Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Yumao    21/09/2014    6 recensioni
La città in cui vive Emma è racchiusa da mura altissime, assediata da nemici di cui nessuno conosce il nome o l'aspetto, circondata da nient'altro che deserto. Non ha bisogno di un nome, perché non esistono altre città: lontano dalle mura nessuno potrebbe sopravvivere senza perdere ciò che lo rende umano.
La curiosità è peccato, parlarne è pericoloso, anche solo desiderare di vedere il mondo esterno corrompe l'anima. Ma Emma vuole sapere.
Genere: Angst, Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lo studio

Lo studio

«Ripetili ancora una volta.» Lo esortò con la pazienza agli sgoccioli. Anton la guardò con astio, come se lei fosse un’aguzzina che lo stava interrogando sotto tortura.

«Ma che palle! Li so ormai!»

«No, non li sai invece. Vuoi essere bocciato?» Anton sbuffò e imprecò peggio di un adulto, nonostante non avesse ancora dieci anni. «Se mi dici giusti i nomi dei rioni e delle gilde poi ti faccio copiare il resto dei compiti.» Il suo amico si illuminò speranzoso e raccolse le idee con una smorfia di concentrazione. «I rioni: Sianel ha i canali, Abincil i campi, Rudnik il legno, Berhan gli animali. Le gilde: i tipografi-librai, i medici-erboristi, i mercanti-artisti e i giudici-contabili.»

Emma chiuse il libro con uno scatto irritato. «Se li sapevi perché stiamo qui da due ore? Volevi solo strapparmi la promessa di farti copiare, vero?» Anton le rivolse un sorriso sornione, confermando i suoi sospetti e facendola infuriare.

Ormai aveva promesso, quindi gli lanciò il quaderno con malagrazia, sperando di colpirlo sul naso, ma Anton aveva i riflessi troppo pronti. Prese al volo il quaderno e lo aprì sul tavolo della cucina deserta. I suoi genitori erano entrambi a lavoro, quindi si ritrovavano sempre lì a fare i compiti, nella fresca penombra dei pomeriggi estivi o accanto al fuoco caldo del caminetto durante i mesi invernali.

«Dai Em, non fare quella faccia. In fondo queste cose a che ci serve impararle? Non ce ne andremo mai da Sianel.»

«Ma sapere com’è fatto il mondo in cui vivi è importante! E poi…» Arrossì. Un po’ per rabbia, un po’ perché lo teneva per sé da troppo tempo, decise di dirglielo. «E poi parla per te. Io andrò via da Sianel. Io voglio andare all’Accademia.» Anton lasciò cadere la penna e la guardò atterrito.

«Mi prendi in giro.» Emma era sempre più rossa ma si costrinse a guardarlo negli occhi con aria di sfida, anche se sentiva che stava per mettersi a piangere.

«No. Ci vado davvero.»

Anton assunse un’espressione assieme spaventata e mortificata. «Perché? È colpa mia? È perché ti faccio i dispetti? O perché devi sempre obbligarmi a fare i compiti? Da adesso li faccio da solo, ok?» Chiuse il quaderno di Emma e lo spinse verso di lei, come un goffo gesto di pace.

Emma sentiva le guance bruciare e non riuscì più a sostenere lo sguardo dell’amico. Si mise le mani sotto le cosce e si fissò le ginocchia che spuntavano sotto il lunghissimo orlo della gonna, poi scosse la testa. «No… non è colpa tua.»

«È per tua mamma allora? Se vuoi non ci devi più tornare a casa. Resta qui. Ti cedo il mio letto, dormo per terra!» Emma esitò. Allontanarsi da sua madre forse era uno dei motivi, era inutile fingere che non fosse così. Ma non era quello più importante. Iniziò a dondolare i piedi, a disagio. «Non è nemmeno per lei… non solo.»

«E allora perché?» Emma lo guardò di sottecchi, sapendo che l’avrebbe considerata completamente matta. Pensò agli strani sogni che faceva, soprattutto in primavera, in cui sentiva il vento sulla pelle e l’aria pulita riempirle i polmoni. Non c’era mai vento nella città. Le mura lo fermavano.

«Voglio solo… imparare di più. Su quello che c’è fuori.»

