Lo studio
Lo studio
«Ripetili ancora una volta.» Lo esortò con la pazienza
agli sgoccioli. Anton la guardò con astio, come se lei fosse un’aguzzina che lo
stava interrogando sotto tortura.
«Ma che palle! Li so ormai!»
«No, non li sai invece. Vuoi essere bocciato?» Anton
sbuffò e imprecò peggio di un adulto, nonostante non avesse ancora dieci anni.
«Se mi dici giusti i nomi dei rioni e delle gilde poi ti faccio copiare il
resto dei compiti.» Il suo amico si illuminò speranzoso e raccolse le idee con
una smorfia di concentrazione. «I rioni: Sianel ha i canali, Abincil i campi, Rudnik
il legno, Berhan gli animali. Le gilde: i tipografi-librai, i medici-erboristi,
i mercanti-artisti e i giudici-contabili.»
Emma chiuse il libro con uno scatto irritato. «Se li
sapevi perché stiamo qui da due ore? Volevi solo strapparmi la promessa di
farti copiare, vero?» Anton le rivolse un sorriso sornione, confermando i suoi
sospetti e facendola infuriare.
Ormai aveva promesso, quindi gli lanciò il quaderno con
malagrazia, sperando di colpirlo sul naso, ma Anton aveva i riflessi troppo
pronti. Prese al volo il quaderno e lo aprì sul tavolo della cucina deserta. I
suoi genitori erano entrambi a lavoro, quindi si ritrovavano sempre lì a fare i
compiti, nella fresca penombra dei pomeriggi estivi o accanto al fuoco caldo
del caminetto durante i mesi invernali.
«Dai Em, non fare quella faccia. In fondo queste cose a
che ci serve impararle? Non ce ne andremo mai da Sianel.»
«Ma sapere com’è fatto il mondo in cui vivi è
importante! E poi…» Arrossì. Un po’ per rabbia, un po’ perché lo teneva per sé
da troppo tempo, decise di dirglielo. «E poi parla per te. Io andrò via da
Sianel. Io voglio andare all’Accademia.» Anton lasciò cadere la penna e la
guardò atterrito.
«Mi prendi in giro.» Emma era sempre più rossa ma si
costrinse a guardarlo negli occhi con aria di sfida, anche se sentiva che stava
per mettersi a piangere.
«No. Ci vado davvero.»
Anton assunse un’espressione assieme spaventata e
mortificata. «Perché? È colpa mia? È perché ti faccio i dispetti? O perché devi
sempre obbligarmi a fare i compiti? Da adesso li faccio da solo, ok?» Chiuse il
quaderno di Emma e lo spinse verso di lei, come un goffo gesto di pace.
Emma sentiva le guance bruciare e non riuscì più a
sostenere lo sguardo dell’amico. Si mise le mani sotto le cosce e si fissò le
ginocchia che spuntavano sotto il lunghissimo orlo della gonna, poi scosse la
testa. «No… non è colpa tua.»
«È per tua mamma allora? Se vuoi non ci devi più
tornare a casa. Resta qui. Ti cedo il mio letto, dormo per terra!» Emma esitò.
Allontanarsi da sua madre forse era uno dei motivi, era inutile fingere che non
fosse così. Ma non era quello più importante. Iniziò a dondolare i piedi, a
disagio. «Non è nemmeno per lei… non solo.»
«E allora perché?» Emma lo guardò di sottecchi, sapendo
che l’avrebbe considerata completamente matta. Pensò agli strani sogni che
faceva, soprattutto in primavera, in cui sentiva il vento sulla pelle e l’aria
pulita riempirle i polmoni. Non c’era mai vento nella città. Le mura lo
fermavano.
«Voglio solo… imparare di più. Su quello che c’è
fuori.»
Ormai era
quasi maggio ed Emma, invece di essere in camera sua a studiare e a recuperare
la montagna di compiti che si era lasciata dietro, era sdraiata sul pavimento
del secondo piano della biblioteca, i piedi appoggiati su uno scaffale e
l’atlante aperto a metà sullo stomaco. Sussurrava, contando sulle dita, le
diverse etnie che aveva scoperto che abitavano sull’isola. Gli Yubo, pastori nomadi e stregoni, che veneravano la terra. Gli Ama
delle coste, che si tuffavano nudi nel mare per raccogliere molluschi e perle.
