Angolo autrice
Eccomi,
un pochino in ritardo, ma eccomi. Mmh. Questo capitolo non mi piace, ma
sarebbe
quello conclusivo di questa mini-long. Ringrazio infinitamente tutti
coloro che
hanno letto questa storia e in particolare ka93
e Bulmix_1992 per aver recensito :D
Spero
che questo epilogo non sia troppo mal riuscito ^^”
Disclaimer
» Dragon Ball © Akira Toriyama.
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I
believe in you
[Epilogo]
You saw me
mourning my love for you
And touched my hand
I knew you loved me then
Pensava
che senza gli effetti personali di Gohan la sua assenza sarebbe pesata
meno.
Pensava che non vedere i suoi vestiti o i suoi libri sparsi per la casa
lo
avrebbe aiutato a non pensare a ciò che mancava in quella
stupida abitazione,
ma di fatto non vi era stato alcun cambiamento.
Passava
quasi l’intera giornata chiuso nella Gravity Room e quando
invece si trovava
all’interno della casa gli spazi vuoti rimarcavano
l’assenza di Gohan più di
quanto non facessero gli oggetti.
Bulma
lo aveva più volte rimproverato per gli allenamenti cui si
sottoponeva: in
appena due settimane aveva rischiato tre volte di far saltare in aria
la
Gravity Room e la quarta vi era riuscito. Ne era uscito praticamente
illeso, poiché
era riuscito a scappare prima dell’esplosione, ma ora si
trovava senza stanza
degli allenamenti e la scienziata aveva detto di aver troppi progetti
da
portare avanti per potersene occupare nell’immediato.
Non
sapeva, dunque, come occupare le proprie giornate e finiva per passarle
sdraiato sul divano o sul letto, nel primo caso a fissare la
televisione senza
reale interesse, nel secondo con lo sguardo ancorato al soffitto.
Gli
ricordava il periodo dopo la morte di Kakaroth, quando aveva deciso di
non
combattere mai più.
Ogni
tanto usciva in giardino per allenarsi comunque, ma con quella
gravità leggera
e nessun robot a minacciarlo, l’allenamento pareva inutile,
non richiedendo
alcuno sforzo.
Una
parte di lui avrebbe voluto allenarsi con Trunks, l’altra
anelava solitudine.
Capitava che il figlio venisse a fargli visita, ma in quel periodo la
scuola lo
teneva fin troppo impegnato e comunque ogni volta che veniva il
principe pareva
interessato solo all’allenamento, non alla sua compagnia.
Capitava,
quando i suoi muscoli anelavano movimento e gli rendevano impossibile
rimanere
sdraiato sul divano, che spiccasse il volo e iniziasse a girare a
vuoto,
passando anche sopra a città terrestri senza preoccuparsi
delle possibili
conseguenze – gli umani in ogni caso erano sempre troppo
presi dagli affari
loro per soffermarsi a guardare il cielo.
Più
volte gli era capitato, volando senza fissare una meta precisa, di
ritrovarsi a
sorvolare quel posto che aveva più volte condiviso con
Gohan, dopo il Cell
Game, e in ognuno di quei casi aveva semplicemente digrignato i denti
per poi
andarsene – scappare – il più lontano
possibile da lì.
Quella
sera, senza una particolare motivazione, forse per semplice masochismo,
si era
invece fermato a mezz’aria, gli occhi fissi su quello
spuntone di roccia su cui
fin troppe volte si erano seduti. Era atterrato lentamente, combattuto
tra la
volontà di restare e andarsene – fuggire
– come tutte le altre volte che era
incappato in quel luogo negli ultimi tempi.
Alla
fine, si sedette, le gambe a penzolare nel vuoto e un peso
insopportabile nel
petto.
«
Maledetto. » borbottò, tra i denti.
In
fondo, quel posto era sempre stato suo, suo soltanto, finché
quel ragazzino
dagli occhi grandi e il sorriso spento non vi aveva messo piede per poi
tornarci così tante volte che Vegeta aveva perduto il conto.
