11
Queste
quattro mura si chiudono ogni giorno di più.
Sto
morendo dentro,
ma
nessuno lo sa, a parte me.
Perché
non ho detto,
le
cose che avrei dovuto.
Come
ho potuto lasciare
che
il mio angelo se ne andasse.
Mantengo
un sorriso, anche quando sono spezzato.
Non
sono nessuno senza qualcuno come te.
Sto
tremando dentro.
E
nessuno lo sa, a parte me.
Un
miliardo di parole non potrebbero esprimere
come
mi sento.
Tra
un milione di anni da adesso, lo sai,
ti
amerò ancora.
Le
notti sono così solitarie, i giorni così tristi.
Continuo
a pensare all'amore
che
avevamo.
Adesso
mi manchi,
ma
nessuno lo sa, a parte me.
(Nobody
Knows – Boyzone).
A
volte odiamo noi stessi
per i
sentimenti che ignoriamo.
Forse
è questo il problema,
non
ascoltiamo noi stessi,
finché
non è troppo tardi.
RM
Drake.
Marzo
(Meno
due settimane al matrimonio)
Capitolo
11.
A
due settimane dal matrimonio, la situazione era più critica
che mai:
se all'inizio era sembrato tutto un gioco, una partita a scacchi a
lunga durata che avrebbe potuto manovrare senza difficoltà,
il
countdown dimostrava che ad averlo sconfitto era l'unico giocatore in
gara. La casa stessa ormai gli pareva estranea: mano a mano che il
soggiorno era diventato il luogo di raccolta dei regali che erano
giunti dall'Ohio e dalle nuove conoscenze di New York (inclusi
colleghi di Vogue, della caffetteria e altri studenti della Nyada),
le tracce della sua convivenza con Kurt sembravano rilegate ai
margini, anch'esse soffocate.
Ma
era anche l'atmosfera ad essere cambiata: era come se, da quel San
Valentino, Kurt avesse fatto una decina di passi indietro.
Probabilmente quelli che si era prefissato dal fidanzamento, ma era
avvenuto in modo così repentino e brusco che era stato come
ritrovarsi a convivere con un estraneo. Un estraneo che ormai passava
quasi tutte le notti dal fidanzato e sembrava più che
avvezzo
all'intimità domestica che avrebbero vissuto da
lì a poco. Un
estraneo che non sembrava aver più alcun desiderio di
aprirgli il
proprio mondo.
Se
quel loft era stato, da che si era trasferito a Brooklyn, il suo
rifugio dal mondo esterno e dalla sua vita notturna, adesso sembrava
soffocarlo, lentamente e senza pietà.
Non
era pronto e non lo sarebbe mai stato.
Il
giovane di fronte a lui aveva decisamente una bella presenza, doveva
concederglielo. Non era solo frutto dei suoi tratti somatici, ma quel
sorrisetto beffardo e felino che spesso, durante la conversazione, ne
sfiorava le labbra, conferendo alle sue parole un sottinteso
eloquente. Sebastian ben sapeva che talvolta il fascino era scaturito
dal lasciar intendere, piuttosto che nell'affermare ad una maniera
esplicita. Ne aveva studiato a lungo lo scintillio delle iridi e
quell'aria di chi aveva la presunzione di poter conquistate il mondo
soltanto con il proprio charme.
Sì,
gli ricordava quella facciata che si era costruito nel tempo e
ciò
non poté che fargli volgere il giudizio a suo favore. In
verità il
suo istinto lo aveva compreso da quando gli si era seduto di fronte,
intrecciando il suo sguardo azzurro. Un azzurro diverso da quello di
Kurt: laddove le iridi di quest'ultimo erano lo specchio di un'anima
pura e delle emozioni che le attraversavano, quelle davanti a lui
nascondevano i reali sentimenti del giovane e sapevano lusingare ed
allettare, in vista di un doppio fine.
Gli
strinse la mano alla fine del colloquio.
"Aspetto
una tua chiamata", gli disse l'altro con il suo fine accento
anglosassone, un breve ammiccamento a mo' di saluto ed uscì
dal pub.
Sebastian
si sedette al solito sgabello e il barista si avvicinò
subito
(aveva, infatti, ignorato per tutto il tempo le sue occhiate
sospettose, ma non aveva dubbio che lo avrebbe sottoposto ad un terzo
grado). Esibiva ancora uno sguardo perplesso, facendo saettare gli
occhi nella direzione in cui lo sconosciuto si era allontanato.
"Sebastian,
ti prego”, esordì con aria realmente esasperata e
rilasciando un
sospiro profondo, quasi ad invocare la calma. “Dimmi che non
usi
il mio posto di lavoro per prendere accordi con un prostituto".
Sebastian
si accigliò, quasi si sentisse offeso da quella strampalata
supposizione. "Certo che no”, attese che Hunter si sgonfiasse
il torace per il sollievo, prima di sorridere con quell'incrinatura
più maliziosa. "E' uno spogliarellista", gli
spiegò in
tono pacato.
Sarebbe
valsa la pena di tenerlo ulteriormente sulle spine soltanto per
osservarne il repentino cambiamento d'espressione, reso più
che
evidente dal modo in cui le sue sopracciglia sembravano convergere al
centro della fronte o schizzare verso l'attaccatura dei capelli,
accompagnate da una buona flessibilità della mascella
prominente.
Il
barista quasi si lasciò sfuggire di mano un boccale di
vetro, ma
l'appoggiò sul bancone quasi a fatica.
"Cosa?!",
domandò, infine, in tono sconvolto.
Sebastian
si gustò quella visione vagamente comica, prima di
stringersi nelle
spalle e allungargli il biglietto da visita che quel tale Kyle
Larris gli aveva lasciato, con tanto di marchio del locale in
cui
solitamente si esibiva.
"Si
dà il caso che quel bietolone di Finn sia stato
così gentile da
dirmi dove si sarebbe tenuto l'addio al celibato della Mezza
SegAnderson”, spiegò con voce vellutata.
Ma
dallo sguardo era evidente la sua soddisfazione nel ricordare quanto
fosse stato semplice abbindolarlo, una volta assicuratosi che la
Berrysterica fosse distratta dai suoi sedicenti fan (una delle sue
idee migliori pagare qualche studente incontrato in metropolitana
perché la fermassero con una richiesta di autografi e
selfie), fino
a fargli sganciare ogni informazione utile. Si era persino pentito di
non essersi giocato in anticipo la carta del fratellastro poco
sveglio.
“Un
mio personale regalo per lo sposo", continuò con aria
casuale,
per poi inarcare le sopracciglia. "E non è neppure costato
poco", aggiunse vagamente stizzito dal dettaglio.
Hunter
aveva scosso la testa a più riprese, con aria evidentemente
disgustata da un simile espediente, ma sembrò volersi
risparmiare la
morale e cercare di minarne le intenzioni con un approccio razionale,
mettendone in dubbio la realizzabilità. "Non ti aspetterai
davvero che dopo averlo già tradito, sarebbe così
idiota da-".
Sebastian
sorrise e neppure gli diede il tempo di finire la domanda: "Kurt
ha detto che non regge l'alcol", lo informò con voce
flautata.
"Oh”.
Hunter imitò un'espressione di deliziata sorpresa ed
incrociò le
braccia al petto, prima di gettargli un'occhiata di traverso.
“Neppure lui?".
Sebastian
lo fissò con aria schifata e risentita per l'implicito
paragone, ma
continuò a parlare, come se non fosse stato interrotto, come
se la
sua opinione (non che fosse qualcosa di nuovo o di sorprendente) non
avesse alcun peso. "L'ho pagato perché si assicuri che il
suo
bicchiere sia sempre pieno, poi lo sedurrà e quando faranno
sesso,
filmerà tutto con la telecamera nascosta nel suo
appartamento e io
farò in modo che Kurt lo venga a sapere”.
Il
barista parve persino più scettico, senza contare
l'espressione
palesemente nauseata. Scosse il capo e strofinò il bancone
con uno
straccio umido, quasi neppure volesse guardare in faccia il proprio
interlocutore. "Questo è davvero spregevole,
persino per
te”, gli fece presente, scoccandogli un'occhiata eloquente
per poi
aggiungere: “Soprattutto considerando che stai ancora
evitando di
affrontare la vera questione".
Ne
ignorò l'osservazione pungente e si strinse nelle spalle,
difendendo
l'ennesimo dei suoi piani con quella punta di orgoglio e di
raziocinio che rendeva il tutto persino più paradossale. "E'
una prova: se davvero lo ama, non lo
tradirà di nuovo, alcol
o non alcol".
Hunter
sospirò, osservandolo come se stesse cercando un nuovo punto
punto
di contatto, consapevole che fosse ormai troppo tardi per dissuaderlo
a cose fatte. Se non facendo leva sull'unica persona il cui stato
d'animo era davvero capace di sconvolgerlo. "Stai giocando coi
sentimenti di Kurt. Supponiamo che Blaine cada in trappola: non ti
sentiresti complice del
tradimento? Riusciresti ad andare avanti con un simile
senso
di colpa?".
Sebastian
non parve, infatti, trovare un'immediata replica: probabilmente era
più difficile ignorare quel tarlo quando era qualcun altro
ad
esplicitarlo e dargli voce. Ingollò un sorso di birra, quasi
a
tergiversare, prima di stringersi nelle spalle.
