YOOOO
Anche qui il capitolo 21 ù.ù
miss hiphop,
ti ho accontentata per quanto riguarda sapere di più su
Edmond, ma mi spiace, per ora non è previsto che si
innamori, anzi, rimarrà ancora per un pò
nell'oscuro e tornerà più avanti XD
Sono contenta che tu riesca ad entusiasmarti e a seguire tutti i
personaggi con lo stesso interesse, la vita non si concentra solo su
una persona, così anche in questo scorcio di vita che voglio
scrivere i personaggi si moltiplicano sempre di più. Spero
di essere in grado anche in futuro di tenere le redini di questo gioco.
lilylemon,
per quanto riguarda la foto di Charlie: è l'unica che non mi
ha mai pienamente soddisfatto, perchè, hai ragione tu, il
mio personaggio è molto più ribelle e molto
più "spacca-schermo" che quella ragazza della foto, ma
siccome di Charlie in giro non se ne trovano, anche per l'immagine ho
avuto qualche difficoltà. Nonostante tutto, ho tenuto quella
come modello perchè quella
risata è la risata di Charlie, precisa.
Ti ringrazio molto per aver recensito *-*
Per la scena hot, non so che altro dirti se non grazie per averla
apprezzata, grazie davvero, è molto importante per me quel
capitolo, ci ho messo mesi a scriverlo e ho iniziato quando ancora la
ff era agli inizi. Spero di trovare altre recensioni, perchè
questa mi ha fatto davvero un immenso piacere!
CowgirlSara, Come anche lilylemon sei scusatissima XD
Devo confessarvi però che quando ho iniziato a postare qui,
ero abbastanza scoraggiata perchè tutte le mie amiche di
scuola che frequentano il sito mi avevano detto che era una sorta di
"culla primordiale" di ff e che se non ero apprezzata qui, non valeva
la pena continuare a scrivere. Ma ho fatto finta di niente e ho
continuato a postare, che mi costava? Ho incontrato delle critiche,
degli apprezzamenti e finalmente la mia determinazione è
stata premiata, quindi vi ringrazio moltissimo di aver lasciato un
segno nelle mie recensioni. Non sono una ragazza sicura di
sè al limite, quindi gli apprezzamenti mi fanno sempre
piacere ^^
(sono contenta che anche a te sia piaciuta la scena con Bill <3)
Per quanto riguarda Charlie, sono convintissima che nella tua critica
ci sia qualcosa che mi possa davvero aiutare: (vai con lo spiegone XD)
sin da quando ero piccola ed ho iniziato a scrivere, i miei racconti
erano piuttosto fantasy, elfi, maghi ecc., ero grande fan del Signore
degli Anelli e quindi tutte le atmosfere strane, anche piuttosto
offuscate o magari troppo fuori dalla realtà della ff
derivano da questo. Devo aggiungere qualcosa di assolutamente
intrigante e fiabesco dapperutto, altrimenti mi sento persa e in questa
storia l'ho fatto con Charlie, non perchè davvero il Lost
Heaven fosse così dannatamente inquietante o il Sanitarium
così fuori dal tempo e dal luogo, ma perchè tutto
ciò è visto dalla sfera emozionale dei
personaggi. Devo dire che questa mia mania deriva anche dai romanzi
sudamericani, i miei preferiti in assoluto: lì le atmosfere
non sono mai definie, sembrano intatte dal tempo, sanno di fiabesco.
Ovviamente, non mi è mai saltato in testa di copiare da
nessuno nè tanto meno di paragonarmi a Marquez o alla mia
amatissima Allende, semplicemente tutto ciò mi ha molto
influenzata.
Però è vero, rendo la narrazione pesante, non
credo sia difficile all'estremo da comprendere, ma anche io quando
correggo devo rileggere una seconda volta XD
Quindi cercherò di alleggerire un pò,
perchè una lettura noiosa non ha mai attirato nessuno.
Grazie mille!
21.
All the things they said
Charlie fece strada al fratello, che, come se fosse a casa sua,
posò la borsa nell’unico angolo libero del tavolo
della cucina ed inizio a sbottonarsi il cappotto.
Dirigendosi verso il frigorifero in cerca di qualcosa da bere da
offrirgli, la ragazza indagò: -Come mai a New York?-
-Lavoro, cos’altro?-
-Te l’ha mai detto nessuno che lavorare fino a farsi
succhiare il sangue non ha mai giovato a nessuno?- lo
stuzzicò Charlie, con un sorrisino irritante.
-Te l’ha mai detto nessuno che condurre una vita dissoluta
come la tua non è altrettanto salutare?- rispose a tono
Edmond.
