III.
Fu come entrare nella
stanza da
ballo di un palazzo. Tavoli di cristallo, tondi, riempivano il negozio
senza seguire uno schema preciso. Erano pulitissimi e la superficie non
aveva intrappolato le impronte dei clienti che li accarezzavano con le
dita. Sopra di loro c'erano servizi di porcellane di ogni tipo,
semplici e arzigogolati, disposti a seconda delle varie sfumature di
colore; piramidi di piatti che imitavano la torta a balze di una sposa;
bicchieri di vetro soffiato che ricordavano l'arcobaleno; e non
mancavano le tazze, tantissime tazze. Talmente belle che Sakura sarebbe
andata sul lastrico pur di comprarle tutte: rosa confetto, trasparenti
come gocce di rugiada, brillanti più del più
prezioso
diamante.
Un solo
dettaglio
stonava in quel
paradiso di raffinatezza e sciccherie. Un giovane uomo, agghindato in
un orrendo completo arancione, sgraziato nel girare attorno a un
tavolino, nel centro del negozio. Potenzialmente pericoloso. Stava
lì da solo, il che era una novità, visto che
mancavano i
due grandi amori della sua vita: Hinata Hyuuga e Sasuke Uchiha.
«Non
credevo che a voi elefanti fosse consentito mettere piede nelle
cristallerie» gli disse.
La sua
voce lo
sorprese,
cogliendolo da dietro. Si stupì lei stessa di aver parlato.
Era in
condizioni inaccettabili e si sentiva orrenda, con i capelli
spettinati, bagnata fino al midollo, e l'inguardabile maglioncino
rosso, ridotto a un colabrodo dai cubetti di grandine.
Ma del
resto, il
ragazzo che si
trovava davanti era Naruto Uzumaki e Naruto Uzumaki era abituato ad
avere a che fare con il lato peggiore di lei.
«Sakura-chan!»
gridò in un saluto.
Attirò
su
di sé
l'attenzione di tutte le clienti che, vista la premura e l'ansia con la
quale saltellavano attorno al tavolino delle bomboniere, dovevano
essere future spose.
«Ma
questo
è un negozio di tazze!» continuò a
gridare. «Non una cristalleria!»
Lo disse
indicando
con il dito un
set di
porcellane. Il lembo della felpa arancione sfiorò il
manico di una tazzina. Sakura si buttò in avanti, le suole
delle
scarpe bagnate. Scivolò, ma riuscì a frenare
concentrando
il chakra
nelle piante dei piedi. Afferrò la tazzina al volo e la
riadagiò sul piattino del servizio.
«Resta
il
fatto che tu sia un elefante» lo rimproverò.
«Guarda che disastro stavi per combinare!»
Naruto
ridacchiò e si
grattò la testa, all'altezza della nuca. Borbottò
delle
scuse imbarazzate e rassicurò le commesse del negozio,
povere
donne terrorizzate dalla sua goffaggine, dicendo che non era successo
nulla, niente di cui preoccuparsi.
«Ma
che
elefante e elefante, Sakura-chan!» aggiunse poi.
Sventolò
le mani davanti al
petto. Lo faceva sempre quando voleva difendersi e negare di aver dato
vita a un danno. Anche se quella volta il danno in questione era stato
evitato grazie a una grandiosa prova di riflessi.
«A
forza di
rincorrere il Teme
sono venuti problemi di vista anche a te?»
Voleva
essere una
battuta, ma a
Sakura sembrò di venire fulminata viva. E non da una persona
a
caso. Dal suo migliore amico. Dall'uomo che da ragazzino aveva giurato
di proteggerla e prendersi cura di lei, mai di ferirla. Invece l'aveva
fatto. A forza di
rincorrere il Teme.
Era davvero così patetica? Al punto da essere quasi
paragonata a
una cagna in calore che si attaccava alla gamba del padrone, per non
lasciarlo andare via? Morbosa, ossessionata? Naruto le aveva sempre
detto che ammirava il suo amore smisurato per Sasuke, un sentimento che
non conosceva limiti e compromessi. Un giorno, mentre parlavano del
più e del meno, l'aveva paragonata a una bellissima
farfalla,
pronta a gettarsi nelle correnti di vento, in vortici e tornado, pur di
raggiungere il suo obiettivo. Quand'era che le aveva tagliato quelle
splendide ali rosa e l'aveva condannata a strisciare al suolo, sporca e
viscida come una larva?