I Suijin del lungo fiume, che vivevano di pesca e di commercio e abitavano in
palafitte per difendersi dalle alluvioni… poi gli stranieri del sud che hanno
costruito Khot… e poi…
Si sforzò di
ricordare, ma le notte insonni passate a rimuginare su quello che stava leggendo
si fecero sentire. Le palpebre si abbassarono mentre le guglie, i campanili e i
tetti rossi di Khot le balenavano davanti agli occhi, con il loro aspetto nuovo
e splendente. Era così diversa dalla Città… L’autore diceva che era pieno di
aiuole fiorite, rampicanti e viali alberati sotto cui le persone andavano a
passeggio.
I suoi piedi calpestavano la strada lastricata con un
leggerissimo scalpiccio mentre avanzava fra le due file di ficus giganteschi.
Le radici di quegli enormi alberi avevano sollevato le pietre in più punti,
liberando la terra che secoli prima gli uomini avevano inutilmente tentato di
imbrigliare. Accanto a un palazzo senza più il tetto sorgeva quello più grande
di tutti. Un vero e proprio colosso, con radici più alte di lei e alcuni
fittoni che scendevano dalla chioma, facili da scalare. «Qui è perfetto, non mi
troveranno mai!»
«Mah, non
saprei signorina Creuza. Se un vecchio professore venisse qui a cercare dei
documenti potrebbe scorgerla così com’è… Emh… Sdraiata sul pavimento.» Emma
spalancò gli occhi e si sedette di scatto tossendo, convinta che avrebbe
sputato il cuore ai piedi del professor Astropher da un momento all’altro.
«Pro… prof… mi scusi.» Balbettò riguadagnando una posizione più o meno
dignitosa. Guardò quell’omino canuto di sottecchi e vide che sorrideva
divertito, agitando una mano. «Non si preoccupi. Fa molto caldo in questi
giorni, non trova? Io stesso amo schiacciare un pisolino sotto la scrivania,
nelle ore più calde. Il pavimento è piacevolmente fresco.»
Emma sorrise
imbarazzata, alzandosi a fatica, con il corpo intorpidito per essere rimasta a
lungo sdraiata sul pavimento duro. «Piuttosto, signorina… trovo il suo
elaborato finale un po’ più scialbo del solito. Di solito i suoi compiti sono
una lettura gradevole, ma questa volta… emh… ha consegnato tre sole pagine. Una
delle quali contiene in effetti… Ecco… Compiti di scienze matematiche.»
Sentì
l’improvvisa voglia di rannicchiarsi su sé stessa, fino a raggiungere le
dimensioni di un secchiello. Un secchiello colmo fino all’orlo di vergogna. Il
professor Astropher rise, probabilmente divertito dalla sua espressione da
penitente. «Non c’è bisogno che si senta così mortificata, signorina. Lei è una
studentessa irreprensibile. Sono sicuro che è stata solo… emh… distratta da
terzi. Ho notato che riceve… come dire… attenzioni indesiderate.»
«Oh, no, non
è quello il problema professore!» Esclamò prima di potersi fermare. Astropher
la guardò incuriosito.
«Bene, bene!
Sapevo che non è il genere di studentessa che si lascia distrarre da queste…
ecco… faccende. Qual è il problema, dunque?»
Dì quello che vuoi. Inventa una balla. Basta che non
guardi l’atlante. Quell’atlante che sta lì, sul pavimento. Quello che hai
dimenticato di chiudere e nascondere prima di addormentarti. Quello per cui
potrebbero impiccarti sulla pubblica piazza, hai presente? Ecco, se ne sta lì
buono, non l’ha notato, basta che non giri gli occhi…
Era stato
più forte di lei. Quando il professore le aveva fatto quella domanda i suoi
occhi erano corsi a guardare l’atlante aperto sul pavimento. Dalla pagina di
sinistra tre bambini Suijin salutavano allegri nei loro strani abiti larghi dei
colori della foresta.
Basta. Io me ne vado. Tanto non mi ascolti mai.
Il professor
Astropher impallidì visibilmente, seguendo il suo sguardo. Emma aveva la
sensazione che il pavimento fosse scomparso da sotto i suoi piedi, sostituito
da un terreno molle e instabile come gelatina. Voleva implorare il professore,
giurare che il libro non lo stava leggendo lei, ma sembrava che non ci fosse
aria sufficiente nei suoi polmoni per dire qualcosa di intellegibile.
