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Jake voleva credere che fosse tutta una coincidenza, ma se era vero
che due coincidenza erano un dubbio e tre erano una prova, allora c’erano
parecchi dubbi ad aleggiare sull’intera questione.
Era evidente che l’attacco all’università non era
stato altro che un banco di prova.
Gli esami condotti sul corpo dell’EDA abbattuto
avevano evidenziato che il dosaggio di lilith
presente nel sangue non era di molto superiore agli standard abituali, e le
tracce di droga esaminate dalle squadre scientifiche non avevano trovato
differenze di sorta con la lilith convenzionale che
da mesi girava in città.
Una teoria abbozzata nel referto suggeriva
l’introduzione nella formula di un enzima capace di quadruplicare gli effetti
dannosi dell’esposizione per poi autodistruggersi, risultando quindi
impossibile da identificare, ma in realtà nessuno si era riuscito a spiegare
come un’iniezione di Lilith fosse stata capace di generare un simile mostro
nello spazio di pochi attimi.
Per produrre un’EDA di quelle dimensioni serviva
un’esposizione violenta e prolungata agli effetti della droga, o quantomeno vi
si doveva associare uno shock magico di elevata intensità, che a detta degli
esperti non si era verificato.
Ma la presenza di quel congegno di iniezione
metteva ogni cosa sotto una luce diversa.
Che non si fosse trattato di un incidente era una
cosa che sapevano tutti, almeno all’interno dell’Agenzia; Jake ricordava ancora
il ribrezzo che aveva provato quando gli Affari Speciali avevano rilevato il
caso, imponendo a tutti coloro che vi avevano avuto un qualche collegamento di
non parlare in alcun modo dell’indagine e dei relativi risvolti, pena la corte
marziale.
Il problema, secondo lui, era l’eccessiva rapidità
con cui si era voluta chiudere la questione; tutto perché a seguito di altri
incidenti piuttosto gravi verificatisi nei giorni a seguire non era stato
ritrovato, a differenza del primo caso, alcun apparecchio di inoculazione, o
qualunque altra cosa che potesse far pensare ad un deliberato atto
terroristico.
L’opinione pubblica però sembrava sempre meno
propensa a bersi tutte le storie di copertura inventate per mascherare i casi
più dubbi, e ormai bastava camminare per strada per accorgersi che tutti quegli
incidenti o presunti tali stavano iniziando a trasformare Kyrador in un
calderone pronto a tracimare.
Persino la proposta di riforma delle leggi sulla
diffusione della magia avanzata dal presidente Fujitaka
non bastava a tranquillizzare i più scettici, senza contare che se da una parte
c’era tanta gente che chiedeva a gran voce la riforma dall’altra vi erano
altrettanti detrattori secondo i quali le leggi attualmente in vigore erano più
che sufficienti, e che la soluzione al problema fosse da cercare da un’altra
parte.
Jake sentiva di non essere nessuno per poter
influire realmente sulla piega degli eventi, ma d’altro canto non riusciva a
non ripensare agli occhi di quel prelato quando lo aveva visto morire. E poi
c’erano quelle parole: quell’ultimo rantolo di agonia.
«M-o-n-a» ripeteva tra sé
e sé ogni volta che ci pensava. «Che cosa avrà voluto dire?»
Aveva provato a chiedere indagini più approfondite,
ma parlare ai capoccia degli Affari Speciali era come parlare al vento, e
nessuno più di loro odiava che si mettesse il naso in una loro indagine, in
corso o già archiviata che fosse.
Il giovane alzò gli occhi; i tunnel della linea
rossa scorrevano a grande velocità oltre il finestrino, e il vagone della
metro, intasato come al solito, era pieno di studenti, impiegati, casalinghe e
altre persone, volti anonimi di una routine quotidiana che si ripeteva
ininterrottamente giorno dopo giorno.
Persino il barbone o presunto tale che se ne restava
in disparte nel punto più lontano della carrozza non appariva insolito;
insolito semmai era il suo comportamento, oltre al colorito pallido che
spingeva i più a tenere le distanze per non correre il rischio di prendersi
qualche malattia.
Con l’andare dei minuti, però, le condizioni di
quell’anonimo poveretto erano parse peggiorare, tanto che una donna che
riportava a casa la propria bimba da scuola ebbe infine compassione di lui.
«Si sente bene?» domandò caritativamente. «Vuole
che chiami qualcuno?»
Quello non rispose, quasi non l’avesse sentita, e
qualche attimo dopo rovinò in ginocchio tossendo violentemente.
«Quest’uomo sta male! C’è un medico tra di voi?»