Ingrandì
gli occhi e
schiuse le labbra, finché Naruto comprese la
gravità
delle sue parole: le iridi azzurre si dilatarono e lui
realizzò
il peso di una domanda posta con troppa leggerezza.
«Cioè
io, io non
intendevo dire quello!» si scusò. Riprese a
sventolare le
mani davanti al petto. Poteva essere cresciuto, Naruto. Poteva essere
diventato l'eroe di Konoha, ma restava comunque un grandissimo baka.
«Non la prima parte, capisci? Cancellala, Sakura-chan! Fingi
che
io non abbia mai... cioè volevo solo dire che io ho i baffi
e
non la proboscide!»
Frase dopo
frase,
alzò il
tono di voce. Sempre e sempre più, al punto che le future
spose
rimasero ad ascoltare la loro conversazione. Curiose. E Sakura non era
arrabbiata con Naruto. Capiva che non aveva parlato con cattiveria. Del
resto, era lei
la patetica, lei
la perdutamente innamorata, lei
la permalosa. Però si vergognava oltre ogni misura
immaginabile.
«Perché
devi sempre urlare?» gli chiese.
Per la
disperazione
si
passò una mano sulla fronte, ma poi pensò che
avrebbe
potuto tirarsi su il morale, schernendo il suo migliore amico, quasi un
fratello, come era solita fare.
«E
comunque
devo
correggerti» gli disse. «A forza di stare in
squadra con
Sai e Kakashi mi sono venuti problemi di altro tipo. Di perversione,
direi. Quindi, per favore, evita di gridare frasi circa il non avere
una proboscide.»
Naruto
divenne rosso
peperone,
talmente colorato in viso da sembrare una bomba sul punto di esplodere.
Iniziò perfino a sudare, quando le spettatrici del loro
dibattito risero dolcemente. Fosse stato il ragazzino di dodici anni
che amava porsi al centro dell'attenzione, si sarebbe tirato
giù
i pantaloni e avrebbe mostrato che lui, Naruto Uzumaki, futuro Hokage
di Konoha, aveva benissimo la “proboscide”.
Ma per
l'appunto un
eroe non poteva permettersi certi atteggiamenti.
«Sakura-chan?
Ma cosa? Ma
come?» balbettò. «Cioè tu...
non avrai mica
pensato che io intendessi... sul naso dicevo... mica... non
credetele... io non dicevo quella proboscide... è lei
che...»
Ancora le
ragazze del
negozio
ridevano; ed erano fortunati che la cassa si trovasse nello stanzino
adiacente, altrimenti la commessa, assistendo alla scena, avrebbe preso
il telefono e chiamato la sicurezza.
«Taci
che
abbiamo capito tutti cosa volevi dire» lo sgridò
Sakura.
Fece
cadere
così
l'argomento, dicendo in silenzio alle donne nel reparto di tornare alle
loro faccende. Quanto a lei... credeva che prendersi gioco di Naruto,
come i vecchi tempi, potesse aiutarla a farle tornare il buon umore.
Invece niente. Non aveva nemmeno voglia di spremergli un cazzotto sopra
quella testa bacata che si ritrovava. Il che non era assolutamente nel
personaggio. Ecco come la stava riducendo la grandine!
«Piuttosto
che ci fai qui?» gli domandò. «Ti
ricordo che non me l'hai ancora detto.»
Un diverso
tipo di
rossore
ricoprì le guance di Naruto, un tenue rosa che
imporporò
il naso e la pelle sotto gli occhi. Prese in mano una tazza, vicino
alla tazzina da caffè che aveva rischiato di rompere e la
allungò, perché Sakura la vedesse meglio.
«Cavolo!
È davvero bella!» gli disse lei.
Era una
tazza
allungata, dal collo
stretto, di un piacevolissimo argento chiaro che sfumava nel bianco;
impreziosita, sul lato opposto al manico, dal disegno di un fiore di
loto; i petali calcati ai margini da una polvere di brillantini che
ricopriva il manufatto di un'aura luccicante.
«Io-»
Sakura scosse il
capo, allibita non tanto dalla bellezza dell'oggetto, quanto
più
dal fatto che fosse stato Naruto a sceglierlo. «Io non
credevo
avessi tanto gusto estetico.»
Ma poi
l'occhio le
cadde sulla
divisa arancione, l'obbrobrio per eccellenza. Un brivido di disgusto le
salì su per la schiena.
