Bussò
alla porta con fare esitante, aveva i palmi sudati ed era
dannatamente nervoso. Ci era arrivato alla fine, quello era un
appuntamento. No, non era tutto nella sua testa, ma ormai il dado
era tratto. Ma la cosa che più lo lasciava perplesso, era
quella fastidiosissima vocina che aveva in testa che continuava a
ripetergli che non era poi così male. Come detto, fastidiosa
ed irrazionale. Sì, perché mai in nessun romanzo
il bel cavaliere corre in soccorso del suo amato, no! C’è
sempre la dolce damigella cui le labbra sono rosse come petali di
rose… eppure quel libro… i due giovani si erano così
tanto amati, così come Tristano aveva amato Isotta. Quindi si
poteva amare anche in quel modo?
I
suoi pensieri furono interrotti quando la porta si aprì, ma
nessuno lo accolse. L’ambiente era buio, tranne per una flebile
luce che veniva dall’interno, tremava, come se stesse per
spegnersi. Ma Misha in tutto questo dove era finito?
Si
fece coraggio ed entrò in casa; la prima cosa che notò
furono le candele che illuminavano l’ambiente. Ce ne erano a
decine e decine, tutte poggiate su qualunque superficie disponibile:
per terra, sui mobili, sul tavolo, perfino sul camino (acceso
ovviamente!). Tutto il pavimento era cosparso di petali di rose dai
vari colori: rossi, bianchi, arancioni… e le tende erano tutte
tirate giù, per rendere l’ambiente ancora più
scuro.
“Misha?
Dove sei?”
“Dietro
di te”
La
voce alle sue spalle lo fece sobbalzare, non aveva visto l’altro
che si era praticamente nascosto dietro la porta. Lo guardò
attentamente, mentre si aggiustava gli occhiali che per poco non
cadevano a terra.
“Ma
cosa…?!?”
Per
qualche oscuro motivo, il bel pianista indossava abiti seicenteschi:
camicia sfarzosa, falsetto, pantaloni larghi e inseriti in lunghi
stivali che arrivano al ginocchio, cappello largo e un lungo
mantello, tutto con toni di nero e bianco. Una spada giaceva sul suo
fianco sinistro, mentre in faccia aveva un grosso e tozzo naso.
“Finora
ho sempre parlato attraverso il tremito e la vertigine che chiunque
prova guardandovi. Ma stasera mi sento come uno che sta per parlarvi
per la prima volta.”
Disse
l'uomo mascherato, guardando il biondino da dietro quel lungo naso.
“Cos...cosa
stai dicendo?”
Rispose
quest'ultimo, corrucciando le sopracciglia, mentre tentava di
decifrare quelle strane parole.
“Con
la notte che mi protegge io oso essere me stesso...Dove sono? È
tutto così dolce stanotte, così nuovo per me!”
“Misha,
non capisco...” Ammise Jensen, questa volta perplesso. Stava
ascoltando, ma non stava sentendo
veramente,
altrimenti avrebbe trovato una certa familiarità in quelle
parole. Ma il bel pianista non si arrese ed imperterrito continuò
nei suoi versi, avanzando di un passo in direzione del bel
bibliotecario.
“Sì,
nuovo... la paura di essere deriso non mi dà tregua. Il mio
cuore si nasconde dietro il mio spirito per pudore - parto per
strappare al cielo una stella ma, per paura del ridicolo, mi chino a
raccogliere un fiore.”
Questa
volta il nostro biondino rimase in silenzio, arrossendo per le dolci
parole che venivano proferite soltanto per lui, mentre i suoi occhi
si piantarono sul moro, osservando il suo modo sinuoso di avanzare
verso di lui, trovandosi impossibilitato a muoversi di un passo.
“Lasciamo
che, con un solo lampo dei suoi astri, il cielo ci spogli di tutte le
nostre finzioni - io ho paura che la nostra alchimia poetica disperda
ogni vero sentimento, che l'anima si annienti in passatempi vani!”
Quando
il suo cervellino cominciò a funzionare di nuovo -giusto per
quello sprazzo di lucidità che gli servì per connettere
le parole di Misha ad altre ben note ad un avido lettore come lui- la
sua bocca si spalancò dalla stupore, componendo una piccola
“o” con le sue labbra.
“Ma
è Cyrano de Bergerac!”
Ma
l'altro non disse nulla, limitandosi a sorridere compiaciuto
avanzando ancora di un passetto, notando con diletto che la distanza
tra di loro era piuttosto esigua.