-Io non conduco una vita dissoluta!- rise di cuore la ragazza, versando
dell’acqua in due bicchieri sbeccati e offrendone uno al
fratello.
-Oh sì, invece- le sorrise in risposta lui, bagnandosi le
labbra con il liquido trasparente –Da
quant’è che non ci vediamo?-
-Due anni-
Due anni senza suo fratello e quattro senza la sua famiglia; non le
erano mancati neanche un po’, ma Ed si era fatto vivo ogni
tanto, non lasciandole, come avrebbe voluto, rimuovere completamente il
ricordo dei suoi primi sedici anni di vita. Era cocciuto, suo fratello,
anche più di lei.
Era più grande di dieci anni esatti, quindi non era mai
stato il fratello con cui giocare o fare i compiti al pomeriggio,
né da coinvolgere in fantasie infantili: era stato il tipo
di fratello che trovava gratificante insegnarle tante cose, come andare
a cavallo o sputare come un maschiaccio, ma che non sopportava se lei,
magari anche in un momento poco propizio, piombava in camera sua per
farsi leggere una storia o per giocare con i suoi preziosi videogiochi.
Nonostante tutte le litigate e le botte che si erano dati (Charlie
aveva il vantaggio di poter facilmente colpire basso), Edmond era
innamorato della sua adorabile e bellissima sorellina come lo sono in
genere i fratelli e per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
-E tu? Non lavori?- le domandò ancora Ed.
-A dire il vero, torno adesso da un colloquio di lavoro- lo
informò la sorella, guardandolo storto.
-Ma davvero?- si finse stupito il ragazzo, con una risata.
-Proprio così, lavorerò in un posto dove si
aiutano gli alcolizzati e tutti quelli che ne hanno bisogno-
-C’è da stupirsi: non avrei mai pensato che la mia
altezzosa sorellina si abbassasse a tanto. Già con il
servire ai tavoli temevo di averti persa, ma questo credo sia ancora
più disonorevole per sua maestà!-
-Vaffanculo!- esclamò Charlie, scaldandosi.
-Te lo ricordi come ti chiamavano tutti? La
“contessa”! Anche quando ormai eri grande ti facevi
sempre servire e riverire; m ricordo anche che ti facevi fare il bagno
dalla domestica!-
Charlie stava per ribattere sdegnata, quando un
“miao” alla porta fece alzare lo sguardo di
entrambi sul povero Tu-Bill, che entrava in quel momento nel garage
dopo il suo giretto quotidiano nel quartiere; la bestiola fece un salto
vedendo un intruso nella casa e rizzò il pelo, allarmata.
Lotte gli andò incontro e lo prese in braccio,
rassicurandolo con dei baci affettuosi sulle orecchie pelose e
ritornando poi dal fratello, porgendogli per gioco l’animale,
mentre questo continuava a gridarle di tenere quella bestiaccia
lontana: Ed non aveva mai sopportato i gatti e in più era
tremendamente superstizioso, convintissimo che quelle povere bestiole
dal pelo nero come Bill fossero streghe trasfigurate.
-Io lo metto giù, ma tu ora la smetti con le domande
stronze, altrimenti gli dirò di attaccarti- lo
minacciò Charlie con un sorriso, permettendo al micino di
scendere e andare a rifugiarsi nella sua cuccia di cartone, soffiando
contro l’intruso.
-Va bene, niente più domande stronze- acconsentì
l’altro, guardando storto il piccolo gatto, che ora si stava
leccando copiosamente una zampa –Come stai?-
Charlie sorrise al fratello e si coricò sul divano,
poggiandogli la testa bionda in grembo: -Devo dire che me la cavo
abbastanza bene. Tu invece?-
-Anche io; sono a New York per un importante causa di un mio cliente e
da Boston fino a qui non è mica una passeggiata,
così mi sono detto: perché non andare dalla mia
sorellina ribelle?-
Charlie tirò un cuscino in testa al fratello, ridendo: ribelle.
Nella sua perfetta famiglia, lei era questo e da quattro anni era
consapevole che il suo nome, se veniva pronunciato da chicchessia, era
sempre accompagnato da una smorfia di disgusto. Se ci fosse stato un
albero genealogico della famiglia Dawson, il suo nome sarebbe stato
cancellato, fatto sparire nel nulla. Per così poco, poi! Per
la sua libertà.
-E il tuo amico?- Ed tirò i capelli della sorella per
richiamare la sua attenzione.