«Anzi,
no» aggiunse.
«Mi correggo. Tu e Hinata dovete assolutamente venire a cena
da
me, una di queste sere. Devo farle davvero tanti complimenti, se
è riuscita ad addomesticarti e a farti comprare qualcosa che
non
sia di quel colore osceno!»
Naruto
inorridì e
adagiò rapido la tazza dal fiore di loto sul tavolino, prima
che
uno dei suoi gesti scomposti finisse con il mandarla in mille pezzi.
Non appena se ne liberò, si mosse tutto, per evidenziare la
sua
contrarietà con una gamma vastissima di movimenti: un pugno
menato in aria, una pedata al pavimento, veloci scossoni della testa.
«Ma
Sakura-chan!»
disse. «Sei proprio cattiva oggi! L'arancione è un
bellissimo colore. E poi la tazza è per Hinata,
perché
io, cioè, vedi-»
E il tono
si
abbassò,
gradualmente, l'esatto opposto di come si era alzato. Di nuovo il
rossore tornò a coprire le gote di Naruto. Sembrava che si
fosse
trasformato in Hinata; sembrava che, a forza di passare le sue giornate
con lei, avesse assorbito tratti del suo carattere: il farsi
improvvisamente silenzioso, lo spostare gli occhi a terra, il rigirarsi
i pollici, l'uno con l'altro. Perché era evidente che lo
mettesse in imbarazzo esternare il suo lato romantico, la parte
innamorata.
Che poi
–
Sakura poteva
dirlo, visto che in pochissimi lo conoscevano meglio di lei –
la
parte innamorata era ovviamente tutta: non c'era un solo atomo che
componeva il corpo di Naruto Uzumaki incapace di amare Hinata Hyuuga
alla follia. Anche perché il suo compleanno non era nelle
vicinanze e la tazza doveva essere uno di quei regali nati
così,
giusto per il gusto di donare, senza attendere una ricorrenza precisa.
A Sakura
fece una
grandissima
tenerezza, tanto che le venne voglia di abbracciarlo e di stringerlo
forte forte, come fa una sorella con il fratellino minore; con le
lacrime agli occhi, orgogliosa e un po' rattristata dalla sua crescita.
Però non era nel personaggio abbandonarsi a smancerie con
Naruto
e quindi si limitò a portare le mani ai fianchi. Con un
piccolo
colpo di tosse lo costrinse a sputare il rospo.
«Vedi»
le disse lui.
«Ieri sono venuto qui, con lei. Cercavamo un servizio da
tè per la casa. Fa freddo e Hinata ha sempre le mani gelide
e io
non voglio che pensi che non sappia prendermi cura di lei, insomma
capisci, che ci ripensi e torni a vivere dagli Hyuuga-»
Di nuovo
si
rigirò i
pollici. E di nuovo Sakura sentì nascere in lei la voglia di
spupazzarlo tutto, questa volta come un cucciolo di cane, di mettergli
in disordine i capelli, ma – di nuovo – questo
eccesso di
coccole e attenzioni sarebbe stato totalmente non da lei; e tra l'altro
non era il momento di rifilargli nemmeno un pugno, quindi rimase buona
e zitta, in attesa che Naruto riprendesse la narrazione.
«Però
quando ho visto
il servizio arancione, mi è sfuggito che mi
piaceva» disse
lui con tono colpevole. «E invece lei voleva prendere questo,
e
alla fine è successo così, che Hinata voleva
comprare
quello arancione per non fare un torto a me; io volevo prendere quello
argento per non fare un torto a lei.»
«E
alla
fine non ne avete preso nemmeno uno!» concluse Sakura,
tirando le somme.
Naruto
serrò le labbra e
chiuse i pugni, tirando le braccia lungo i fianchi. Dei membri del team
7, era quello ad essere cresciuto di più; era diventato
responsabile e serio, non un guastafeste tutto scherzi e strilli come
all'età di dodici anni. Eppure certi gesti – la
mimica del
viso, il modo di manifestare gioia e dolori – erano rimasti
immutati. E quella posa Naruto l'assumeva quando una certa persona gli
metteva il bastone tra le ruote.
«Alla
fine
è arrivato
Sasuke, quel segugio!» Sasuke. Prevedibile e scontato.
