Capitolo
11
The
End Of Childhood
“Queste
non sono mie”.
Sirius
sollevò davanti a sé un indumento di biancheria intima. James, disteso sul suo
letto, rispose con un grugnito automatico: era troppo concentrato nella lettura
del libro che aveva trafugato dal Reparto Proibito. Con un lancio preciso, fece
atterrare gli slip tra le pagine aperte e riprese a gettare grovigli di vestiti
nel baule.
“Non sono
neppure mie” rispose finalmente James, infastidito.
“Allora
sei presente?”.
Sirius
diede un calcio casuale a un paio di scarpe che l’avevano fatto inciampare poco
prima, spedendole sotto al baldacchino di Phillips.
“Sto solo
cercando di capire perché mai ogni volta che tentiamo la trasformazione ci esca
così tanto sangue dal naso…”.
“Preferisco di gran lunga il sangue alla diarrea dello scorso anno” mugugnò
Sirius, rabbrividendo al solo ricordo.
Di certo
Remus non avrebbe mai potuto accusarli di non essere dei buoni amici.
“Non va
bene ugualmente” disse James, massaggiandosi il setto.
Aveva un
paio di occhiaie identico al suo. Chiunque pareva dare per scontato che fossero
il frutto di notti brave, invece erano il risultato di ore passate a infilarsi
metri di cotone nel naso. Pareva che i comuni Incantesimi di guarigione non
funzionassero con quelle particolari controindicazioni.
“Comunque
le mutande sono di Georgiana Ronson”.
“Come fai
a…”.
James le
sollevò indicandogli le iniziali cubitali ‘GR’ color argento che campeggiavano
sul didietro in pizzo.
“La
ragazza è tenace”.
“È il
terzo paio della settimana che mi ritrovo nella cartella. Inizio a indispormi”.
James
agitò la bacchetta e fece levitare la biancheria fino al materasso di Peter.
Sirius lo guardò infilare gli slip sotto al cuscino dell’amico, senza riuscire a
nascondere un sorriso ferino.
“Almeno
serviranno a rendere felice qualcuno” James scrollò le spalle, ritornando al suo
libro “I tuoi peli?”.
“Ah…”
Sirius sfilò la camicia senza sbottonarla “Volevo dirtelo, sono quasi spariti”.
Esibì la
schiena, ormai quasi del tutto pulita. Durante l’ultimo tentativo, gli era
comparso un tappeto di foltissimi peli neri su tutto il dorso e non c’era stato
verso di farli sparire. Erano caduti lentamente per tutta la settimana.
“Ti è
rimasto un ciuffo in basso” James aggrottò le sopracciglia “Disgustoso ma almeno
è in regressione”.
“Non
voglio trasformarmi in una specie di scherzo della natura, la prossima volta”.
Sirius
tornò al suo bagaglio, tentando di riepilogare cos’altro stava dimenticando.
“Siamo
ancora troppo instabili. Forse per riuscire a fare il salto dovremmo tentare la
trasformazione di un arto alla volta”.
“Sì, mi
immagino già a Trasfigurazione con un braccio da orso e una coda da procione. La
McGranitt sprizzerà gioia”.
“Non
sappiamo ancora a che forma corrisponderemo” lo redarguì James, serissimo.
“Appunto.
Peter tiene addosso il berretto anche di notte, hai controllato le sue
orecchie?”.
“Sono
quasi guarite. Quanto la fate lunga! Provate a camminare per cinque giorni con
un paio di zoccoli al posto dei piedi. Altro che orecchie o peli… gli
allenamenti sono stati un inferno!”.
“Beh,
almeno tu hai qualche indizio in più su cosa potresti essere. Tipo un
cinghiale”.
James gli
rivolse un’occhiata fulminante e Sirius alzò le mani in segno di pace.
“Va bene,
va bene” disse “Il baule dovrebbe essere pronto”.
“Tra
quanto è prevista la partenza?”.
“Mezz’ora”
ripose, cercando inutilmente una camicia pulita “È un peccato che il tuo vecchio
sia così intransigente, se ci fossi stato tu sarebbe stato almeno sopportabile”.
James
chiuse di botto il libro e crollò con la fronte sulla copertina.
“Non sai
quanto vorrei accompagnarti. Questa sera mi aspettano quattro ore di pulizie nei
bagni del terzo piano”.
“Preferirei pulire tutti i bagni di Hogwarts piuttosto che andare al matrimonio
di Narcissa, credimi”.
“L’invito
dei tuoi zii era una pura formalità e sai com’è mio padre, tende a essere un
tantino rigido per certe questioni”.
Sirius
puntò con lo sguardo una camicia inamidata distesa sul letto di Remus.
“Non posso
davvero biasimarlo” replicò “Avvisi Remus che l’ho presa in prestito?”.
