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Autore: Carlos Olivera    05/10/2014    1 recensioni
Gli uomini combattono e si accaniscono per ottenere qualcosa, e più ciò che bramano è irraggiungibile o impossibile più lo desiderano. Come la rugiada scompare al sorgere del sole, così questa loro sete di nuovi orizzonti è il sogno dentro un sogno, miraggio di qualcosa che cercheranno per l'eternità senza ottenerla mai.
Dalle lussureggianti strade di Kyrador agli infuocati deserti di Alepto, Jake Aulas e Carmy O'Neill si addentrano sempre di più nei meandri più segreti ed oscuri del loro mondo, mentre ai loro occhi si dipianano poco alla volta i fili oscuri di una grande cospirazione volta a sovvertire l'ordine mondiale di Celestis, minacciando di distruggere il fragile equilbrio che governa l'esistenza della Città delle Nebbie e di precipitare il loro mondo nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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33

 

 

Jake voleva credere che fosse tutta una coincidenza, ma se era vero che due coincidenza erano un dubbio e tre erano una prova, allora c’erano parecchi dubbi ad aleggiare sull’intera questione.

Era evidente che l’attacco all’università non era stato altro che un banco di prova.

Gli esami condotti sul corpo dell’EDA abbattuto avevano evidenziato che il dosaggio di lilith presente nel sangue non era di molto superiore agli standard abituali, e le tracce di droga esaminate dalle squadre scientifiche non avevano trovato differenze di sorta con la lilith convenzionale che da mesi girava in città.

Una teoria abbozzata nel referto suggeriva l’introduzione nella formula di un enzima capace di quadruplicare gli effetti dannosi dell’esposizione per poi autodistruggersi, risultando quindi impossibile da identificare, ma in realtà nessuno si era riuscito a spiegare come un’iniezione di Lilith fosse stata capace di generare un simile mostro nello spazio di pochi attimi.

Per produrre un’EDA di quelle dimensioni serviva un’esposizione violenta e prolungata agli effetti della droga, o quantomeno vi si doveva associare uno shock magico di elevata intensità, che a detta degli esperti non si era verificato.

Ma la presenza di quel congegno di iniezione metteva ogni cosa sotto una luce diversa.

Che non si fosse trattato di un incidente era una cosa che sapevano tutti, almeno all’interno dell’Agenzia; Jake ricordava ancora il ribrezzo che aveva provato quando gli Affari Speciali avevano rilevato il caso, imponendo a tutti coloro che vi avevano avuto un qualche collegamento di non parlare in alcun modo dell’indagine e dei relativi risvolti, pena la corte marziale.

Il problema, secondo lui, era l’eccessiva rapidità con cui si era voluta chiudere la questione; tutto perché a seguito di altri incidenti piuttosto gravi verificatisi nei giorni a seguire non era stato ritrovato, a differenza del primo caso, alcun apparecchio di inoculazione, o qualunque altra cosa che potesse far pensare ad un deliberato atto terroristico.

L’opinione pubblica però sembrava sempre meno propensa a bersi tutte le storie di copertura inventate per mascherare i casi più dubbi, e ormai bastava camminare per strada per accorgersi che tutti quegli incidenti o presunti tali stavano iniziando a trasformare Kyrador in un calderone pronto a tracimare.

Persino la proposta di riforma delle leggi sulla diffusione della magia avanzata dal presidente Fujitaka non bastava a tranquillizzare i più scettici, senza contare che se da una parte c’era tanta gente che chiedeva a gran voce la riforma dall’altra vi erano altrettanti detrattori secondo i quali le leggi attualmente in vigore erano più che sufficienti, e che la soluzione al problema fosse da cercare da un’altra parte.

Jake sentiva di non essere nessuno per poter influire realmente sulla piega degli eventi, ma d’altro canto non riusciva a non ripensare agli occhi di quel prelato quando lo aveva visto morire. E poi c’erano quelle parole: quell’ultimo rantolo di agonia.