Charlie si sollevò, guardandolo con gli occhi nocciola
sgranati: -Quale amico?-
Non poteva saperlo, sapere di lui. Nessuno sapeva
di Tom, esclusa Mimi, che era lontana e poi, a sua volta, Mimi non
sapeva che lei avesse un fratello. E perché qualcuno avrebbe
mai dovuto saperlo?
La parola amico che Edmond aveva usato le
suonò molto strana.
Tom era un amico? No, sicuramente no, anzi, dopo la loro ultima
discussione, era diventato un nemico. Nemico della sua
libertà. Charlie si ritrovò a pensare seriamente,
senza averlo fatto fino a quel momento, ai giorni passati; aveva
mandato il ricordo solo a Mimi, alla rabbia che sentiva dentro, seguita
a tutta la malinconia per essere stata lasciata sola da quella che
considerava sua sorella di sventure, ma mai aveva riformulato il nome
di Tom, come se il suo cervello lo avesse tenuto lontano per
autodifendersi, al pari di un antivirus, paladino della
sanità mentale. E lui, aveva mai pensato a lei?
Come se mi importasse, poi, si disse.
"Dovrebbe, invece. Perché, qualcun altro ti avrebbe salvata
dalla tua perdizione? Sì, perdizione e dissolutezza, ecco i
principi della tua vita, Ed ha ragione cara. Qualcun altro avrebbe
avuto il coraggio di oltrepassare il paradiso perduto per salvarti da
uno stupro di gruppo a cui andavi incontro consapevole, ma troppo
distante da te stessa per rifiutarlo? Non credo tesoro, non credo"
La sua coscienza era sempre molto stronza con lei: le parlava con voce
zuccherosa, pizzicandole le guance come si fa con i bambini e
chiamandola con appellativi sdolcinati, ma sentivi che la sua vocettina
era carica di ironia e disprezzo, sentivi che ti stava prendendo in
giro. La sua coscienza assomigliava tanto alla voce stronza e odiata di
sua madre.
"Cavalcarlo, questo è stato il tuo pensiero fisso, pulcino
mio, altrimenti, perché guardare sempre il mondo dalla
prospettiva del suo bacino? Pensavi fosse un cavallo per caso? Un
destriero che ti avrebbe guidato nella tua lotta per la
libertà? Non è mica un rivoluzionario francese,
poverina! Eppure, tu volevi cavalcarlo, magari allontanarti al galoppo
con una nuova speranza, una nuova vita, come quella che sta crescendo
nel grembo della tua amica e che sarà felice, madre e figlia
lo saranno. E tu stai a guardare, povero tesoro. Non te lo sei
cercato?" (nessuna allusione al sesso con la parola
“cavalcare”, vedetela sotto un altro aspetto
n.d.a)
Edmond tacque, vedendo il volto così confuso e corrucciato
della sorella a quella sua domanda. La stessa ruga
d’espressione che le segnava la fronte quando da piccola
rifletteva sul bene ed il male come le imponeva il sacerdote della
Chiesa in cui andavano ogni domenica, ora le solcava la pelle rosea. Il
fratello, conoscendo la portata della battaglia che il cervello, ma
soprattutto il cuore della sua Charlie stavano combattendo, si nascose
nel retroscena, continuando a tacere.
“Mi fai talmente compassione che vorrei essere
capace di amarti un pochino io” "Sei tu che mi fai
compassione, non riesci neanche ad amare te stessa, vorresti amare un
ragazzo così? Così complicato, così
ambito? Così fragile? Tenti invano di salvare te stessa, ti
fai salvare da lui e poi non lo ringrazi"
No, non lo aveva ringraziato. L’aveva disprezzato e
frainteso. E pure baciato.
-Brucia- le aveva detto quando gli stava passando il cotone sulle
palpebre.
-Lo so- gli aveva risposto e infatti lo sapeva bene. E’ bello
truccarsi, ma poi brucia.
Charlie si riscosse dai suoi pensieri, girandosi piano verso il
fratello muto e lanciandogli un occhiata confusa: -Qual-quale amico?-
-Il ragazzo con cui stavi l’ultima volta che ti ho vista, due
anni fa-
-Oh, non lo vedo più- mormorò la ragazza.
Ed annuì, facendo ciondolare il capo tra le spalle e
lanciando un’altra occhiata alla ragazza: non la vedeva da
tanto tempo e, inevitabilmente, gli sembrava ancora più
perduta. Quello che non aveva mai capito di lei era questa sua voglia
di imporsi su tutto e tutti, la sua ostinazione nella ricerca del
giusto. Lui aveva imparato ad ingannarlo e nasconderlo, ottenendolo di
nascosto, senza rumore. Charlie, invece, viveva di rivoluzione, con
tutti gli scoppi di guerra, le grida, i pianti della lotta cronica
contro ciò che il suo senso di giustizia e
libertà non poteva tollerare.