“Certo.
Dovrebbe rientrare al massimo domani”.
“Pensaci
tu a rimetterlo in sesto. Non so se la storia del Prefetto sia stata una buona
idea…”.
“Certo che
lo è, la vecchia canaglia non sbaglia mai”.
“Non lo
so… dovrebbe servire a stringerci il guinzaglio e a fargli acquistare sicurezza
ma mi sembra che entrambi gli obiettivi siano stati mancati, per ora. Remus si
fa troppi scrupoli”.
“Deve solo
abituarsi” James si mise a sedere “Un grosso problema da risolvere, piuttosto, è
la verginità sempiterna di Peter”.
Sirius
scoppiò a ridere, chiudendo il bagaglio.
“Mi pareva
un discorso troppo serio” disse James “Ti accompagno”.
Sistemarono il baule nel centro della stanza, dove gli Elfi l’avrebbero
recuperato, e si avviarono verso la Sala comune. Sirius salutò Peter, chino
sulle pergamene di Aritmanzia con la fronte imperlata di sudore, e insieme a
James oltrepassò il ritratto, lasciandosi alle spalle il calore rassicurante dei
dormitori. Poco dopo superarono le clessidre luccicanti nel Salone d'ingresso ed
entrambi notarono con disappunto l’esiguo vantaggio su Serpeverde.
“Merlino,
che freddo”.
James
infilò le mani nelle tasche, mentre i pesanti battenti si spalancavano
lentamente sul parco innevato.
“Non fare
niente di divertente senza di me” disse Sirius, chiudendo il mantello.
“E tu non
fare quella faccia, tra tre giorni sarai di nuovo qui”.
“In tre
giorni con i Black può succedere qualsiasi cosa. E poi tra poco ci saranno le
vacanze di Natale, sto preparando il lutto”.
James alzò
gli occhi al cielo.
“Va bene,
vado” ridacchiò Sirius, allontanandosi.
“E dai un
bel bacio a Cissy da parte mia” gli urlò dietro l’amico, quando stava già
solcando il sentiero.
Sirius
sorrise senza voltarsi, stringendosi nel mantello. Il sole era tramontato da un
buon quarto d’ora e quando raggiunse il cancello ovest la neve riprese a cadere;
nella penombra riconobbe Regulus, ritto come un fuso nel bel mezzo del gelo
invernale.
Si
scambiarono dei saluti a mezza bocca. Dall’inizio dell’anno suo fratello
sembrava essere già cresciuto in altezza; portava i capelli più lunghi e l’idea
che così si assomigliassero maggiormente infastidì Sirius.
“Papà ha
mandato una carrozza” disse Reg, estraendo il suo orologio da taschino “Dovrebbe
essere qui a momenti”.
“Non vedo
l’ora” mormorò Sirius.
Il suo
commento passò sotto il più totale silenzio. Sarebbe stato un lunghissimo fine
settimana.
*
La crisi
iniziò mentre sua madre tentava di stringere il nastro d’argento attorno al
bouquet e Narcissa fu la prima ad allarmarsi.
“Madre?”
squittì, voltandosi di scatto nella sua direzione.
La donna
alzò una mano pregandola di star ferma, mentre con l’altra copriva a stento la
bocca.
“Ti prego,
cara, devo chiudere questa fila di bottoni…” lamentò la sarta.
Il bouquet
le cadde dalle ginocchia dopo un colpo di tosse troppo forte, fu come un istante
riprodotto al rallentatore; i boccioli si infransero sul tappeto scuro e qualche
petalo candido non scampò all’impatto.
“Bella fai
qualcosa!”.
Gli occhi
profondi di Narcissa la fissarono terrorizzati. Sua sorella rimase immobile,
stretta – imbrigliata – nel suo abito da sposa, tra le mani salde della
sarta, mentre lei si chinava verso sua madre.
“Le mie…”
rantolò la donna, di fronte al suo sguardo impassibile “le mie…”.
“Le
essenze, Bella!”.
Estrasse
le essenze dalla pochette posata sul comò, dove erano raccolte in una boccetta
d’oro, e le spinse sotto al suo naso. Inizialmente sembrò non riuscire a
inalarle poi, lentamente, fecero effetto e la tosse si calmò. Narcissa si
rilassò all’istante.
“State
meglio?” chiese, con un sorriso tremulo.
“Certo”
rispose Druella, la voce arrochita dallo sforzo “È solo un po’ di tosse, niente
di che”.
“I malanni
stagionali” pigolò la sarta con aria saputa, chiudendo gli ultimi bottoncini.