«M-o-n-a» ripeteva tra sé e sé ogni volta che ci pensava. «Che cosa avrà voluto dire?»

Aveva provato a chiedere indagini più approfondite, ma parlare ai capoccia degli Affari Speciali era come parlare al vento, e nessuno più di loro odiava che si mettesse il naso in una loro indagine, in corso o già archiviata che fosse.

Il giovane alzò gli occhi; i tunnel della linea rossa scorrevano a grande velocità oltre il finestrino, e il vagone della metro, intasato come al solito, era pieno di studenti, impiegati, casalinghe e altre persone, volti anonimi di una routine quotidiana che si ripeteva ininterrottamente giorno dopo giorno.

Persino il barbone o presunto tale che se ne restava in disparte nel punto più lontano della carrozza non appariva insolito; insolito semmai era il suo comportamento, oltre al colorito pallido che spingeva i più a tenere le distanze per non correre il rischio di prendersi qualche malattia.

Con l’andare dei minuti, però, le condizioni di quell’anonimo poveretto erano parse peggiorare, tanto che una donna che riportava a casa la propria bimba da scuola ebbe infine compassione di lui.

«Si sente bene?» domandò caritativamente. «Vuole che chiami qualcuno?»

Quello non rispose, quasi non l’avesse sentita, e qualche attimo dopo rovinò in ginocchio tossendo violentemente.

«Quest’uomo sta male! C’è un medico tra di voi?»

Istintivamente Jake si avvicinò per dare una mano, e come fece per cercare a sua volta di soccorrere l’uomo lo vide sputare all’ennesimo colpo di tosse un fiotto di sangue scuro che, al contatto con il pavimento freddo, parve quasi ribollire, mentre le sue mani e il suo volto andavano coprendosi di minacciose croste grigie.

«Maledizione!» imprecò tirando violentemente via la donna e la bambina. «State indietro!»

E fu un bene, perché all’improvviso quel tipo apparentemente così calmo e anonimo tentò di colpire tutti e tre con una violenta manata, per poi, subito dopo, trasformarsi urlando in un essere simile ad un gorilla, con una ributtante faccia squadrata e un braccio sinistro che, appoggiandosi ad una delle aste di sostegno, aveva finito per assimilarla, staccandola di netto e facendone una sorta di appendice metallica che spuntava da dietro il gomito.

Il panico nel frattempo si era già impossessato dei presenti, che correndo nella direzione opposta all’EDA cercavano disperatamente di lasciare la carrozza schiacciandosi l’uno con l’altro verso l’uscita.

Per fortuna Jake non si fece cogliere impreparato, e quando il mostro provò ad attaccare aveva già in mano il bastone d’ordinanza.

«Light Chain!» e le catene di costrizione si materializzarono tutto attorno all’EDA, immobilizzandolo e schiacciandolo al suolo.

Nel mentre qualcuno aveva avuto la saggia idea di tirare il freno di emergenza, e con l’apertura dei portelli la gente prese a scemare fuori dal treno, sagacemente direzionata dai controllori e dal macchinista tutta in una sola direzione.

Jake era convinto che il suo incantesimo costrittivo sarebbe stato più che in grado di tenere a bada l’EDA, ma all’improvviso quella maledetta creatura, in qualche modo, riuscì a liberarsi, dissipando le catene per poi sventrare un finestrino e gettarsi a sua volta fuori.

Tuttavia, forse spaventata dalla presenza del giovane stregone, la creatura rinunciò ad attaccare i passeggeri in fuga, allontanandosi invece a tutta velocità nella direzione opposta del tunnel.

«Chiami la polizia!» ordinò Jake al capotreno.