Quando era piccola, si ribellava ai castighi immeritati con tanta foga
e tanta rabbia, che concludeva i suoi insuccessi contro gli adulti
staccando la testa alle sue bambole e tagliuzzando i loro vestiti;
Edmond, invece, aveva sempre chinato furbamente la testa davanti alle
autorità, guadagnandosi il perdono con salamelecchi e finto
pentimento. Per questo loro madre lo adorava.
-Impara, Lotte e smettila di combattere una battaglia troppo grande per
te- la derideva il fratello.
Ovviamente, la ragazza non gli aveva dato retta e alla violenza aveva
imparato a rispondere con la violenza e ad usare denti ed unghie per
difendersi.
Edmond si alzò dal divano e recuperò la borsa
nera dal tavolo, porgendola poi alla sorella: -E’ un regalo;
spero che il tuo numero di piede sia rimasto il trent’otto-
Charlie accettò la busta squadrando il fratello con
curiosità e annuendo alla sua affermazione, per poi
curiosare dentro. Tirò fuori una scatola bianca da scarpe
decorata con scritte dorate e in rilievo e poi un pacchetto di carta
velina ornato da un grande fiocco, anch’esso dorato.
-Ed, ma, non dovevi!- recitò a memoria la formula di
cortesia che gli avevano insegnato a dire quando riceveva un regalo,
rigirandosi tra le mani il fragile pacchetto che, visto il peso e la
consistenza, doveva contenere dei vestiti.
-Rimarrò qui a New York per una settimana o più,
spero che mi verrai a trovare e per farlo, visto che non alloggio in
una discarica, forse ti converrebbe indossare qualcosa di
più elegante- la provocò il fratello.
Charlie gli fece il verso, storcendo impercettibilmente la bocca mentre
estraeva dalla scatola le decolté con laccio che Ed aveva
pensato (male) di comprarle. Era da tanto che non ne vedeva un paio
o,almeno, nelle vetrine dei negozi di New York articoli del genere
facevano sempre la loro bella figura, ma era da tanto che non ne vedeva
uno sapendo di possederlo. Seppure questo le provocasse un insensato
senso di felicità, non volle darla vinta al fratello e
ribattè: -Per tua informazione, sono entrata in uno dei
migliori alberghi della Principale ricoperta di stracci e svenuta,
quindi, non credo ci saranno problemi se mi presenterò con
una tuta e le scarpe da ginnastica-
Edmond la guardò stupito e Charlie si rese conto di aver
parlato un po’ troppo; troncò sul nascere la
domanda che il fratello le avrebbe posto da un momento
all’altro scartando anche il pacchetto: come aveva
immaginato, conteneva un vestito, molto semplice a dire la
verità, blu scuro con due grandi spacchi ai lati.
-Bè, grazie- gli sorrise, accarezzando la gonna vellutata
dell’abito.
Il fratello le sorrise trionfante: -Prego. Ora scappo Lotte, ci vediamo-
Infilò rapidamente il cappotto senza allacciarlo, si
chinò per dare un bacio sulla testa bionda della sorella e,
senza aggiungere altro, uscì dal garage con la stessa
serietà e alterigia che avrebbe potuto usare per uscire
dignitosamente da uno dei suoi soliti alberghi a cinque stelle.
*
Più Georg ci pensava, più si dava dello stupido;
come poteva essersi fidato di Natasha ed aver poi chiesto il suo aiuto
in una questione di cui si sarebbe dovuto occupare da solo?
Era lui che provava qualcosa per Anya, non sua cugina.
Quando ancora abitava ad Amburgo e studiava al conservatorio, aveva una
ragazza, si chiamava Sophie. Ora, non sapeva più niente di
lei: né come aveva finito gli studi, né cosa
aveva deciso di fare dopo il diploma, né se il suo cane era
guarito dopo essere stato investito da un’auto, né
se i suoi genitori si erano poi separati. Non sapeva soprattutto se
aveva continuato ad andare alla loro panchina nei giardinetti ed era la
prima cosa che gli veniva in mente se gli capitava di ripensare a lei.
Era stato molto preso da Sophie; quando ancora non era famoso e il suo
aspetto non lo interessava più di tanto, erano poche le
ragazze che avevano la volontà di andare oltre alla sua
corazza di timidezza e scontrosità. Lei ci era riuscita con
un solo sorriso; le mancava un canino, ma era tanto dolce lo stesso.