Raccolse
il bouquet da terra e lo adagiò nuovamente nel grembo della madre, alzando gli
occhi sul guanto che le foderava la mano con la quale aveva tenuto a bada la
verità: macchie di sangue scuro grandi come punte di spillo ne ricoprivano tutto
il palmo. Lei la implorò con un’occhiata patetica e l’Incantesimo le attraversò
la mente un momento dopo, la bacchetta nascosta in una manica del vestito. Ogni
traccia si dissolse, cancellandosi, e lei riprese ad annodare il nastro, un
centimetro alla volta, con spaventosa dedizione. Se qualcuno tempo prima le
avesse detto che sua madre si sarebbe ammalata d’umiliazione, non gli avrebbe
creduto. Bella aveva il monito ancora impresso nella mente: “i Black hanno il
sangue puro, e il sangue puro è forte. Indistruttibile”.
“Avevate
detto che avreste chiamato il medico, perché non l’avete fatto?” sbottò Cissy
con tono accorato, quando la sarta si allontanò.
Sua madre
tacque, fissandola in estasi. Narcissa aveva scelto una cascata di pizzo bianco
spruzzata di cristalli, le maniche e il colletto stretti sulla carne visibile in
trasparenza, fino al corpetto che le fasciava la vita. I capelli le ricadevano
sulla schiena e la tiara tirava morbidamente indietro le ciocche che avrebbero
potuto coprire il viso. Era bellissima, ma chiunque se lo sarebbe aspettato.
“Oh,
figlia mia… Sei meravigliosa” esalò Druella.
Bellatrix
si voltò per nascondere l’insofferenza, con il pretesto di recuperare il collier
ancora rinchiuso nella fodera, e si allontanò da quella visione nauseante.
L’unica cosa che desiderava era che la giornata trascorresse il più velocemente
possibile. Quando si piegò per tirar fuori il gioiello dall’ultimo cassetto del
comò, la ferita al fianco bruciò intensamente. Le sfuggì un gemito che richiamò
l’attenzione di sua sorella, mentre invece sua madre pareva essere troppo rapita
dalla contemplazione della sposa per prestare attenzione a qualunque altra cosa.
“Madre, da
qui in poi potrà aiutarmi Bella” disse Cissy, prendendole le mani “Precedetemi
pure, nostro padre inizierà a sentirsi solo”.
Dopo un
ultimo sospiro adorante, Druella annuì, commossa. Bellatrix abbassò la testa al
suo passaggio, avvicinandosi a Narcissa con i diamanti distesi attorno a un
polso.
“Manca
solo questo” disse.
Sua
sorella si limitò a fissarla. Si fronteggiarono a lungo, in silenzio.
“Non
solo questo” mormorò Cissy, alla fine.
Bella si
irrigidì.
“Non è il
momento”.
“Non so
neppure perché lo sto facendo”.
“Che
cosa?”.
Sembrò che
volesse chiederle scusa.
“Penso a
lei da questa notte. Non ho mai pensato a lei così a lungo da quando…”.
Bella
scosse la testa e il volto perfetto della sorella si distorse in un’espressione
di dolore. Fu un momento, gli occhi si velarono di lacrime e le labbra si
contrassero attorno alle due parole più distruttive che avrebbe potuto
pronunciare.
Mi manca.
Narcissa
non parlò ad alta voce, neppure sussurrò, furono solo lettere accarezzate con la
bocca. Nessun altro avrebbe potuto udire, nessun altro capire. La verità era che
non erano state preparate, né messe in guardia in merito a quella possibilità:
il pericolo di perdere quanto di più caro avevano al mondo.
Bella
forzò il pianto in rabbia, il modo migliore per fuggire dal male.
Non
possiamo permetterci nulla di tutto questo. Le lacrime sono per i bambini e
l’infanzia è finita per sempre.
La sorella
concentrò intensamente lo sguardo sui diamanti che rilucevano di bagliori
sinistri, una lacrima appesa al mento, più preziosa di qualunque altra pietra.
Bella fece scivolare i brillanti sulla sua pelle, il più delicatamente
possibile, e fu pronta.
“Sei
bellissima”.
Narcissa
sorrise sinceramente.
“Cos’hai
lì?”.
“Dove?”.
Strofinò
un indice all’interno del colletto di Rodolphus, la macchia era ancora fresca e
il polpastrello si tinse di rosso. Lui posò il calice sulla tovaglia immacolata,
poi le prese la mano e infilò il dito tra le labbra, succhiando senza ritegno.
Oltre la sua spalla, Bella incrociò lo sguardo di Druella e si concesse un
ghigno soddisfatto.
“È per
questo che sei arrivato in ritardo alla cerimonia?” chiese, quando sua madre si
arrese e deviò l’attenzione altrove.
“Ho
sostituito lo sposo in una faccenda spinosa. Tua sorella non avrebbe gradito se
si fosse presentato ricoperto di sangue”.