Avrebbe
desiderato poter avere una risposta arrogante anche di fronte a
quell'ipotesi che bastò a strappargli il respiro, quasi
tentato di
contattare subito il giovane per disdire tutto. Persino il ciondolo
del bracciale parve divenire più pesante.
Fissò
risentito il barista, quasi fosse una sua colpa, prima di rispondere
in tono stizzito: “Nessuno obbligherà Mezza
SegAnderson a fare
qualcosa”.
Ben
lungi dall'essere soddisfatto, Hunter lo guardò senza
intenti
polemici, ma una reale preoccupazione: "Mancano due settimane,
Sebastian".
"Lo
so", rispose in una sorta di ringhio, già pentitosi di non
aver
scelto un altro luogo per quella trattativa.
"Ma
continui ad evitare la questione", aggiunse l'altro in tono
più
gentile, quasi si sentisse in colpa per l'ingrato compito di dovergli
far affrontare la realtà.
Sebastian
rilasciò un sospiro, ma gli angoli delle labbra si
contorsero in un
sorriso amaro, quasi vulnerabile. Scollò le spalle, a
sminuire il
reale stato d'animo e quell'ansia crescente che gli divorava il
petto, rendendolo persino incapace di respirare, soprattutto nelle
notti passate a passeggiare per il loft, chiedendosi se il
coinquilino sarebbe rientrato.
"Sarebbe
più facile, se Kurt non evitasse me".
Il
barista si passò una mano sulla fronte, quasi quelle parole
fossero
mortalmente definitive, ma sorrise quasi con la stessa rassegnazione:
“Onestamente non so chi tra voi due sia più
disfattista”.
Sebastian
non rispose, un vago sorriso ironico, prima di osservarlo di
sottecchi e schiarirsi la gola:
"Mi
stavo chiedendo”, recuperò in fretta un tono
casuale. “Per caso
conosci il barista del-".
Hunter
roteò gli occhi e lo interruppe, di nuovo con voce vibrante
di
autentico rimprovero: "Se anche lo conoscessi, non lo
corromperei per te".
"Io
lo farei e anche con un certo divertimento, se Barbie si trovasse un
altro Ken”.
"Certo”,
convenne l'altro con un sorriso sferzante. “Dopo averle
indicato,
con tanto di segnaletica, illuminata da neon e da glitter, la strada
più rapida per raggiungerlo e aver filmato un loro video
hard
magari”, precisò con aria ironica.
“Il
fine giustifica i mezzi”, gli fece presente e
sembrò evidente che
non si riferisse soltanto all'eventualità di un suo
intervento in
altrui questioni sentimentali.
“Parla
con Kurt, Machiavelli”,
gli strappò di mano la bottiglia con un gesto eloquente.
Sebastian
si rimise in piedi, quasi con aria risentita, affondando le mani
nelle tasche dei pantaloni:
"Continuerai
a ripeterlo per tutta la tua fallimentare vita?", gli chiese in
tono risentito.
Hunter
inclinò il viso di un lato, un sorriso quasi sadico ad
incresparne
le labbra e renderne i lineamenti assai meno rassicuranti, rispetto
alla tipica espressione perplessa. "Fino a quando lui e Blaine
non saranno dichiarati marito e marito. Da allora si
trasformerà in
un « te lo avevo detto
»", gli disse a mo'
di velata minaccia.
"Un
altro motivo per sabotare il tutto", borbottò tra
sé e sé,
per poi indietreggiare, le mani sollevate e un sorrisetto sferzante.
“Niente approvazione, niente pagamento”.
“Sebastian!”.
“Ti
saluto, Clarington”.
~
(Vigilia
delle Nozze)
Quando
rientrò e si guardò attorno, sentì un
brivido lungo la spina
dorsale: il portachiavi di Kurt era appoggiato al suo solito posto.
Quelle
ultime due settimane sembravano essere scorte fin troppo rapidamente
e le uniche occasioni in cui aveva scorto il giovane, era quasi
sempre accompagnato dal fidanzato, dalla Berrysterica o dalla sua
amichetta della caffetteria. Aveva sempre avuto la sgradevole
sensazione che, anche quando presente (soprattutto quando riceveva
visite o doveva occuparsi di questo o dell'altro stupido dettaglio
relativo alle nozze), cercasse ogni espediente per scoraggiarlo ad
avvicinarsi ed avere una reale conversazione con lui. A concedersi un
po' di quella quotidianità a due che era stata la loro vita
fino a
quell'insensato fidanzamento. Aveva persino evitato di recarsi al
pub, girovagando nel locale del provetto spogliarellista, ignorando
tutte le chiamate e i messaggi in segreteria di Clarington.
Tutte
le sue speranze sembravano ormai riposte in un perfetto sconosciuto e
nella libidine di Mezza SegAnderson.
Ma
quella piccola iniziale cosparsa di brillantini e strass
sembrò
essere una sorta di “segno”, anche se gli incuteva
non poca
preoccupazione il cominciare ad invocare teorie degne di “Insonnia
d'amore”.
Prese
un profondo respiro e si concentrò sulla presenza di Kurt:
ascoltò
i suoni attutiti che provenivano dalla sua stanza. Guardò
quella
porta come se fosse un portale verso il suo mondo
da cui non
si era mai sentito tanto lontano come nelle ultime settimane. Una
forza attrattiva sembrava volerlo condurre a compiere quei brevi
passi che li separavano, mentre il suo gelido raziocinio avrebbe
voluto persino allontanarsi, senza che l'altro fosse consapevole di
quell'esitazione.
Trattenne
il fiato, avanzò in quella direzione, quasi bruscamente e
sollevò
la mano per bussare, ma non fu necessario.
L'uscio
era soltanto socchiuso e ne intravide la sagoma di fronte allo
specchio: fu lieto che non potesse sentire l'alterazione brusca dei
battiti del suo cuore e quel brivido lungo la spina dorsale.
Kurt
lo scorse dal riflesso: seppur non potesse vederlo direttamente in
volto, non ebbe alcuna difficoltà ad immaginarne lo
scintillio delle
iridi e la commozione che si rese evidente dal gorgoglio rauco della
sua voce. "Entra pure", lo invitò con un timido sorriso.
Sebastian
non riuscì a farlo: non era pronto a vederlo in abito da
sposo.
~
Emise
un mugugno, quando il fracasso insopportabile a quell'ora del
mattino, lo indusse a schiudere gli occhi, dopo una notte fin troppo
breve di riposo. Si portò una mano alla fronte, a liberarla
dalle
ciocche di capelli che vi ricadevano scompostamente sopra e occorse
qualche istante per diradare l'ombra del sonno e comprendere chi
fosse l'artefice di tale scompiglio.
Si
rimise in piedi, passandosi una mano sugli occhi e
sbadigliò, prima
di lasciare la propria camera e aprire l'uscio di quella del
coinquilino, senza neppure curarsi di bussare o chiedere il permesso
di entrare.
La
vista che lo attese gli fece sgranare gli occhi e il sonno
sembrò
dimentico. Se non era, infatti, insolito che Kurt si muovesse da un
angolo all'altro della stanza, in preda all'agitazione, con almeno
una decina di post-it colorati (a mo' di promemoria) appoggiati allo
specchio in un ordine soltanto da lui comprensibile, non riusciva a
spiegarsi la valigia aperta sul materasso.
“Che
stai-?”.
“Oh,
ciao”, lo salutò distrattamente Kurt, ancora
intento a prendere
degli abiti dalle grucce e appoggiarseli sul braccio piegato.
“Non
hai una bella cera”, gli concesse un'occhiata prolungata,
indugiando sulle occhiaie con aria di pacato rimprovero.
“Che
sta succedendo?”, gli chiese e incrociò le braccia
al petto,
attendendo una spiegazione.
Il
pensiero corse a quel San Valentino che lo aveva visto compiere gesti
inediti: da quella stessa notte, non lo aveva abbandonato l'idea che,
senza alcuna interruzione, avrebbe potuto tentare di dare una svolta
a quella serata. Non poteva fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe
potuto accadere, se si fosse concesso di immaginare una vita diversa.
Kurt
piegò gli abiti con aria esperta per poi riporli nella
valigia.
“Scusami, non volevo svegliarti. Il corriere mi ha portato un
regalo di mio padre: mi ha invitato a passare il weekend in Ohio e ho
il volo prenotato tra...”, guardò l'orologio con
aria incredula.
“Due ore, dannazione. Credo che mio padre abbia un pessimo
senso
dell'umorismo o una strana idea di sorpresa”,
commentò con aria
sospirata. “Ma è il suo anniversario con Carole e
non posso
mancare”.
Un
vago sorriso increspò le labbra di Sebastian. “Tra
due ore, hai
detto? Ok, allora sarà meglio che mi sbrighi”.
Quelle
parole fecero breccia nella mente del suo coinquilino, che assunse
un'aria mortificata e si fermò.“Mio padre ha preso
i biglietti
soltanto per me”.
“E
allora?”, domandò con un sorriso sferzante.
“Qualcosa mi dice
che non sarà difficile trovare un posto libero”.
“Mi
sarebbe piaciuto che tu venissi con me, davvero: avevo anche pensato
di telefonare io stesso e buttarti giù dal letto con questa
sorpresa”, iniziò Kurt con un rammarico.
Evidentemente qualcosa
gli aveva fatto cambiare idea.
Cercò
di celare la delusione che lo fece irrigidire. “Ma non
piaccio a
tuo padre”, ne interpretò le parole sottintese.