Tra le tante cose, di lei gli piaceva come si preparava per uscire:
apriva l’armadio e poi accarezzava tutti gli abiti appesi,
facendoli ondeggiare in un caleidoscopio di colori e poi ne sceglieva
uno ad occhi chiusi; quando si truccava, faceva delle facce buffe per
mettersi il mascara e poi gli lasciava pettinarle i capelli.
Georg era convintissimo che sarebbe finito per sposarla, ma a rovinare
tutto ci pensarono i Tokio Hotel, anzi, prima di tutto i Kaulitz. Il
ragazzo conosceva già Gustav ed erano molto amici, ma non
era preparato al confronto inevitabile con il mondo dei gemelli. Non
poteva negare neanche ora, dopo tanti anni in cui si era fatto bagaglio
dei loro difetti e stranezze, che fossero due ragazzi molto
particolari. E molto belli.
Per sopravvivere e non sotterrare la propria autostima tre metri sotto
terra, Georg aveva dovuto convincersi che era ormai ora di abbandonare
il suo aspetto da orso; i “sei bellissimo” di
Sophie non bastavano più e non sarebbero bastati in ogni
caso.
All’uscita del loro primo singolo, lei aveva smesso di
chiamarlo e lui era stato troppo occupato per andare a casa sua a
pettinarle i capelli. Era finita così.
Quando poi la carriera dei Tokio Hotel era stata ufficialmente
battezzata da mille impegni e un nuovo modo di vivere le giornate
sempre più occupate, era arrivata Anya; ragazza
più diversa da Sophie non poteva esistere.
Era stato il primo a fare amicizia con lei, perché un giorno
l’aveva trovata per caso in camera che piangeva; gli era
venuto in mente che quando la sua ragazza era triste o agitata,
riusciva a calmarsi solo con un abbraccio e così aveva fatto
con Anya. Quando stringeva Sophie faceva sempre molta attenzione, era
talmente fragile che temeva di romperla se avesse esagerato, ma lei,
sotto ogni punto di vista, pareva fatta di pietra.
Dopo un poco di dondolio tra le braccia di quel ragazzo che conosceva a
malapena, Anya si era asciugata le lacrime con il dorso della mano e,
giustamente, si era sentita in dovere di raccontargli i suoi crucci.
Così Georg era venuto a sapere dell’infanzia
difficile della ragazza, di come fosse stata costretta dalle
circostanze a crescere fin da subito, di suo padre sparito nel nulla
dopo la sua nascita e di sua madre, alcolista e disperata, che era
finita in un centro di disintossicamento dal quale non era
più uscita, lasciando Anya in balia dei servizi sociali che,
dopo molto combattere, l’avevano affidata agli zii materni.
Da quella mezz’ora passata a raccontare e ascoltare, erano
diventati amici; per il resto, Anya non poteva soffrire
l’ansioso e crucciato Tom, che si faceva bello agli occhi di
tutti anche a discapito degli altri e disprezzava Bill, che pur
all’inizio sembrava pendere dalle sue labbra. Quando Anya era
in circolazione, il ragazzino si distraeva dal mondo circostante
contando i nei sulle braccia di lei, quante volte rideva e quante
alzava la voce; se aveva i capelli raccolti in qualche modo strano, se
si era messa la gonna rossa che a lui piaceva tanto vederle indossare.
Poi, nessuno sapeva perché e nessuno si era preso il tempo
tra le mille cose da fare per chiederselo, Bill aveva smesso di
guardarla così e aveva iniziato a frequentare ragazze su
ragazze che, in un modo o nell’altro, per questo o per
quello, sembravano assomigliarle, come se volesse farle dispetto.
Georg voleva parlare alla ragazza, doveva trovare il tempo e il modo
per farlo, prenderla da parte e dirle che gli dispiaceva essere stato
così assillante e stupido da non capire che quello che in
realtà erano e dovevano rimanere erano gli amici di sempre.
Ne era quasi del tutto convinto.
-Hei Georg, smettila di sbavare!- la voce di Tom lo colpì
come uno schiaffo improvviso sul didietro; Georg si voltò
verso il rasta, appena passato con una delle sue numerosissime chitarre
al collo ed esordì, come appena tornato dal pianeta Marte:
-Eh? Che dici?-
-Lasciamo perdere. Pensare per te è difficile, povero, non
dovrei prenderti in giro così!-rincarò la dose il
gemello cattivo Kaulitz, sghignazzando. Georg lo guardò in
cagnesco, prima di mandarlo gentilmente a cagare. Vedere gli occhi di
uno dei gemelli, non quello a cui aveva pensato fino a quel momento, ma
comunque uguali e profondi allo stesso modo, però, gli fece
venire un’idea strana.
