo un
calore, un tepore, una strana forza benigna che mi avvolgeva e mi
proteggeva. Eri tu, lo so, adesso ne ho la certezza. E quella forza
la sentivo anche intorno a mia madre, a Zero e a tutti gli altri.”
Non era facile stare a sentire quel discorso senza lasciarsi
travolgere dalle emozioni, e Kaname aveva solo una gran voglia di
stringere a sé quella ragazza, ma temeva di farla spaventare e non
voleva per nulla al mondo vanificare quegli enormi progressi che
stavano facendo.
“Ero finalmente serena, perché anche se non avevo un padre
fisicamente presente, sapevo che eri con me ogni istante della mia
vita e mi sentivo sempre al sicuro. Era bellissimo, perché nella mia
mente di bambina, tu c'eri, e sapevi chi ero, anche se non ci
conoscevamo. Poi...tutto è cambiato...”
“Perché, cosa è successo?”
Ecco, forse, il passaggio che Yuuki non era mai riuscita a spiegarsi.
Era davvero ironico il fatto che Himeka si stesse confidando con lui,
adesso.
“Mia madre e Zero hanno avuto Ichiru, ecco cosa è cambiato...”,
ammise Himeka.
“E ti è dispiaciuto? Non volevi un fratello o non volevi che Yuuki
stesse con Zero?”, chiese Kaname, temendo di compiere, così, un
passo falso.
“No, niente del genere!”, si affrettò a puntualizzare la ragazza
con un tale sguardo sincero che era impossibile dubitare delle sue
parole.
“Ero e sono felicissima di entrambe le cose! Zero è sempre stato
un padre per me, non lo considero in altro modo che questo, e amo mio
fratello alla follia!”
“Scusami, ma allora non ti capisco!”, disse Kaname “Perché
tutto è cambiato quando sono arrivati loro?”
“Ichiru, non loro due...”, puntualizzò lei.
“E' cambiato tutto perché ho iniziato a sentirti
anche intorno
ad Ichiru. Tu non proteggevi solo me e la mamma, e di conseguenza
Zero perché lui proteggeva noi, ma anche mio fratello, e non ne
capivo il perché. Ichiru aveva già un padre, un padre vero, che
bisogno aveva di prendersi anche il mio?”
Himeka singhiozzava, era evidente che quel profondo senso di
solitudine e di incompletezza era esploso nel momento in cui aveva
visto con i suoi occhi un vero legame figliare.
“Ero gelosa, ti volevo tutto per me, non volevo dividerti con lui,
perché lui aveva già Zero. Non sono mai stata messa in secondo
piano da Zero, lui non mi ha mai trattata diversamente dopo la
nascita di Ichiru, però è innegabile che il legame che univa loro
due non era niente di paragonabile a quello che lo univa a me. E'
stato da quel momento che ho iniziato a sentirmi sempre più sola, ad
isolarmi e ad immaginare come sarebbe stata la mia vita con te e la
mamma.”
Kaname era commosso, mai avrebbe immaginato che sua figlia stesse
soffrendo così tanto per causa sua.
“Sai, a volte mi fermavo a guardare la mamma, Zero ed Ichiru mentre
giocavano insieme e mi chiedevo se anche noi avremmo giocato così,
se solo fossi stato con noi. E in quei momenti mi sentivo fuori
posto, così li lasciavo da soli e scappavo da Hanabusa...e mi
confidavo...”
Sapere che Hanabusa era il confidente di Himeka fu forse la sorpresa
più grande che Kaname ricevette in quella serata.
“Sì, ho sempre raccontato tutto ad Hanabusa ed è solo grazie a
lui che sono riuscita a mettere ordine nei mie sentimenti. Mi sentivo
sbagliata, cattiva, invidiosa, ed è merito suo se invece sono
riuscita ad accettare la tua presenza intorno ad Ichiru.”
“Perché?”, chiese Kaname. A questo punto, esigeva di conoscere
la risposta di Aidoh.
“Perché mi ha semplicemente spiegato che tu eri fatto così.
Nonostante i tuoi difetti, il tuo finto distacco dagli altri e le tua
spietatezza, in realtà sei sempre stato un uomo dal cuore gentile e
colmo d'amore che avrebbe sempre fatto di tutto per proteggere le
persone che amava, anche se queste erano legate a qualcun altro. Mi ha
fatto l'esempio della mamma e Zero...hai sempre protetto anche lui,
perché sapevi quanto la mamma gli fosse legata, sin da bambini. E
allora ho capito, vegliavi su mio fratello perché io e la mamma gli
volevamo bene, e sapevi che avremmo sofferto se gli fosse successo
qualcosa.”
Kaname abbassò lo sguardo, imbarazzato. Aveva sempre saputo che
Hanabusa lo conosceva bene, molto meglio di altri, ma non immaginava
fino a questo punto.
“Himeka...io...se solo avessi saputo...o immaginato...forse...”,
non sapeva come spiegare a sua figlia che la sua nascita non era
stata frutto di una pianificazione, non voleva darle l'impressione di
essere uno sbaglio, un errore, come invece era stato lui.