Se
Gohan non fosse mai venuto lì, ora avrebbe potuto godere di
quel silenzio e di
quella pace senza essere disturbato da un insopportabile senso di vuoto.
“Sono
confuso, in questo momento. Ho bisogno…
Di capire che cosa voglio.”
Non
riusciva a ripensare a come lo avesse rifiutato, con dispiacere e pietà nella voce, a ricordare
quegli
occhi che lo guardavano ma non lo riconoscevano, senza provare il
desiderio di
urlare e distruggere con le sue mani quel miserabile pianeta che lo
aveva
rovinato.
“Mi
dispiace…”
Emise
un ringhio di frustrazione, si alzò in piedi e
frantumò un masso con un calcio,
poi semplicemente spiccò il volo per tornare alla sua casa
colma di fantasmi di
un passato perduto.
“Chi
sei?”
*
*
*
Forse
stava uscendo di senno.
Forse
la sua sanità mentale era già svanita nel momento
in cui aveva deciso di non
abbandonare Bulma e Trunks, provando a crescere quel figlio che sarebbe
comunque divenuto un grande guerriero senza di lui.
Forse
non c’era un vero e proprio fondo, era possibile cadere
sempre più in basso,
all’infinito, senza che l’umiliazione fosse mai
ultimata.
Altrimenti
non sarebbe riuscito a spiegarsi come mai, da un paio di giorni a
quella parte,
avesse cominciato ad andare lì ogni sera, sedendosi a terra
e lanciando
occhiate oblique allo spazio vuoto accanto a sé, quasi in
attesa di un ritorno
che non sarebbe mai avvenuto.
“Io
sento
qualcosa per te…”
«
Sarai, contento, immagino. » borbottò, rivolto al
nulla. « Dicevi sempre che
cominciavo a somigliare a un umano, no? Penso di essere
sufficientemente
patetico da poter essere scambiato per un terrestre, ora…
»
“Ma
non riesco a capire se sia mio veramente
o solo una conseguenza di quanto mi è stato raccontato.”
La
dita si serrarono attorno all’erba – desiderava
lacerare, affondare le unghie
nella pelle di un qualunque patetico essere, osservare il dolore altrui
allo
scopo di attenuare il proprio – e la strapparono con
brutalità, scagliandone
poi in avanti i residui, alcuni dei quali si depositarono sulle sue
gambe.
«
Non posso credere di essermi umiliato a quella maniera. »
borbottò.
Eppure
in fondo sapeva che, con anche solo la più piccola speranza
di poter riavere
Gohan, lo avrebbe rifatto.
*
* *
La
pioggia non lo aveva mai infastidito.
Era
un po’ come il getto d’acqua della doccia: lo
aiutava a pensare e trovava
inutile che i terrestri cercassero i mezzi più fantasiosi
per ripararsi. Qual
era il problema, se dopo potevano comunque asciugarsi?
L’erba
bagnata a contatto con la pelle, invece, dava una spiacevole sensazione
di
viscido. Chiuse le mani a pugno, alzando lo sguardo verso il cielo
scuro dove
di tanto in tanto un lampo illuminava le nubi, seguito da un tuono che
pareva
far tremare l’aria stessa.
Gohan
aveva sempre detto di aver paura dei tuoni.
Ogni
volta che quei rumori assordanti turbavano la quiete, il ragazzo si
accoccolava
contro di lui, in barba le proteste che Vegeta borbottava prima di
accontentarlo. Si cedeva lontano un miglio che fosse tutta finzione, ma
il
principe aveva sempre preferito ignorare questo insignificante
dettaglio.
Emise
un mezzo ringhio frustrato, rimproverandosi per quei pensieri che non
facevano
altro che peggiorare la situazione.
*
*
*
Si
sentiva ogni giorno più patetico.
A
cosa serviva recarsi lì e fissare con rammarico il vuoto
accanto a sé?
Immaginare che Gohan fosse seduto accanto a lui glielo avrebbe forse
riportato?