“Terence
era con te?”.
All’altro
capo del tavolo, Mulciber alzò un bicchiere di sidro all’indirizzo degli sposi.
“Sì. Ha
uno strano modo di intendere la tortura. L’obiettivo non è durato più di dieci
minuti”.
“È un
principiante”.
“Non
direi. Il cervello è rimasto intatto e non ho idea di come ci sia riuscito,
abbiamo ripulito i resti per due ore”.
“Tempo
sprecato”.
Rodolphus
scrollò le spalle e ridacchiò.
“Quel
bastardo… si è infilato un alluce nel taschino. Tu hai idea di cosa voglia
farci?”.
Terence si
voltò nella loro direzione, un fazzoletto di seta rossa ripiegato là dove doveva
trovarsi il macabro souvenir. Bella notò la strana protuberanza che tendeva la
stoffa e sospirò d’irritazione.
“Ti prego
fallo sparire prima che si ubriachi e faccia finire quella schifezza nel piatto
di qualcuno”.
Rodolphus
scoppiò a ridere sonoramente, attirando l’attenzione di diversi commensali, e si
calmò solo quando suo fratello maggiore gli assestò una gomitata al riparo del
tavolo.
“Agli
ordini, mia signora” disse poi, massaggiando una costola.
“Chi
era?”.
“Non ne ho
idea. Aveva delle informazioni, a Lui bastava quello che gli abbiamo portato”.
“Come ti è
sembrato?”.
“Non l’ho
visto. Abbiamo lasciato la consegna al quartier generale, non c’era nessuno”.
Bella
accavallò le gambe, fissando laconicamente i resti della seconda portata
accumulati nel piatto: il menu ne prevedeva almeno altre cinque e non era in
grado di prevedere con precisione a che punto sarebbe accaduto, ma di certo
avrebbe vomitato prima di arrivare al dolce. La neve incantata, asciutta e
distribuita in fiocchi perfetti, continuava a cadere dal cielo, sciogliendosi un
secondo dopo essere atterrata. Il caldo era così opprimente e la sala talmente
affollata che le pareva di soffocare. Il corsetto, poi, segava la pelle proprio
dove la ferita era ancora aperta, limitandola nei movimenti. Mentre una stecca
affondava nella carne viva e lei soffocava il dolore in un morso serrato,
Narcissa guardava Lucius come se fosse un’emanazione divina. Lui la stava
educatamente ignorando, preso in qualche chiacchiera politica di poco conto con
suo padre. Bella gli leggeva negli occhi il disprezzo, il vanto per una
superiorità dovuta unicamente al caso. Del resto, poteva davvero uno schizzo di
sperma nobile essere migliore di un altro? Il pensiero la fece ridere tra sé e
sé. Le mancava solo qualcosa tra le gambe, qualcosa tra le gambe e avrebbe
potuto essere il capo degli eredi seduti a quel tavolo. Rodolphus le sorrise
ancora, in modo complice. Lo sarebbe diventata comunque. E lui, l’aveva già
capito?
Ingoiò
l’ultimo sorso di vino. L’orchestra d’archi sospesa a mezz’aria intonò l’attacco
di un valzer. La musica le fece perdere il conto dei bicchieri che aveva
svuotato e le riportò la mente su sentieri pericolosi. L’aveva incontrato nel
corridoio di marmo bianco, appoggiato con indolenza a una parete, la sigaretta
accesa e la camicia stropicciata, sbottonata, come se fosse reduce da un
festino. La cerimonia stava per iniziare, tutti erano già schierati, oltre
l’entrata, e lui era l’unico a essere rimasto lì, proprio come lei, che
aspettava Rodolphus con un geranio bianco tra le mani. Non l’aveva salutata. Si
era solo voltato e aveva aggrottato le sopracciglia, gli occhi grandi adombrati
dalla furia. Aveva un labbro spaccato, la crosta sembrava tendersi a ogni tiro,
ma questo non gli aveva impedito di sorridere con strafottenza, prima di
dileguarsi. “La prossima sarai tu”, aveva sussurrato.
“Cugina,
mi concedi questo ballo?”.
Bella
trasalì, trascinata a forza fuori dai suoi pensieri.
“Non è il
caso di agitarsi così, la mia è pura cortesia. Del resto sei l’unica femmina
seduta a questo tavolo” aggiunse Rosier.
Accettò
l’invito con un moto di stizza, ignorando la mano che le stava porgendo e
precedendolo sulla pista. Quando fu il momento di attaccare il primo passo, gli
afferrò la vita.
“Quanto mi
piaci quando fai il maschiaccio” sibilò Evan, stringendosi a lei.
“Guarda e
impara”.