“Quando ho deciso di gettare il mio cuore nella fornace, era
passato troppo poco tempo, la tua presenza non era ancora
percepibile....Di solito i sangue puro sentono la presenza dei loro
pari e quindi, se fosse passato ancora un po' di tempo, avrei
avvertito la tua presenza dentro il ventre di tua madre... e
forse.... Mi dispiace, piccola mia, non avrei mai voluto farti tutto
questo...”
Fu un brevissimo attimo, e nessuno dei due capì chi si mosse per
primo, ma senza neanche avere il tempo di realizzare cosa stava
accadendo si trovarono stretti l'uno all'altra, in quell'abbraccio
che per troppo tempo si erano negati a vicenda.
E per entrambi non ci fu sensazione più bella di sentire il loro
reciproco calore.
Kaname strinse e cullò Himeka finché non la sentì rilassarsi e
smettere di piangere, solo allora la scostò per guardarla negli
occhi e dirle quanto fosse felice ed orgoglioso di lei, ma ciò che
vide lo turbò.
Gli occhi di Himeka erano rossi come il fuoco.
Sete e desiderio, ecco cosa stavano gridando quegli occhi. Per il
breve periodo del loro colloquio, Kaname aveva dimenticato che Himeka
era ancora una vampira, una Sangue puro, per giunta.
Sapeva cosa voleva dire quello sguardo, e sapeva anche cosa sarebbe
successo se Himeka avesse affondato le zanne su di lui.
Ma era sua figlia, e se lei glielo avesse chiesto, lui si sarebbe
lasciato mordere senza battere ciglio.
Himeka, però non parlava. Continuava a fissarlo con quegli occhi
scarlatti e velati di lacrime, combattuta tra la vergogna di farsi
vedere così e l'inevitabilità di quella reazione.
“Cosa vuoi che faccia, Himeka?”, le chiese Kaname, con una calma
incredibile, stupendola non poco.
“Cosa...cosa...vuoi dire? Ti lasceresti mordere? E' così, lo
faresti davvero?!” rispose, praticamente urlando.
“Sei mia figlia, mi getterei anche nel fuoco, per te...”
“Ma non lo sai cosa capiterebbe se io affondassi le zanne su di te?
Sì che lo sai, vero? E non ti viene in mente che se così facessi,
allora il sacrificio di mia madre sarebbe stato vano? Lei è morta
per rendere te umano e io ti ritrasformo in vampiro?!”
Himeka era fuori di sé, sconvolta dalle reazioni del suo stesso
corpo alla vicinanza di Kaname, sconvolta dall'amorevole passività
con cui lui le stava dimostrando che avrebbe subìto qualsiasi cosa
lei gli avesse chiesto.
“Voglio il tuo sangue, papà!”, sussurrò tra le lacrime, senza
rendersi conto del nome che aveva appena pronunciato, mentre il cuore
di Kaname perse un battito per l'emozione.
“Quando
chiedevo alla mamma di descrivermi il sapore del tuo sangue, lei
diceva sempre che non esistevano parole adatte, che il tuo sangue era
qualcosa di meraviglioso e sublime, un nettare dolcissimo che ti
rapiva, ti soggiogava, che ti faceva sprofondare in un profondo oblio
di beatitudine. Ho sempre desiderato sentire il sapore del tuo
sangue, sento che solo così potrei riconoscerti
veramente....Mi sono sempre trattenuta, finora, perché non ti ho mai
avuto così vicino ma prima, mentre ero tra le tue braccia, ho
sentito il tuo profumo, e il sangue correre impazzito nelle tue vene
e io...”
Kaname non ci pensò due volte, afferrò il tagliacarte sulla
scrivania di Himeka e si avvicinò a sua figlia.
“Cosa...hai intenzione di fare...” chiese Himeka giusto un
attimo prima di vedere Kaname procurarsi una profonda incisione sul
palmo della mano, lasciando così fluire il suo sangue.
L'odore del sangue di Kaname fece precipitare Hanabusa di corsa, che
spalancò la porta con un'espressione di puro terrore dipinta sul
viso.
Kaname si voltò e gli fece cenno di non intervenire, per poi
rivolgersi a sua figlia.
“Hai ragione, Himeka, non posso farti affondare le zanne dentro di
me, ma posso farti lo stesso bere il mio sangue.”
Kaname si sedette vicino a lei che, ancora incredula, non riusciva a
prendere la mano di suo padre.
L'aiutò lui, sorridendole e sussurrandole che andava bene così, che
era felice di farlo.
E mentre Himeka sentiva finalmente il sangue di Kaname fluire dentro
di sé, tenendo saldamente
le sue mani attorno a quella di suo padre, Kaname le accarezzava i
lunghi capelli scuri e ne baciava le punte, come era solito fare con
Yuuki, quando lei si nutriva da lui allo stesso modo.
Era solo il primo passo, quello, ma entrambi erano certi che da quel
momento in poi la loro strada sarebbe stata in discesa.
Hanabusa rimase per un istante fermo sulla porta, incapace ad
andarsene ma consapevole di rubare un momento preziosissimo ed unico.
Poi sorridendo si voltò e si allontanò, pensando di non aver mai
assistito ad una scena più dolce ed intima di quella.
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