Astropher si
limitò a sospirare e a scuotere la testa con aria stanca. «Non si allarmi,
signorina Creuza. Non sarò certo io a tradirla.»
Alzò lo
sguardo, senza osare prendere fiato, e arretrò di un paio di passi per
appoggiarsi allo scaffale. Aveva l’impressione che non sarebbe riuscita a
reggersi in piedi ancora a lungo. «Venga nel mio studio, questa sera alle otto.
E sia più prudente, con quell’arnese.»
Detto questo
il professore le voltò le spalle esili e si allontanò, senza aggiungere altro.
Yuri sgranò
gli occhi, mentre Emma le raccontava di quello che era successo in biblioteca. Poi,
visibilmente pallida, alzò gli occhi al cielo e sbuffò, rimproverandola.
«Cavolo Emma! Vuoi farti uccidere? Perché se è così conosco modi più semplici e
indolori!»
Non ne dubito.
Commentò la vocina nella sua testa, mentre lei sedeva sul letto con le mani
sotto alle cosce, fissandosi una macchiolina sulla punta di una scarpa. Se il
suo cuore non avesse rallentato i battiti probabilmente avrebbe avuto un
infarto da un momento all’altro. Yuri si sedette accanto a lei, abbastanza
vicino perché i suoi capelli lunghi le sfiorassero il braccio, facendole il
solletico. «Astropher è a posto. Sono sicura che è vero che non ti denuncerà.
Gli è bastata un’occhiata per riconoscere il libro, quindi l’ha letto anche
lui, no?» Aveva senso. Certo, doveva essere così. Emma si sentì subito un po’
rincuorata. Certo che Astropher non l’avrebbe denunciata, anzi, forse le avrebbe
dato addirittura delle risposte!
Yuri le tirò
un lieve scappellotto, che le strappò un grido di sorpresa. «Non ti rilassare
così solo perché questa volta ti è andata bene! Sta più attenta, scemotta!» Emma
sorrise imbarazzata, massaggiandosi la nuca.
«Hai
ragione, scusa.»
«Vuoi che ti
accompagni dal professore?» Valutò un attimo l’offerta. Le piaceva l’idea di
non affrontarlo da sola, ma se Yuri fosse andata con lei Astropher avrebbe
saputo che era coinvolta. Scosse la testa, a malincuore.
«Meglio di
no.»
Nonostante
tutta la logica di Yuri, quando bussò alla porta del professore si sentiva di
nuovo ansiosa e scombussolata. Il cuore le rimbombava così forte nelle orecchie
che sentì appena la voce esitante del professore invitarla ad entrare, tanto
che pensò quasi di essersela immaginata.
Indugiò un
attimo, poi aprì la porta piano, con estrema cautela. «Venga, signorina Creuza.
Come può vedere non ci sono guardie. Soltanto noi due.»
Aprì l’uscio
quanto bastava per passare e strisciò nello studio. Era una stanza angusta,
stracolma di libri e di strumenti per calcolare il moto delle stelle. La
scrivania in legno scuro occupava gran parte della stanza e si intravedeva a
stento sotto tutti gli strani oggetti in ottone e le carte che la ricoprivano.
Le gambe sottili erano così tappezzate di incisioni che sembrava un miracolo
che reggessero ancora il peso del ripiano e dei libri senza spezzarsi: secondo
una leggenda, se uno studente dell’ultimo anno riesce a entrare nello studio
dalla finestra e a incidere il suo nome nella scrivania, ha la promozione
assicurata agli esami finali. Il professor Astropher non aveva mai dato segno
di interessarsi alla condizione della scrivania, anzi, continuava a lasciare la
finestra aperta durante gli ultimi mesi dell’anno. «Se rompessero il vetro per
entrare nello studio potrebbero farsi male.» Spiegava a chiunque gli
consigliasse di chiuderla.
Emma era
stata molte volte in quello studio e, senza bisogno che il professore la
invitasse ad accomodarsi, liberò la solita sedia da un mucchio di libri e si
sedette nervosamente sull’orlo, senza osare alzare lo sguardo.
«Dunque
anche lei ha avuto modo di leggere quel libro, eh? Non sono molto sorpreso.»
Osservò con voce pensosa. «Avanti, signorina. Lei è curiosa come un gatto.
Sicuramente avrà domande da farmi.»
