Quando Patrick rientrò al CBI era pomeriggio inoltrato.
- Dove sei stato? - Domandò Wayne quando lo vide entrare
nell'open space.
Per tutta risposta Patrick gettò la giacca su un bracciolo
del divano e si distese, stiracchiandosi con aria compiaciuta.
- A fare un giretto. È una giornata così bella! -
Rispose.
- Lisbon era con te? - Chiese Grace.
Patrick li guardò fingendo sorpresa.
- No, perchè dovrebbe essere stata con me? -
Domandò con falsa innocenza.
- Non si è vista per tutto il giorno. - Replicò
Kimball, alzando per un attimo lo sguardo dal suo pc e dimostrando
così anche lui una certa preoccupazione.
- Conoscete Lisbon. Non si assenta mai senza una buona ragione. -
Minimizzò Patrick. - Anche l'ultima volta eravamo tutti
preoccupati e poi è arrivata solo un po' in ritardo. -
- Nessuno l'ha vista nè sentita da ieri sera, quando
è uscita dal CBI verso le nove. - Iniziò Grace.
- E tu sei corso dietro di lei preoccupato come non mai. Che succede,
Jane? - Concluse Wayne.
- Non ero preoccupato. -
- È inutile che tenti di negare: la tua faccia parlava da
sola. - Intervenne Grace.
- Chi è che parlava da solo? - Ray comparve in quel momento
nell'open space con una tazza di caffè in mano e la giacca
nell'altra.
- Lisbon non si vede da stamattina. Siamo preoccupati. - Disse Kimball,
asciutto.
Ray li guardò tutti, uno dopo l'altro, con aria scioccata.
Poi si lasciò andare ad una risata.
- È un'altro dei tuoi giochetti, vero Jane? Ma stavolta non
me la farai sotto al naso: l'ultima volta ho fatto talmente tanto la
figura del cretino che non mi giocherai un'altro brutto scherzo! -
Disse cercando di fingere allegria.
- Hai ragione. - Replicò Patrick con un mezzo sorriso. -
Almeno sul fatto che l'altra volta hai fatto proprio la figura del
cretino. -
I tre membri della squadra si aspettavano una reazione, ma Ray
dimostrò un notevole autocontrollo, incassando il colpo e
limitandosi a lanciargli un'occhiata tagliente. Poi si diresse con
disinvoltura verso la scrivania di Wayne e gli chiese il resoconto
della nottata di indagini.
Patrick si stese sul divano, pronto ad un po' di riposo fisico mentre
metteva a punto il suo piano, ma ad un certo punto Ray disse una frase
che lo fece saltare subito in piedi, dimentico dei suoi progetti di
pisolino.
- Rigsby, VanPelt: andate all'appartamento che Doyle usava come
appoggio qui a Sacramento e vedete se c'è qualcosa di utile.
È sulla North Bridge. Cho, a te il prossimo turno di
controlli telefonici sulla Stan e Mendelev. -
Wayne e Grace si guardarono con occhi stanchi: dopo una notte quasi
insonne e solo una manciata di ore di riposo durante la mattina non
erano proprio pronti a fare un sopralluogo.
- Grace, rimani. - Disse Patrick affabile. - Vado io con Rigsby. -
Ray aprì la bocca per parlare, ma Patrick lo
anticipò:
- Loro hanno fatto una notte in piedi, io mi sono presentato al lavoro
solo ora. Non ti sembra giusto che almeno lei possa riposare? -
- E sia. Ma se succede qualcosa, Rigbsy, farò rapporto al
capo. Tienilo d'occhio in ogni istante. -
- Come sempre. - Rispose Wayne, lanciando un'occhiata di traverso a
Patrick prima di anticiparlo fuori. Patrick lo seguì con un
malcelato sorriso di vittoria dipinto sul volto.
Mentre scendeva dalla macchina, Wayne si guardò intorno.
- Sei sicuro che sia il posto giusto? - Domandò, scrutando i
vicoli e i palazzi di periferia.
Quella non sembrava proprio la North Bridge: pareva uno di quegli
squallidi sobborghi cresciuti disordinatamente vicino alla ferrovia.
- Ma certo, ricordo perfettamente l'indirizzo, era questo. - Disse
Patrick, scendendo ed evitando che delle pozze di liquido non meglio
identificato provenienti dai cassonetti dell'immondizia poco lontano
gli macchiassero l'orlo dei pantaloni.