Servendosi dell’Ice Field, che permetteva di scivolare a pochi centimetri da terra come su di una pista di pattinaggio, Jake provò a raggiungere il fuggitivo, che tuttavia nonostante la mole si muoveva molto velocemente, spostandosi sia a due che a quattro zampe; e intanto, la stazione da cui l’agente era partito si faceva sempre più vicina.

«Sono il Tenente Aulas!» disse aprendo la linea privata con il quartier generale. «Abbiamo un nove-nove-uno in corso lungo la Linea Rossa della metropolitana. Probabile Classe Torre. Inviate subito una squadra TMD alla stazione di Iuraku

 

Iuraku, così chiamata per la presenza della sede centrale delle Iuraku Industries a pochi passi dal varco d’ingresso, era una delle stazioni più grandi della metro.

Da lì passavano quasi tutte le linee dirette verso la periferia e gli altri distretti centrali, e al primo e più alto dei suoi quattro livelli ospitava anche un piccolo centro commerciale, con negozi, ristoranti, fast food e anche una zona per bambini.

Sopraelevate, corridoi sospesi e passerelle univano tra di loro gli innumerevoli binari disposti a varie altezze, e sia sulle scale mobili che sulle banchine era un continuo andirivieni di gente, locali soprattutto, ma anche molti turisti, attratti dal vicino museo di belle arti, per non parlare dell’area accademica poco lontana che ospitava istituti scolastici di tutti i livelli, dalle elementari all’università.

Il bianco panna o l’azzurro brillante delle molte uniformi scolastiche indossate dalle studentesse spezzava il grigiore degli abiti da ufficio, creando un divertente mosaico in perenne movimento e trasformazione, e la calca, per quanto opprimente, risultava pervasa da un certo ordine istintivo, dettato da un’etichetta interiore insita in ogni abitante della città, il che rendeva i forestieri, e in special modo gli stranieri, facilmente riconoscibili.

Doveva essere una giornata come un’altra, ma d’improvviso di tramutò nel preludio ad una tragedia; preannunciato da un latrato sinistro, l’EDA sbucò da un momento all’altro da uno dei tunnel del livello più basso, raggiungendo con pochi balzi le banchine e dando subito il via ad una caccia forsennata contro tutto e tutti, avventandosi ora sui civili in preda al panico ora su bancarelle, cartelli e panchine, guidato più da una specie di furia cieca che lo spingeva a distruggere ogni cosa che dalla classica fame di energia tipica dei suoi simili.

Tra la gente scoppiò il caos, che divenne se possibile ancor più drammatico nel momento in cui qualche sciagurato in sala di controllo azionò la chiusura d’emergenza dei varchi, isolando ogni singolo livello ed imprigionando così diverse centinaia di persone sulle banchine.

Raggiungendo a sua volta la stazione Jake si trovò di fronte ad uno scenario da incubo, cui cercò di porre rimedio recuperando alcune armi speciali anti-EDA dal piccolo deposito in dotazione ad ogni luogo sensibile della città, cui ebbe accesso grazie al suo tesserino da sottufficiale.

Nonostante i proiettili e gli incantesimi che presero a venirgli scagliati addosso sia dal Tenente Aulas che dalle altre guardie di sicurezza il comportamento dell’EDA seguitò a risultare alquanto insolito, ma non per questo meno pericoloso; non obbedendo all’istinto naturale di colpire chi lo attaccava, infatti, il mostro continuava ad essere in pericolo anche per tutti i civili intrappolati.

Un dipendente delle ferrovie aveva avuto la buona idea di far salire tutti su ogni treno disponibile per allontanare i civili dalla stazione, e gli sforzi sia di Jake che di tutti quelli che lo stavano assistendo armi in pugno era proprio quello di distrarre l’EDA sia dai treni in partenza che da quelli che ancora cercavano di salire.