Prese la
guida con decisione, attirando lo sguardo confuso di qualche dama. Evan si
lasciò addomesticare per i primi tre tempi, rivelandosi una ballerina piuttosto
talentuosa, poi sovvertì la situazione premendole un palmo sulla ferita.
“Stai
buona” mormorò al suo orecchio, pilotandola nuovamente al centro della pista.
Bella
serrò gli occhi e si lasciò trasportare.
“Sbaglio o
avresti dovuto essere tu, la sposa?” chiese lui, una volta certo della
sua resa.
“Ho
preferito lasciare la scena a Narcissa. In posa rende meglio di me” rispose.
“Brava
ragazza. C’è chi si chiede se l’affare con Lestrange andrà in porto”.
“È già
andato in porto da un pezzo, lo sanno tutti”.
Evan rise,
inarcando le sopracciglia.
“Mi
riferisco al contratto matrimoniale”.
“Anche
io”.
Bella gli
conficcò le unghie nel braccio, quando le sembrò che stesse tentando di farla
cadere.
“Per
Salazar, quanta tensione. Cosa ti preoccupa, cara?”.
“Non hai
trovato nessuna vittima di tuo gusto, tra le invitate?”.
Lui curvò
in velocità, seguendo la musica.
“A dirti
la verità, la Selwyn controlla la scollatura in modo così pudico… è invitante”.
“Che
peccato. Puntavo su suo fratello”.
“Un’eccellente alternativa”.
Volteggiarono di fronte al tavolo di zia Walburga e, con la coda dell’occhio,
riuscì a cogliere l’assenza di Sirius.
“Non ti ho
invitata a ballare per mero divertimento, comunque” Evan rallentò appena “Devo
riportarti notizia”.
Bella
scrutò a lungo il suo volto, tentando vanamente di identificare una traccia di
ironia.
“Cosa?”.
“Mi è
stata appena riferita da Avery, pare siano voci fresche da Hogwarts”.
“Parla”.
Evan non
esitò.
“Pare che
tua sorella sia incinta”.
Il suo
sguardo corse subito a Cissy, mentre lui la faceva volteggiare per la piroetta
conclusiva. Quando si ricongiunsero, Evan scosse la testa.
“Non
lei, Bella”.
*
Sirius
tamponò il labbro con il tovagliolo, seduto nel chiostro esterno. Si gelava,
quasi certamente si sarebbe guadagnato una febbre da cavallo, ma il freddo
sedava la rabbia, costringendolo a tremare. La spaccatura nel labbro si era
riaperta, l’umiliazione era tornata a bruciare insieme alla carne viva. Lo
schiaffo di sua madre - l’anello che aveva strappato via pelle e sangue -;
Regulus che distoglieva lo sguardo nel silenzio compiaciuto di suo padre; gli
invitati che avevano assistito alla scena con serafica curiosità. Aveva gettato
la giacca chissà dove, in uno dei buchi spettrali della casa degli zii, e
addosso non aveva nient’altro che la camicia, sopravvissuta al tentativo di
liberazione che aveva fallito, in preda alla furia. Non ricordava neppure il
motivo di tanta collera. Cosa aveva detto? Cosa aveva fatto?
Le
finestre si aprivano sulla sala da ballo, dove gli invitati danzavano con
eleganza. Per loro era impossibile vederlo, non c’era luce che rischiarasse il
cortile di pietra, mentre lui aveva quello spettacolo fasullo a fargli
compagnia, luci dorate e abiti da festa sullo sfondo muto della campagna
inglese.
“Tra tre
giorni sarai di nuovo qui”.
Oh, James.
Ma tre giorni non sono sufficienti a farti sprofondare?
Il rumore
dei tacchi piantati nella pietra infranse la quiete, mettendolo in allarme. Quel
passo…
Bellatrix
emerse dall’ombra. Era sola e sembrava sconvolta. Dall’ultima volta in cui
l’aveva vista aveva perso peso, si era assottigliata. Quando si immobilizzò, a
pochi passi da lui, lo colse la delirante intuizione che fosse venuta a
cercarlo, forse per assecondare le ansie di Walburga. Mentre stava ancora
formulando il pensiero, lei gli puntò contro la bacchetta.
“Lasciami
in pace” le disse, lanciando l’ultimo mozzicone nella neve “Ho abbastanza freddo
per rientrare da s-”.
Perse
contatto con il terreno e l’unica cosa di cui restò consapevole fu il vuoto.
Improvvisamente, senza un collegamento tra il prima e il dopo, si ritrovò
immerso nel ghiaccio di schiena, il respiro mozzato e un dolore intenso che si
irradiava dalla spalla sinistra fino al petto. Non la sentì arrivare, forse lei
era già lì ancora prima che atterrasse, china su di lui.
