Il sole non era ancora sorto su Sacramento, quando Patrick
suonò il campanello della guardiola del carcere. Il
secondino del turno di notte andò ad aprire con gli occhi
stanchi e la barba non fatta.
- Non è orario di visite. -
- Mi faccia entrare. Devo parlare coi detenuti. -
- Ripassi ad un'ora decente. - Sbottò la guardia, chiudendo
lo spioncino della guardiola.
Per tutta risposta Patrick tornò ad attaccarsi al campanello.
- Le ho detto di ripassare più tardi! -
- Devo parlarci adesso. Ci sono delle persone in pericolo. È
importante. -
- Non ho nessuna intenzione... -
- Senta, mi rendo conto che è stanco e che le tocca fare il
turno di notte perchè temono che se ha a che fare con
qualcuno gli metterebbe le mani addosso a causa di tutta quella rabbia
repressa difficile da controllare. Ma nessuno capisce che lei ha
ragione, che dopotutto arrivare alla sua età senza aver
avuto nessuna possibilità di carriera è dura.
Dimostri loro che sbagliano, che sa avere a che fare con le persone. Mi
lasci entrare. -
Il secondino lo guardò con gli occhi sbarrati per un
secondo, sbattè le ciglia e poi sparì dallo
spioncino. La porta si aprì grattando e Patrick
entrò.
- Lei è un sensitivo? - Domandò la guarda, tra
l'incredulo e l'ammirato.
- No. Ma lei è gentile. Grazie. - Fu la risposta del
consulente, che si affrettò a coprire la distanza tra il
cancello e l'edificio prima di venire fermato da altre domande.
Si intrufolò nell'edificio e riuscì ad incantare
la guardia al cancello con il tesserino del CBI e qualche parola
delicata, facendosi accompagnare senza troppi problemi dall'ultimo
compagno di cella di Frank McDale. Il galeotto - Roger Hoover - era un
ragazzo sui trenta, con lunghi capelli unticci e le braccia coperte di
tatuaggi e cicatrici. Quando fu svegliato dal rumore della cella che si
apriva non sembrava particolarmente felice di quella visita inaspettata.
- Ciao. - lo salutò amichevolmente Patrick.
L'uomo grugnì, sfregandosi gli occhi.
- Tu conosci Frank McDale, giusto? -
- Dipende perchè lo vuoi sapere. -
Fu il secondino a rispondere:
- È morto. -
Patrick gli lanciò un'occhiata di disapprovazione:
- Certe notizie vanno date con tatto. - Lo riprese. Poi si
avvicinò al ragazzo e si accovacciò di fronte a
lui per guardarlo negli occhi. - Ascoltami bene, Roger. Frank
è stato ucciso e io voglio scoprire chi è stato,
ma per farlo devo sapere chi incontrava qui in carcere. -
- Gente. -
- Che tipo di gente? -
- Gente tirata. Scarpe lucide, capelli in ordine, camicia bianca. Uno
di 'sti figli di papà con la puzza sotto il naso che si
vedono nei notiziari. -
- Era uno della tv? -
- Era per dire. - Sbottò Roger - Una "faccia da notiziario".
-
Patrick rimase un secondo in silenzio, riflettendo.
- A te non piaceva, vero? -
- Quelli vengono per tutti noi. I tipi tirati, intendo. Vengono, ti
parlano... si sentono Gesù Cristo che converte i peccatori.
Tutti coi loro bla bla bla, che possiamo avere e fare ed essere... le
chiacchiere di chi non sa cosa vuol dire prendersi un coltello nella
pancia. Gente tirata. Gente bene, di quella che con i bigliettoni da
cento euro ci si pulisce quando va al cesso. -
- Che diritto ha gente così di venirvi a dire cosa dovete
fare? - Domandò Patrick.
- Nessuna! - Sbottò Roger, gli occhi accesi dall'entusiasmo.
