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Autore: LyraB    26/09/2014    1 recensioni
Il caso Doyle è più intricato del previsto: pochissimi sospetti, alibi di ferro e mancanza di prove. Non basterà nemmeno l'aiuto di una vecchia conoscenza del CBI per risolverlo, anche perchè nel frattempo John il Rosso ha deciso di tornare in campo, pronto a tutto pur di distruggere definitivamente il suo eterno rivale. Tra disegni su Disneyworld, tazze di tè ormai fredde e cartelloni di prima elementare, sarà l'ultimo incontro tra Jane e la sua nemesi. Un incontro che potrebbe rivelarsi più scioccante del previsto.
-- Seguito di "Scarpette Rosse"
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Red John, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del rosso dell'arcobaleno'
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Quando Patrick rientrò al CBI era pomeriggio inoltrato.
- Dove sei stato? - Domandò Wayne quando lo vide entrare nell'open space.
Per tutta risposta Patrick gettò la giacca su un bracciolo del divano e si distese, stiracchiandosi con aria compiaciuta.
- A fare un giretto. È una giornata così bella! - Rispose.
- Lisbon era con te? - Chiese Grace.
Patrick li guardò fingendo sorpresa.
- No, perchè dovrebbe essere stata con me? - Domandò con falsa innocenza.
- Non si è vista per tutto il giorno. - Replicò Kimball, alzando per un attimo lo sguardo dal suo pc e dimostrando così anche lui una certa preoccupazione.
- Conoscete Lisbon. Non si assenta mai senza una buona ragione. - Minimizzò Patrick. - Anche l'ultima volta eravamo tutti preoccupati e poi è arrivata solo un po' in ritardo. -
- Nessuno l'ha vista nè sentita da ieri sera, quando è uscita dal CBI verso le nove. - Iniziò Grace.
- E tu sei corso dietro di lei preoccupato come non mai. Che succede, Jane? - Concluse Wayne.
- Non ero preoccupato. -
- È inutile che tenti di negare: la tua faccia parlava da sola. - Intervenne Grace.
- Chi è che parlava da solo? - Ray comparve in quel momento nell'open space con una tazza di caffè in mano e la giacca nell'altra.
- Lisbon non si vede da stamattina. Siamo preoccupati. - Disse Kimball, asciutto.
Ray li guardò tutti, uno dopo l'altro, con aria scioccata. Poi si lasciò andare ad una risata.
- È un'altro dei tuoi giochetti, vero Jane? Ma stavolta non me la farai sotto al naso: l'ultima volta ho fatto talmente tanto la figura del cretino che non mi giocherai un'altro brutto scherzo! - Disse cercando di fingere allegria.
- Hai ragione. - Replicò Patrick con un mezzo sorriso. - Almeno sul fatto che l'altra volta hai fatto proprio la figura del cretino. -
I tre membri della squadra si aspettavano una reazione, ma Ray dimostrò un notevole autocontrollo, incassando il colpo e limitandosi a lanciargli un'occhiata tagliente. Poi si diresse con disinvoltura verso la scrivania di Wayne e gli chiese il resoconto della nottata di indagini.
Patrick si stese sul divano, pronto ad un po' di riposo fisico mentre metteva a punto il suo piano, ma ad un certo punto Ray disse una frase che lo fece saltare subito in piedi, dimentico dei suoi progetti di pisolino.
- Rigsby, VanPelt: andate all'appartamento che Doyle usava come appoggio qui a Sacramento e vedete se c'è qualcosa di utile. È sulla North Bridge. Cho, a te il prossimo turno di controlli telefonici sulla Stan e Mendelev. -
Wayne e Grace si guardarono con occhi stanchi: dopo una notte quasi insonne e solo una manciata di ore di riposo durante la mattina non erano proprio pronti a fare un sopralluogo.
- Grace, rimani. - Disse Patrick affabile. - Vado io con Rigsby. -
Ray aprì la bocca per parlare, ma Patrick lo anticipò:
- Loro hanno fatto una notte in piedi, io mi sono presentato al lavoro solo ora. Non ti sembra giusto che almeno lei possa riposare? -
- E sia. Ma se succede qualcosa, Rigbsy, farò rapporto al capo. Tienilo d'occhio in ogni istante. -
- Come sempre. - Rispose Wayne, lanciando un'occhiata di traverso a Patrick prima di anticiparlo fuori. Patrick lo seguì con un malcelato sorriso di vittoria dipinto sul volto.