Wayne, ancora dubbioso, tentennava vicino all'automobile.
- Io penso ancora che faremmo meglio a controllare col GPS. - Disse,
tirando fuori il cellulare.
- Dubiti della mia memoria? - Domandò Patrick, scandalizzato.
Wayne sorrise, imbarazzato.
- No, ovviamente no, ma… -
- E allora forza, seguimi. Non abbiamo tempo da perdere: prima
chiudiamo questo caso prima Haffner si leva dai piedi. -
Patrick si avviò tra i cassonetti e gli idranti ammaccati
fino all'ingresso di un palazzo alto, con la facciata di piastrelle
marrone scuro. Il portone d'ingresso aveva i vetri incrinati da colpi
di sassi e la moquette dell'atrio aveva un forte odore di polvere e
muffa.
- Se abitava in un posto come questo ci credo che avesse bisogno di due
lavori. -
- Era solo il suo appoggio quando aveva turni consecutivi al CBI.
Abitava fuori città. - Rispose vago Patrick, aprendo una
porta e sparendo nella penombra del vano scale.
Wayne entrò subito dopo di lui, ma non abbastanza in fretta:
uno sbadiglio di troppo e si ritrovò da solo, su un
pianerottolo spoglio con la sola compagnia di tre porte sbarrate e di
una, divelta, chiusa solo dal nastro giallo della polizia. Di Patrick
nessuna traccia.
- Jane! - Chiamò.
Non ricevendo risposta, tentò di affacciarsi dal vano delle
scale, per vedere se per caso fosse salito di un altro piano a sua
insaputa. La testa bionda del consulente però non si vedeva
nè più in alto nè più in
basso e l'agente sospirò, guardandosi intorno con l'aria di
chi non aveva nessuna voglia di giocare a nascondino con un bambino
troppo cresciuto.
Alla fine si avvicinò alla porta chiusa dal nastro della
polizia, lo scavalcò con circospezione e si fece strada nel
minuscolo monolocale con la moquette grigia e una scialba carta da
parati a righine. Un vecchio televisore, una poltrona reclinabile e una
brandina in un angolo erano tutto l'arredamento della stanza, fatta
eccezione per la vecchia cucina a gas con i fornelli incrostati di
caffè: più che un appartamento era un rifugio di
fortuna.
Fu con sollievo che Wayne scorse Patrick: era fermo accanto al letto
nella stanza buia e stava scorrendo con lo sguardo i libri posati
vicino sul comodino con aria più pensosa che mai. Il
sollievo di Wayne durò ben poco, però,
perchè una voce scocciata irruppe nel silenzio alle sue
spalle:
- Oh, finalmente è qui. Mi mostri il mandato. -
Wayne si voltò e guardò un po' stupito il
poliziotto dai grossi baffi neri fermo a un passo da lui:
- Prego? -
- Il mandato. Il suo collega mi ha detto che l'aveva lei. - Disse,
indicando Patrick e tenendo una mano aperta verso di lui mentre lo
fissava con i suoi occhietti porcini senza battere ciglio.
- Jane. - Sbottò Wayne, sperando di attirare la sua
attenzione e farsi cavare dagli impicci.
- Il mandato. - Insistette l'uomo.
L'agente tentò un'ultima occhiata disperata a Patrick, ma
lui era girato dall'altra parte: che non volesse aiutarlo o non si
fosse accorto di lui, non poteva essergli utile.
- Non abbiamo nessun mandato. - Sbottò alla fine.
- Come nessun mandato? Mi avete preso in giro? - Sbottò. Le
sue guance tonde diventarono paonazze in un minuto e i suoi grossi
baffi iniziarono a fremere.
- Stia tranquillo, agente, ce ne stiamo andando. - Disse Patrick con un
sorrisetto, avvicinandosi allegramente come se invece che infrangere
una mezza dozzina di regolamenti avesse appena bevuto un bicchiere di
latte. - E scommetto che la nostra visita qui sarà
così insignificante, nella sua lunga giornata, che non si
ricorderà affatto di noi. -
Si chinò, mettendo i suoi occhi all'altezza di quelli del
poliziotto, e sorrise suadente. Gli posò una mano sul
braccio, stringendo con delicatezza mentre diceva:
- Non si ricorderà proprio niente. -
- Proprio… proprio niente. - Rispose il poliziotto, confuso.