Tra questi vi era una coppia di turisti con le loro due figlie, una delle quali di appena sei mesi; la più grande, d’un tratto, perse la mano della madre, finendo a terra travolta dalla calca. Le sue urla richiamarono l’attenzione di un giovane uomo dal colorito scuro, portamento rispettabile e ben vestito, che mollata la sua valigetta tornò velocemente indietro e raccolse la piccola restituendola ai genitori.

Sfortunatamente anche l’EDA li aveva sentiti, e vedendolo dirottare la sua attenzione sulle nuove prede Jake, istintivamente, corse incontro alla creatura, assestandole una possente spallata che quasi gli ruppe una spalla ma che riuscì a distrarla il tempo necessario per permettere alla famiglia di scappare.

Il giovane che li aveva aiutati fece per accodarsi, ma poi si avvide che Jake aveva accusato il colpo, mentre invece la creatura si era già ripresa e si preparava a caricare. Un alone di luce lo avvolse, mentre un simbolo magico compariva sotto i suoi piedi.

«Castle of Stone!»

Il muro invisibile tra Jake e il nemico si formò in modo repentino, tanto che l’EDA, lanciato all’assalto, non ebbe neanche il tempo di fermarsi andando a sbattergli violentemente contro e restando tramortito.

Un’occasione irripetibile per Jake, che gettata via l’arma mise nuovamente mano al bastone.

«Thorn Net!»

Stavolta ad avvolgere l’EDA fu una selva di acuminati rovi, anch’essi fatti di luce, ma le cui protuberanze appuntite riuscirono senza difficoltà a perforare la spessa carne della creatura, avvinghiandosi ad essa e tenendolo così prigioniero.

Fortunatamente il comando non era troppo lontano, e proprio in quel momento la squadra chiamata ad intervenire raggiunse la metro, riuscendo ad avere ragione del mostro con pochi colpi ben piazzati che lo lasciarono a terra senza vita.

 

Alla luce del luogo e dell’ora in cui l’EDA si era manifestato, le stesse autorità chiamate a indagare sull’accaduto reputarono un miracolo che non vi fossero stati né morti né feriti gravi.

Il bilancio era di qualche decina di contusi e due passeggeri del treno rimasti feriti durante la fase iniziale dell’attacco, e nessuno nutriva dei dubbi sul fatto che la presenza di Jake fosse stata ciò che aveva permesso all’EDA di fare molte meno vittime di quelle che avrebbe potuto.

«Le dobbiamo davvero molto» disse il detective a capo della squadra di polizia. «Se non fosse stato per lei, avremmo sicuramente raccolto morti a decine.»

«Ho fatto solo il mio dovere.»

Mentre finiva di enunciare il proprio rapporto Jake, girati gli occhi, intravide il giovane in abito elegante che gli aveva salvato la vita nel mezzo dello scontro, visibilmente provato dall’esperienza ma fortunatamente illeso, e gli andò incontro.

«Sta bene?» gli domandò amichevolmente

«Spavento a parte.» rispose lui cercando di abbozzare un sorriso

«Ci tenevo a ringraziarla. Il suo Castle Of Stone mi ha proprio salvato.

È un soldato per caso?»

«Io!? Figuriamoci. Sono solo un avvocato» e detto questo presentò cortesemente il suo biglietto da visita. «Julius King. Molto piacere.»

«Tenente Jake Aulas. Il piacere è mio»

«Immagino sentirò parlare di nuovo di lei molto presto. Dopo quello che ha fatto oggi, una medaglia non gliela leva nessuno.»

«Non ho fatto niente di così speciale.»

«Si sbaglia. Ha salvato molte vite, inclusa la mia.»

«E lei ha salvato quella bambina. Diciamo che siamo pari.»

«Può darsi. Il mio studio è nel Quinto Distretto, vicino Lincoln Plaza, e gli altri miei recapiti sono sul biglietto. Semmai dovesse avere bisogno di qualcosa, mi faccia pure visita.»