Avrebbe come per magia riempito la mente del ragazzo dei ricordi
perduti,
spingendolo a tornare sui suoi passi?
Se
anche così fosse stato, lo avrebbe mandato via,
pensò, sull’onta
dell’umiliazione e del dolore che quel rifiuto gli aveva
marchiato a fuoco
sulla pelle.
Idiota. S’insultò
poi,
sapendo di mentire.
Certo
che non lo avrebbe mandato via, come avrebbe potuto?
Anche
se non sapeva cosa avrebbe fatto con esattezza, certo non lo avrebbe
cacciato
per tornare allo stato miserevole in cui versava in quel momento.
Forse
avrebbe messo da parte l’orgoglio, come aveva già
fatto per lui in passato, e
lo avrebbe stretto a sé, fino a convincersi che fosse
tornato davvero. Forse
avrebbe fatto il sostenuto, dandogli le spalle fino a che le sue scuse
non gli
fossero parse sufficienti.
O
forse avrebbe semplicemente annuito, simulando indifferenza e
dignità – sempre
che ne fosse stato capace, dal momento che pareva proprio
l’avesse persa per
strada – ?
Non
lo sapeva, e forse mai lo avrebbe saputo.
“Magari
tornerò…”
Non
aveva alcuna voglia d’illudersi – eppure, una parte
di lui sperava comunque.
*
*
*
Uno.
Lanciò
il primo sasso, osservandolo cadere tra gli alberi a un paio di metri
di
distanza da lui, approssimativamente.
Due.
Quattro
metri.
Era
patetico che per distrarre la sua mente dal pensiero di Gohan dovesse
trovare
passatempi tanto idioti. Trovava meno patetica l’abitudine di
Kakaroth di
andare a pesca: per lo meno serviva a procurare del cibo.
Tre.
Otto
metri.
Non
avrebbe mai creduto che uno come lui potesse soffrire il dolore di una
perdita.
O meglio, ne aveva avuto un assaggio alla morte del ragazzo del futuro,
o
quando aveva creduto che Gohan fosse stato ucciso da Majin-Bu, ma
lì era stata
questione di un istante prima che la sofferenza divenisse rabbia e in
seguito
si era rifiutato di soffermarsi sulle sensazioni provate in quei
tremendi
istanti.
Quattro.
Sedici
metri.
Ora,
invece, non aveva modo di non pensare al senso di vuoto che lo
opprimeva ogni
volta che rientrando a casa non trovava il ragazzo ad accoglierlo, ogni
volta
che lo sguardo cadeva sulla metà del letto vuota e la sua
masochista voglia di
farsi del male lo spingeva a cercare l’aura di Gohan, come a
ricordargli che
era vivo, che sarebbe potuto tornare da lui ma semplicemente non voleva.
Cinque.
Trentadue
metri.
Eppure
se lo sarebbe dovuto aspettare.
Non
aveva mai capito come mai quel ragazzo che avrebbe voluto con tutto se
stesso
vivere una vita normale si fosse legato tanto profondamente proprio a
lui,
perché avesse voluto perdere tempo dietro al suo animo
corrotto e alle sue
cicatrici.
Non
aveva sempre avuto timore che potesse stancarsi e andarsene? Alla fine
era
accaduto. E, come se non fosse stato sufficientemente doloroso, parte
della
colpa era anche sua.
Sei.
Ringhiò
di rabbia, scagliò il sasso con tutta la forza in suo
possesso e l’oggetto
svanì presto alla vista, troppi metri più avanti.
Non
era neppure in grado di portare avanti uno stupido passatempo senza
mandare
tutto all’aria, maledizione.
I
muscoli ebbero uno scatto derivante dalla tensione e Vegeta ebbe la
sgradevole
sensazione di agitarsi come uno stupido animale in gabbia.
Lo
sguardo cadde per la millesima volta accanto a lui, e mentre gli occhi
bruciavano nonostante le urla disperate del suo orgoglio, ebbe la
conferma di
essere impazzito, poiché vide sedersi accanto a lui il
ragazzino che Gohan era
stato.