“Non
essere sciocco: a mio padre non piace nessuno
dei miei nuovi
incontri,
almeno finché non li approva lui stesso”,
precisò con aria
vagamente ironica. Sospirò e inclinò il viso di
un lato: “So che
hai un esame importante lunedì”.
“E
allora?”, chiese con aria incredula, ma un reale sollievo
all'idea
che fosse soltanto quella la sua obiezione. “Sai che non sono
un
topo di biblioteca”, asserì con uno scrollo di
spalle. “Posso
sempre rimandarlo al mese prossimo”.
“Sebastian,
non asseconderò il tuo perenne procrastinare: ci saranno
altre
occasioni per venire in Ohio”. Inclinò il viso di
un lato, un
sorriso soddisfatto nell'aggiungere: “Anche se comincio a
sospettare che ti sia piaciuto, più di quanto saresti mai
disposto
ad ammettere”.
Corrugò
le sopracciglia: “Kurt, non ho bisogno di una balia, ma se
non mi
vuoi con te, non hai che da dirlo esplicitamente”.
Se
ne pentì quasi subito: così impegnato a cercare
di non palesargli
la delusione che gli aveva appesantito il cuore in petto
(sorprendendosi lui stesso di quanto fosse intensa), non
sembrò
realizzare di poter lui stesso ferirne i sentimenti, come parve
palese dallo scintillio minaccioso delle sue iridi.
“Scusami”,
scosse il capo e sollevò le mani, come a voler ritrattare.
“Hai
ragione, sarà per la prossima volta”, distolse lo
sguardo e si
volse per uscire dalla camera.
Fu
la mano di Kurt, tuttavia, gentile ma ferma nel tocco, a bloccarne il
braccio.
Gli
stava sorridendo con quel misto di rimprovero e di dolce
comprensione: “Avrei voluto davvero averti con me, anche se
avresti
passato il tempo a ironizzare su tutto, rovinando l'atmosfera
romantica. Ma saranno solo tre giorni, neppure ti accorgerai che me
ne sono andato”.
Avrebbe
voluto crederci, ma si limitò a trattenerlo. “Mi
devi un viaggio,
ma la meta la sceglierò io”.
“Se
supererai l'esame con il massimo dei voti”, si finse severo
nell'imporre quella condizione, ma parve altrettanto impaziente.
“Fin
troppo semplice”, replicò con la consueta
sicurezza. Tuttavia,
prima di lasciarlo, lo trattenne:“Rivedrai anche lui?”,
si sentì chiedere al suo orecchio, cercando di controllare
l'inflessione della voce.
Kurt
parve sorpreso della domanda, ma il suo volto si irrigidì:
“Niente
affatto: ormai l'ho perdonato, ma le nostre strade sono separate per
sempre”, dichiarò con aria sicura.
Quella
lieve tensione, tuttavia, non pareva voler scemare.
“Sarà meglio
che mi vesta, dovrò assicurarmi tu prenda il volo
giusto”,
commentò con uno scrollo di spalle.
“Non
è necessario”, sorrise Kurt. “Posso
prendere un taxi”.
Scosse
il capo, un sorriso sincero: “Voglio farlo”.
Kurt
ne ricambiò il sorriso e Sebastian cercò di
ignorare
quell'improvvisa aritmia.
“Bene,
allora sarà meglio che mi sbrighi”. Fece il fatale
errore di
controllare l'ora e parve impallidire: “Oddio,
è tardissimo!”, la sua voce
si alzò di un'ottava.
~
Kurt
sembrò incapace di esprimere il suo reale stato d'animo:
quasi si
rendesse conto dell'imminente evento, soltanto indossando l'abito a
cui aveva lavorato duramente negli ultimi mesi. Sembrò quasi
voler
cercare nell'altro una conferma, scorgendone l'espressione
altrettanto emozionata, seppur per motivi ben diversi.
"Lo
so che l'abito bianco potrebbe sembrare un cliché gay ma-",
iniziò con un velo di rossore sulle gote.
Sebastian
sollevò le mani, come a volerne fermare sul nascere
qualsiasi
possibile argomentazione, quasi – a dispetto della situazione
che
tanto aveva temuto – non riuscisse a sopportare che le sue
naturali
insicurezze si palesassero, rovinando un momento tanto personale e
tanto importante. Perché, a prescindere da se stesso, era la
sua
felicità la cosa più importante e la sua unica
priorità era
continuare ad osservarlo e bearsi di un'immagine tanto pura e
perfetta.
La
giacca, il panciotto e i pantaloni dello smoking erano di un bianco
così lucido da assumere un riflesso perlato, mettendone in
risalto
il colore delle iridi e il candore della sua pelle. Creavano un
piacevole contrasto con la camicia di un candore innevato e un
ulteriore punto di luce era la cravatta argentata, decorata con pois
scuri, a conferire quel tocco più personale, così
“kurteggiante”,
in assenza di un foulard. Il completo prevedeva persino un cappello
intonato che aveva lasciato sul letto.
Si
avvicinò per coprire quella distanza e il suo cuore parve
fermarsi
di fronte a qualcosa di così irreale e, al contempo,
tangibile e
inequivocabile. Lo sentì immobile, dolorosamente contratto,
sprofondando nelle viscere, alla ricerca di quella falsa sicurezza
della quale si era forgiato negli ultimi tempi e che aveva soltanto
rischiato di compromettere tutto.
Lo
sguardo di smeraldo scivolava sull'esile figura e, seppur
abbracciasse ogni tratto del suo corpo, la mente sembrò
isolarsi e
il tempo parve dilatarsi. Scandito da un battito flebile, mentre
anche il respiro sembrava venir meno.
Lo
rivide quel primo giorno alla caffetteria, le loro prime giornate
insieme, l'elenco delle sue stupide regole, la loro prima gita a
Coney Island, il primo Natale e quel San Valentino, prima del ritorno
in Ohio.
Quell'ultimo
anno parve una lunga parentesi, quasi un sogno, che avrebbe dovuto
condurlo tra le proprie braccia, ma che sembrava aver vissuto
soltanto in parte, quasi come uno spettatore neutrale, incapace di
rendere propria la scena. Quell'unica notte a Parigi, quando tutto
sembrava ancora definibile, il loro Natale solitario, tra quelle
quattro mura che sembravano risplendere di una nuova vita,
quell'abbraccio grato dopo la sfilata e quell'unico momento in cui
aveva creduto che anche Kurt desiderasse baciarlo.
Gli
mancò il fiato e strinse i pugni lungo i fianchi.
"Allora?",
gli chiese Kurt con aria febbrile, l'emozione di chi sta per vivere
il momento tanto atteso e, al contempo, sembra rifugiarsi in quella
preziosa quiete.
Sebastian
contrasse le labbra, si avvicinò ulteriormente, ma scosse il
capo e
cercò di ignorare quel nodo in gola.
"Kurt",
sussurrò soltanto e parve sperare, ancora una volta, che il
suo
nome potesse racchiudere tutto quello che non aveva mai pronunciato a
voce alta. Quelle verità rimaste sopite così a
lungo, ma rese ogni
giorno con lui ancora più labili ed effimere, mentre la
speranza
moriva a poco a poco.
L'altro
sembrò averne compreso l'incapacità di esprimere,
perché sorrise
ma lo sguardo si fece più lucido e sembrò
leggervi una nota di
tristezza, persino nel momento in cui la sua gioia avrebbe dovuto
essere totalizzante.
Sebastian
si costrinse a distogliere lo sguardo che appuntò alle
pareti su cui
i quadri decorativi erano già stati tolti, come nefasto
presagio
dello spettro della sua camera, con cui avrebbe dovuto convivere,
dopo la cerimonia. Restava solo il panello che aveva odiato
così
tanto negli ultimi mesi. Lo sguardo guizzò alle scatole
lasciate sul
pavimento, già in parte riempite, e l'aria parve diradarsi
dai suoi
polmoni, costringendolo a schiudere le labbra nel tentativo di
inspirare.
Kurt
ne seguì lo sguardo e quell'ombra di mestizia, parve
scurirne lo
sguardo. Le labbra tremarono, nel cercare di esprimere il suo stato
d'animo, pur con voce flebile: "Non riesco a credere che
sarà
l'ultima notte che passerò qui".
"Kurt",
sussurrò nuovamente Sebastian, con una nuova urgenza, come
se la
propria voce dovesse infrangere quella barriera tra loro, quel
continuo gioco di avvicinarsi ma non spingersi oltre un confine
labile.
A
stento sembrò riuscire ad osservare il giovane di fronte a
sé,
senza che un dolore lancinante gli trafiggesse il petto, con la
prospettiva di uno persino peggiore, quando tutto sarebbe finito e i
rimpianti e il biasimo per me stesso sarebbero stati implacabili.
Fu
come se i suoi fallimentari tentativi di sabotaggio, degli ultimi
pesi, pesassero improvvisamente sul suo animo come un macigno, come
se lo avessero allontanato, anziché avvicinarlo, come
avrebbe
dovuto. Fin dall'inizio.
Si
fermò di fronte al giovane sposo, lo sguardo di smeraldo
striato
parve incatenare quello di zaffiro e desiderò che il tempo
si
cristallizzasse in quell'istante.
Ne
cinse la gota, come se fosse naturale che le sue dita ne tracciassero
la pelle, anche quando l'altro avrebbe potuto percepirlo, almeno
quanto per i suoi polpastrelli vezzeggiarne la morbidezza fresca,
dall'aroma di crema.