Mentre scendeva dalla macchina, Wayne si guardò intorno.
- Sei sicuro che sia il posto giusto? - Domandò, scrutando i vicoli e i palazzi di periferia.
Quella non sembrava proprio la North Bridge: pareva uno di quegli squallidi sobborghi cresciuti disordinatamente vicino alla ferrovia.
- Ma certo, ricordo perfettamente l'indirizzo, era questo. - Disse Patrick, scendendo ed evitando che delle pozze di liquido non meglio identificato provenienti dai cassonetti dell'immondizia poco lontano gli macchiassero l'orlo dei pantaloni.
Wayne, ancora dubbioso, tentennava vicino all'automobile.
- Io penso ancora che faremmo meglio a controllare col GPS. - Disse, tirando fuori il cellulare.
- Dubiti della mia memoria? - Domandò Patrick, scandalizzato.
Wayne sorrise, imbarazzato.
- No, ovviamente no, ma… -
- E allora forza, seguimi. Non abbiamo tempo da perdere: prima chiudiamo questo caso prima Haffner si leva dai piedi. -
Patrick si avviò tra i cassonetti e gli idranti ammaccati fino all'ingresso di un palazzo alto, con la facciata di piastrelle marrone scuro. Il portone d'ingresso aveva i vetri incrinati da colpi di sassi e la moquette dell'atrio aveva un forte odore di polvere e muffa.
- Se abitava in un posto come questo ci credo che avesse bisogno di due lavori. -
- Era solo il suo appoggio quando aveva turni consecutivi al CBI. Abitava fuori città. - Rispose vago Patrick, aprendo una porta e sparendo nella penombra del vano scale.
Wayne entrò subito dopo di lui, ma non abbastanza in fretta: uno sbadiglio di troppo e si ritrovò da solo, su un pianerottolo spoglio con la sola compagnia di tre porte sbarrate e di una, divelta, chiusa solo dal nastro giallo della polizia. Di Patrick nessuna traccia.
- Jane! - Chiamò.
Non ricevendo risposta, tentò di affacciarsi dal vano delle scale, per vedere se per caso fosse salito di un altro piano a sua insaputa. La testa bionda del consulente però non si vedeva nè più in alto nè più in basso e l'agente sospirò, guardandosi intorno con l'aria di chi non aveva nessuna voglia di giocare a nascondino con un bambino troppo cresciuto.
Alla fine si avvicinò alla porta chiusa dal nastro della polizia, lo scavalcò con circospezione e si fece strada nel minuscolo monolocale con la moquette grigia e una scialba carta da parati a righine. Un vecchio televisore, una poltrona reclinabile e una brandina in un angolo erano tutto l'arredamento della stanza, fatta eccezione per la vecchia cucina a gas con i fornelli incrostati di caffè: più che un appartamento era un rifugio di fortuna.
Fu con sollievo che Wayne scorse Patrick: era fermo accanto al letto nella stanza buia e stava scorrendo con lo sguardo i libri posati vicino sul comodino con aria più pensosa che mai. Il sollievo di Wayne durò ben poco, però, perchè una voce scocciata irruppe nel silenzio alle sue spalle:
- Oh, finalmente è qui. Mi mostri il mandato. -
Wayne si voltò e guardò un po' stupito il poliziotto dai grossi baffi neri fermo a un passo da lui:
- Prego? -
- Il mandato. Il suo collega mi ha detto che l'aveva lei. - Disse, indicando Patrick e tenendo una mano aperta verso di lui mentre lo fissava con i suoi occhietti porcini senza battere ciglio.
- Jane. - Sbottò Wayne, sperando di attirare la sua attenzione e farsi cavare dagli impicci.
- Il mandato. - Insistette l'uomo.
L'agente tentò un'ultima occhiata disperata a Patrick, ma lui era girato dall'altra parte: che non volesse aiutarlo o non si fosse accorto di lui, non poteva essergli utile.
- Non abbiamo nessun mandato. - Sbottò alla fine.
- Come nessun mandato? Mi avete preso in giro? - Sbottò. Le sue guance tonde diventarono paonazze in un minuto e i suoi grossi baffi iniziarono a fremere.
- Stia tranquillo, agente, ce ne stiamo andando. - Disse Patrick con un sorrisetto, avvicinandosi allegramente come se invece che infrangere una mezza dozzina di regolamenti avesse appena bevuto un bicchiere di latte. - E scommetto che la nostra visita qui sarà così insignificante, nella sua lunga giornata, che non si ricorderà affatto di noi. -
Si chinò, mettendo i suoi occhi all'altezza di quelli del poliziotto, e sorrise suadente. Gli posò una mano sul braccio, stringendo con delicatezza mentre diceva:
- Non si ricorderà proprio niente. -
- Proprio… proprio niente. - Rispose il poliziotto, confuso.
- Benissimo. Le auguriamo una buona giornata! Rigsby, andiamo. Avevi ragione, ho sbagliato indirizzo: la casa di Doyle è dalla parte opposta della città. Ci conviene sbrigarci, Haffner non gradirà sapere che ci siamo persi in chiacchiere invece di lavorare. -
Lasciandosi alle spalle un agente della polizia locale più confuso che mai, Wayne gli sorrise in modo molto formale e poi seguì Patrick fuori, cercando di trattenersi dall'inutile desiderio di chiedergli qualche spiegazione.