Lo
vide sorridere calorosamente, con le labbra e con quegli occhi
meravigliosamente pieni.
Distolse
lo sguardo, piantandolo sul terreno mentre la mano convulsamente
stretta a
pugno colpiva il terreno, forse nella speranza che
quell’immagine – bellissima
e dolorosa – svanisse.
Sentì
un tocco leggero sul braccio.
Lo
ignorò, imprecando tra i denti e trattenendo a stento le
lacrime – non avrebbe
sopportato l’ennesima umiliazione, anche se nessuno vi
avrebbe assistito.
Delle
mani avvolsero la sua, stringendola e bloccandola, nella crudele
illusione che
non fosse più solo.
Eppure
quel contatto era troppo reale per essere solo frutto della sua sadica
immaginazione.
Alzò
lo sguardo e, dove prima c’era un ragazzino, si trovava il
Gohan ragazzo che lo
aveva rifiutato non ricordava quanto tempo prima. Lo fissò a
occhi sgranati,
cercando poi di darsi un contegno, le labbra strette e lo sguardo fisso
nel
suo.
Ritirò
la mano con uno scatto rabbioso, ringhiando: « Cosa vuoi?
»
Gohan
abbassò gli occhi qualche istante, poi li rialzò
con determinazione.
«
Volevo parlarti. »
«
Non abbiamo già parlato abbastanza? »
La
replica ostile di Vegeta nascondeva una punta di amarezza, la
diffidenza era
uno scudo eretto per proteggerlo da un’altra probabile
delusione.
«
Volevo scusarmi– » ricominciò Gohan,
venendo però immediatamente interrotto.
«
Lo hai già fatto e non me ne faccio nulla della tua
cortesia. Se volevi avere
la coscienza a posto, bene, hai fatto il tuo dovere e ti sei scusato.
Ora lasciami
in pace. » disse il principe, gelido, senza sapere come
stesse riuscendo a
mantenere stabile la voce.
«
Puoi farmi finire di parlare? » sbuffò il ragazzo,
ruotando gli occhi e senza
attendere risposta. « Volevo scusarmi per averti fatto star
male. Ma ero
sincero: non sapevo quello che volevo. Adesso penso di averlo capito.
»
Vegeta
tacque, sforzandosi di mantenere il contatto visivo e obbligandosi a
non
sperare neppure per un istante, di non idealizzare quale sarebbe stata
la
conclusione di quel discorso – eppure una parte di lui
cominciava già a gioire.
«
Non ricordo molto. » continuò Gohan. «
Ma non sto bene, a casa dei miei
genitori. È come se mancasse qualcosa. E più cose
mi tornano alla mente, più mi
rendo conto che quel qualcosa sei tu. »
Era
normale che in testa rimbombassero i battiti impazziti del suo cuore?
Temeva
che anche il ragazzo potesse sentirli, tanto erano forti.
«
Quindi, mi dispiace non esserne stato certo sin da subito. Scusami.
Posso…
Posso tornare a casa? »
Aveva
la gola secca, se anche fosse riuscito a formulare un pensiero coerente
con
tutta probabilità non sarebbe stato in grado di darvi voce.
Passarono
diversi istanti prima che Vegeta riuscisse a dire: « Ho
voglia di prenderti a
pugni. »
Prima
che Gohan potesse captare quanto detto, però, il principe lo
aveva afferrato
per le spalle, attirandolo a sé senza troppi complimenti. Il
ragazzo non si
oppose minimamente e Vegeta si ritrovò a saggiare le sue
labbra con la stessa
foga che un affamato sfoggia di fronte a un pranzo abbondante.
«
Fai ancora una volta una cosa del genere e ti prendo a schiaffi.
» soffiò dopo
qualche istante.
Gohan
ridacchiò.
«
Mai più, promesso. »
Vegeta
non soffocò il lieve sorriso che
gl’incurvò le labbra quando negli occhi del
ragazzo scorse una singola, piccola, scintilla.
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