Istintivamente Jake si avvicinò per dare una mano,
e come fece per cercare a sua volta di soccorrere l’uomo lo vide sputare
all’ennesimo colpo di tosse un fiotto di sangue scuro che, al contatto con il
pavimento freddo, parve quasi ribollire, mentre le sue mani e il suo volto
andavano coprendosi di minacciose croste grigie.
«Maledizione!» imprecò tirando violentemente via la
donna e la bambina. «State indietro!»
E fu un bene, perché all’improvviso quel tipo
apparentemente così calmo e anonimo tentò di colpire tutti e tre con una
violenta manata, per poi, subito dopo, trasformarsi urlando in un essere simile
ad un gorilla, con una ributtante faccia squadrata e un braccio sinistro che,
appoggiandosi ad una delle aste di sostegno, aveva finito per assimilarla,
staccandola di netto e facendone una sorta di appendice metallica che spuntava
da dietro il gomito.
Il panico nel frattempo si era già impossessato dei
presenti, che correndo nella direzione opposta all’EDA cercavano disperatamente
di lasciare la carrozza schiacciandosi l’uno con l’altro verso l’uscita.
Per fortuna Jake non si fece cogliere impreparato,
e quando il mostro provò ad attaccare aveva già in mano il bastone d’ordinanza.
«Light Chain!» e le
catene di costrizione si materializzarono tutto attorno all’EDA,
immobilizzandolo e schiacciandolo al suolo.
Nel mentre qualcuno aveva avuto la saggia idea di
tirare il freno di emergenza, e con l’apertura dei portelli la gente prese a
scemare fuori dal treno, sagacemente direzionata dai controllori e dal
macchinista tutta in una sola direzione.
Jake era convinto che il suo incantesimo
costrittivo sarebbe stato più che in grado di tenere a bada l’EDA, ma
all’improvviso quella maledetta creatura, in qualche modo, riuscì a liberarsi,
dissipando le catene per poi sventrare un finestrino e gettarsi a sua volta
fuori.
Tuttavia, forse spaventata dalla presenza del
giovane stregone, la creatura rinunciò ad attaccare i passeggeri in fuga,
allontanandosi invece a tutta velocità nella direzione opposta del tunnel.
«Chiami la polizia!» ordinò Jake al capotreno.
Servendosi dell’Ice Field, che permetteva di scivolare a pochi centimetri da
terra come su di una pista di pattinaggio, Jake provò a raggiungere il
fuggitivo, che tuttavia nonostante la mole si muoveva molto velocemente,
spostandosi sia a due che a quattro zampe; e intanto, la stazione da cui
l’agente era partito si faceva sempre più vicina.
«Sono il Tenente Aulas!»
disse aprendo la linea privata con il quartier generale. «Abbiamo un nove-nove-uno in corso lungo la Linea Rossa della
metropolitana. Probabile Classe Torre. Inviate subito una squadra TMD alla
stazione di Iuraku.»
Iuraku, così chiamata per la presenza della
sede centrale delle Iuraku Industries
a pochi passi dal varco d’ingresso, era una delle stazioni più grandi della
metro.
Da lì passavano quasi tutte le linee dirette verso
la periferia e gli altri distretti centrali, e al primo e più alto dei suoi
quattro livelli ospitava anche un piccolo centro commerciale, con negozi,
ristoranti, fast food e anche una zona per bambini.
Sopraelevate, corridoi sospesi e passerelle univano
tra di loro gli innumerevoli binari disposti a varie altezze, e sia sulle scale
mobili che sulle banchine era un continuo andirivieni di gente, locali
soprattutto, ma anche molti turisti, attratti dal vicino museo di belle arti,
per non parlare dell’area accademica poco lontana che ospitava istituti
scolastici di tutti i livelli, dalle elementari all’università.
Il bianco panna o l’azzurro brillante delle molte
uniformi scolastiche indossate dalle studentesse spezzava il grigiore degli
abiti da ufficio, creando un divertente mosaico in perenne movimento e
trasformazione, e la calca, per quanto opprimente, risultava pervasa da un
certo ordine istintivo, dettato da un’etichetta interiore insita in ogni
abitante della città, il che rendeva i forestieri, e in special modo gli
stranieri, facilmente riconoscibili.
Doveva essere una giornata come un’altra, ma
d’improvviso di tramutò nel preludio ad una tragedia; preannunciato da un
latrato sinistro, l’EDA sbucò da un momento all’altro da uno dei tunnel del
livello più basso, raggiungendo con pochi balzi le banchine e dando subito il
via ad una caccia forsennata contro tutto e tutti, avventandosi ora sui civili
in preda al panico ora su bancarelle, cartelli e panchine, guidato più da una
specie di furia cieca che lo spingeva a distruggere ogni cosa che dalla
classica fame di energia tipica dei suoi simili.