- Benissimo. Le auguriamo una buona giornata! Rigsby, andiamo. Avevi
ragione, ho sbagliato indirizzo: la casa di Doyle è dalla
parte opposta della città. Ci conviene sbrigarci, Haffner
non gradirà sapere che ci siamo persi in chiacchiere invece
di lavorare. -
Lasciandosi alle spalle un agente della polizia locale più
confuso che mai, Wayne gli sorrise in modo molto formale e poi
seguì Patrick fuori, cercando di trattenersi dall'inutile
desiderio di chiedergli qualche spiegazione.
Teresa si svegliò con un gran mal di testa. Era gettata su
un pavimento umido e freddo, la testa le pulsava e il buio l'avvolgeva
completamente. Si mosse lentamente sperando di abituarsi in fretta
all'oscurità per capire dov'era e si rese conto di essere
rinchiusa in un piccolissimo spazio dove poteva a malapena stendere le
gambe: sembrava uno sgabuzzino o qualcosa del genere. Si
allungò per capire di quanto spazio poteva disporre e
all'improvviso le sue dita si posarono su quella che era senza ombra di
dubbio una mano umana. Una piccola mano umana, fredda come il ghiaccio.
Teresa deglutì, temendo di scoprire qualcosa che non voleva
sapere.
Le sue dita seguirono la mano e poi il braccio, raggiungendo il collo
della persona rinchiusa con lei. Era senza ombra di dubbio una bambina,
accoccolata contro la parete opposta alla sua, con indosso solo un paio
di pantaloncini e una maglietta a maniche corte. La sua pelle era
gelida, ma la bambina era viva. Teresa allungò il braccio
per tirarla contro di sè e posò una guancia sui
suoi capelli, respirando il profumo dello shampoo all'albicocca e
ringraziando il Cielo con tutto il suo cuore. Era Dorothy. Era Dorothy
ed era ancora viva.
La bambina si mosse, stringendosi a lei e rifugiando le mani gelide
sotto la giacca della donna, alla ricerca di un po' di calore.
- Mamma? - Mormorò Dorothy.
- Dorothy. Sono io, Teresa. -
Dorothy tirò su rumorosamente col naso, mentre la
abbracciava più stretta.
- Io non volevo andare con quell'uomo! - Esordì - Io non
volevo, ma lui mi ha detto che era uno del CBI, mi ha fatto vedere il
suo distintivo, era come il tuo… e mi ha detto che mi
avrebbe accompagnata al lavoro da te perchè eri occupata.
Non gli dovevo credere, mamma, mi dispiace tanto tanto… -
Disse con la voce spezzata dalle lacrime.
- Non è colpa tua, Dorothy. - Disse Teresa. L'ultima cosa
che voleva era sentire la sua bambina darsi la colpa di tutta quella
situazione.
- Ho provato a tornare a casa un sacco di volte, sai? Ma mi sa che la
magia funziona solo con le scarpette rosse, non con queste da
ginnastica… - Disse Dorothy con la voce impastata dalla
stanchezza e dalla paura.
- Sta' tranquilla. Adesso siamo insieme. - Le disse, sfiorandole i
capelli con una carezza. Con un filo di voce, le fece la domanda che
teneva per sè da quando non l'aveva trovata a casa:
- Ti ha fatto del male? -
Dorothy scosse la testa
- No. Ma ho tanto freddo e tanta fame. -
Teresa sospirò di sollievo.
- Cerca di dormire. - Rispose. - Presto staremo fuori di qui. -
Dorothy si rannicchiò contro di lei come facevano quando
decidevano di leggere assieme un libro e Teresa chiuse gli occhi per
impedirsi di versare anche solo una piccola lacrima: agitarsi non
sarebbe servito a niente e dimostrare a Dorothy quanto era spaventata
era la cosa peggiore che poteva fare. Doveva rimanere forte, dimostrare
che se la sarebbero cavata.
In quel momento passi pesanti echeggiarono fuori dalla loro prigione:
era il rumore di scarpe sul metallo, ritmiche, sempre più
vicine.