Ne
toccò la pelle vellutata, percorse la scia di efelidi sotto
il mento
che così scrupolosamente voleva nascondere al mondo, con
movimento
appena percepibile, delicato e soffuso. Come il sentimento che era
cresciuto silenziosamente, nei meandri della sua mente e del suo
girovagare a vuoto, senza dare una svolta decisiva alla propria vita.
Lo
vide deglutire a fatica, lo sentì sussurrare il suo nome con
la
stessa emozione: un misto di timore e di aspettativa, quasi quel
tocco fosse stato in grado di esprimere le parole taciute, ponendo le
loro menti in una connessione intima e profonda. La conferma che,
seppur silenzioso, anche Kurt fosse stato partecipe di quel
cambiamento.
Sebastian
contò i propri battiti per non estraniarsi a quell'anelito
di
realtà, trattenendolo in quell'istante che sembrava
trasportarli
altrove, dove spazio e tempo non fossero loro avversi. Dove non
sarebbero fuggiti per non vivere un istante come quello.
"Non
farlo", si sentì dire e il suo cuore riprese a scalpitare
intensamente, un brivido lungo la spina dorsale nel sentirsi
realmente vivere quel momento, il più
importante della
propria vita. La voce ridotta ad un respiro inframmezzato dal dolore
taciuto per mesi.
Kurt
parve impallidire, la pelle tremò sotto le dita di
Sebastian, ma non
si sottrasse e neppure distolse lo sguardo. Schiuse le labbra e gli
occhi si spalancarono.
"Sebastian",
sussurrò con voce altrettanto flebile. La sorpresa
sembrò intrisa
di una supplica. Del giusto motivo o del bisogno di una certezza a
cui aggrapparsi più che mai in quell'istante. Dell'essere
uniti
anche nel momento che avrebbe potuto decretare un cambiamento
irreversibile nella sua vita.
"Non
farlo", sussurrò di nuovo Sebastian e la sua voce parve
acquisire una nuova sicurezza.
Ma
non stava riferendosi al matrimonio, mentre ne cingeva il mento:
parve supplicarlo di fidarsi di lui e di non allontanarlo.
Il
pollice ne sfiorò le labbra, percependone il respiro caldo e
affannato. Anche quando la mano ne libera ne cinse il fianco per
sentirlo contro di sé e convincersi che non stesse sognando.
Sembrò
fluttuare tra il sogno e l'incanto, mentre, con un movimento fluido e
quasi frettoloso, si sporgeva al suo viso, osservandone gli occhi
sgranati fino all'ultimo istante.
Appoggiò
le labbra alle sue, trattenendo il fiato.
Lo
baciò come se il mondo stesse crollando sotto i loro piedi e
come se
stesse per esalare l'ultimo respiro e Kurt fosse il suo unico approdo
e rifugio, prima di lasciarsi annientare.
Sentì
il verso soffuso di sollievo erompere dalla propria gola, mentre
tastava ancora la morbida freschezza della sua pelle con devozione e
un tremore quasi incerto. La mano sul fianco lo trattenne a saggiare
quel calore e la solidità del suo corpo, quasi a sincerarsi
che
fosse tutto reale.
Inclinò
il capo a cercare di imprimere un'impronta sulle sue labbra che
potesse rendere quel momento immortale. Percepì il gemito
dell'altro
che si infranse contro il suo bacio, ma non lo scostò.
Lo
strinse più intensamente in quella silenziosa supplica a non
allontanarlo, non in quel momento.
Sentì
il suo stesso cuore contrarsi dolorosamente, quando la mano di Kurt
si adagiò al suo volto e contò quei secondi di
interminabili,
attendendo che lo scostasse da sé con decisione e le iridi
azzurre
lo trafiggessero con la loro sincera purezza.
La
mano di Kurt, gentile ma ferma, lo avvinse maggiormente contro di
sé
e lo sentì premersi contro il suo respiro, quasi volendo lui
stesso
perdersi in quel bacio, a dispetto di tutto il resto. Un battito di
ciglia e le sue braccia esili ne cinsero il collo, come se non avesse
desiderato altro.
Un
mugugno soffuso e provocante e percepì il suo palmo contro
la
propria nuca, a trattenerlo in un silenzioso monito.
Sebastian
sorrise sulle sue labbra, premendolo possessivamente contro il
proprio corpo, a contrasto con la delicatezza con cui le sue dita
cercavano ancora di imprimere il proprio tocco sul suo viso.
Baciarlo
era come tornare a respirare realmente, era come ritrovarsi senza mai
aver ammesso di essersi persi e cercati così a lungo. Come
se non ci
fossero mai stati altri baci nella propria vita.
Si
costrinse a scostarsi, quando si sentì senza fiato,
adagiando la
fronte alla sua, mantenendo gli occhi socchiusi, a crogiolarsi di
quell'istante e del calore che ne infiammò il corpo.
Il
respiro affannato di Kurt gli sfiorò le labbra come un
suadente
invito e Sebastian lo baciò di nuovo, soltanto per sentirlo
emettere
quel verso gutturale di languida resa e bisogno.
Scivolò
con le labbra al suo viso, tracciandone la gota in una scia che lo
stava conducendo verso il suo collo, sentendo il respiro tremulo
dell'altro contro il proprio orecchio, senza mai scostarsi da
quell'anfratto di vaniglia e di crema.
"Kurt",
sussurrò di nuovo, indugiando contro la spalla esile,
affondandovi
docile e arrendevole per un solo istante, quasi quel fluire improviso
di emozioni richiedesse un istante di successiva stasi nel realizzare
che fosse tutto reale.
Kurt
ne baciò la gota punteggiata di nei, quasi li stesse
sfiorando uno
ad uno, sembrò lui stesso sorreggerlo, rafforzando la
pressione
dell'abbraccio e affondò una mano tra i suoi capelli, in una
devota
e delicata carezza.
Sebastian
sospirò di beatitudine, lo strinse più
intensamente e percorse con
le labbra la dolce curva del suo collo, laddove solitamente un
foulard lo copriva.
Non
mi sta allontanando, fu il suo tremulo pensiero.
Ebbe
quasi la sensazione che Kurt potesse sentirne i pensieri, a giudicare
da come ne strinse le spalle per scostarlo. Soltanto quel minimo
necessario a poter incatenarne lo sguardo.
Sebastian
era certo di non aver mai visto così tanta luce in
quell'azzurro,
reso persino più intenso, a contrasto con la pupilla scura.
Sembrava
ancora lievemente affannato, mentre gli sfiorava la pelle del viso,
percorrendola con lentezza estenuante, a contrasto con il battito
convulso del suo cuore.
“Sebastian”,
bisbigliò con voce rauca, prima di sollevarsi rapidamente
sulle
punte per pressare le labbra alla proprie, strappandogli il respiro
con un verso di soffuso desiderio.
Ebbe
soltanto il tempo di scrutarne il volto un ultimo istante: le pupille
dilatate ma frementi, le gote arrossante, le labbra ancora gonfie dei
suoi baci rubati al mondo e a loro stessi.
Si
costrinse a scostarlo, per riprendere controllo dei propri pensieri.
"Kurt",
sussurrò di nuovo.
"Sono
qui", fu la mormorata risposta, quasi distratta, nel tentativo
di carpirne nuovamente le labbra.
Pensò
che la sua vita avrebbe potuto concludersi in quell'istante e tutto
sarebbe stato perfetto, che un solo attimo sarebbe bastato ad
avvincerlo ulteriormente a sé, a sentirlo desiderare con
altrettanta
intensità che lo facesse suo.
Tremò
quando le dita di Kurt, con una dimestichezza sorprendente, cercarono
l'orlo della t-shirt ad insinuarsi al di sotto per sfiorarne la pelle
nuda e fu naturale mordicchiarne il collo, osservando la pelle
arrossarsi e sentendone il verso di approvazione.
Sarebbe
stato così dannatamente semplice socchiudere gli occhi ed
isolare la
propria mente, lasciarsi naufragare in quelle emozioni conosciute,
eppure nuove, perché forgiate di un'intensità
diversa che lo fecero
sentire quasi timoroso.
Trasse
un respiro e la trepidazione e il sollievo dei primi istanti,
lasciarono spazio alla razionalità che sembrò
ammonirlo di star
soltanto illudendosi. Sottoponendo l'altro ad un pericolo persino
più
grande dello sposare colui che aveva ritenuto l'amore della sua vita.
Lasciò
nuovamente scivolare lo sguardo sull'abito da sposo, quella candida
purezza che, da sempre, aveva amato in quello sguardo e nelle sue
svenevoli romanticherie. E il pensiero di starlo contaminando, alla
vigilia delle nozze da sempre attese, parve farlo irrigidire.
Kurt
parve percepirlo, quando ne cinse la gota, ancora prima che potesse
incrociarne lo sguardo e scorgere il mutamento nelle sue iridi.
“Non
posso”, si sentì dire con voce angosciata e il
nodo in gola parve
persino più ferreo.
Le
iridi azzurre si spalancarono, ma la pressione sulla sua guancia
parve farsi più salda, a mo' di dolce rassicurazione e di
monito.
"Sebastian", lo richiamò, quasi desiderando estraniarlo da
quei solitari pensieri.
Ne
baciò con devozione i palmi delle mani, ma scosse il capo e
si
costrinse ad allontanarlo, quasi lui stesso fosse la fonte della
propria perdizione, quasi assecondandone il bisogno, stesse iniziando
a distruggerlo. Poco alla volta. Come era inevitabile.