Tra la gente scoppiò il caos, che divenne se
possibile ancor più drammatico nel momento in cui qualche sciagurato in sala di
controllo azionò la chiusura d’emergenza dei varchi, isolando ogni singolo
livello ed imprigionando così diverse centinaia di persone sulle banchine.
Raggiungendo a sua volta la stazione Jake si trovò
di fronte ad uno scenario da incubo, cui cercò di porre rimedio recuperando
alcune armi speciali anti-EDA dal piccolo deposito in
dotazione ad ogni luogo sensibile della città, cui ebbe accesso grazie al suo
tesserino da sottufficiale.
Nonostante i proiettili e gli incantesimi che
presero a venirgli scagliati addosso sia dal Tenente Aulas
che dalle altre guardie di sicurezza il comportamento dell’EDA seguitò a
risultare alquanto insolito, ma non per questo meno pericoloso; non obbedendo
all’istinto naturale di colpire chi lo attaccava, infatti, il mostro continuava
ad essere in pericolo anche per tutti i civili intrappolati.
Un dipendente delle ferrovie aveva avuto la buona
idea di far salire tutti su ogni treno disponibile per allontanare i civili
dalla stazione, e gli sforzi sia di Jake che di tutti quelli che lo stavano
assistendo armi in pugno era proprio quello di distrarre l’EDA sia dai treni in
partenza che da quelli che ancora cercavano di salire.
Tra questi vi era una coppia di turisti con le loro
due figlie, una delle quali di appena sei mesi; la più grande, d’un tratto,
perse la mano della madre, finendo a terra travolta dalla calca. Le sue urla
richiamarono l’attenzione di un giovane uomo dal colorito scuro, portamento
rispettabile e ben vestito, che mollata la sua valigetta tornò velocemente
indietro e raccolse la piccola restituendola ai genitori.
Sfortunatamente anche l’EDA li aveva sentiti, e
vedendolo dirottare la sua attenzione sulle nuove prede Jake, istintivamente,
corse incontro alla creatura, assestandole una possente spallata che quasi gli
ruppe una spalla ma che riuscì a distrarla il tempo necessario per permettere
alla famiglia di scappare.
Il giovane che li aveva aiutati fece per accodarsi,
ma poi si avvide che Jake aveva accusato il colpo, mentre invece la creatura si
era già ripresa e si preparava a caricare. Un alone di luce lo avvolse, mentre
un simbolo magico compariva sotto i suoi piedi.
«Castle of Stone!»
Il muro invisibile tra Jake e il nemico si formò in
modo repentino, tanto che l’EDA, lanciato all’assalto, non ebbe neanche il
tempo di fermarsi andando a sbattergli violentemente contro e restando tramortito.
Un’occasione irripetibile per Jake, che gettata via
l’arma mise nuovamente mano al bastone.
«Thorn Net!»
Stavolta ad avvolgere l’EDA fu una selva di
acuminati rovi, anch’essi fatti di luce, ma le cui protuberanze appuntite
riuscirono senza difficoltà a perforare la spessa carne della creatura,
avvinghiandosi ad essa e tenendolo così prigioniero.
Fortunatamente il comando non era troppo lontano, e
proprio in quel momento la squadra chiamata ad intervenire raggiunse la metro,
riuscendo ad avere ragione del mostro con pochi colpi ben piazzati che lo
lasciarono a terra senza vita.
Alla luce del luogo e dell’ora in cui l’EDA si era manifestato, le
stesse autorità chiamate a indagare sull’accaduto reputarono un miracolo che
non vi fossero stati né morti né feriti gravi.
Il bilancio era di qualche decina di contusi e due
passeggeri del treno rimasti feriti durante la fase iniziale dell’attacco, e
nessuno nutriva dei dubbi sul fatto che la presenza di Jake fosse stata ciò che
aveva permesso all’EDA di fare molte meno vittime di quelle che avrebbe potuto.
«Le dobbiamo davvero molto» disse il detective a
capo della squadra di polizia. «Se non fosse stato per lei, avremmo sicuramente
raccolto morti a decine.»
«Ho fatto solo il mio dovere.»
Mentre finiva di enunciare il proprio rapporto
Jake, girati gli occhi, intravide il giovane in abito elegante che gli aveva
salvato la vita nel mezzo dello scontro, visibilmente provato dall’esperienza
ma fortunatamente illeso, e gli andò incontro.