 

Ormai era quasi maggio ed Emma, invece di essere in camera sua a studiare e a recuperare la montagna di compiti che si era lasciata dietro, era sdraiata sul pavimento del secondo piano della biblioteca, i piedi appoggiati su uno scaffale e l’atlante aperto a metà sullo stomaco. Sussurrava, contando sulle dita, le diverse etnie che aveva scoperto che abitavano sull’isola. Gli Yubo, pastori nomadi e stregoni, che veneravano la terra. Gli Ama delle coste, che si tuffavano nudi nel mare per raccogliere molluschi e perle. I Suijin del lungo fiume, che vivevano di pesca e di commercio e abitavano in palafitte per difendersi dalle alluvioni… poi gli stranieri del sud che hanno costruito Khot… e poi…

Si sforzò di ricordare, ma le notte insonni passate a rimuginare su quello che stava leggendo si fecero sentire. Le palpebre si abbassarono mentre le guglie, i campanili e i tetti rossi di Khot le balenavano davanti agli occhi, con il loro aspetto nuovo e splendente. Era così diversa dalla Città… L’autore diceva che era pieno di aiuole fiorite, rampicanti e viali alberati sotto cui le persone andavano a passeggio.

I suoi piedi calpestavano la strada lastricata con un leggerissimo scalpiccio mentre avanzava fra le due file di ficus giganteschi. Le radici di quegli enormi alberi avevano sollevato le pietre in più punti, liberando la terra che secoli prima gli uomini avevano inutilmente tentato di imbrigliare. Accanto a un palazzo senza più il tetto sorgeva quello più grande di tutti. Un vero e proprio colosso, con radici più alte di lei e alcuni fittoni che scendevano dalla chioma, facili da scalare. «Qui è perfetto, non mi troveranno mai!»

«Mah, non saprei signorina Creuza. Se un vecchio professore venisse qui a cercare dei documenti potrebbe scorgerla così com’è… Emh… Sdraiata sul pavimento.» Emma spalancò gli occhi e si sedette di scatto tossendo, convinta che avrebbe sputato il cuore ai piedi del professor Astropher da un momento all’altro. «Pro… prof… mi scusi.» Balbettò riguadagnando una posizione più o meno dignitosa. Guardò quell’omino canuto di sottecchi e vide che sorrideva divertito, agitando una mano. «Non si preoccupi. Fa molto caldo in questi giorni, non trova? Io stesso amo schiacciare un pisolino sotto la scrivania, nelle ore più calde. Il pavimento è piacevolmente fresco.»

Emma sorrise imbarazzata, alzandosi a fatica, con il corpo intorpidito per essere rimasta a lungo sdraiata sul pavimento duro. «Piuttosto, signorina… trovo il suo elaborato finale un po’ più scialbo del solito. Di solito i suoi compiti sono una lettura gradevole, ma questa volta… emh… ha consegnato tre sole pagine. Una delle quali contiene in effetti… Ecco… Compiti di scienze matematiche.» 

Sentì l’improvvisa voglia di rannicchiarsi su sé stessa, fino a raggiungere le dimensioni di un secchiello. Un secchiello colmo fino all’orlo di vergogna. Il professor Astropher rise, probabilmente divertito dalla sua espressione da penitente. «Non c’è bisogno che si senta così mortificata, signorina. Lei è una studentessa irreprensibile. Sono sicuro che è stata solo… emh… distratta da terzi. Ho notato che riceve… come dire… attenzioni indesiderate.»

«Oh, no, non è quello il problema professore!» Esclamò prima di potersi fermare. Astropher la guardò incuriosito.

«Bene, bene! Sapevo che non è il genere di studentessa che si lascia distrarre da queste… ecco… faccende. Qual è il problema, dunque?»

Dì quello che vuoi. Inventa una balla. Basta che non guardi l’atlante. Quell’atlante che sta lì, sul pavimento. Quello che hai dimenticato di chiudere e nascondere prima di addormentarti. Quello per cui potrebbero impiccarti sulla pubblica piazza, hai presente? Ecco, se ne sta lì buono, non l’ha notato, basta che non giri gli occhi…

Era stato più forte di lei. Quando il professore le aveva fatto quella domanda i suoi occhi erano corsi a guardare l’atlante aperto sul pavimento. Dalla pagina di sinistra tre bambini Suijin salutavano allegri nei loro strani abiti larghi dei colori della foresta.

Basta. Io me ne vado. Tanto non mi ascolti mai.