“Quando
si ama è un delitto prolungare questa inutile schermaglia.
Arriva il momento in cui sentiamo che c'è qualcosa di così
nobile nel nostro modo di amare da non poterlo avvilire con vani
giochi di parole.”
“Perché
stai facendo questo?”
La
domanda di Jensen venne espressa con voce sottile, quasi come se si
trattasse del soffio del vento, la voce di una persona che volendo
esprimersi con parole razionali finisce con il perdere tono, disperso
in una marea d'emozioni che si susseguono l'una dietro l'altra. Il
suo cuore era oramai in balia di una calda voce e di una distanza di
due passi che lo separavano da... da cosa?
“Io
ti amo, soffoco, sono pazzo, non ne posso più; il tuo nome mi
risuona dentro. Per la tua felicità darei in cambio la mia per
sentirti ridere qualche volta, da lontano, di quella gioia data dal
mio sacrificio. Senti l'anima mia salire verso di te, nell'ombra? È
tutto troppo bello e dolce stasera. Nemmeno nei miei sogni più
ambiziosi ho mai sperato tanto.”
Il
respiro gli si fermò in gola ed il cuore perse un battito, per
un istante aveva creduto di morire così, semplicemente
nell'udire quelle frasi così piene di sentimento. Misha lo
amava. Un tremito gli percorse il corpo provocandogli la polle d'oca,
era una sensazione sconosciuta ma gradevole e, inspiegabilmente, si
ritrovò ad imitare il sorriso che si era aperto sulle labbra
del pianista, che poteva rimirare da molto vicino visto che soltanto
un passo li separava l'uno dall'altro.
“Tu
tremi! Sento il tremito della tua mano scendere per i rami del
gelsomino.”
Gli
recitò Misha, liberandosi del naso posticcio per gettarlo a
terra e, come da copione, gli prese la mano e la baciò,
gioendo dei piccoli tremori che scuotevano il corpo del suo amato.
“S-Sì,
tremo, e piango, e sono tu..o, e tu m'hai stordito!”
Infine
si aggiunse anche lui, recitando il passo successivo dell'opera, per
nulla offeso del ruolo che gli era stato relegato, quello di Rossana,
semplicemente godendosi quegli istanti che lo stavano facendo sognare
ad occhi aperti, posando i suoi occhi verdi nell'immenso oceano che
era quelli del pianista, la quale prendendogli la mano e portandosela
al cuore, colmata definitivamente le distanze, portò l'altro
braccio ad avvolgere la vita di Jensen, mentre i loro petti si
unirono annullando lo spazio tra di loro.
“Allora,
venga pure la morte! Questa ebbrezza sono io che gliel'ho data! Ormai
non chiedo altro che un bacio!”
Quest'ultima
parte venne recitata a fior di labbra, quasi sussurrata su quelle
splendide e carnose labbra che il bibliotecario si ritrovava in dono.
Non ci fu risposta alla sua domanda, ma soltanto una reazione a
quello che potrebbe essere definito l'istante più romantico
mai vissuto dall'occhialuto lettore e l'unica reazione accettabile in
questa circostanza era quella di sporgersi davanti e dare ciò
che gli veniva chiesto: un bacio. Jensen quella sera imparò
quanto fosse bello baciare un sorriso.
“Un
bacio - ma che cos'è poi un bacio? Un giuramento un po' più
da vicino, una promessa più precisa, una confessione che cerca
una conferma, un punto rosa sulla i di «ti amo», un
segreto soffiato in bocca invece che all'orecchio, un frammento
d'eternità che ronza come l'ali di un'ape, una comunione che
sa di fiore, un modo di respirarsi il cuore e di scambiarsi sulle
labbra il sapore dell'anima!”
Si
ritrovarono a recitare insieme, il perfetto finale per una perfetta
scena d'amore, ma nel loro caso più che un finale si è
trattato di un inizio, perché anche il più indifferente
e i più glaciale dei bibliotecari può essere
conquistato con tanta passione ed un grosso naso di gomma.
FINE.
N.A. Lo
so sono una brutta, brutta, brutta persona! Ci ho messo due anni per
scrivere questo finale e me ne vergogno, ma ora che l'ho fatto mi
sento più leggera. Spero che vi piaccia e cercherò di
non fare più una cosa così tanto orrenda. Promesso.
M.
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