Si voltò di scatto verso Bill, già salito sul
palco per il soundcheck e tutto preso dal suo giubbino nero.
In quegli ultimi giorni, già dalla festa, gli era sembrato
che gli stessi occhi che ora il ragazzo si stava sfregando per il sonno
e che quel giorno si era truccato da solo, avessero smesso di ignorare
Anya. La seguivano fin troppo assiduamente.
Mancava ancora Gustav, poi avrebbero iniziato.
Quello era il loro ultimo giorno di prove e Bill aveva indossato gli
abiti che già aveva scelto per le tappe del tour; sarebbero
stati quelli dalla prima data fino all’ultima, per viaggiare
il più leggeri possibile, ma soprattutto perché
sul retro delle T-shirt erano state applicate delle apposite cerniere
per permettere al ragazzo di cambiarsi rapidamente senza rovinare
l’impalcatura laccata dei suoi capelli.
Indossarli lo faceva già sentire sballottato
dall’andamento del tourbus, in uno dei tanti camerini in
attesa di salire sul palco, sotto la pioggia di coriandoli della
canzone finale; era un modo per entrare di nuovo nella parte, ciascuno
aveva il suo: Gustav aveva comprato nuovo scotch per i calli, Georg
aveva messo da parte i videogiochi che si sarebbe portato dietro, Tom
aveva fatto lavare tutte le sue mutande per infilarle in valigia;
quest’ultimo rituale implicava, per sua sfortuna, un grande
lavoro da parte di Anya e, come ricompensa, Tom le aveva fatto
preparare il suo posto preferito per assistere al soundcheck: una sedia
davanti al palco con succo di frutta e uno scatolone per appoggiare i
piedi. Ad Anya piacevano più i soundcheck che i concerti,
perché se c’era una cosa che aveva il supremo
potere di farla capitolare lunga distesa su un divano con la testa che
girava a mille, quella cosa era il caos delle fan ai concerti.
Erano i periodi di massima tensione per lei: il lavoro non le pesava
più di tanto, ma viaggiare in bus era un grande sacrificio.
Non era mai riuscita ad ambientarsi e mai lo avrebbe fatto: non sentire
la terra stabile sotto i piedi per tanto tempo le dava la nausea.
L’unica gioia di quel periodo era il vedere posti nuovi,
perché lei, al contrario dei ragazzi e della stessa cugina,
si poteva prendere la fantastica libertà di uscire
dall’hotel a fare quattro passi per le città in
cui sostavano.
Tutto questo sarebbe stato invece nuovo per Mimi: la ragazza non aveva
la minima idea di cosa volesse dire saltare da un posto
all’altro come cavallette per mesi, senza la
possibilità di fermarsi quando la testa iniziava a girare
troppo e il senso del tempo e della realtà andavano perduti.
La sensazione di avere il mondo a portata di mano era piacevole solo
per i primi tempi, poi iniziavi a chiederti quando finalmente quel
fastidioso potere sarebbe finito.
-Allora, cominciamo?- vociò Bill rivolto ai tecnici,
incrociando le braccia al petto.
-Sì Bill, un attimo di pazienza, manca ancora Gustav-
-Ma dove si sarà cacciato?- esclamò il cantante,
guardandosi per la millesima volta alle spalle, come aspettandosi che
il ragazzo sarebbe apparso all’improvviso con una nuvoletta
di fumo rosa e uno scampanellare da genio della lampada.
-Ti ho acceso il microfono, inizia a scaldarti!- gli urlò
uno fra i tanti tecnici.
Anya succhiò forte dalla cannuccia del suo succo, fissando
lo sguardo sul ragazzo: era perfettamente al centro del palco,
perfettamente davanti a lei e continuava a guardarla; prendeva il
microfono e le lanciava un’occhiata, tossicchiava e sollevava
gli occhi su di lei, si levava la giacca e la osservava da sopra la
spalla. Sapeva che anche lei lo stava guardando, che, nonostante
fingesse di essere presissima dal succo, non poteva fare a meno di
seguire i suoi movimenti. E poi girava la testa intorno, per vedere se
qualcuno potesse disturbare la loro intesa: nessuno, Natasha era nel
guardaroba con Mimi, Georg era all’estremità del
palco ad accordare il basso con Tom, Gustav ancora non si faceva vedere
e tutti gli altri erano impegnati con i preparativi, i tecnici con le
luci e i computer, David e Dujna a discutere davanti ad una tazza di
caffè fumante.