“Dov’è?”
ringhiò, premendogli la bacchetta addosso.
Sirius
sentì il panico aggrovigliargli le viscere.
Andromeda.
Non fece
in tempo a prepararsi per il secondo schianto. L’energia lo trapassò e si
scaricò nel suolo, facendo sobbalzare il suo corpo come quello di un pupazzo
inanimato. Chiuse gli occhi, smise di respirare una seconda volta. Il cervello
si inceppò su considerazioni elementari. È così freddo, freddo, fred-mi
ucciderà ora? Proteggere Andro-dov’è?dov’è?
Fingersi
morto o almeno svenuto. Srius obbedì alla voce nella sua testa, non si mosse
più. La mente riprese a lavorare più lentamente. I piedi di Bella, sepolti nei
metri di tulle, dovevano essere poco lontani dalla sua gamba destra. La sorpresa
lasciò spazio alla consapevolezza.
“Inner-”.
Non le
diede il tempo di terminare la formula, si girò sul fianco e spazzò il selciato
sotto di lei con le gambe, sbilanciandola all’indietro. Le fu sopra ancora prima
che cadesse, si impossessò della bacchetta e la lanciò lontano nell’oscurità. I
suoi graffi colpirono il collo e il petto, per un attimo riuscì a divincolarsi,
poi Sirius la sollevò, approfittando del suo peso, e la schiantò a terra,
facendole sbattere la nuca. Bella soffocò un gemito digrignando i denti. La
schiacciò senza nessuno scrupolo, piantandole i polsi sopra la testa,
sfregandoli sui ciottoli affilati.
“Ti
uccido” sfiatò.
Avrebbe
voluto urlare, invece lo scontro l’aveva lasciato ansimante. La rabbia ottundeva
i sensi, l’aria sembrava improvvisamente così incandescente, il dolore non
esisteva più. C’era solo il desiderio bestiale di colpirla fino a farle chiudere
quegli occhi crudeli.
La gola di
Bella, tesa all’indietro, si contrasse. Stava ridendo.
“Uccidermi…” gorgogliò, senza più muoversi.
I suoi
capelli affondavano nella neve fresca, serpenti neri arrotolati e vivi, le
labbra erano bianche come il gesso, tese sui canini appuntiti. Non sembrava
neppure umana.
“Lasciala
in pace, Bella, hai capito?”.
Aveva
recuperato un po’ di fiato e la minaccia non suonò del tutto vuota. Lei non
commentò ma smise di ridere.
“Te lo
giuro, Bella. Se le fai del male ti uccido”.
Nessun
Incantesimo, solo le mie mani strette intorno al tuo collo.
Lei lo
guardò a lungo negli occhi, impassibile, poi scosse la testa.
“È colpa
tua”.
Fu un
sussurro ma non c’era nient’altro intorno a loro e risuonò nel nulla come un
tuono. Sembrava esausta. Per un istante, Sirius fu sul punto di pentirsi per la
violenza con cui l’aveva trattata. Le lasciò lentamente i polsi, senza smettere
di guardarla. Le dita di lei si sollevarono rapidamente e non riuscì a scansarle
in tempo. Si paralizzò quando, invece di sentirle conficcate nella carne, le
avvertì scivolare sulla pelle, dal colletto della camicia alla mascella e poi
oltre, lungo la tempia, attraverso una linea invisibile che gli solcava la
fronte. I polpastrelli di Bella sembrarono percorrere strade così familiari sul
suo viso, come se conoscesse precisamente la meta. Lo sguardo di Sirius si
appannò. Pensò che si trattasse di un Incantesimo e temette di soccombere,
invece la vista si fece nitida quasi immediatamente. Il palmo di Bella accolse
una sua guancia, in un contatto così naturale… così naturale. La vista si
appannò di nuovo. Capì di stare piangendo quando vide una goccia d’acqua
infrangersi sulle labbra di lei, esplodere nel vapore grigio dei loro respiri.
Anche Bella piangeva, le lacrime scavavano due tracce precise ai lati del suo
viso.
Perché?
La lama
penetrò nella mente all’improvviso, sfrecciò nel profondo del suo essere
tranciando una resistenza debole.
“Io
ti amo”.
La voce
urlò nella sua coscienza.
Sirius
scattò all’indietro e finì nuovamente nelle braccia ghiacciate dell’inverno.
Scappò prima che qualsiasi risposta potesse raggiungerlo.
*
Due
settimane dopo
Aveva gli
occhi chiusi e fu per questo che riuscì a sentire la presenza di Remus quando
era ancora in fondo alle scale. A occhi chiusi il mondo era chiaro, non poteva
nascondere nulla di veramente vicino e il pericolo di spaventarsi per qualcosa
di ancora lontano era scongiurato. Lo sapeva meglio di chiunque altro: gli
incubi peggiori si affollavano sempre sull’orizzonte.