«Sta bene?» gli domandò amichevolmente
«Spavento a parte.» rispose lui cercando di
abbozzare un sorriso
«Ci tenevo a ringraziarla. Il suo Castle Of Stone mi ha proprio
salvato.
È un soldato per caso?»
«Io!? Figuriamoci. Sono solo un avvocato» e detto
questo presentò cortesemente il suo biglietto da visita. «Julius
King. Molto piacere.»
«Tenente Jake Aulas. Il
piacere è mio»
«Immagino sentirò parlare di nuovo di lei molto
presto. Dopo quello che ha fatto oggi, una medaglia non gliela leva nessuno.»
«Non ho fatto niente di così speciale.»
«Si sbaglia. Ha salvato molte vite, inclusa la
mia.»
«E lei ha salvato quella bambina. Diciamo che siamo
pari.»
«Può darsi. Il mio studio è nel Quinto Distretto,
vicino Lincoln Plaza, e gli altri miei recapiti sono
sul biglietto. Semmai dovesse avere bisogno di qualcosa, mi faccia pure
visita.»
Giusto il tempo di ricevere ulteriori
ringraziamenti dalla famiglia cui aveva salvato la figlia e recuperare la sua
valigetta, ed il signor King lasciò la metropolitana seguito con gli occhi da
Jake.
Il dottor Deschil spense la sigaretta che
stava fumando nel posacenere e sorseggiò un po’ del caffè che gli era stato
portato in stanza.
In quanto capo del personale scientifico aveva una
libertà di movimento pressoché assoluta, e poteva girare per l’installazione come
meglio credeva, un privilegio negato alla maggior parte dei suoi colleghi, ma
nonostante ciò preferiva di gran lunga consumare i propri pasti nella
tranquillità dello studio attiguo alla sua camera da letto piuttosto che al
refettorio, in tranquillità, soprattutto quando, come in quel momento, era in
attesa di conoscere gli esiti di un esperimento.
La notte era trascorsa senza che qualcuno lo
chiamasse, il che faceva ben sperare, ma il traguardo che i suoi superiori gli
avevano prefissato era ancora ben lontano dall’essere raggiunto.
In quanto esperto genetista il dottore aveva sempre
goduto di una certa notorietà all’interno dell’organizzazione, ed era certo che
se il progetto al quale stava lavorando adesso fosse andato pienamente in porto
la sua posizione ne sarebbe uscita più forte che mai.
Purtroppo però la ricerca non era partita nel
migliore dei modi. La difficoltà legata alla realizzazione di quel progetto
aveva prodotto solo nel corso dell’ultimo anno una lista interminabile di
imprevisti ed insuccessi, e ormai il tempo a disposizione per arrivare alla
soluzione andava esaurendosi, e assieme ad esso la pazienza di chi su quella
ricerca stava spendendo fiumi di soldi.
Come se non bastasse, l’intero progetto poggiava su
di un delicato equilibrio che poteva crollare in qualsiasi momento; sarebbe
bastata una fuga di notizie, un evento inatteso o un qualsiasi altro imprevisto
perché tutto andasse irrimediabilmente a monte.
Il dottore gettò un ulteriore sguardo all’orologio;
erano da poco passate le otto e mezza.
Stava per rimettersi a lavorare alla luce della sua
lampada da ufficio quando l’interfono si mise a trillare. I battiti del suo
cuore si facevano sempre più irregolari mentre lasciava cadere la penna e
premeva il pulsante per rispondere.
«Cosa c’è?» domandò
«Dottor Deschil.» rispose
dall’altro capo il suo assistente e collega dottor Ki-jin
Wong «Deve venire subito. Abbiamo un problema».
Con passo veloce e il respiro corto per la tensione
il dottore lasciò la stanza e percorse i corridoi della base fino al
laboratorio di ricerca.
Per poter entrare dovette indossare una tuta
protettiva e passare attraverso quattro diverse porte di sicurezza, una per
ogni livello in cui il laboratorio era suddiviso. Lì dentro c’era una tale
quantità di agenti pericolosi a fluttuare nell’aria che persino per chi come
lui non era uno stregone sarebbero bastati pochi secondi di esposizione per
perdere il controllo.
Il dottor Ki-jin Wong lo attendeva davanti ad uno specchio magico lungo e
stretto che dava su una stanza completamente spoglia dove vi era un ragazzo di
venticinque anni o poco più legato ad un lettino d’ospedale polsi e caviglie e
collegato a dei macchinari. Dal modo di vestire doveva essere un abitante dei
bassifondi di qualche grande città; sembrava stare male, sudava abbondantemente
e respirava a fatica. Attorno a lui altri uomini in tuta protettiva intenti a
raccogliere dati e, all’apparenza, ad estrarre dal suo corpo quanto più sangue
possibile.