Essendosene accorto a sua volta, Bill mosse un passo verso la ragazza,
fino ad arrivare al limitare del palco: -Allora, domani partiamo- le
sussurrò con malcelata noncuranza. Anya sorrise maliziosa,
giocando con la cannuccia.
-Scaldati Bill- gli intimò, spietata.
-Ma, dopo, riusciamo a stare… sì, a stare un
po’ insieme?- le chiese lui, guardandosi intorno con
circospezione e parlando in modo che solo lei potesse sentirlo.
-E come?- fu la risposta ironica della ragazza.
Bill si morse il labbro inferiore: -Non lo so, potremmo…- ma
Anya lo interruppe.
-Vediamo Bill-
Lo sai che mi piacerebbe, avrebbe voluto aggiungere,
ma in quel momento Tom raggiunse il fratello con la chitarra al collo e
già le mani pronte per suonare con lui, ignaro della
preziosità di quello che aveva interrotto. Bill
annuì allo sguardo allusivo del fratello e
recuperò il microfono dalla cassa su cui lo aveva appoggiato.
Tom attaccò con gli accordi di una delle poche canzoni che
Anya, loro spettatrice, apprezzava: Der Letzte Tag.
Bill tossicchiò un paio di volte prima di iniziare a
cantare, interrompendo la melodia con vari schiarimenti di gola che, lo
sapeva, ma non riusciva a farne a meno, peggioravano solo la situazione.
Pigolando, il ragazzo arrancò fino al ritornello e
lì, nonostante tutta la sua buona intenzione, la sua voce si
esaurì con un suono strozzato e anche Tom si
fermò, stonando e guardando stranito il gemello. Bill corse
alla sua bottiglietta d’acqua, trangugiandone una lunga
sorsata e cercando di nuovo Anya con lo sguardo.
-Tutto ok Bill?- lo interpellò il fratello, sistemandosi la
visiera del cappellino, come faceva sempre per denunciare un certo
nervosismo. Tom era il più ansioso di tutto il gruppo,
addirittura diventava morboso quando cadeva nel panico. Bill era
più appariscente nel manifestare la tensione, ma Tom era una
bomba ad orologeria pronta ad esplodere; faceva diventare i capelli
bianchi a metà della troupe, diventava insopportabile,ti
infastidiva con i suoi se e i suoi ma, si attaccava alle gonne come un
bambino piccolo.
E se si trattava di suo fratello, la questione degenerava in assoluta
pazzia, in iper-protezionismo, in crisi di asma psicologica.
-Sì- annuì Bill –Riproviamo, sono solo
poco caldo-
Georg, che aveva finito di accordare il suo strumento, con cui aveva
avuto delle complicazioni per il volume del suono troppo alto,
raggiunse i due gemelli con un sorriso per Anya e, accordatosi con gli
altri, iniziarono a suonare un’altra canzone. Ma anche questa
volta, la voce di Bill si infranse alle prime battute. Il ragazzo
sembrò tremare di collera e incomprensione nel momento in
cui sentì la propria voce cadere come un animale ferito e
gli sguardi sconcertati che gli lanciarono i suoi due amici lo
innervosirono ancora di più.
Provò ad emettere suono, ma senza successo e allora
gettò il microfono per terra: se Tom era il gemello ansioso,
Bill era quello affetto da crisi di ira e stizza irrefrenabili. Chiuse
le mani a pugno e si accanì contro la sua voce, provando a
fare dei deboli vocalizzi con le lacrime agli occhi.
Proprio in quel momento, tutti quelli che fino ad allora avevano
lavorato per i conti propri senza arrecare disturbo, non trovarono
niente di meglio da fare che fermarsi a guardare apprensivi il ragazzo;
David si alzò, rischiando di rovesciare la sua tazzina e far
cadere a terra la sedia, non capendo cosa stesse succedendo.
Anche Anya si alzò, scrutando il ragazzo che batteva i piedi
a terra per il nervoso, causato anche dall’improvviso
silenzio che gli portava un’attenzione non desiderata.
Sarebbe scoppiato ad imprecare, ossessionato dal suo maledetto
perfezionismo se Anya non fosse intervenuta, salendo sul palco senza
una parola e picchiettando rumorosamente con i tacchi delle scarpe
sugli scalini.
-Andate a provare più in là, per piacere-
ordinò a Tom e Georg, che, un po’ stupiti e ancora
preoccupati per il loro cantante, si avviarono verso un altro angolo
del palco; fece poi un cenno secco a tutta la troupe, imponendo di
farsi gli emeriti cazzi loro. Infine, si rivolse a Bill con sguardo
severo: non poteva sopportare le sue crisi da bambino; il ragazzo si
quietò subito, come un cagnolino ammaestrato.