“Sirius”
l’amico gli sorrise, sollevato “Da quanto sei qui?”.
Si rigirò
la pergamena tra le mani. I bordi si erano consumati, per quante volte l’aveva
aperta e ripiegata.
“Non lo
so” confessò.
Remus
sembrò cogliere al volo i sottintesi di quell’ammissione, infatti si rabbuiò e
lo raggiunse, sedendosi al suo fianco, sullo scalino
“Ti
stavamo cercando”.
“Scusa. È
che dovevo spedire una lettera… poi…”.
Il
risultato era ben evidente e smise di parlare prima di ribadire l’ovvio.
“Che cosa
non va?”.
“No, sto
bene. È solo questa stupida lettera”.
Si forzò
in una risata. Era il genere di stratagemma che sembrava riuscirgli meglio, in
situazioni del genere; ma, ancora una volta, quel poco di buono che c’era nel
suo sangue – il talento innato nel mentire – lo tradì.
“James non
è d’accordo, però io credo sia meglio parlarne…”.
“Parlare
di che?”.
“Cosa è
successo?”.
Il brivido
non sfuggì allo sguardo vigile di Remus, che forse dovette spaventarsi a morte,
anche se non lo diede a vedere. Sirius gliene fu immensamente grato.
“Cosa ti è
successo? Dal tuo ritorno sei un fantasma. Se non ci spieghi qual è il problema
non possiamo aiutarti a risolverlo” continuò, con voce calma.
Il vento
spazzò le scale e Sirius tirò le maniche del maglione oltre le dita, nascondendo
i palmi contro il petto. Mentirgli era fuori discussione. Sarebbe stato inutile,
perché in ogni caso Remus avrebbe fiutato la menzogna. Se la sua vocazione era
la finzione, quella dell’amico era la capacità di decifrare tutti loro come
libri aperti. Dove chiunque altro non avrebbe notato nulla più di una ruga, una
smorfia involontaria, un’esitazione mancata, Remus avrebbe letto la reticenza,
il dolore, un segreto.
“Sai, a
volte ammettere qualcosa aiuta a stare meglio. È una specie di catarsi”.
Avrebbe
voluto parlare ma la voce sembrava essersi nascosta in qualche anfratto
irraggiungibile.
“Prendi
me, per esempio” aggiunse l'amico “da quando tutti sapete del problema,
va meglio. Il problema è sempre uguale, le mie preoccupazioni sono le
stesse. Ma non sono solo. Capisci la differenza?”.
Annuì,
ripiegando ancora in quattro la lettera.
“Perché
hai paura?”.
“Perché ho
paura”.
“È peggio
di un alter ego licantropo?”.
Sirius
affondò le dita tra i capelli, lasciando che il maglione risalisse lungo gli
avambracci.
“Credo di
sì, Remus”.
“Spiegami”.
L’amico
non si scompose, rimase al suo fianco, sinceramente interessato a ciò che aveva
da dirgli. Sapeva che sarebbe rimasto lì fino al mattino seguente, se ce ne
fosse stata la necessità.
“Non so
neppure come fare…”.
“Provaci”.
“Se ti
rendessi conto che una parte della tua mente…” il respiro gli morì in gola,
ritentò “Quello che voglio dire è, se ti rendessi conto di non poterti fidare di
una parte importante di te stesso. Cioè se scoprissi di aver… perso
qualcosa che avrebbe potuto cambiarti, renderti una persona completamente
diversa”.
“Dipende
da quello che credi di aver perso”.
“Ho
un’ipotesi che, se fosse vera, potrebbe cambiare tutto”.
Remus lo
incoraggiò con gli occhi.
“Non devi
parlarne con nessuno, neppure con Peter. Neppure con James. Me lo devi giurare.
Non ne parlerei neppure con te, se non avessi davvero bisogno di aiuto”.
“Te lo
giuro”.
Sirius
respirò a fondo. Pronunciare quelle parole ad alta voce lo spaventava molto più
che pensarle soltanto. Si strinse nel suo stesso abbraccio. L’unica cosa che
avrebbe voluto fare, in quel momento, era correre lontano, nel parco, perdersi
ancora una volta e sparire.
“Credo che
Bellatrix abbia rimosso alcuni miei ricordi”.
Remus incassò il colpo ma non
interruppe il contatto visivo.
“Perché lo
pensi?”.
“Sono
successe delle cose strane, quest’estate… Meda mi ha parlato per caso di alcuni
episodi che non ricordo affatto, cose successe quando ero già abbastanza grande.