«Mi
ha detto che ero una femminuccia e che l'Hokage ci stava
aspettando e
che, se non mi fossi dato una mossa, avrebbe convinto la vecchiaccia a
dare il titolo a lui e non più a me e quindi io-»
«Te
ne sei
andato con Sasuke dimenticandoti di Hinata!»
Naruto
rizzò la schiena,
una volpe sconvolta dal botto emesso dal fucile di un cacciatore. E
Sakura, il cacciatore in questione, capì dal volto del suo
amico
di aver sparato non un proiettile, ma un'immensa cavolata.
«Ma
che
dici?»
sbottò Naruto. «Non mi dimenticherei mai di
Hina-chan!
È delle tazze che mi sono scordato. Hina-chan invece l'ho
portata via con me!»
Sakura
sorrise. Avrebbe dovuto saperlo, lei che si vantava di conoscerlo
così bene, perché c'era un numero limitato di
persone
– forse un numero pari a zero – capace di amare
come amava
lui; perché quando Naruto amava, amava con cuore, fegato,
polmoni e quel briciolo di cervello che si ritrovava. Amava al punto da
aver giurato all'intero clan Hyuuga di non separarsi mai da quella
ragazza dagli occhi lavanda, fino alla fine dei suoi giorni. L'avrebbe
onorata e venerata, come se nelle braccia gli dèi stessi gli
avessero posato una dea, la dea della luna e della felicità.
La
sua felicità. L'avrebbe rispettata e, quando sarebbe
diventato
Hokage, avrebbe fatto scolpire nella montagna il viso di entrambi.
Perché quando si era accorto di amarla, aveva capito che non
sarebbe più potuto esistere senza di lei. E da bravo scemo
gli
erano serviti anni per comprendere che quel bruciore al petto, al
cuore, non era gastrite o un piatto di Ramen di troppo. Erano dovuti
passare sotto i ponti fiumi di acqua con una portata tale da riempire
l'oceano: svenimenti, invasioni nemiche, guerre, confronti faccia a
faccia con la morte. Ma quando lo Tsukuyomi era stato
annientato,
Naruto aveva iniziato a vedere la vita. Era corso da Hinata, pregandola
di aspettarlo: doveva parlare con i Kage, assicurarsi che scagionassero
Sasuke, ma c'erano miliardi di cose che doveva dirle, se solo avesse
potuto aspettarlo, ancora un altro po'. E Hinata, con le lacrime per la
gioia, fiduciosa in quel sorriso luminoso, aveva giurato.
Finché
era tornato da lei, donandole il suo cuore. Lei, solo lei, aveva saputo
vedere in lui la luce, mentre tutti lo credevano il buio. Ma si sapeva
che Naruto Uzumaki era una testa quadra, no? Non aveva capito niente.
Però poi l'aveva vista anche lui, la luce che c'era in lei,
ed
era così abbagliante che aveva dovuto distogliere lo sguardo
per
non rimetterci gli occhi.
“Hinata, ricordi
quando ti ho detto che mi piacciono le persone come te?”
Ovviamente.
“Mentivo! Era tutto
un grande sbaglio!”
Era impallidita. Ecco la
carta del due di picche.
“Hinata, non mi
piacciono le persone come te”.
Il rifiuto.
“Mi piaci
tu.”
E il due di picche divenne un
asso di cuori.
“Mi piaci tu e
basta”.
«Svegliati,
testa quadra! Non è il caso di pensare a Hinata ad occhi
aperti!»
Alla fine
glielo
tirò quel famoso pugno in testa e dovette ammettere che un
pochino si sentì meglio.
«Ma
Sakura-chan, come hai fatto a capire che io stavo-»
«Perché
quando pensi a Hinata sbracci e ti muovi tutto. E sbavi
pure!»
Inutile
dire che
Naruto negò. Nel giro di qualche mese sarebbe diventato Hokage e gli Hokage
non sbavavano. Tsunade gli aveva dato perfino qualche lezione di
portamento! Sakura non ci credeva minimamente, visto che anche il
portamento della maestra lasciava parecchio a desiderare. Inscenarono
così un altro dei loro siparietti, fino a quando entrambi
non si
stancarono di rimbeccarsi: “tu pensi a Sasuke”;
“tu
pensi a Hinata”; “Sasuke”;
“Hinata”;
“Sasuke”; “Hinata”.
«Andiamo»
disse
Sakura, chiudendo per prima il loro gioco da dodicenni. «Ti
accompagno a pagare, così eviti di fare qualche
disastro.»