- Nessuna, dico io. Di solito vengono tre, quattro volte…
alla quinta se ne vanno col naso rotto o un braccio lussato e non
tornano più. -
- Ma Frank li ha ascoltati. -
- Non subito. Il primo a venire è stato un ragazzetto che
non sapeva di niente. Frank non lo voleva nemmeno ascoltare e lo
insultava tutte le volte. Più di una volta ha tentato di
mettergli le mani addosso... ma poi è arrivato 'sto
fotomodello. E allora lì Frank si è messo in
testa idee strane. E ha smesso di piacermi. -
- È cambiato? -
- È diventato un'altra persona! Tutto con 'sti discorsi
filosofici sul redimersi, sull'avere un'altra occasione, una nuova
vita… sull'immaginare un "te migliore per un futuro
migliore". -
- Ti ha mai detto come si chiamava? L'altro, intendo. -
Roger scosse la testa.
- Quanto attaccava con quelle frottole lo minacciavo di spaccargli
tutti i denti. Di solito taceva, ma durava due giorni al massimo. Poi
ricominciava. - Rispose. - Diceva sempre che 'sta religione a cui si
era votato l'avrebbe portato fuori di qui. Non ci ho creduto
finchè non l'ho visto uscire davvero, con la sua valigetta e
tutto… e prima del tempo! -
- Prima del tempo? -
- Sì. Mi aveva detto che stava organizzando di andare fuori
in autunno. Ma poi è arrivata 'sta chiamata e lui era
terribilmente gasato. Negli ultimi giorni non parlava d'altro. Non di
uscire, eh. Di parlare con quattro mocciosi del fatto che "puoi davvero
cambiare te stesso". Come se fosse davvero possibile. - Disse Roger
sconfortato.
In quel momento il suono del campanello che svegliava i detenuti fece
riscuotere il secondino dal mezzo stato di trance con cui Patrick
l'aveva convinto ad accompagnarlo alla cella.
- Bene, la visita è finita. - Sbottò, afferrando
Patrick per un braccio.
- Ok, ok, non mi trascini. Cammino da solo. - Disse l'uomo.
Appena prima di andarsene, però, Roger disse:
- È stato lui ad uccidere Frank. Il tizio ben tirato. -
- Come lo sai? -
- Io sono cresciuto per strada. Voi saprete tanto di indagini e di
leggi, ma io riconosco subito un assassino, quando lo vedo. -
Lo scambio di sguardi che seguì durò meno di un
secondo, ma fu molto più intenso di una stretta di mano.
Mentre guidava verso Sacramento, Patrick non guardava veramente la
strada. I suoi pensieri erano così densi nella sua mente che
stava perfino rispettando i limiti di velocità, viaggiando a
velocità di crociera sulla corsia di destra e lasciandosi
superare da chiunque.
All'improvviso inchiodò, ritrovandosi il conducente della
Jeep alle sue spalle praticamente nel cofano della macchina. Il suono
di un clacson anticipò il rumore di una portiera che si
apriva e si chiudeva sbattendo, ma Patrick non aspettò di
vedere il conducente per rimettere in moto.
Alzando una mano per scusarsi, fuggì sgasando lungo la
strada, spostandosi rapidamente a sinistra per imboccare la prima
uscita utile in direzione di Monterey.
Ripercorrendo tutte le tappe della sua indagine si era soffermato sulla
visita alla scuola di Dorothy, sulla sua maestra e sul dialogo che
avevano avuto fuori dalla porta.
E lì si era reso conto di una cosa, di una piccola
coincidenza - se le coincidenze esistevano davvero - che gli aveva
richiamato alla mente il cadavere di Warren Doyle. Era solo un
piccolo, ininfluente dettaglio. Una di quelle piccole cose
che però rientravano perfettamente nello stile di John: il
suo amore per i dettagli, la scelta di location, luci e momenti
appropriati per tutto… lui non lasciava mai niente al caso.
Niente, nemmeno il luogo dove lasciare un cadavere perchè
venisse ritrovato.
Con
qualche ora di ritardo, ecco il nuovo capitolo!
L'indagine procede, ora dovreste avere in mano tutti gli elementi
necessari a svelare il colpevole...
riuscire ad arrivare alla soluzione del caso prima di Jane è
una delle cose che mi gasa di più, a voi no?
Grazie ad I
Love Books
e alle sue bellissime e costanti recensioni e a tutti quelli che
leggono anche senza commentare!
il prossimo capitolo vedrà un sopralluogo su una scena del
crimine e dovrei pubblicarlo verso il 24
settembre!
Ormai la storia si avvia (ahimè) alla sua conclusione.
Flora
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