Emma esitò
un secondo. Pensava di essere lì perché il professore voleva farle delle
domande, una lavata di capo, assegnarle una punizione… non si aspettava che
l’avrebbe invitata a chiederle quello che voleva.
«Professore
lei… ha letto il libro?»
Astropher
annuì piano. «Mmh. L’ho letto prima ancora di frequentare l’accademia. Fu
scritto da un mio antenato, sai? Ne abbiamo una copia in casa.»
Emma lo
guardò semplicemente a bocca aperta, come se i baffi canuti dell’anziano
docente fossero improvvisamente diventati azzurri. Il professore la liquidò con
un gesto della mano. «Oh, non faccia quella faccia. Molti qui mi considerano
bizzarro, non è così sorprendente che abbia antenati… emh… particolari.»
«Quindi è
lei a mettere il libro sugli scaffali?»
«Per mettere
in pericolo la vita di studenti imprudenti e ingenui che non hanno idea di cosa
stanno leggendo? Certo che no!» Emma storse la bocca in una smorfia leggermente
offesa, che si affrettò a nascondere. Il professore aveva il volto infiammato e
la voce molto più ferma del solito. Se non fosse stato Astropher, l’insegnante
mite che conosceva da anni, avrebbe pensato quasi che fosse arrabbiato.
«Allora chi
l’ha messo?»
«Questo non
lo posso dire. Se finirà di leggerlo, loro la contatteranno. Cosa che da un
lato… emh… mi sento di sconsigliarle.»
Proprio lui,
che rischiava ogni anno il posto e la libertà perché si ostinava a insegnare
cose che non avrebbero dovuto sapere, adesso le stava consigliando di non
proseguire nella lettura? Non era una cosa un po’ ipocrita e contraddittoria?
«Vede,
signorina Creuza… io certo vi parlo un po’ del mondo esterno. Di come era in
passato, di come è stato esplorato, un tempo. Purtroppo è più forte di me. Ma
non vi do dettagli concreti, non come quel libro. Le cose che legge lì sopra
non faranno altro che farle venire il desiderio di uscire dalle mura e
verificare con i suoi occhi. E quel desiderio è destinato a rimanere frustrato.
Conosco molte persone che saprebbero… emh… incanalare la sua frustrazione per i
loro scopi. Ecco perché fanno trovare il libro a studenti giovani e… ecco…
malleabili.»
«Io voglio
solo sapere.» Biascicò Emma strusciando i piedi sul pavimento. Sapeva che non
sarebbe mai uscita dalla città, ma sapere che c’era qualcosa al di là delle
mura per qualche motivo l’avrebbe fatta sentire meglio.
«Il sapere
può essere difficile da gestire, signorina. Se lei si sente in grado, allora… lo
legga pure. Ma si ricordi di quello che le ho detto e soprattutto stia attenta
a… emh… non farsi beccare.»
Emma annuì,
perplessa. La sua mente stava cercando di seguire così tanti pensieri nello
stesso momento che le sembrava di avere uno sciame di mosche nella testa, che
volavano in giro rimbalzando da una parte all’altra con un gran ronzio e senza
logica apparente.
«È bene che
tenga presente che, qualsiasi cosa dica il libro, fuori dalle mura non è più
possibile vivere. Tutto quello che sta leggendo e che le fa perdere il sonno,
non esiste più.» Annuì di nuovo, lentamente, guardando di sfuggita gli occhi
seri del professore.
Le fece un
cenno con la mano, segnalandole che l’udienza era finita, ma quando Emma aveva
già la mano sulla maniglia la richiamò indietro. «Prima di avere contatti con queste
persone… particolari, in ogni caso, le consiglio di chiedere a sua madre qual era
il suo vero nome, se non vuole che usino la sua stessa storia contro di lei.» Emma
sbatté le palpebre, chiedendosi se il professore non fosse stato colpito da
demenza senile. «Mi scusi, non capisco cosa intende dire.»
Astropher
incrociò la studiò da sopra le mani intrecciate. «Dovrebbe semplicemente andare
da sua madre e farsi spiegare la storia della sua famiglia.»
«Io non
parlo molto con mia madre.» Confessò Emma, spiazzata. Il professore annuì.
«Ne ero al
corrente.»