Giusto il tempo di ricevere ulteriori ringraziamenti dalla famiglia cui aveva salvato la figlia e recuperare la sua valigetta, ed il signor King lasciò la metropolitana seguito con gli occhi da Jake.

 

Il dottor Deschil spense la sigaretta che stava fumando nel posacenere e sorseggiò un po’ del caffè che gli era stato portato in stanza.

In quanto capo del personale scientifico aveva una libertà di movimento pressoché assoluta, e poteva girare per l’installazione come meglio credeva, un privilegio negato alla maggior parte dei suoi colleghi, ma nonostante ciò preferiva di gran lunga consumare i propri pasti nella tranquillità dello studio attiguo alla sua camera da letto piuttosto che al refettorio, in tranquillità, soprattutto quando, come in quel momento, era in attesa di conoscere gli esiti di un esperimento.

La notte era trascorsa senza che qualcuno lo chiamasse, il che faceva ben sperare, ma il traguardo che i suoi superiori gli avevano prefissato era ancora ben lontano dall’essere raggiunto.

In quanto esperto genetista il dottore aveva sempre goduto di una certa notorietà all’interno dell’organizzazione, ed era certo che se il progetto al quale stava lavorando adesso fosse andato pienamente in porto la sua posizione ne sarebbe uscita più forte che mai.

Purtroppo però la ricerca non era partita nel migliore dei modi. La difficoltà legata alla realizzazione di quel progetto aveva prodotto solo nel corso dell’ultimo anno una lista interminabile di imprevisti ed insuccessi, e ormai il tempo a disposizione per arrivare alla soluzione andava esaurendosi, e assieme ad esso la pazienza di chi su quella ricerca stava spendendo fiumi di soldi.

Come se non bastasse, l’intero progetto poggiava su di un delicato equilibrio che poteva crollare in qualsiasi momento; sarebbe bastata una fuga di notizie, un evento inatteso o un qualsiasi altro imprevisto perché tutto andasse irrimediabilmente a monte.

Il dottore gettò un ulteriore sguardo all’orologio; erano da poco passate le otto e mezza.

Stava per rimettersi a lavorare alla luce della sua lampada da ufficio quando l’interfono si mise a trillare. I battiti del suo cuore si facevano sempre più irregolari mentre lasciava cadere la penna e premeva il pulsante per rispondere.

«Cosa c’è?» domandò

«Dottor Deschil.» rispose dall’altro capo il suo assistente e collega dottor Ki-jin Wong «Deve venire subito. Abbiamo un problema».

Con passo veloce e il respiro corto per la tensione il dottore lasciò la stanza e percorse i corridoi della base fino al laboratorio di ricerca.

Per poter entrare dovette indossare una tuta protettiva e passare attraverso quattro diverse porte di sicurezza, una per ogni livello in cui il laboratorio era suddiviso. Lì dentro c’era una tale quantità di agenti pericolosi a fluttuare nell’aria che persino per chi come lui non era uno stregone sarebbero bastati pochi secondi di esposizione per perdere il controllo.

Il dottor Ki-jin Wong lo attendeva davanti ad uno specchio magico lungo e stretto che dava su una stanza completamente spoglia dove vi era un ragazzo di venticinque anni o poco più legato ad un lettino d’ospedale polsi e caviglie e collegato a dei macchinari. Dal modo di vestire doveva essere un abitante dei bassifondi di qualche grande città; sembrava stare male, sudava abbondantemente e respirava a fatica. Attorno a lui altri uomini in tuta protettiva intenti a raccogliere dati e, all’apparenza, ad estrarre dal suo corpo quanto più sangue possibile.

«Che succede?» domandò guardando oltre il vetro

«Il Soggetto cinquantaquattro è entrato in fase critica. L’infezione si diffonde troppo in fretta e fatichiamo a recuperarla»

«Avete somministrato l’agente ritardante?»

«Sissignore, oltre al siero lenitivo per contrastare gli effetti cancerogeni sul DNA, ma non sta avendo effetto».

