BOARDWALK VAMPIRE 2
Capitolo 2
Così facile, così difficile
Ora.
- E così, siete due cani sciolti? Non siete di nessuna famiglia?
La domanda che Don Ciro aveva rivolto loro era delicata. Un'eccessiva
indipendenza poteva essere colta positivamente, e mostrarli ai suoi
occhi come giovani capaci e intraprendenti che volevano dimostrare di
sapersi gestire da soli, o negativamente, come sintomo di
inaffidabilità, avidità e opportunismo.
Damon valutò la risposta più diplomatica, e si compiacque
di sé stesso per la facilità con cui la trovò.
- Sì e no. Noi non siamo di nessuna famiglia... Noi due siamo la Famiglia.
Aveva calato il suo asso con grande stile, e si rese conto di aver
detto la cosa giusta quando intercettò un lampo di ammirazione
negli occhi del vecchio.
Preso, pensò, sorridendo ancora. Era fatta.
Verso fine serata, si ritirarono in un'ala più appartata della
villa per discutere il primo incarico. Una cosa semplice: scoprire le
mosse della concorrenza, scovare nomi, capire come muovevano la rete
del contrabbando... Mentre Don Ciro spiegava, Damon dovette trattenersi
per non scoppiargli a ridere in faccia. Il capomafia non aveva idea di
quanto sarebbe stato semplice, per loro, ottenere quelle informazioni.
Stava concedendo ad entrambi un'ulteriore occasione di fare il botto,
procurandogli molto più di quanto avesse richiesto.
Quando ritornarono all'albergo, e si furono chiusi la porta alle
spalle, Alaric lo aveva visto saltare di gioia e poi tirare fuori una
bottiglia di liquore che aveva nascosto sotto al letto.
- Per le occasioni speciali, - declamò. - Regalo di don Ciro. Anche se lui non se lo ricorda, ovviamente.
Anche Alaric, messe da parte le perplessità, si era lasciato
sfuggire un mezzo sorriso, prudentemente. Giocare sul tavolo dei grandi
lo metteva leggermente in ansia, ma con Damon nulla poteva
andare storto. Sempre meglio che tornare nel suo misero paesino con la
coda tra le gambe, da una famiglia che non lo voleva... Scacciò
il pensiero, anche perché il vampiro lo aveva spinto sul divano.
E improvvisamente ricordò qual era la vera ragione per cui si
era lasciato coinvolgere in tutto questo. Perché non poteva fare
a meno di quegli occhi, di quel nero, di quella risata tagliente. Non
poteva fare a meno di lui.
Damon gli aveva stravolto la vita, e ormai Alaric non poteva più neanche immaginare di trascorrerla lontano da lui.
- Fattela una risata, ogni tanto, - commentò il moro,
attirandolo a sé per baciarlo. Era seduto a cavalcioni su di
lui; con una mano reggeva la bottiglia e con l'altra lo accarezzava. -
Si può sapere che hai?
Alaric si strinse nelle spalle. Evitò di guardarlo direttamente
negli occhi, come se temesse che l'altro potesse scoprire cosa provava
per lui...
- Niente. Spero solo che vada tutto bene, - disse, passando pigramente
le mani sulla sua schiena. Sentì i muscoli tesi rilassarsi al
contatto, e chiuse gli occhi quando Damon cominciò a baciarlo
sul collo quasi con fame. Sesso, la cura ad ogni male, aveva detto una
volta il vampiro, ridendo, prima di una scopata epica che Alaric
ricordava ancora benissimo.
Dimenticò ogni domanda, quando lo rovesciò e si sistemò tra le sue gambe.
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<< Un altro tempo, un altro luogo >>
Si rifiutava di credere a quello che aveva sentito.
- Lei è viva, Damon, ed è libera. Sapeva dov'eri, ma non
è mai venuta a cercarti. Katherine non ti ama... Mi dispiace.
In poche parole, quasi centocinquant'anni della sua vita avevano perso significato.