Il professor Astropher impallidì visibilmente, seguendo il suo sguardo. Emma aveva la sensazione che il pavimento fosse scomparso da sotto i suoi piedi, sostituito da un terreno molle e instabile come gelatina. Voleva implorare il professore, giurare che il libro non lo stava leggendo lei, ma sembrava che non ci fosse aria sufficiente nei suoi polmoni per dire qualcosa di intellegibile.

Astropher si limitò a sospirare e a scuotere la testa con aria stanca. «Non si allarmi, signorina Creuza. Non sarò certo io a tradirla.»

Alzò lo sguardo, senza osare prendere fiato, e arretrò di un paio di passi per appoggiarsi allo scaffale. Aveva l’impressione che non sarebbe riuscita a reggersi in piedi ancora a lungo. «Venga nel mio studio, questa sera alle otto. E sia più prudente, con quell’arnese.»

Detto questo il professore le voltò le spalle esili e si allontanò, senza aggiungere altro.

 

Yuri sgranò gli occhi, mentre Emma le raccontava di quello che era successo in biblioteca. Poi, visibilmente pallida, alzò gli occhi al cielo e sbuffò, rimproverandola. «Cavolo Emma! Vuoi farti uccidere? Perché se è così conosco modi più semplici e indolori!»

Non ne dubito. Commentò la vocina nella sua testa, mentre lei sedeva sul letto con le mani sotto alle cosce, fissandosi una macchiolina sulla punta di una scarpa. Se il suo cuore non avesse rallentato i battiti probabilmente avrebbe avuto un infarto da un momento all’altro. Yuri si sedette accanto a lei, abbastanza vicino perché i suoi capelli lunghi le sfiorassero il braccio, facendole il solletico. «Astropher è a posto. Sono sicura che è vero che non ti denuncerà. Gli è bastata un’occhiata per riconoscere il libro, quindi l’ha letto anche lui, no?» Aveva senso. Certo, doveva essere così. Emma si sentì subito un po’ rincuorata. Certo che Astropher non l’avrebbe denunciata, anzi, forse le avrebbe dato addirittura delle risposte!

Yuri le tirò un lieve scappellotto, che le strappò un grido di sorpresa. «Non ti rilassare così solo perché questa volta ti è andata bene! Sta più attenta, scemotta!» Emma sorrise imbarazzata, massaggiandosi la nuca.

«Hai ragione, scusa.»

«Vuoi che ti accompagni dal professore?» Valutò un attimo l’offerta. Le piaceva l’idea di non affrontarlo da sola, ma se Yuri fosse andata con lei Astropher avrebbe saputo che era coinvolta. Scosse la testa, a malincuore.

«Meglio di no.»

 

Nonostante tutta la logica di Yuri, quando bussò alla porta del professore si sentiva di nuovo ansiosa e scombussolata. Il cuore le rimbombava così forte nelle orecchie che sentì appena la voce esitante del professore invitarla ad entrare, tanto che pensò quasi di essersela immaginata.

Indugiò un attimo, poi aprì la porta piano, con estrema cautela. «Venga, signorina Creuza. Come può vedere non ci sono guardie. Soltanto noi due.»

Aprì l’uscio quanto bastava per passare e strisciò nello studio. Era una stanza angusta, stracolma di libri e di strumenti per calcolare il moto delle stelle. La scrivania in legno scuro occupava gran parte della stanza e si intravedeva a stento sotto tutti gli strani oggetti in ottone e le carte che la ricoprivano. Le gambe sottili erano così tappezzate di incisioni che sembrava un miracolo che reggessero ancora il peso del ripiano e dei libri senza spezzarsi: secondo una leggenda, se uno studente dell’ultimo anno riesce a entrare nello studio dalla finestra e a incidere il suo nome nella scrivania, ha la promozione assicurata agli esami finali. Il professor Astropher non aveva mai dato segno di interessarsi alla condizione della scrivania, anzi, continuava a lasciare la finestra aperta durante gli ultimi mesi dell’anno. «Se rompessero il vetro per entrare nello studio potrebbero farsi male.» Spiegava a chiunque gli consigliasse di chiuderla.

Emma era stata molte volte in quello studio e, senza bisogno che il professore la invitasse ad accomodarsi, liberò la solita sedia da un mucchio di libri e si sedette nervosamente sull’orlo, senza osare alzare lo sguardo.