Non ho nessun ricordo in comune con Bella prima dei miei undici anni. Nessuno
dei ricordi di cui mi ha parlato Andromeda, lei compare solo di sfuggita… è come
tentare di afferrare un sogno. È tutto così confuso… e quando tento di forzare
la memoria, sto male. Fisicamente”.
“Come te
ne sei accorto?”.
“Al
matrimonio Bella mi ha aggredito, voleva sapere dove vive Meda” rispose Sirius
“L’ho disarmata. E poi lei… lei ha smesso di combattere. Mi ha… mi ha
accarezzato… io l’ho sentita nella mia testa, Remus. La cosa peggiore è che
ripeteva la stessa frase che stavo pensando anche io, o almeno una parte di me
che non ho mai sentito. Una parte di me che non dovrebbe esistere”.
Non ebbe
il coraggio di continuare a guardare l’amico negli occhi. La paura era ancora
lì, allacciata ai muscoli.
Era
scappato da Bella, quella notte, ma l’eco di ciò che era apparso nella sua
coscienza aveva continuato a perseguitarlo nei sogni. Io ti amo. Il
singolo istante in cui avrebbe voluto abbracciarla, con la sensazione di
ritornare a casa. Si era spinto a fondo nella memoria, fino a sputare sangue:
non era servito, nessun ricordo era ricomparso. Solo nel sonno qualcosa pareva
riemergere dall’abisso, niente più che immagini spettrali.
“A chi
stai spedendo la lettera?” chiese Remus, dopo diversi minuti di mutismo.
“Non la
spedisco più, era per Meda”.
“Volevi
raccontarle di questa storia?”.
“Sì, ma ho
cambiato idea”.
“Credo
dovresti tenerla fuori. Se le tue ipotesi sono reali, potresti non essere
l’unico a cui Bella ha modificato la memoria”.
Sirius si
afferrò il capo, puntando i gomiti contro le ginocchia.
“Ho paura
di me stesso, non sono stato neppure in grado di reagire. Non so se voglio
conoscere la verità… vorrei solo poter cancellare quello che è successo. Credi
che potrei farlo? Voglio dire, rimuovere un ricordo su me stesso, è possibile?”.
Remus lo
guardò con angoscia.
“Se quello
che pensi è successo davvero, hai già rischiato troppo. Dovrei documentarmi
meglio, ma quello che so è che è illegale modificare i ricordi legati alla sfera
emotiva. Cioè, non sono semplici ricordi, sono ancorati alla parte più profonda
di te, per così dire. Questa parte della memoria coinvolge sentimenti troppo
intensi per non creare un trauma nel cancellarli. Il cervello non può restare
indenne”.
“Vuoi dire
che potrei essere già compromesso in qualche modo?”.
“Non credo
che staremmo qui a parlarne se si trattasse di un danno grave. Ma non puoi
pensare di cancellare qualcosa. Secondo me sarebbe troppo rischioso”.
“Capisci
che questo potrebbe cambiare tutto?”.
“Tutto
cosa?”.
“Me,
lei. Non saprò mai qual è la verità…”.
“È
importante? Sai in cosa credi”.
Sirius
circondò le gambe con le braccia. Si sentiva perso. Era bastato così poco.
“Forse
Bella ti ha fatto un regalo”.
Avrebbe
voluto sorridere. In un’altra circostanza una frase del genere sarebbe suonata
comica, in quel frangente, invece, era drammatica.
“Perché
pensi che avrebbe potuto farlo?”.
Remus
scosse la testa e toccò a lui lasciar vagare lo sguardo nel vuoto, alla ricerca
di risposte.
“Non lo
so, Sirius. Vuoi davvero scoprirlo?”.
*
Bella
aveva scavato una fossa nelle lenzuola umide, si specchiava negli occhi di
Rodolphus e vedeva solo buio.
“Sei
sicura che non sia pericoloso?”.
Mai più
pericoloso della sua coscienza che esplodeva, penetrando nel cuore di Sirius.
Infinitamente meno rischioso di qualsiasi tranello conservato nella memoria.
“Devo
farlo” rispose “Non so come potrei reagire. Se dovessi supplicarti, non lasciare
la presa. Non lasciare la presa anche se dovessi piangere o urlare, anche se
tentassi di colpirti. Non lasciare la presa, fino a quando non avrò finito”.
“Come me
ne accorgerò?”.
“Non lo
so”.
“Bella lo
sai, che potresti bruciare tutto?”.
Avrebbe
voluto possedere la forza per scoppiare a ridergli in faccia.
Bruciare,
bruciare! Non c’è più nulla che il fuoco possa consumare.
Gli prese
la mano e la avvolse stretta intorno alla sua, che manteneva la bacchetta
puntata contro la fronte.
Neppure un
respiro, prima di cancellare un universo di ricordi.
“Oblivion”.
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