Si era dannato come un pazzo, girando il mondo alla ricerca di streghe,
libri, leggende, qualunque cosa potesse tirar fuori Katherine dalla
cripta in cui credeva fosse rinchiusa.
E invece.
E invece non solo aveva perso tempo, ma ora doveva anche sopportare il
compatimento di una vecchia stronza - che avrebbe dovuto inginocchiarsi
e baciare la terra su cui passava lui, perché altrimenti non
sarebbe mai uscita da là sotto.
Katherine, Katherine, Katherine. Per settimane aveva continuato a tormentarsi. Aveva
distrutto tutto quello che aveva in casa, aveva ucciso gente innocente
per un semplice capriccio d'ira, si era ubriacato fino a perdere i
sensi e aveva contemplato seriamente l'ipotesi di sfilarsi l'anello e
dissolversi alla luce del sole, in un attimo di annebbiamento. Possibile che fosse vero? Poteva essere così stronza?
La risposta che si diede, in tutta onestà, era affermativa.
Perciò raccolse i propri pezzi e dimenticò tutto.
Se Katherine lo aveva abbandonato, era una puttana insensibile.
E allora
non meritava né la sua rabbia, né il suo dolore.
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Damon scrutò fuori dalla finestra. L'autunno in arrivo lo riempiva di malinconia.
C'erano un sacco di cose che non aveva raccontato ad Alaric. Cose della
sua vita passata, cose che lo avevano rovinato. Cose che lo avevano
segnato.
Cose, cose, cose: un mucchio di cose.
Aveva sempre odiato quel termine, così generico e sgraziato, ma
non sapeva come altro definire alcuni dei fatti della sua vita. Erano
come oggetti polverosi che aveva chiuso in una scatola e confinato in
uno sgabuzzino in cui non aveva voglia di guardare. Erano dolorosi e
ammuffiti. Erano affari personali. Ma prima o poi avrebbe dovuto
parlare con lui.
Si era accorto già da un po' che Alaric si stava affezionando...
Per usare un eufemismo. Pendeva dalle sue labbra, e più di una
volta lo aveva beccato a rivolgergli sguardi adoranti. Come equivocare?
Era umano, e Damon poteva sentire il suo cuore battere più forte quando erano insieme. Non c'era spazio per i dubbi.
Si versò un bicchiere di whisky, continuando a guardare fuori
senza vedere veramente nulla. E lui, cosa provava per Alaric?
Bevve tutto d'un fiato. Non sapeva cosa fare. Non riusciva a
sbilanciarsi, non riusciva a prendere una decisione, ma non voleva
neanche usarlo e poi abbandonarlo. Non voleva voltargli le spalle. Non
voleva fare ad Alaric quello che gli altri avevano fatto a lui. Eppure
era così difficile dire quelle parole. Era così difficile
lasciarsi andare, dopo essersi scottato così tanto...
- Non torni a letto...?
Damon si voltò. Vide Alaric, assonnato e accartocciato tra le
coperte, nel mezzo di uno dei suoi sorrisi comodi e rassicuranti.
Esitò.
Mosse alcuni passi rapidi verso il letto, sotto lo sguardo ipnotizzato
dell'altro, e posò il bicchiere vuoto sul comodino prima di
tornare sul materasso. Si sedette su di lui, gli prese le mani
bloccandole sul cuscino, lo guardò negli occhi. Alaric lo
lasciò fare, continuava a guardarlo con uno sguardo che
traboccava affetto. Era quasi irritante la dolcezza che traspariva da
alcuni suoi atteggiamenti, a volte, ma era anche qualcosa di cui Damon
aveva bisogno. Ecco, più che altro ciò che lo
irritava era ammettere che ne aveva bisogno.
- Ti stai innamorando?
Glielo chiese a bruciapelo, e vide lo stupore e l'imbarazzo riversarsi
sul volto di Alaric nel giro di una frazione di secondo. Voleva saperlo, voleva delle certezze. Ripeté
la domanda.