«Dunque anche lei ha avuto modo di leggere quel libro, eh? Non sono molto sorpreso.» Osservò con voce pensosa. «Avanti, signorina. Lei è curiosa come un gatto. Sicuramente avrà domande da farmi.»

Emma esitò un secondo. Pensava di essere lì perché il professore voleva farle delle domande, una lavata di capo, assegnarle una punizione… non si aspettava che l’avrebbe invitata a chiederle quello che voleva.

«Professore lei… ha letto il libro?»

Astropher annuì piano. «Mmh. L’ho letto prima ancora di frequentare l’accademia. Fu scritto da un mio antenato, sai? Ne abbiamo una copia in casa.»

Emma lo guardò semplicemente a bocca aperta, come se i baffi canuti dell’anziano docente fossero improvvisamente diventati azzurri. Il professore la liquidò con un gesto della mano. «Oh, non faccia quella faccia. Molti qui mi considerano bizzarro, non è così sorprendente che abbia antenati… emh… particolari.»

«Quindi è lei a mettere il libro sugli scaffali?»

«Per mettere in pericolo la vita di studenti imprudenti e ingenui che non hanno idea di cosa stanno leggendo? Certo che no!» Emma storse la bocca in una smorfia leggermente offesa, che si affrettò a nascondere. Il professore aveva il volto infiammato e la voce molto più ferma del solito. Se non fosse stato Astropher, l’insegnante mite che conosceva da anni, avrebbe pensato quasi che fosse arrabbiato.

«Allora chi l’ha messo?»

«Questo non lo posso dire. Se finirà di leggerlo, loro la contatteranno. Cosa che da un lato… emh… mi sento di sconsigliarle.»

Proprio lui, che rischiava ogni anno il posto e la libertà perché si ostinava a insegnare cose che non avrebbero dovuto sapere, adesso le stava consigliando di non proseguire nella lettura? Non era una cosa un po’ ipocrita e contraddittoria?

«Vede, signorina Creuza… io certo vi parlo un po’ del mondo esterno. Di come era in passato, di come è stato esplorato, un tempo. Purtroppo è più forte di me. Ma non vi do dettagli concreti, non come quel libro. Le cose che legge lì sopra non faranno altro che farle venire il desiderio di uscire dalle mura e verificare con i suoi occhi. E quel desiderio è destinato a rimanere frustrato. Conosco molte persone che saprebbero… emh… incanalare la sua frustrazione per i loro scopi. Ecco perché fanno trovare il libro a studenti giovani e… ecco… malleabili.»

«Io voglio solo sapere.» Biascicò Emma strusciando i piedi sul pavimento. Sapeva che non sarebbe mai uscita dalla città, ma sapere che c’era qualcosa al di là delle mura per qualche motivo l’avrebbe fatta sentire meglio.

«Il sapere può essere difficile da gestire, signorina. Se lei si sente in grado, allora… lo legga pure. Ma si ricordi di quello che le ho detto e soprattutto stia attenta a… emh… non farsi beccare.»

Emma annuì, perplessa. La sua mente stava cercando di seguire così tanti pensieri nello stesso momento che le sembrava di avere uno sciame di mosche nella testa, che volavano in giro rimbalzando da una parte all’altra con un gran ronzio e senza logica apparente.

«È bene che tenga presente che, qualsiasi cosa dica il libro, fuori dalle mura non è più possibile vivere. Tutto quello che sta leggendo e che le fa perdere il sonno, non esiste più.» Annuì di nuovo, lentamente, guardando di sfuggita gli occhi seri del professore.

Le fece un cenno con la mano, segnalandole che l’udienza era finita, ma quando Emma aveva già la mano sulla maniglia la richiamò indietro. «Prima di avere contatti con queste persone… particolari, in ogni caso, le consiglio di chiedere a sua madre qual era il suo vero nome, se non vuole che usino la sua stessa storia contro di lei.» Emma sbatté le palpebre, chiedendosi se il professore non fosse stato colpito da demenza senile. «Mi scusi, non capisco cosa intende dire.»

Astropher incrociò la studiò da sopra le mani intrecciate. «Dovrebbe semplicemente andare da sua madre e farsi spiegare la storia della sua famiglia.»

«Io non parlo molto con mia madre.» Confessò Emma, spiazzata. Il professore annuì.

«Ne ero al corrente.»