Teresa si svegliò con un gran mal di testa. Era gettata su un pavimento umido e freddo, la testa le pulsava e il buio l'avvolgeva completamente. Si mosse lentamente sperando di abituarsi in fretta all'oscurità per capire dov'era e si rese conto di essere rinchiusa in un piccolissimo spazio dove poteva a malapena stendere le gambe: sembrava uno sgabuzzino o qualcosa del genere. Si allungò per capire di quanto spazio poteva disporre e all'improvviso le sue dita si posarono su quella che era senza ombra di dubbio una mano umana. Una piccola mano umana, fredda come il ghiaccio.
Teresa deglutì, temendo di scoprire qualcosa che non voleva sapere.
Le sue dita seguirono la mano e poi il braccio, raggiungendo il collo della persona rinchiusa con lei. Era senza ombra di dubbio una bambina, accoccolata contro la parete opposta alla sua, con indosso solo un paio di pantaloncini e una maglietta a maniche corte. La sua pelle era gelida, ma la bambina era viva. Teresa allungò il braccio per tirarla contro di sè e posò una guancia sui suoi capelli, respirando il profumo dello shampoo all'albicocca e ringraziando il Cielo con tutto il suo cuore. Era Dorothy. Era Dorothy ed era ancora viva.
La bambina si mosse, stringendosi a lei e rifugiando le mani gelide sotto la giacca della donna, alla ricerca di un po' di calore.
- Mamma? - Mormorò Dorothy.
- Dorothy. Sono io, Teresa. -
Dorothy tirò su rumorosamente col naso, mentre la abbracciava più stretta.
- Io non volevo andare con quell'uomo! - Esordì - Io non volevo, ma lui mi ha detto che era uno del CBI, mi ha fatto vedere il suo distintivo, era come il tuo… e mi ha detto che mi avrebbe accompagnata al lavoro da te perchè eri occupata. Non gli dovevo credere, mamma, mi dispiace tanto tanto… - Disse con la voce spezzata dalle lacrime.
- Non è colpa tua, Dorothy. - Disse Teresa. L'ultima cosa che voleva era sentire la sua bambina darsi la colpa di tutta quella situazione.
- Ho provato a tornare a casa un sacco di volte, sai? Ma mi sa che la magia funziona solo con le scarpette rosse, non con queste da ginnastica… - Disse Dorothy con la voce impastata dalla stanchezza e dalla paura.
- Sta' tranquilla. Adesso siamo insieme. - Le disse, sfiorandole i capelli con una carezza. Con un filo di voce, le fece la domanda che teneva per sè da quando non l'aveva trovata a casa:
- Ti ha fatto del male? -
Dorothy scosse la testa
- No. Ma ho tanto freddo e tanta fame. -
Teresa sospirò di sollievo.
- Cerca di dormire. - Rispose. - Presto staremo fuori di qui. -
Dorothy si rannicchiò contro di lei come facevano quando decidevano di leggere assieme un libro e Teresa chiuse gli occhi per impedirsi di versare anche solo una piccola lacrima: agitarsi non sarebbe servito a niente e dimostrare a Dorothy quanto era spaventata era la cosa peggiore che poteva fare. Doveva rimanere forte, dimostrare che se la sarebbero cavata.
In quel momento passi pesanti echeggiarono fuori dalla loro prigione: era il rumore di scarpe sul metallo, ritmiche, sempre più vicine.
Istintivamente Teresa strinse Dorothy a sè con un braccio e la mano destra corse alla fondina… ma si rese conto di essere senza pistola. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Consapevole di essere disarmata, sentì rapidamente il panico farsi strada in lei.
I passi all'esterno nel frattempo si erano fermati e nessun rumore rompeva il denso silenzio del piccolo spazio buio.
Teresa contò fino a trenta e quando nulla accadde, si concesse di tirare il fiato.
Appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi, obbligandosi a respirare con calma per un momento e concedendosi il tempo di una preghiera. Istintivamente le sue dita corsero al crocifisso, incontrando però solo il suo collo nudo.
Come in risposta alla sua preghiera, Dorothy ruppe di nuovo il silenzio:
- Mamma? -
Teresa non ebbe il cuore di correggerla.
- Dimmi, tesoro. -
- Patrick verrà a salvarci, vero? - Disse in un sussurro. - Io sono sicura che verrà. -
A Teresa bastò un attimo di silenzio per sciogliere il nodo che le impediva di parlare. E quando lo fece, la sua voce sorrideva.
- Sì, ne sono sicura anch’io. -