«Che succede?» domandò guardando oltre il vetro
«Il Soggetto cinquantaquattro è entrato in fase
critica. L’infezione si diffonde troppo in fretta e fatichiamo a recuperarla»
«Avete somministrato l’agente ritardante?»
«Sissignore, oltre al siero lenitivo per
contrastare gli effetti cancerogeni sul DNA, ma non sta avendo effetto».
All’improvviso quel poveraccio lanciò un
terrificante urlo di dolore, poi vomitò della secrezione e subito dopo prese ad
agitarsi furiosamente come un condannato sulla sedia elettrica, tanto che i
lacci faticavano a tenerlo fermo. I dottori che lo attorniavano di
allontanarono da lui e scapparono dalla stanza appena in tempo; dopo pochi
secondi infatti quello riuscì a liberarsi e cadde a terra, trascinandosi per un
po’ come a cercare una salvezza per poi trasformarsi violentemente in un’EDA.
Il dottor Wong, che non
era mai riuscito a fare a callo a simili visioni, sembrava sconvolto, mentre Deschil osservava la scena con evidente disappunto.
«Maledizione.» disse a denti stretti «Proprio
quando pensavo che tutto stesse andando bene».
L’EDA cominciò quasi subito a tirare spallate e
pugni in tutte le direzioni nel tentativo di liberarsi, ma le pareti della
stanza erano fatte apposta per sopportare questo tipo di situazioni e
resistettero senza problemi. I due dottori stettero ad osservarlo per un po’,
poi Deschil fece un cenno al dottor Wong che, seppur spaventato e titubante, spinse alcuni
pulsanti del tastierino a lato dello specchio. Le luci della stanza si spensero
di colpo, e sul pavimento si materializzò un circolo magico che travolse l’EDA
con una tale quantità di energia da farlo urlare con tutta la sua forza e
riportarlo alla sua forma originaria. Lo shock però si dimostrò troppo forte, e
quando, tornata la luce e spentosi il cerchio, le guardie entrarono nella
stanza armi alla mano il soggetto cinquantaquattro era già morto.
«Quanti soggetti per le sperimentazioni ci sono
rimasti?» domandò il Deschil quando furono entrambi
fuori dal laboratorio e poterono togliersi i caschi
«Mi pare dieci, dottore. E siero per altre due
settimane.»
«Troppo poco. Ci servono nuovi rifornimenti.»
«Dottore, ci siamo fatti procurare oltre cinquanta
cavie solo negli ultimi tre mesi, e i nostri nuovi canali non sono ancora
sicuri. Se continuiamo di questo passo rischiamo di perdere altri fornitori.»
«Quando c’è in ballo qualcosa di simile non si può
arrivare alla soluzione senza prendersi qualche rischio.» rispose secco il
dottore accendendosi un’altra sigaretta «Passate l’ordine. Voglio almeno venti
soggetti e trecento soluzioni di siero entro la fine della settimana prossima.»
«Ma, dottore…»
«E comunque non sono io a fissare le scadenze,
dottor Wong. Devo forse ricordarle che abbiamo dei
tempi da rispettare?».
Il suo sguardo non lasciava adito a dubbi o
possibilità di controbattere, e Ki-jin si affrettò a
cucirsi la bocca.
«Come ordina, dottore.» rispose semplicemente
«Chiama i nostri contatti.» disse il Deschil lasciando il laboratorio «Che si rimettano subito
al lavoro. Ed elimina quello schifo prima che impesti tutto il centro».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Finalmente, anche se con un po’ di ritardo, sono riuscito a
finire questo nuovo capitolo.
Ci ho messo un po’ e me ne dispiaccio, ma cercherò di essere
più puntuale da ora in avanti.
Da ora in poi la storia tornerà a dividersi in due tronconi,
con la differenza che questi due rami si ritroveranno ad agire spesso in teatri
e situazioni molto diverse tra loro, senza che questo impedisca però loro di
arrivare, finalmente, ad intersecarsi.
Il personaggio di Julius King è
stato creato dalla mia affidabilissima e affezionatissima beta-reader
Ely per la sua storia Spin-Off “The L Factor”, e da ora in poi la sua sarà una presenza di un
certo peso all’interno della storia, a testimonianza di quanto abbia apprezzato
il suo lavoro.
Potete trovare la storia a questo indirizzo
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2807816&i=1
A presto!^_^
Carlos Olivera