Lo
trascinò per la manica
della felpa tra i tavoli rotondi e arrivò all'arco che dava
accesso allo stanzino con la cassa. Una grande tenda rosa antico
separava le due stanze. Sakura la scostò, accarezzando quel
manto di seta pregiata, ma appena varcò la soglia
mollò
la presa e il tessuto le cadde sulla punta del naso. Con un gesto
rapido si liberò la visuale e puntò il dito in
avanti.
«Ma
quella
non è Hinata?» chiese.
«Hinata?»
Naruto si
mise
dritto, composto e con la tazza in bella vista;
sennonché si ricordò che era un regalo e
cercò un
posto dove nasconderla, per non essere colto sul fatto. Fece troppo
rumore, sbattendo la schiena sullo stipite della porta. Fu il suo
“ahi” a tradirlo. Hinata riconobbe la voce e si
girò
di scatto.
«Naruto-kun?»
Tra
le sue
mani una tazza
arancione per nulla raffinata, ma che metteva una certa simpatia. Quei
due passavano davvero troppo tempo insieme. Sakura ne era convinta:
avevano le stesse idee. Così Hinata fissava la tazza
argentata
tra le mani di Naruto e Naruto fissava la tazza arancione tra le mani
di Hinata. Nello stesso istante i loro occhi si alzarono dai due
oggetti e si incrociarono, mentre una risata divertita usciva dalle
bocche; Naruto si grattava la testa, come faceva sempre da imbarazzato;
Hinata invece era arrossita.
«Io
pensavo
che visto che fa sempre freddo-» disse lui.
«No,
ero io
che pensavo che-» disse lei.
E intanto
si fecero
più
vicini. E Sakura, nel ruolo del candelabro, nonché del terzo
in
comodo, si faceva sempre più lontana.
«È
colpa della grandine e poi ti piaceva-» riprese a dire lui.
«Ho
pensato
la stessa cosa;
e poi gli operai devono ancora mettere il riscaldamento per
quest'inverno, quindi-» riprese a dire lei.
Non era
educato,
anzi, era da vera
impicciona, ma Sakura non poté fare a meno di guardarli.
Guardava Hinata soprattutto e si meravigliava della luce che sapeva
emanare. Aveva sempre paragonato i suoi occhi alla lavanda che vedeva
nel negozio degli Yamanaka. Alla presenza di Naruto, tuttavia, le iridi
si ricoprivano di riflessi argentei, simili alla luna che ricavava la
luce dal sole. E non c'era bisogno di dire chi fosse il sole di Hinata.
«Sai
cosa
facciamo, Hina-chan? Compriamo non solo tutte e due le tazze, ma anche
tutti e due i servizi!»
E mentre
Hinata
ribatteva che entrambi i servizi costavano troppo e Naruto le
assicurava che non era un problema – diventerò
Hokage, Hina-chan; ti ricoprirò d'oro e di
felicità;
ogni tuo desiderio sarà un mio desiderio; ogni tuo sogno un
mio
sogno – Sakura sentì un moto di
stizza farle
prudere la pelle delle mani. Gelosia, ma non gelosia di Naruto in
quanto uomo; gelosia della loro relazione, del loro condividere, di
tutto quello che lei non avrebbe mai avuto.
Da bambina
aveva
sempre saputo che
il suo uomo sarebbe stato Sasuke. Da adulta aveva imparato a
rassegnarsi: non sarebbe mai stato lui. Così, ora che aveva
accartocciato il sogno d'infanzia, si rassegnava a una vita senza
Sasuke, ma si rassegnava anche a una vita senza un uomo al suo fianco:
se quell'unico non poteva essere Sasuke, allora non sarebbe stato
nessuno.
Quando
stava in
solitudine, chiusa
nel monolocale o al lavoro, si trattava di una rassegnazione stanca, ma
tutto sommato accettabile. Quando si confrontava con la
felicità
dei suoi amici, invece, era un sentimento amarissimo, più
dello
sciroppo per la tosse. Vedere Naruto abbracciare Hinata e strofinare il
naso contro il suo, troppo pudico per un grande atto in luogo pubblico,
trasformava il sangue delle vene in veleno; le faceva venire voglia di
correre a casa, schiacciare la testa sotto il cuscino e scoppiare a
piangere.
Alla fine
Naruto se
ne
fregò della pudicizia e stampò un piccolo bacio
sulle
labbra di Hinata. Sakura stralunò gli occhi al cielo: ma
quanto
erano smielati quelli che si innamoravano? A grandi falcate
marciò verso la cassa e sbatté entrambi i palmi
sul
tavolo smaltato di bianco.