"Non
avrei dovuto...". Si sentì dire con voce sconnessa e si
sentì
soffocare, cercando di ignorare frammenti di immagini e di fantasmi
che sembravano più intensi che mai, persino nel suo rifugio
dal
passato.
“Sebastian”,
ripeté Kurt, con voce tremula, ma lo sguardo determinando
nell'avvicinarsi nuovamente. “Va tutto bene, è
quello che
desideravamo entrambi”, disse con voce limpida e Sebastian si
odiò
per come quelle parole ne resero nuovamente il respiro fremente,
desiderando soltanto trattenerlo ancora a sé e abbandonarsi
a quel
bisogno doloroso.
“No”,
sussurrò e parve lui stesso supplicarlo di non pronunciare
altre
parole che lo facessero desistere. Si costrinse a voltarsi, il
respiro infranto quando si chiuse la porta alle spalle, ignorandone i
richiami concitati.
~
Come
se il tasso d'irrealtà della situazione non fosse stato
già
sufficiente, al bancone del Penguin Pub non trovò
SfinterHunter. E
quel microbo di Jason Stillman non seppe neppure fornirgli una valida
giustificazione, a parte la formale telefonata al proprietario del
locale. Si domandò se ciò non fosse collegato
all'abilità in cui,
nelle ultime due settimane, ne aveva ignorato l'esistenza.
Anche
se sarebbe stato semplice sgraffignare una fiaschetta di tequila, si
era costretto a lasciare il locale, per raggiungerne il loft. Di
certo non si sarebbe mai aspettato che, dopo aver bussato alla porta,
sarebbe stata la bionda svampita a schiudere l'uscio.
"Ciao
Ciuffo Disney", trillò con aria allegra e si
scostò dalla
soglia, come se fosse stata perfettamente a suo agio in
quell'ambiente e, con ancora più grande sconcerto di
Sebastian,
indossando una camicia del ragazzo, a giudicare da quanto le fosse
larga di spalle e come la coprisse fino al ginocchio.
"Ho
sistemato la mia camera e-".
Hunter
Clarington, che stava appunto uscendo dalla camera da letto, si
interruppe alla vista del giovane alla porta, le sopracciglia
inarcate con evidente sorpresa. Evidentemente domandandosi quale
catastrofe lo avesse spinto a eludere il muro di silenzio che aveva
eretto nelle ultime settimane.
"Sebastian”,
lo chiamò con aria circospetta.
Gli
rivolse un breve cenno del capo, affondando le mani nelle tasche dei
pantaloni, simulando una perfetta compostezza. "Clarington",
ribatté in risposta, come se non fosse affatto passato del
tempo da
una delle loro ultime schermaglie.
"Brittany!",
esclamò la biondina con aria giocosa, prima di assumere
un'espressione mortificata allo sguardo gelido di Sebastian.
Sospirò,
ma si strinse nelle spalle brevemente, allontanandosi: "Vi
lascio soli", pigolò, attraversando rapidamente il soggiorno
(non che fosse difficile considerate le ristrette dimensioni).
"Grazie,
Brittany", le sorrise il padrone di casa, quasi a mo' di scuse
per l'insolenza del nuovo arrivato.
Tutt'altro
che infastidita, sembrò ritrovare il sorriso e lo scintillio
vivace
nello sguardo: "Di nulla". Agitò la mano e si chiuse nella
camera da letto.
Ci
vollero diversi secondi, perché Sebastian osservasse quello
scambio
di sguardi, le sopracciglia così inarcate che quasi
scomparvero
sotto i ciuffi di capelli che ricadevano sulla fronte.
Rilasciò un
sospiro stoico e scosse il capo: "Ho davvero toccato il fondo,
se persino tu sei riuscito a-".
"Shhhhh!",
Hunter lo interruppe e si guardò alle spalle, come a
sincerarsi che
la giovane non fosse a portata d'orecchio. Allora continuò,
con voce
più bassa, facendogli cenno di accomodarsi e richiudendosi
la porta
alle spalle. "E' una lunga storia, ma lo stronzo del suo
affittuario l'ha buttata fuori di casa perché ha dimenticato
di
pagare l'affitto e le more... degli ultimi cinque mesi", lo
informò, camuffando l'ultima informazione con un colpo di
tosse.
Gli
rivolse un sorrisetto sferzante, incrociando le braccia al petto e
inclinando il viso di un lato: "E per consolarla hai organizzato
un gioco di ruolo in cui le hai proposto l'affitto della tua baracca,
in cambio di un pagamento in natura?".
La
mascella del barista sembrò abbassarsi, ma scosse il capo
rapidamente. "No, certo che no. Le ha confiscato tutto, gatto
selvatico compreso, non aveva un posto dove andare, a quanto pare
Santana ha dei parenti in visita o qualcosa del genere",
spiegò
con uno scrollo di spalle.
Un
guizzo di soddisfazione ne fece dardeggiare lo sguardo di smeraldo,
ma si premunì di fargli una domanda esplicita. "Quindi non
avete...?".
L'altro
scosse rapidamente il capo: "Non sono quel tipo".
Rilasciò
un enfatico sospiro di sollievo: "Oh, grazie al cielo: cinquanta
dollari risparmiati".
Il
barista sgranò gli occhi, consapevole che ciò
facesse parte di
qualche frode di cui non gli era dato sapere, ma scosse nuovamente il
capo, borbottando un “Non voglio saperlo”. Si
schiarì la gola e
assunse un'espressione più consona a quella che solitamente
esibiva,
stando dietro al bancone. “Se cerchi una sbronza da Vigilia,
Jason
sa già quali sono i tuoi dosaggi, ma non esagerare: Jackson
è più
manesco di me se gli tocchi il fidanzato. Se vuoi una predica,
allora-", gli fece cenno al divano, con un sorriso quasi
soddisfatto.
Sebastian
lo ignorò, ma scrollò le spalle: "Ho baciato
Kurt", lo
informò distrattamente.
Hunter
sgranò gli occhi e schiuse le labbra: "Oh, cazzo", fu solo
capace di dire.
Gli
concesse un vago sorriso. "E lui non mi ha respinto",
precisò.
Sembrò
quasi che l'altro volesse levare un ringraziamento al cielo, in
verità non lo vedeva così esaltato da... l'ultima
notte in
femminile compagnia (il che, sì, era abbastanza patetico e
inquietante insieme), ma un sorriso ne increspò le labbra e
rilasciò
una risata di puro sollievo, guardandosi attorno. "Dove ho messo
lo champagne?".
Sospirò
e tutto il vago divertimento, parve dissolversi: "E poi me ne
sono andato".
Il
barista si bloccò a metà strada tra il soggiorno
e il frigorifero e
si accigliò, stringendo i pugni lungo i fianchi.
"Fanculo”,
borbottò e si avvicinò alla credenza dei liquori
con nuovo vigore:
“Dov'è il whisky?".
Sebastian
gli fu quasi lieto perché gli consentì di
concentrarsi su qualcosa
di così futile, cercando di ignorare quel peso all'altezza
del petto
e quel nodo in gola. "Non dovresti essere tu il custode del mio
fegato?", chiese con la sua tipica intonazione sarcastica.
L'altro
gli rivolse un'occhiata risentita e si sgolò mezzo bicchiere
in un
fiato: "Infatti è per me: finirò in terapia di
questo passo".
Scosse il capo, si strofinò una mano sulla fronte e si
sedette sul
divano, attendendo che lo raggiungesse e depositò la
bottiglia e due
bicchiere sul tavolino da caffè.
Gli
occorsero diversi istanti perché sembrasse recuperare le sue
facoltà
oratorie o trovare lo spunto per imbastire una conversazione.
"Ok,
il fatto che tu l'abbia baciato è già qualcosa...
e il fatto che
non ti abbia respinto è altrettanto eloquente”,
esordì a voce
alta, quasi necessitasse di convincersi lui stesso. Lo
guardò con
un'occhiata di sbieco. “Ma che cosa diavolo ci fai qui? Gli
stai
dando tempo di pentirsi, tempo che potresti usare per convincerlo che
non è stato un errore così che possa disdire
tutto, prima di
domani!”.
Sebastian
si lasciò cadere sul divano, dopo essersi tolgo la giacca,
ma non ne
incrociò lo sguardo: "Magari è stato davvero uno
sbaglio",
sembrò dire a se stesso.
Hunter
aggrottò le sopracciglia e serrò la mascella,
come se quelle parole
gli fossero state fonte di un torto personale. Scosse il capo. "Se
in quest'ultimo anno c'è stata una sola certezza che mi ha
impedito
di impazzire, è stata la consapevolezza che tu ami davvero
quel
ragazzo, malgrado tu sia un recidivo e cinico manipolatore
bastardo”.
Lo trafisse con lo sguardo: “Se adesso mi dici il contrario,
giuro
che ti spacco la faccia".
Si
concesse di rivolgergli un'occhiata di ironico divertimento: "Sei
sempre così brutale coi tuoi ospiti, a meno che non
indossino le tue
camice?".
"A-ha,
non provare a sviare il discorso: sei venuto qua, quindi è
evidente
che il tuo inconscio vuole che ti prenda a calci in culo
finché non
torni da Kurt”, replicò con aria realmente
convinta. “A costo di
chiudervi in quello stupido loft, finché non vi sarete
uccisi o
siate morti di sesso: a voi la scelta", aprì le mani in
segno
di resa.