All’improvviso quel poveraccio lanciò un terrificante urlo di dolore, poi vomitò della secrezione e subito dopo prese ad agitarsi furiosamente come un condannato sulla sedia elettrica, tanto che i lacci faticavano a tenerlo fermo. I dottori che lo attorniavano di allontanarono da lui e scapparono dalla stanza appena in tempo; dopo pochi secondi infatti quello riuscì a liberarsi e cadde a terra, trascinandosi per un po’ come a cercare una salvezza per poi trasformarsi violentemente in un’EDA.

Il dottor Wong, che non era mai riuscito a fare a callo a simili visioni, sembrava sconvolto, mentre Deschil osservava la scena con evidente disappunto.

«Maledizione.» disse a denti stretti «Proprio quando pensavo che tutto stesse andando bene».

L’EDA cominciò quasi subito a tirare spallate e pugni in tutte le direzioni nel tentativo di liberarsi, ma le pareti della stanza erano fatte apposta per sopportare questo tipo di situazioni e resistettero senza problemi. I due dottori stettero ad osservarlo per un po’, poi Deschil fece un cenno al dottor Wong che, seppur spaventato e titubante, spinse alcuni pulsanti del tastierino a lato dello specchio. Le luci della stanza si spensero di colpo, e sul pavimento si materializzò un circolo magico che travolse l’EDA con una tale quantità di energia da farlo urlare con tutta la sua forza e riportarlo alla sua forma originaria. Lo shock però si dimostrò troppo forte, e quando, tornata la luce e spentosi il cerchio, le guardie entrarono nella stanza armi alla mano il soggetto cinquantaquattro era già morto.

«Quanti soggetti per le sperimentazioni ci sono rimasti?» domandò il Deschil quando furono entrambi fuori dal laboratorio e poterono togliersi i caschi

«Mi pare dieci, dottore. E siero per altre due settimane.»

«Troppo poco. Ci servono nuovi rifornimenti.»

«Dottore, ci siamo fatti procurare oltre cinquanta cavie solo negli ultimi tre mesi, e i nostri nuovi canali non sono ancora sicuri. Se continuiamo di questo passo rischiamo di perdere altri fornitori.»

«Quando c’è in ballo qualcosa di simile non si può arrivare alla soluzione senza prendersi qualche rischio.» rispose secco il dottore accendendosi un’altra sigaretta «Passate l’ordine. Voglio almeno venti soggetti e trecento soluzioni di siero entro la fine della settimana prossima.»

«Ma, dottore…»

«E comunque non sono io a fissare le scadenze, dottor Wong. Devo forse ricordarle che abbiamo dei tempi da rispettare?».

Il suo sguardo non lasciava adito a dubbi o possibilità di controbattere, e Ki-jin si affrettò a cucirsi la bocca.

«Come ordina, dottore.» rispose semplicemente

«Chiama i nostri contatti.» disse il Deschil lasciando il laboratorio «Che si rimettano subito al lavoro. Ed elimina quello schifo prima che impesti tutto il centro».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Finalmente, anche se con un po’ di ritardo, sono riuscito a finire questo nuovo capitolo.

Ci ho messo un po’ e me ne dispiaccio, ma cercherò di essere più puntuale da ora in avanti.

Da ora in poi la storia tornerà a dividersi in due tronconi, con la differenza che questi due rami si ritroveranno ad agire spesso in teatri e situazioni molto diverse tra loro, senza che questo impedisca però loro di arrivare, finalmente, ad intersecarsi.

Il personaggio di Julius King è stato creato dalla mia affidabilissima e affezionatissima beta-reader Ely per la sua storia Spin-Off “The L Factor”, e da ora in poi la sua sarà una presenza di un certo peso all’interno della storia, a testimonianza di quanto abbia apprezzato il suo lavoro.

Potete trovare la storia a questo indirizzo

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2807816&i=1

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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