Il ticchettio dell'orologio sulla scrivania di Teresa scandiva i pensieri di Patrick.
Sdraiato sul divano dell'ufficio del suo capo il consulente sfogliava distrattamente il libro che aveva preso dal comodino della casa di Frank McDale sotto gli occhi dell'agente di sorveglianza. Era una raccolta di favole e leggende, niente di particolarmente interessante… ma era un libro molto usurato che indicava la predilezione del proprietario verso alcune storie piuttosto che altre.
Fece scorrere rapidamente le pagine tra le dita, sconfortato al pensiero di aver letto tre quarti di quel libro senza aver avuto la minima rivelazione. All'improvviso un commento a margine del foglio lo fece fermare. Cercò di nuovo la pagina, si mise seduto e avvicinò il libro alla lampada per guardare meglio la riga scarabocchiata a matita che riportava una citazione:
"I falliti si dividono in due categorie: coloro che hanno agito senza pensare e coloro che hanno pensato senza agire. - John Charles Salak."
La frase era senza dubbio interessante, ma ancora di più lo era la scrittura in cui era tracciata: sebbene quella sul libro fosse la scrittura di un adolescente, Patrick conosceva qualcuno che scriveva esattamente in quel modo, con le lettere alte, sottili e inclinate.
Senza contare il nome dell'autore della frase, che poteva sembrare casuale ma che messo insieme a tutti gli altri piccoli suggerimenti diventava l'ennesimo indizo.
Appoggiò il libro sul divano, fermandosi per un istante con lo sguardo fisso nel vuoto mentre la storia si ricostruiva piano nella sua mente, componendo un puzzle fatto di fienili, seminari alla Visualize, visi di donna e firme maschili.
Si alzò e si diresse verso la porta, ma all'ultimo istante tornò indietro, afferrò il libro e lo nascose nella tasca interna della giacca prima di uscire di nuovo nell'open space deserto.
Nonostante fosse notte fonda si precipitò verso gli ascensori e scese direttamente nel parcheggio del quartier generale. Si avvicinò alla guardia e la salutò con un sorriso.
- Buonasera Henry. -
- Buonasera signor Jane. Devo aprirle il cancello? -
- No, devo solo andare a recuperare una cosa nella mia automobile. - Disse lui.
Patrick si diresse in fretta verso la sua Citroen, ma la superò senza nemmeno considerarla: percorse ad una ad una tutte le corsie del parcheggio, osservando con metodo tutte le automobili parcheggiate finchè non ne vide una.
Era nera, lucente, dal modello sportivo. Ed era lì, ferma, proprio dove l'aveva vista il mattino precedente… e quello prima ancora.
Patrick la fissò con un malcelato sorriso di trionfo dipinto sul volto, sentendo la sua vittoria farsi sempre più vicina.














Gli aggiornamenti sono un pochino in ritardo, ma è colpa della festa dell'oratorio, sono sempre fuori!

Doppio episodio anche stavolta... ho pensato che avreste gradito!

Due capitoli al termine. Ormai, come avrete capito, Jane ha in pugno il suo John il Rosso.
La vera domanda è se riuscirà a salvare Dorothy e Teresa.

Flora
   
 
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