Iniziò a sentirsi irritata, cosa che pensava non le sarebbe mai successa nei confronti di un uomo così mite, ma la sensazione di essere deliberatamente tenuta all’oscuro di informazioni importanti la innervosiva.

«Non potrebbe semplicemente dirmelo lei, visto che sembra sapere tutto?» Si morse le labbra, le guance accese di rabbia, in parte pentita di aver parlato così acidamente, in parte convinta che parlare in modo sibillino avrebbe dovuto essere punibile per legge. Ma il professore sembrò non farci caso, si limitò a scuotere la testa con un sorriso enigmatico. «Non mi permetterei mai. Sarebbe troppo indiscreto.»  

«Ma…»

«Buona notte, signorina Creuza. E sia più prudente.»

Emma ingoiò le proteste e uscì sbattendo la porta più forte di quanto avrebbe voluto.

 

Percorse il corridoio a passo marziale, infuriata con il professore. Era una bassezza incredibile dire delle cose così ambigue e rifiutarsi di spiegarle. L’aveva invitata a fare delle domande e poi non aveva risposto a niente! Che cos’era, una tecnica per farle venire l’insonnia, così avrebbe avuto più tempo da dedicare ai suoi stupidi compiti?

Girò l’angolo senza guardare e quasi andò a sbattere contro Alì. Lo fulminò con lo sguardo e si morse la lingua per non scaricare su di lui tutte le parole astiose che avrebbe voluto rivolgere al professore, poi girò attorno alla mole considerevole del ragazzo di Berhan per riprendere la sua marcia rabbiosa. «Oh, Emma, aspettami! Sto andando anche io al dormitorio!»

«Io no.» Mentì subito Emma. «Sto andando nella sala studio.»

«Bene, ti accompagno.»

Emma lo squadrò sospettosa, aspettandosi un tiro mancino da un momento all’altro. «Perché dovresti?»

Alì esitò, la pelle bruna del volto arrossì leggermente. «È perché ho visto che gli altri studenti ti mettono un po’ in difficoltà ultimamente. Forse se non fossi sola ti lascerebbero in pace.»

«Sei gentile ma non c’è bisogno.»

«Lo faccio lo stesso.» Emma valutò per un attimo l’idea di tirargli un pugno e scappare, ma probabilmente non avrebbe sortito nessun effetto visto che Alì aveva la taglia di un armadio a due ante. Decise quindi di ignorarlo e procedere per la sua strada come se non esistesse.

«Eri dal professor Astropher? È il tuo relatore vero?» Emma annuì secca. «Che ti ha detto?»

Che ti importa?

«Niente! Non mi ha detto proprio niente! È questo il problema! Prima mi dice di chiedergli quello che voglio, poi mi dice che non può rispondere e che sarebbe indiscreto!» Sbottò prima di potersi controllare. Poi si girò per affrontare il ragazzo, che la fissava perplesso e forse anche un po’ spaventato. Emma era sempre stata, agli occhi di tutti, una ragazzina timida, minuta e silenziosa, e ora gli stava facendo una sfuriata in mezzo al corridoio per chissà quale motivo.

«Senti, sei più o meno gentile a preoccuparti, ma proprio non mi piace avere qualcuno che mi segue. Tantomeno se vuoi fare conversazione!»

«Umh… ok.»

Senza aggiungere un'altra parola Emma scostò un arazzo e imboccò la scala di servizio che era nascosta lì dietro. Alì non la seguì.

Heyyyy! E' una vita che non aggiorno, chiedo venia e faccio penitenza. 

Purtroppo impegni universitari e sociali mi hanno tenuto alla larga dal computer. Anche questo weekend ho dovuto schivare una serie di apericena e tango argentini per poter scrivere. Vita dura. Farò del mio meglio per aggiornare ogni due settimane comunque!

Non so se anche a voi chi vi accenna qualcosa e poi non vi dice nulla perché è un segreto fa arrabbiare come fa arrabbiare me ed Emma. In tal caso chiedo venia! Prima o poi comunque tutte le domande troveranno risposta.  Prima o poi. <3

A presto spero! 羽毛

Oh, e se vi interessa vedere una cartina della città disegnata in modo orripilante con paint, fatemelo sapere che la metto su facebook. Ma quando dico orripilante intendo seriamente orripilante. Livello terza elementare.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Yumao