Iniziò a
sentirsi irritata, cosa che pensava non le sarebbe mai successa nei confronti
di un uomo così mite, ma la sensazione di essere deliberatamente tenuta all’oscuro
di informazioni importanti la innervosiva.
«Non
potrebbe semplicemente dirmelo lei, visto che sembra sapere tutto?» Si morse le
labbra, le guance accese di rabbia, in parte pentita di aver parlato così
acidamente, in parte convinta che parlare in modo sibillino avrebbe dovuto
essere punibile per legge. Ma il professore sembrò non farci caso, si limitò a
scuotere la testa con un sorriso enigmatico. «Non mi permetterei mai. Sarebbe troppo
indiscreto.»
«Ma…»
«Buona
notte, signorina Creuza. E sia più prudente.»
Emma ingoiò
le proteste e uscì sbattendo la porta più forte di quanto avrebbe voluto.
Percorse il
corridoio a passo marziale, infuriata con il professore. Era una bassezza incredibile
dire delle cose così ambigue e rifiutarsi di spiegarle. L’aveva invitata a fare
delle domande e poi non aveva risposto a niente! Che cos’era, una tecnica per
farle venire l’insonnia, così avrebbe avuto più tempo da dedicare ai suoi
stupidi compiti?
Girò l’angolo
senza guardare e quasi andò a sbattere contro Alì. Lo fulminò con lo sguardo e
si morse la lingua per non scaricare su di lui tutte le parole astiose che
avrebbe voluto rivolgere al professore, poi girò attorno alla mole
considerevole del ragazzo di Berhan per riprendere la sua marcia rabbiosa. «Oh,
Emma, aspettami! Sto andando anche io al dormitorio!»
«Io no.»
Mentì subito Emma. «Sto andando nella sala studio.»
«Bene, ti
accompagno.»
Emma lo
squadrò sospettosa, aspettandosi un tiro mancino da un momento all’altro.
«Perché dovresti?»
Alì esitò,
la pelle bruna del volto arrossì leggermente. «È perché ho visto che gli altri
studenti ti mettono un po’ in difficoltà ultimamente. Forse se non fossi sola
ti lascerebbero in pace.»
«Sei gentile
ma non c’è bisogno.»
«Lo faccio
lo stesso.» Emma valutò per un attimo l’idea di tirargli un pugno e scappare,
ma probabilmente non avrebbe sortito nessun effetto visto che Alì aveva la
taglia di un armadio a due ante. Decise quindi di ignorarlo e procedere per la
sua strada come se non esistesse.
«Eri dal
professor Astropher? È il tuo relatore vero?» Emma annuì secca. «Che ti ha
detto?»
Che ti importa?
«Niente! Non
mi ha detto proprio niente! È questo il problema! Prima mi dice di chiedergli
quello che voglio, poi mi dice che non può rispondere e che sarebbe indiscreto!»
Sbottò prima di potersi controllare. Poi si girò per affrontare il ragazzo, che
la fissava perplesso e forse anche un po’ spaventato. Emma era sempre stata,
agli occhi di tutti, una ragazzina timida, minuta e silenziosa, e ora gli stava
facendo una sfuriata in mezzo al corridoio per chissà quale motivo.
«Senti, sei
più o meno gentile a preoccuparti, ma proprio non mi piace avere qualcuno che
mi segue. Tantomeno se vuoi fare conversazione!»
«Umh… ok.»
Senza
aggiungere un'altra parola Emma scostò un arazzo e imboccò la scala di servizio
che era nascosta lì dietro. Alì non la seguì.
Heyyyy! E' una vita che non aggiorno, chiedo venia e faccio penitenza.
Purtroppo
impegni universitari e sociali mi hanno tenuto alla larga dal computer.
Anche questo weekend ho dovuto schivare una serie di apericena e tango
argentini per poter scrivere. Vita dura. Farò del mio meglio per
aggiornare ogni due settimane comunque!
Non
so se anche a voi chi vi accenna qualcosa e poi non vi dice nulla
perché è un segreto fa arrabbiare come fa arrabbiare me
ed Emma. In tal caso chiedo venia! Prima o poi comunque tutte le
domande troveranno risposta. Prima o poi. <3
A presto spero! 羽毛
Oh,
e se vi interessa vedere una cartina della città disegnata in
modo orripilante con paint, fatemelo sapere che la metto su facebook.
Ma quando dico orripilante intendo seriamente orripilante. Livello
terza elementare.
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