-Senti male?- gli chiese.
-Fastidio, più che altro- rispose lui a bassa voce.
-Non è niente di preoccupante, non serve fare tante scene-
lo rimproverò Anya –Sciogli le spalle-
Bill scrollò piano le braccia, ruotando anche il collo teso.
L’ira che lo aveva assalito era scemata di colpo davanti alla
ragazza e alla sincera attenzione che gli stava dando, senza
preoccuparsi di essere vista o quant’altro. Era piacevole
essere rasserenato dalla sensazione di fiducia che lei gli trasmetteva.
Anya aveva seguito alcune lezioni di canto e dizione che
un’esperta aveva impartito a Bill quando il ragazzo aveva
iniziato a cantare anche in inglese e si era mostrata talmente
interessata da imparare qualcosa a sua volta.
-Bene. Ora lascia cadere la mandibola e respira profondamente con il
diaframma- gli intimò gentilmente, poggiando una mano sugli
addominali alti di Bill, che rabbrividì interiormente a quel
contatto. Obbedì, docile, ma non potè fare a meno
di appoggiare la sua mano su quella di lei e stringerla con dolcezza.
Anya arrossì contro il suo volere, ma non si
spostò di un centimetro, respirando con lui per guidarlo.
Dopo un quarto d’ora passato a cercare la preziosa ed
inseparabile macchina fotografica, Gustav fece la sua attesa
apparizione sul palco, ignaro di aver fatto aspettare tutti; nel
ritrovarsi una così singolare scena davanti agli occhi, il
ragazzo spalancò la bocca, incredulo, ma soprattutto
colpito. Ognuno era impegnato per conto suo, si sentivano solo le note
della chitarra e del basso in mezzo ad un silenzio irreale.
Immortalò subito tutto quello che l'obbiettivo della sua
alleata poteva contenere, corrucciato per non poter imprimere su carta
anche la sensazione straordinaria che infondeva quel silenzio strano;
poi volse lo sguardo alla sua batteria.
Impegnati a discutere sottovoce dell’accaduto tra loro, Tom e
Georg non erano stati abbastanza accorti da notare che Mimi, lasciata
sola Natasha, meravigliata e incuriosita da quell’ambiente
pervaso da una così piacevole aura di frenesia e imminenza,
aveva iniziato a passeggiare tra i fili e il disordine del palco,
finendo poi per sedersi, dopo un capogiro, sullo sgabello della sacra
ed inviolabile batteria di Gustav, di cui il ragazzo era molto geloso.
Si era fatto aiutare a montarla dal suo tecnico di fiducia qualche
giorno prima ed era legge non scritta che, all’infuori di
qualche privilegiato, lo strumento non andava sfiorato da
nessun’altro.
Georg fece uno scatto quasi involontario verso la ragazza, per
avvertirla del grave sacrilegio che stava compiendo, ma Gustav, che
l’aveva notata prima di loro, si avvicinò a Mimi
con un sorriso, scattandole una foto e salutandola gentilmente.
-Come stai?-le chiese, tranquillissimo. Georg lanciò
un’occhiata preoccupata verso Tom, che scrollò le
spalle, molto più in pensiero per suo fratello e
già assorto nelle possibili e nefaste conseguenze che
quell’incidente avrebbe potuto portare a tutto il tour.
-Bene- gli rispose Mimi, sistemandosi la frangetta che si era fatta
tagliare da Oliver.
A rompere il silenzio, la voce di Bill, che stava provando Monsoon
aiutato da una poco sicura Anya, li raggiunse come l'annuncio della
Terra Promessa; tutti, nella sala, tirarono un sospiro di sollievo e
finalmente poterono tornare al loro lavoro chiacchierando allegramente.
-Ecco io dovrei…- biascicò Gustav, indicando lo
sgabello su cui era seduta la ragazza –Dovremmo provare-
-Oh!- Mimi saltò in piedi, scusandosi e prese la macchina
fotografica dalle mani del batterista, dirigendosi verso le scale del
palco.
-Allora?- urlò Gustav agli altri, sedendosi al suo posto
–Proviamo sì o no?-
Bill raggiunse gli altri con un sorriso soddisfatto e subì
con allegria le pacche di incoraggiamento che Georg e Tom gli batterono
sulle spalle; Anya tornò al suo posto, al suo succo e
riprese a succhiare forte dalla cannuccia, facendo cenno a Mimi di
raggiungerla.
Perdonate gli eventuali errori. Ali
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