- Ti stai innamorando di me? Ho bisogno di saperlo. Non ti sto
controllando mentalmente, voglio che tu risponda da solo. Ti stai
innamorando?
Strinse la presa sui suoi polsi senza nemmeno rendersene conto.
Allentò quando Alaric cercò di sfilare una mano, con una
smorfia di dolore. Era tutto così assurdo... Non avrebbe voluto affrontare
quel genere di discorsi, ma come potevano andare avanti altrimenti?
Lo sguardo smarrito di Alaric vagò sul suo viso per qualche
secondo, in cerca delle parole giuste. Non riuscì a trovarle.
- ... Sì, - disse soltanto, e se ne pentì subito dopo.
Avrebbe potuto mentire - sapeva che Damon non lo stava controllando sul
serio, era un patto che avevano fatto tempo prima - ma non se la
sentì. Preferì dire la verità, anche se temeva di
spezzare qualcosa. Non voleva spaventarlo e farlo andar via; era il
motivo per cui aveva preferito tenersi per sé la verità.
Damon restò su di lui, lo scrutò come cercando nel
suo viso una conferma, qualcosa che gli dicesse che quelle due lettere
che aveva pronunciato, quel sì, erano
vere e non frutto della sua immaginazione. Poi, senza dire altro, si
chinò su di lui e lo baciò. Lo sentì rilassarsi, e
capì quanto dovesse essere teso di fronte a una domanda del
genere, e si sentì uno stronzo per avergliela posta con
così poca delicatezza.
Quando si separarono, Damon restò esattamente dov'era prima.
Lasciò andare una mano di Alaric per fargli una carezza. Aveva
un'espressione seria come ne aveva raramente, anche se un po'... Persa.
- Va tutto bene, - lo rassicurò, in un sussurro. Si
maledì per il modo rozzo e troppo diretto con cui trattava i
sentimenti, e poi gli fece un'altra domanda. Assolutamente pertinente,
vista la risposta che aveva ottenuto.
- Perché non me l'hai detto prima?
Alaric abbassò lo sguardo.
- Io... Pensavo che saresti andato via, se te l'avessi detto... - confessò, e fu liberatorio.
Sono così stronzo, agli occhi degli altri? si
chiese Damon, ma non lo disse a voce alta. - Ti va di restare con me
per sempre? - chiese invece. Si rese conto di cosa provava quando si
ritrovò a pregare, tra sé e sé:
Dimmi di sì. Dimmi che lo vuoi. Dimmi che resterai.
Alaric soffiò fuori l'aria che aveva trattenuto fino a
quel momento e lo guardò, illuminato, come se non avesse mai
desiderato altro.
- Sì... - mormorò, e poi, più convinto: - Sì che mi va!
Avrebbe voluto aggiungere di più,
avrebbe voluto dirgli che lo aveva sognato dal primo momento in cui
aveva capito di amarlo, avrebbe voluto dirgli che voleva vivere per
sempre al suo fianco, ma d'istinto soffocò tutte le parole. Non
era il momento, intuì.
- Perché ti amo, - sussurrò soltanto, accarezzandogli una
guancia. Era così freddo, così distante. Ma ce l'avrebbe
fatta a scioglierlo, prima o poi.
Ci sarebbe stato tempo. Tempo per perdersi in quegli occhi, tempo per
parlare. Tempo per dirgli che incontrarlo era stata la cosa migliore
che potesse capitargli. Tutto il tempo del mondo.
Damon lo baciò di nuovo.
Non disse niente. Non sapeva di quanto tempo avrebbe avuto bisogno per
riuscire a dire di nuovo quelle parole, e smettere di rispondere con il
silenzio all'amore di Alaric. Non voleva farlo soffrire, ma non era
facile confrontarsi con qualcosa del genere. Non era facile ammettere
di amare e accettare di poter star male di nuovo come un cane, forse.
Non era facile essere sé stesso, non era facile essere
spontaneo, non era facile nulla nella sua vita... Se non uccidere.
Si sottrasse alla carezza di Alaric con un vago senso di colpa.
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