Si
versò un po' di whisky e mosse il bicchiere, prima di
ingollarlo:
"Devo ammettere che l'alcol non ha lo stesso sapere senza le tue
prediche", lo informò con aria distratta.
"Commovente”,
ribatté l'altro, roteando gli occhi, prima di sospirare.
“Ma tu
glielo hai detto?", gli chiese in tono realmente esasperato.
Inarcò
le sopracciglia: "Cosa?"
Hunter
sospirò con aria stoica, quasi fosse sull'orlo
dell'esaurimento. "Ti
amo", lo sottolineò come se stesse parlando con un bambino.
"Brutto
momento", pigolò Brittany mortificata, guardando dall'uno
all'altro con gli occhi sgranati e le labbra schiuse. Non si erano
infatti accorti che, con aria furtiva, era uscita dalla camera e si
era immobilizzata al sentire quelle parole. "E' meglio che vi
lasci soli", cercò di approntare un sorriso.
“NO!”,
esclamò Clarington la cui mascella sembrò
raggiungere livelli
storici di slogatura. Si sporse verso di lei, cingendone il braccio
con una risoluzione che solo il whisky poteva aver causato: "Ferma!".
Impagabile
osservare l'espressione realmente perplessa della biondina, scrutando
la mano che l'aveva trattenuta con una certa urgenza, ma gli sorrise
nuovamente, quasi con aria comprensiva: "Non preoccuparti: posso
aspettare".
"Tu
resta dove sei!”, attirò la giovane verso il
divano. “E anche
tu!", si volse a Sebastian e gli rivolse uno sguardo omicida di
fronte alla contrazione delle sue labbra a testimoniarne i tentativi
di non ridere. "Ora stiamo tutti qui seduti, fino a quando non
chiariamo le cose una volta per tutte!".
“Oh,
ok”, commentò la giovane con aria pacata.
“Ma posso prendere un
bicchiere di latte?".
Le
indicò il frigorifero e soltanto allora si accorse di averla
trattenuta oltre il lecito e si schiarì la gola: "Prego".
"Grazie",
gli sorrise l'altra, pur continuando a guardarlo con aria ancora
circospetta.
"Quindi
non glielo hai detto?", si rivolse di nuovo all'amico e alzò
la
voce, così che la giovane potesse seguire il filo logico
della
conversazione. "Tu, Sebastian Smythe, non hai detto a Kurt
Hummel, l'unico ragazzo gay della nostra storia, che lo ami? Ho ben
capito?". Formulò lentamente la domanda, specificando ogni
singola parola.
Sebastian
sbatté le palpebre e sospirò: "Mi fai
così pena che sono
disposto a pagarla”, si volse verso la giovane.
“Ehi, Brittany".
"Sì?".
Si era affrettata a raggiungerli, appollaiandosi sul bracciolo del
divano, accanto al barista, coccolando il persiano che le si era
acciambellato in grembo con tanto di fusa.
“Giuro
che telefono a Kurt!”, sibilò il barista in tono
minaccioso.
Sebastian
non ebbe tempo di rispondere perché fu sorpreso dalla
propria
suoneria: lui e Hunter si volsero in simultanea ad osservare il
cellulare.
"E'
Kurt!", lo additò Hunter con aria trionfante, leggendo il
chiamante e affrettandosi a porgerglielo. "Avanti, rispondi".
Il
sorriso sulle labbra di Sebastian si dissolse e il suo sguardo si
scurì, come se quel nome avesse fatto crollare tutte le
proprie
certezze. Le sue labbra si contorsero, ma scosse il capo.
"No".
Hunter
digrignò i denti: “Non te lo sto chiedendo".
"Mi
stai minacciando?"
La
tempia del barista parve pulsare, quasi a voler rendere nota la
propria presenza: "Rispondi!", ruggì letteralmente.
"Non
capisco il senso di questo gioco", commentò Brittany
guardando
dall'uno all'altro con aria interdetta, ma si strinse nelle spalle e
prese il cellulare. Sotto lo sguardo incredulo degli altri due,
premette il tasto di risposta
"Pronto?",
rispose con la sua intonazione più infantile.
Si
alzò e giocherellò pigramente coi propri capelli,
mentre sorrideva,
come se il suo interlocutore potesse vederla.
"Ciao
Kurt!”, lo salutò come se fosse un amico di
vecchia data. “Io mi
chiamo Brittany. Sì, Sebastian è qui con me,
siamo a casa di
Hunter. Lui non voleva rispondere al telefono, allora l'ho fatto
io”,
raccontò con aria vivace.
"Io
l'ammazzo!".
Sebastian
si alzò, avvicinandosi rapidamente alla ragazza, ma Hunter,
gettandosi con un balzo dal divano, lo placcò come un
giocatore di
football professionista.
"Oh,
grazie!”, esclamò Brittany con aria deliziata.
“Anche tu hai una
bella voce", cantilenò, mentre i due ruzzolavano sul
pavimento,
cercando di avere la meglio sull'altro.
Si
voltò nel mezzo della sua passeggiata, ma parve sbigottita
nel
coglierli in quella situazione. "Vi sembra il momento di
mettervi a giocare?", chiese con tono spazientito.
Sebastian
cercò di scrollarsi di dosso il padrone di casa, le
sopracciglia
aggrottate: "Se pensi che tra i due, saresti tu quello attivo,
allora-".
"Co-?”,
sbarrò gli occhi con aria disgustata. “Che
schifo!".
"Non
so se io e Sebastian siamo amici", continuò Brittany con
aria
confusa. "Ma se vuoi che gli dica qualcosa, lo farò e
ricorderò
tutto-tutto, però non essere triste, ti
prego". La sua
voce assunse un'intonazione evidentemente preoccupata e tutta l'aria
ilare parve scomparsa, rimpiazzata da una più seria e
compunta, a
giudicare dalla formalità di quella promessa.
Sebastian
parve tendersi al sentirla parlare in quel modo e, con una gomitata a
tradimento che tolse il respiro a Hunter, riuscì a
rimettersi in
piedi, e raggiungere la giovane che stava annuendo con vigore.
"Va
bene”, annuì Brittany dopo esser stata silenziosa
negli ultimi due
minuti. “Glielo dirò: buonanotte, Kurt”.
Sembrò recuperare il
sorriso: “Oh, anche tu sei tanto-tanto-tanto
dolce! E' stato
un piacere parlare con te!". Sospese la telefonata per poi
porgere il telefono a Sebastian. "Sembra tanto carino
e
gentile: perché non hai voluto rispondere? Era tanto
triste
ed è tutta colpa tua!", lo aveva additato con la stessa
serietà
con cui una madre avrebbe sgridato un bambino indisciplinato,
puntellandosi le mani sui fianchi.
"Che
cosa ti ha detto?", le chiese in un ringhio, contraendo le mani
come non desiderasse niente di meglio che strangolarla, una volta
ottenuta l'informazione desiderata.
Hunter
si rimise in piedi, le mani sui fianchi e l'aria sofferente, ma gli
riservò comunque un'occhiata di puro odio.
"Allora",
la giovane si concentrò, lo sguardo perso nel vuoto mentre
Sebastian
doveva trattenersi dallo scrollarla energeticamente. "Oh,
sì:
ha detto che ha tanto bisogno di parlarti di tu-sai-cosa,
anche se io non ho capito, ma era tanto triste”,
ripeté con
gravità, per poi guardarlo con aria arrabbiata.
“Che cosa gli hai
fatto?!", curioso come la voce stridula la rendesse ancora
più
simile ad un buffo cartone animato.
"Concentrati,
Beautiful Mind”, la esortò
Sebastian, additandola. “Che
altro ha detto su di me?".
"Che
ti aspetterà a casa, ma che se non arriverai",
ripeté molto
meccanicamente, gesticolando come un'attrice dilettante che cerchi di
ricordare le battute e dare loro una giusta intonazione. "Allora
capirà che è stato un errore e domani... lui si
sposerà",
concluse con aria ancora piuttosto confusa.
"Nient'altro?",
insistette Sebastian il cui sguardo si era ulteriormente offuscato.
"Oh,
sì", parve illuminarsi. "Ha detto che sei sempre
maleducato con tutti e quindi non è colpa mia se mi tratti
male",
conclude con un sorriso raggiante.
Le
scoccò un'occhiata di puro disgusto, ma si sforzò
di mantenersi
calmo: "Su di me, ha detto altro su di me?", le
chiese sillabando le parole.
"No,
ma io credo che lui voglia che tu vada da lui", gli disse con
aria evidentemente empatica e partecipe, quasi la propria opinione
potesse effettivamente essergli di stimolo.
Sebastian
scosse il capo e si sedette sul divano.
Hunter
sospirò, lasciandosi cadere sull'altra estremità:
"Che diavolo
stai aspettando?", lo incalzò. Evidentemente la situazione
era
abbastanza delicata da fargli rimandare i propositi di vendetta per
quell'ultimo scontro.
"Non
iniziare con le tue prediche”, sbottò in tono
impaziente.
Hunter
dovette prendere un profondo respiro, serrando la mascella: "Hai
passato l'intero anno a sabotare tutto, ma non hai mai voluto dirgli
che cosa provi. Si può sapere che cos'è che ti
frena, anche quando
è evidente che per lui sei qualcosa di più di un
affittuario?".