«Mi
dia una
tazza adatta a
una vecchia zitella!» ordinò alla commessa, con un
tono
che non ammetteva replica. «La più brutta che
trova e
quella che costa meno.»
La donna
alla cassa
fece una faccia allucinata.
«Signorina,
ma-»
«Niente
ma,
se, però!
Non mi interessa!» le disse. Indicò poi una
tazza appoggiata sulla mensola, dietro la testa castana della commessa.
Economica, in semplice porcellana bianca. «Sakura Haruno non
ripete!»
O
meglio... ripete
solo
sensazionali confessioni d'amore a stupidi uomini complessati, con le
capacità verbali e relazioni di un orango-tango. Ma questa
era
tutta un'altra questione e al momento non aveva importanza. Doveva
fuggire da quel nido di piccioncini, presi a scambiarsi carezze sul
viso e battute dolci e svenevoli; doveva uscire, all'aperto, dove
almeno la grandine, fredda di natura, si poteva adattare al gelo del
suo cuore.
«Ci
si
vede, ragazzi» disse.
Probabilmente
non
venne sentita
perché non ottenne risposta. Solo quando scostò
il drappo
rosa antico, con le intenzioni di sparire dalla loro vista, la voce di
Naruto la raggiunse da dietro.
«Sakura-chan!»
La
guardava con il
sorriso da
idiota, quello che sembrava dire: “Suvvia, non essere triste!
Il
mondo è bello e colorato e ci sono gli unicorni arancioni
che
fanno consegne di ramen
a domicilio!”. Stava attaccato a
Hinata e
le avvolgeva i fianchi con un braccio; un'espressione bizzarra stampata
in faccia. A Sakura parve volesse trasmetterle un briciolo di
autostima, rassicurarla: anche lei un
giorno sarebbe stata felice. Le sembrava stesse facendo il tifo da
lontano, credendo al massimo nelle sue capacità.
«È
dietro
l'angolo» le disse, per rincuorarla. «Devi solo
aspettare.
Aspetta ancora un po'!»
Prese le
sue parole
alla lettera.
Uscì dal negozio e prima di girare l'angolo, trattenne il
respiro, spaventata dalla novità che la stava attendendo al
varco, con il cuore e l'eccitazione sparati a mille, una bambinetta che
scartava un pacco regalo, convinta di trovare all'interno della
confezione la bambola dei suoi sogni. Invece il negoziante aveva
riempito quella scatola di pezzi di polistirolo, un brutto scherzo. E
dietro quell'angolo, proprio come nel pacco regalo, non c'era un bel
cavolo di niente.
La
delusione premette
in lei al
punto che si sentì di nuovo stupida. Come avrebbe potuto
dirsi
intelligente una giovane donna capace d'illudersi? Si sapeva che Naruto
era un sognatore; si sapeva che i suoi desideri nascevano con la
potenzialità di diventare veri; ma solo perché il
futuro
Hokage
otteneva quel che voleva, non significava che la medesima catena
desiderio-realtà potesse adattarsi anche a lei.
A Sakura
non serviva
un sognatore
che fomentasse fantasie irrealizzabili. A Sakura serviva una persona
pratica, una che non si facesse problemi a sbatterle in faccia la
verità dei fatti, una che riuscisse a dirle, senza troppi
peli
sulla lingua: “Mia cara fronte spaziosa, apri i tuoi grandi
occhioni smeraldo e fattene una ragione. Lui non ti vuole e mai ti
vorrà”. E c'era solo una persona che l'amava al
punto da
essere disposta a ferirla, pur di salvarla: Ino Yamanaka.
--
Ed ecco il terzo capitoletto (e Sasuke non si decide ad
apparire! Beh con lui... con lui ci vuole moooolta pazienza). Ne
restano solo due adesso. Ovviamente - partecipando la fic a un contest
- i capitoli sono già stati scritti. Devo solo essere un po'
meno pigra del solito e decidermi a fare gli html... e anche un po' di
sveglia e brillante (così non mi dimentico di aggiornare).
Un grande grazie a tutti quelli che seguono, leggono, recensiscono la
storia e, se non ci sentiremo prima (tradotto: se non
aggiornerò prima) un buon natale a tutti voi!
Un bacione
Odiblue
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