Tempo, pratica e… risultati
Tōkyō 1974
Mitsuki prese il suo bambino dalle braccia del marito e si
tappò il naso. – E meno male che lo “svanito” è Tatsuo! – commentò con
un sorrisetto beffardo, – Come minimo, sarà ormai da mezz’ora che Genzō doveva
essere cambiato, ma tu… –
– Ero concentrato sulle scartoffie! – si giustificò
Yūta interrompendola accigliato, – E, comunque, tu potevi anche avvertire
di aver fatto quella grossa… – protestò sbuffando e puntando con il dito indice
il moccioso, che lo fissava con quell’arietta da furbo. Sua moglie rivolse lo
sguardo di pece al soffitto – Non sa ancora parlare… –
– Ma, quando gli comoda, il bastardino, ti assicuro che sa,
tirare fuori voce e grinta! – la interruppe di nuovo, facendo spallucce e
incrociando le braccia al petto. – Già, – ammiccò sua moglie, – chissà perché,
mi ricorda vagamente qualcuno… – Yūta si alzò dalla scrivania e la strinse
tra le braccia, sussurrando all’orecchio – Chi? –
Genzō, nel frattempo, aveva preso a mordicchiarsi un
pugnetto, poi guardò sua madre e si mise a frignare un po', giusto per richiamare
l’attenzione, che ottenne, e Mitzi lo allontanò. – Prima lasciami andare a
cambiarlo, Yū, abbiamo tempo anche dopo… –
Uscì dallo studio per andare in bagno e fare ritornare il
suo piccolo campione di pupù a profumare di bebè. Dopo averlo sistemato sul
fasciatoio, sciolse il nodo del pannolino di stoffa e lo mise subito a lavare; all’emporio
aveva visto quelli usa e getta di plastica, ma li aveva lasciati sullo scaffale.
Anche se ormai non erano più con l’acqua alla gola, come appena arrivati da
Odawara, da soli, ancora troppo giovani e senza un soldo, la forza
dell’abitudine a non sprecare era dura a morire per entrambi.
Con gesti sicuri e rapidi, lo spogliò completamente della
tutina, lo prese in braccio e si assicurò che il bagnetto fosse alla
temperatura ottimale, mentre lui giocherellava con i suoi capelli, tirandoli
leggermente. Immerse delicatamente il suo cucciolotto nell’acqua tiepida,
solleticandogli il pancino, e lui apprezzò mostrando le gengive vuote, per poi
mettersi a sgambettare felice, spargendo spruzzi e gocce ovunque.
Alla fine, bello e pulito, lo avvolse in un telo, cosparse
di talco il sederino e annodò un nuovo triangolo di stoffa, mentre Genzō,
per tutto il tempo, aveva gorgogliato, nel suo modo ancora incomprensibile, di
approvazione, come a dire: – Il pannolino, lo cambia meglio la mia mamma! – Lo
prese in braccio, cullandolo dolcemente, e annusando la sua testolina morbida e
profumata, per poi sfiorarla con le labbra.
La mano si posò sul fianco, il braccio le circondò la vita, mentre
l’aroma di dopobarba maschile solleticava le sue narici. – Direi che è arrivata
l’ora di mettere il moccioso a dormire… – sussurrò la bocca appena accostata al
lobo del suo orecchio.
Si voltò con aria studiatamente impassibile, reggendo il bimbo
nell’incavo del gomito; ma furono imprigionati entrambi in una stretta risoluta,
niente affatto scoraggiata dal piccolo intruso che era stato messo in mezzo
all’intento di ampliamento familiare.
Con la mano libera, Mitsuki sfiorò la cravatta stropicciata
e sbavata, poi arricciò il naso, disgustata – Puzza di rigurgito! – Suo marito ammiccò
e sogghignò – Allora toglila! – Lei iniziò ad allentare il nodo – Facciamo
così: io vado a farmi un bel bagno rilassante, mentre tu addormenti il campione…
– propose, – Chi finisce prima, raggiunge l’altro. –
Poi, la mano libera di sua moglie si dedicò ai primi due
bottoni della camicia, tanto per dargli un incentivo, seppur non necessario;
Yūta si chinò per prendersi un anticipo sul compenso, ma il bastardino si
intromise piazzando la manina sulla sua faccia, mentre emetteva una specie di
borbottio di incomprensibile ma evidente disapprovazione.
Lui sbuffò, rassegnato, staccandosi riluttante
dall’abbraccio e prendendo Genzō. – Sei petulante, fastidioso, e vuoi
essere sempre al centro dell’attenzione! – Lei ridacchiò e fece roteare le
iridi nere – Noto una certa vaga somiglianza… –
* * *
La stanza era immersa nel buio.
Il completo di sartoria nero era stato appeso con cura sull’ometto,
lo yukata, invece, giaceva sul pavimento; mentre il disturbatore
tascabile dormiva beatamente, come un angioletto, nella culla accanto al letto
matrimoniale.
Poi, il pianto di neonato ruppe il silenzio.
– Che tempismo! – sibilò incrociando le mani dietro la nuca,
– Sta mettendo i dentini, Yū… – che socchiuse le palpebre, – Io sono
convinto che lo faccia apposta! –
– Magari è soltanto geloso e possessivo, proprio come
qualcuno di mia conoscenza… – lo stuzzicò mentre accendeva la lampada sul
comodino; poi si alzò, prese il bambino, che si calmò immediatamente, e lo
portò nel lettone in mezzo a loro.
Di nuovo tra i piedi.
– Ma guardalo: se la ride pure il bastardino! – Yūta
passò il braccio sotto le spalle di sua moglie, attirando entrambi a sé; il
moccioso sfoggiava uno dei suoi sorrisi ancora vuoti, ma in cui un piccolo
chicco di riso candido era appena spuntato.
Mitsuki osservò prima il figlio, poi il marito.
– Il mini ghigno sbieco di Genzō è già tale e quale al
tuo! –