Istintivamente Teresa strinse Dorothy a sè con un braccio e
la mano destra corse alla fondina… ma si rese conto di
essere senza pistola. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Consapevole di essere disarmata, sentì rapidamente il panico
farsi strada in lei.
I passi all'esterno nel frattempo si erano fermati e nessun rumore
rompeva il denso silenzio del piccolo spazio buio.
Teresa contò fino a trenta e quando nulla accadde, si
concesse di tirare il fiato.
Appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi,
obbligandosi a respirare con calma per un momento e concedendosi il
tempo di una preghiera. Istintivamente le sue dita corsero al
crocifisso, incontrando però solo il suo collo nudo.
Come in risposta alla sua preghiera, Dorothy ruppe di nuovo il silenzio:
- Mamma? -
Teresa non ebbe il cuore di correggerla.
- Dimmi, tesoro. -
- Patrick verrà a salvarci, vero? - Disse in un sussurro. -
Io sono sicura che verrà. -
A Teresa bastò un attimo di silenzio per sciogliere il nodo
che le impediva di parlare. E quando lo fece, la sua voce sorrideva.
- Sì, ne sono sicura anch’io. -
Il ticchettio dell'orologio sulla scrivania di Teresa scandiva i
pensieri di Patrick.
Sdraiato sul divano dell'ufficio del suo capo il consulente sfogliava
distrattamente il libro che aveva preso dal comodino della casa di
Frank McDale sotto gli occhi dell'agente di sorveglianza. Era una
raccolta di favole e leggende, niente di particolarmente
interessante… ma era un libro molto usurato che indicava la
predilezione del proprietario verso alcune storie piuttosto che altre.
Fece scorrere rapidamente le pagine tra le dita, sconfortato al
pensiero di aver letto tre quarti di quel libro senza aver avuto la
minima rivelazione. All'improvviso un commento a margine del foglio lo
fece fermare. Cercò di nuovo la pagina, si mise seduto e
avvicinò il libro alla lampada per guardare meglio la riga
scarabocchiata a matita che riportava una citazione:
"I falliti si dividono in due categorie: coloro che hanno agito senza
pensare e coloro che hanno pensato senza agire. - John Charles Salak."
La frase era senza dubbio interessante, ma ancora di più lo
era la scrittura in cui era tracciata: sebbene quella sul libro fosse
la scrittura di un adolescente, Patrick conosceva qualcuno che scriveva
esattamente in quel modo, con le lettere alte, sottili e inclinate.
Senza contare il nome dell'autore della frase, che poteva sembrare
casuale ma che messo insieme a tutti gli altri piccoli suggerimenti
diventava l'ennesimo indizo.
Appoggiò il libro sul divano, fermandosi per un istante con
lo sguardo fisso nel vuoto mentre la storia si ricostruiva piano nella
sua mente, componendo un puzzle fatto di fienili, seminari alla
Visualize, visi di donna e firme maschili.
Si alzò e si diresse verso la porta, ma all'ultimo istante
tornò indietro, afferrò il libro e lo nascose
nella tasca interna della giacca prima di uscire di nuovo nell'open
space deserto.
Nonostante fosse notte fonda si precipitò verso gli
ascensori e scese direttamente nel parcheggio del quartier generale. Si
avvicinò alla guardia e la salutò con un sorriso.
- Buonasera Henry. -
- Buonasera signor Jane. Devo aprirle il cancello? -
- No, devo solo andare a recuperare una cosa nella mia automobile. -
Disse lui.
Patrick si diresse in fretta verso la sua Citroen, ma la
superò senza nemmeno considerarla: percorse ad una ad una
tutte le corsie del parcheggio, osservando con metodo tutte le
automobili parcheggiate finchè non ne vide una.
Era nera, lucente, dal modello sportivo. Ed era lì, ferma,
proprio dove l'aveva vista il mattino precedente… e quello
prima ancora.
Patrick la fissò con un malcelato sorriso di trionfo dipinto
sul volto, sentendo la sua vittoria farsi sempre più vicina.
Gli
aggiornamenti sono un pochino in ritardo, ma è colpa della
festa dell'oratorio, sono sempre fuori!
Doppio episodio anche stavolta... ho pensato che avreste gradito!
Due capitoli al termine. Ormai, come avrete capito, Jane ha in pugno il
suo John il Rosso.
La vera domanda è se riuscirà a salvare Dorothy e
Teresa.
Flora
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