Quelle
parole parvero persino farlo ritrarre maggiormente, mentre incrociava
le braccia al petto. "Non adesso", gli chiese stancamente.
"E
quando, Sebastian?”, chiese Hunter con aria frustrata.
“Si
sposerà domani: non c'è più
tempo!", alzò la voce,
facendo sussultare la sua ospite.
"Lo
so! Cazzo, lo so!”, ribatté Sebastian con voce
altrettanto
alterata, fissandolo con sguardo furente. “E' da un anno che
ho
quel maledetto countdown in testa!".
"E
allora perché sei ancora qui?!”, chiese l'altro,
cercando di
sovrastarne la voce. “Ma non lo capisci: è
disposto a gettare
all'aria il suo matrimonio per te. Che altro stai aspettando?!".
Sebastian
distolse lo sguardo, ma parve afflosciarsi e perdere ogni
convinzione: "Non è di lui che non mi fido", ammise con un
sospiro.
Fu
forse quell'espressione impotente a lasciare il barista senza fiato:
lo guardò come se improvvisamente fosse difficile
riconoscere
Sebastian nel giovane che aveva di fronte, così sfiduciato e
così
incapace di affrontare i propri sentimenti.
“Cosa?”,
domandò in tono confuso.
La
sua stessa ira sembrò placarsi e sospirò,
sforzandosi di recuperare
una parvenza di calma: “Cosa c'è che ancora non mi
hai detto?".
Sebastian
non rispose, lo sguardo era fisso di fronte a sé, in un
punto
indefinito e restò immobile per pochi istanti, fino a quando
non si
sentì soffocare, anche in presenza dell'altro. Raccolse il
cellulare
e camminò verso la porta senza voltarsi. Sbatté
la porta alle
proprie spalle.
Hunter
e Brittany sussultarono e il persiano soffiò con aria
infastidita.
La
giovane sospirò e lo prese tra le braccia, quasi a volerlo
consolare, prima di osservare il ragazzo con aria mortificata. Era
rimasta silenziosa in quegli ultimi istanti, ma aveva risposto tutta
la propria attenzione al loro ultimo dialogo.
"Forse
non avrei dovuto alzare la voce con lui", sussurrò quasi a
volersi scusare.
Hunter
la guardò incredulo, ma scosse il capo. Suo malgrado, un
sorriso ne
increspò le labbra. "Sei stata perfetta”, la
lodò
sinceramente, prima di rabbuiarsi. “Ma io ho la sensazione di
non
aver capito davvero molto di lui”, confessò con
aria grave. “Non
sono stato granché d'aiuto per un intero anno e stasera mi
sento più
inutile che mai”.
"Non
è vero!", protestò la giovane, stringendogli il
braccio e
sorridendogli con aria comprensiva e accorata. "Non sarebbe
venuto qui, se non avesse voluto che tu gli dicessi cosa
fare”,
parlò con una certa sicurezza. “A meno che non
volesse ruzzolarsi
insieme a te sul pavimento”, aggiunse con una scrollata di
spalle.
Se
aveva sorriso con aria compiaciuta nel sentirsi tessere le lodi, a
quella precisazione si schiarì la gola rumorosamente. "Una
cioccolata calda, prima di andare a dormire?".
"Sì!”,
esultò, battendo le mani.
~
Sorprendentemente,
Kurt sembrò riuscire a finire i bagagli con grande
tempestività e
persino a premunirsi di compiere un rapido controllo per assicurarsi
che nulla fosse stato dimenticato: dal filo interdentale fino al
libro da lettura durante il volo.
Non
parlarono molto durante il viaggio in auto: non aveva dubbio che lo
sguardo azzurro stesse già vagliando l'idea di dare un tocco
personale alla cena d'anniversario del clan Hummel-Hudson, ma non
riusciva a spiegarsi quella sorta di inquietudine interiore che lo
aveva attanagliato, da quando aveva annunciato quell'improvvisa
partenza.
Un
senso di insoddisfazione lo aveva sorpreso in più istanze in
quegli
ultimi mesi: era come se alla sua “vita tipica” tra
sbronze,
incontri notturni e lezioni universitarie non frequentate, si
contrapponesse quella quotidianità scandita da quel sorriso,
dalle
sue prediche, dalla sua particolare concezione della moda, della
dieta culinaria, fino anche all'arredo degli spazi comuni. Se prima
quelle due entità della sua personalità potevano
convivere e Kurt
rappresentava, con il loft, una sorta di rifugio dal mondo esterno;
era come se una parte di sé stesse metabolizzando, sempre
più
intensamente, che non era più sufficiente.
Malgrado
in quelle notti ci fosse stato un tocco fuggevole ed estraneo a
sfiorargli la pelle, nella ricerca di un mero piacere carnale, era
come se tutto fosse sbagliato.
Se erano superficiali e arroganti i baci cui talvolta si prestava; le
sue labbra sembravano ancora tremare del ricordo di un bacio mancato,
ma il cui pensiero era capace di riscuoterne il torpore e
costringerlo a girarsi tra le lenzuola, cercando di tornare in
sé.
Cercando di costringersi a restare nel proprio letto e non vagare in
quel loft, ricercando il profumo di vaniglia o rubando al suo sonno
una carezza delicata e segreta.
“Sebastian?”,
lo richiamò l'altro con aria confusa, già uscito
dal lato
passeggero. “Non mi accompagni dentro?”, chiese con
un sorriso.
Si
riscosse ed annuì distrattamente: fu lesto ad uscire
dall'auto e
prendere la valigia dal bagagliaio per portarla dentro, notandone lo
sguardo di compiaciuta meraviglia a simile cavalleria.
Lo
seguì fino alla fila dei passeggeri che, dopo l'annuncio,
stavano
consegnando le carte d'imbarco ad una sorridente impiegata, di fronte
al gate del suo volo.
Kurt
si volse in sua direzione e lo guardò con un
sospiro:“Mi prometti
che non mangerai soltanto robaccia da fast-food, in questi
giorni?”.
Sebastian
sbuffò, un vago sorrisetto. “Sì,
mamma”, rispose con le mani
conficcate nelle tasche, dopo avergli porto la sua sacca da viaggio.
“Mi
dispiace davvero che tu non possa venire con me”,
sussurrò con
voce più dolce e Sebastian sospirò.
Anche
a me, pensò intensamente, quasi
volendo trasmettergli quel
messaggio telepaticamente.
Si
strinse nelle spalle: “Mi scorterai in posti più
interessanti”,
gli fece presente con aria arrogante, ripristinando quella tipica
interazione più giocosa.
“E'
una promessa”, commentò Kurt in risposta.
“Quindi puoi già
cominciare a pensare alle nostre prossime mete”, aggiunse con
un
sorriso.
“Lo
farò”, commentò in risposta.
Mancavano
pochi passeggeri, prima del turno di Kurt, ma non riusciva a
distogliere lo sguardo dal suo volto, indugiando sulle sue labbra.
Aveva la netta sensazione che avrebbe dovuto fermare il tempo, in
quell'istante, attrarlo a sé e cercare di esprimergli quella
nube di
pensieri che lo stavano tormentando negli ultimi mesi.
“Prego”,
l'impiegata si volse a Kurt che le porse il documento. “Si
accomodi
pure e buon viaggio”.
“Allora
ci vediamo Lunedì”, sussurrò Kurt e si
sporse per cingerne il
collo in un breve abbraccio.
Sebastian
affondò il volto contro la sua spalla, inspirandone l'aroma
di
vaniglia e sospirò.
Kurt
ne pronunciò il nome con intonazione interrogativa e si
scostò per
osservarlo. “Va tutto bene?”.
Indugiò
in quella contemplazione, smuovendo le labbra e inclinando il viso di
un lato. Parve rapidamente riflettere, ma si strinse nelle spalle.
“Fai
buon viaggio”, ne baciò delicatamente la guancia,
ma indugiò
vicino al suo viso.
Gli
sorrise con quella dolcezza che ne fece scintillare le iridi:
“Ciao
Sebastian”.
Lo
osservò allontanarsi, insieme agli altri passeggeri, ma si
volse per
un ultimo saluto, sollevando il braccio.
Fu
allora che qualcosa sembrò scattare dentro di lui.
“Kurt!”,
lo richiamò, prima che l'impiegata potesse chiudersi l'uscio
alle
spalle.
“Sì?”,
gli chiese, quasi incurante del fatto che stessero intralciando
l'imbarco.
“Quanto
tornerai, dovremo parlare”, gli disse a mo' di promessa.
O
un monito perché lui stesso non dovesse cambiare idea in
quei giorni
di distacco.
Kurt
parve sorpreso, le sopracciglia inarcate, ma un nuovo rossore ne
sfiorò le gote, quando sembrò comprendere.
“Lo faremo”,
commentò in risposta. Come una rassicurante promessa, o la
conferma
che avesse compreso più di quanto avrebbe mai pronunciato.
Gli
rivolse un ultimo sorriso e si allontanò all'ulteriore
invito
dell'impiegata.
Sebastian
sospirò, rimase di fronte alle vetrate, fino a quando il suo
volo
non decollò. Doveva soltanto attendere un weekend, si disse
con un
sorriso.
~
Hunter
osservò la giovane con le sopracciglia inarcate: la tazza
ormai
vuota tra le mani, Brittany Pierce osservava un punto indefinito di
fronte a sé e l'espressione ne tradiva una ferrea
concentrazione.
"Tutto
bene?", le chiese colpito da quell'insolita tranquillità.
Stava
disegnando con le dita in aria, come se questo le facilitasse la
riflessione, ma si volse in sua direzione con un sospiro. "Quindi
Ciuffo Disney
ama Voce di Fata,
ma anche Voce di Fata ama Ciuffo
Disney”, sembrò voler riassumere ciò
che aveva appreso da
quell'ultima visita e dalla telefonata. “Nonostante questo
sta per
sposare Puffo Cattivo",
la sua espressione ne tradì la reale
perplessità.
Hunter
sorrise: avvezzo alle interazioni con Sebastian che scorgeva aspetti
lascivi in ogni singola cosa (anche laddove non era minimamente
intenzione dell'interlocutore alludere a qualcosa di volgare),
parlare con chi conservava una visione così infantile e
giocosa del
mondo, era come un balsamo benefico.
Annuì
e sospirò con aria quasi esasperata: "Benvenuta nel mio
mondo".
"Perché
è così difficile?”, domandò
con reale curiosità. “Non si
potrebbe semplicemente andare dalla nostra persona speciale e dirle
«
io ti amo: decidi tu. Vuoi stare con me: sì o no?
»
Come all'asilo", spiegò con un sorriso più
giocoso.
Inarcò
le sopracciglia, ma il sorriso non scemò dalle sue labbra,
quasi
riuscisse comunque a trovarvi qualcosa di davvero divertente. Come
con quei discorsi potesse smussare la serietà di una
questione
tutt'altro che risolta. “Forse hai ragione, sarebbe tutto
più
semplice".
"Neppure
tu lo faresti?", lo incalzò, osservandolo così
attentamente
che Hunter ebbe l'impressione che avrebbe potuto sondare nel profondo
di stesso, se solo lo avesse voluto. Se avesse avuto un motivo
preciso per farlo, almeno.
"Non
lo so", sussurrò in risposta. "Ma se non lo facessi,
probabilmente sarebbe per il bene della persona speciale,
come
la definisci tu", sussurrò. Fu il suo momento di inclinare
il
viso di un lato ed osservarla più attentamente. Quasi
cercando di
capire se quello scambio di parole avesse dei messaggi sublimali e
non stesse rischiando di illudersi o fraintendere tutto.
Ne
ricambiò lo sguardo, ma fu colta dalla stanchezza e si
portò una
mano alle labbra per coprire lo sbadiglio. "Scusami, sono
stanca", pigolò con aria infantile.
"Certo",
si drizzò e le indicò la camera da letto.
La
giovane gli sorrise e si alzò sulle punte per baciarne la
guancia:
"Ti avrei chiesto di dormire con me”, gli disse con la stessa
intonazione allegra e solare, quella punta di schiettezza che era
persino più imbarazzante di una lusinga volutamente
provocante. “Ma
so che non sei come gli altri e mi rispetti. Ed è una cosa
che
adoro".
Non
seppe cosa fosse stato più letale: la tipica
semplicità con cui
pronunciò quelle parole o il fatto che sembrasse davvero sollevata
all'idea
che il loro
rapporto fosse assolutamente platonico.
"Non
c'è problema", bofonchiò, per poi volgersi al
divano, con la
scusa di preparare il proprio giaciglio con coperta e cuscino.
"Allora fai sogni d'oro", le augurò.
"Anche
tu", trillò con voce allegra, stiracchiandosi.
Hunter
ne seguì l'esile figura, fino a quando non scomparve dietro
la porta
della propria camera. Solo allora rilasciò un sospiro
profondo e si
sedette. Persino il suo gatto, seduto sul tavolino da caffè,
sembrava guardarlo con aria di profondo compatimento.
Gli
fece cenno di raggiungerlo: "Siamo soli io e te, come sempre",
sussurrò.
"Micio,
micio?", la voce della giovane irruppe nel silenzio del
soggiorno e fece capolino con il capo dalla camera.
Il
felino, quasi fosse preda di qualche arcano incantesimo, emise un
miagolio e, le fusa udibili a distanza, scese con un balzo dalla
postazione e si affrettò a raggiungerla.
La
porta fu chiusa con un lieve tonfo.
Hunter
fissò in quella direzione con aria shockata, prima di
sprimacciare
il cuscino: un ottimo espediente per prendere a pugni un oggetto
inanimato.
"Se
ci sarà un'altra vita, spero di rinascere gay e con uno
stormo di
donne da illudere", borbottò tra sé e
sé, cercando una comoda
posizione che non gli facesse troppo rimpiangere la cavalleria
dimostrata.
~
Sebastian
lo percepì appena schiuse l'uscio di casa e la temperatura
parve
calare bruscamente. Aveva vagabondato per le strade della
città,
quasi perdendo la cognizione del tempo, la mente che continuava a
percorrere dedali di ricordi, mescolando il passato al presente, con
l'ombra inquietante di un futuro che si sarebbe realizzato da
lì a
poche ore. Senza trovare pace: consapevole che, giunto a quel punto,
nessuna opzione fosse quella vincente e ne sarebbe comunque uscito
sconfitto.
Osservò
il soggiorno immerso nel buio e sembrò che quelle quattro
mura
avessero perso la loro ragion d'essere.
Riuscì
ad intuirlo, il cuore in gola e l'eco dei suoi passi a risuonare nei
suoi timpani, ma una parte di sé sembrava voler serbare la
speranza.
L'altra probabilmente aveva bisogno dell'impatto nudo e crudo per
poter desistere.
Si
sentì soffocare, ma era consapevole di dover affrontare quel
momento. Schiuse l'uscio e l'immagine che, negli ultimi mesi aveva
perseguitato i suoi sogni più agitati, gli apparve innanzi
nella sua
crudele realtà.
Una
camera spoglia sembrava pronta ad accogliere una nuova persona, una
nuova anima. Ogni oggetto di Kurt era scomparso, lasciando un
ambiente nudo e senza più vita.
Un
solo biglietto, strappato dal block notes dai fogli azzurri, ad
attenderlo sul materasso.
I
passi per raggiungerlo parvero farne sprofondare il cuore sempre
più
nella cavità della gabbia toracica.
Gli
tremarono le dita, mentre lo dispiegava per scorgerne di nuovo la
familiare grafia.
Dormirò
in albergo con mio padre: credo sia meglio così.
Non
ti biasimerò, se domani non sarai con me.
Mi
dispiace,
Kurt.
Mi
dispiace, indugiò
su quelle due
parole: a cosa si stesse realmente riferendo, non avrebbe saputo
dirlo. Se al bacio e allo scivolone che aveva compromesso la loro
amicizia, o al fatto che lo avesse abbandonato, perché
tornasse alla
sua vita con Blaine.
Sebastian
lo ripiegò, la mascella si contrasse e le labbra tremarono.
Il
silenzio parve soffocarlo e premere sulle tempie e su ogni centimetro
del suo corpo, facendolo sentire esposto e vulnerabile come non mai.
Faccia a faccia con un dolore a cui aveva cercato di sfuggire, senza
mai giungere ad una reale risoluzione.
Fuggendo
da se stesso e dal passato incapace di perdonarlo.
Perse
la cognizione del tempo e lasciò fluire il dolore in versi
strozzati
che non si prese la briga di nascondere neppure a se stesso.
Si
lasciò scivolare lungo la parete, abbracciando con lo
sguardo il
mondo di Kurt che ormai era soltanto un'immagine scolpita nella
propria mente.
To
be continued...
Non
penso che ci sia un modo corretto di potervi i miei saluti, dopo aver
concluso una delle scene più malinconiche che abbia mai
dovuto
scrivere.
So
che saranno molti i vostri dubbi e perplessità circa il
comportamento di entrambi che potrà apparire anche
incoerente e poco
comprensibile. Ma se finora non avete formulato teorie al riguardo, o
i riferimenti non sono stati abbastanza chiari, vi invito ad
attendere il prossimo capitolo.
Ringrazio
di cuore tutti voi che continuate a seguirmi con tanta dolcezza e
passione, anche con lo sfogo di un momento più angst,
purché sia
riuscito a coinvolgervi. Sappiate che cercherò di farmi
perdonare e
che apprezzo sempre le vostre osservazioni e, perché no?,
anche le
lamentele. Direi che ve ne siete guadagnati un serio motivo (!).
Un'occhiatina
al prossimo capitolo:
“E'
la cosa migliore e lo sappiamo tutti: sposerà Blaine e io
sparirò
dalla sua vita”.
“Sai
cosa è davvero triste, più di ogni altra cosa?
Non credo che tu
sarai mai davvero capace di amare qualcuno, chiunque
sia, senza distruggerlo.
Ti
manca qualcosa, Sebastian: tu porti solo dolore in chiunque ti
ami”.
“Ho
il furgone di mio padre parcheggiato poco lontano da qui: puoi ancora
rapirlo”.
Non
mi resta che ribadire i miei più sentiti ringraziamenti,
spero di
non avervi troppo intristito, ma sarà un piacere cercare di
rimediare, quanto prima possibile :)
Non mandatemi troppe maledizioni, mi raccomando, ho una
contrattura alla schiena che mi sta già facendo abbastanza
soffrire :P
Un
abbraccione a tutti e buon weekend,
Kiki87
Se la canzone non fosse un
ammonimento sufficiente, allora immagino questa sia una buona occasione
per informarvi che il capitolo che state per leggere sarà
piuttosto malinconico in alcune parti.
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