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Autore: Odiblue    17/12/2014    4 recensioni
“Mentre guardava la grandine scendere nel cortile dei Nara, non poteva che paragonarla a Sasuke. Era bella – bellissima! - in ogni acino di ghiaccio che martoriava il lastricato, bianca come la pelle di lui, eppure, nonostante avesse il colore della purezza, dannatamente pericolosa. Difficile da sciogliere, impossibile da scaldare “. La storia partecipa al contest “NARUTO the movie: la vita e l'amore”, indetto da manga, sasuk8 e meryl watase, sul forum di EFP.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Sai/Ino, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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III.


Fu come entrare nella stanza da ballo di un palazzo. Tavoli di cristallo, tondi, riempivano il negozio senza seguire uno schema preciso. Erano pulitissimi e la superficie non aveva intrappolato le impronte dei clienti che li accarezzavano con le dita. Sopra di loro c'erano servizi di porcellane di ogni tipo, semplici e arzigogolati, disposti a seconda delle varie sfumature di colore; piramidi di piatti che imitavano la torta a balze di una sposa; bicchieri di vetro soffiato che ricordavano l'arcobaleno; e non mancavano le tazze, tantissime tazze. Talmente belle che Sakura sarebbe andata sul lastrico pur di comprarle tutte: rosa confetto, trasparenti come gocce di rugiada, brillanti più del più prezioso diamante.

Un solo dettaglio stonava in quel paradiso di raffinatezza e sciccherie. Un giovane uomo, agghindato in un orrendo completo arancione, sgraziato nel girare attorno a un tavolino, nel centro del negozio. Potenzialmente pericoloso. Stava lì da solo, il che era una novità, visto che mancavano i due grandi amori della sua vita: Hinata Hyuuga e Sasuke Uchiha.

«Non credevo che a voi elefanti fosse consentito mettere piede nelle cristallerie» gli disse.

La sua voce lo sorprese, cogliendolo da dietro. Si stupì lei stessa di aver parlato. Era in condizioni inaccettabili e si sentiva orrenda, con i capelli spettinati, bagnata fino al midollo, e l'inguardabile maglioncino rosso, ridotto a un colabrodo dai cubetti di grandine.

Ma del resto, il ragazzo che si trovava davanti era Naruto Uzumaki e Naruto Uzumaki era abituato ad avere a che fare con il lato peggiore di lei.

«Sakura-chan!» gridò in un saluto.

Attirò su di sé l'attenzione di tutte le clienti che, vista la premura e l'ansia con la quale saltellavano attorno al tavolino delle bomboniere, dovevano essere future spose.  

«Ma questo è un negozio di tazze!» continuò a gridare. «Non una cristalleria!»

Lo disse indicando con il dito un set di porcellane. Il lembo della felpa arancione sfiorò il manico di una tazzina. Sakura si buttò in avanti, le suole delle scarpe bagnate. Scivolò, ma riuscì a frenare concentrando il chakra nelle piante dei piedi. Afferrò la tazzina al volo e la riadagiò sul piattino del servizio.

«Resta il fatto che tu sia un elefante» lo rimproverò. «Guarda che disastro stavi per combinare!»

Naruto ridacchiò e si grattò la testa, all'altezza della nuca. Borbottò delle scuse imbarazzate e rassicurò le commesse del negozio, povere donne terrorizzate dalla sua goffaggine, dicendo che non era successo nulla, niente di cui preoccuparsi.

«Ma che elefante e elefante, Sakura-chan!» aggiunse poi.

Sventolò le mani davanti al petto. Lo faceva sempre quando voleva difendersi e negare di aver dato vita a un danno. Anche se quella volta il danno in questione era stato evitato grazie a una grandiosa prova di riflessi.

«A forza di rincorrere il Teme sono venuti problemi di vista anche a te?»

Voleva essere una battuta, ma a Sakura sembrò di venire fulminata viva. E non da una persona a caso. Dal suo migliore amico. Dall'uomo che da ragazzino aveva giurato di proteggerla e prendersi cura di lei, mai di ferirla. Invece l'aveva fatto. A forza di rincorrere il Teme. Era davvero così patetica? Al punto da essere quasi paragonata a una cagna in calore che si attaccava alla gamba del padrone, per non lasciarlo andare via? Morbosa, ossessionata? Naruto le aveva sempre detto che ammirava il suo amore smisurato per Sasuke, un sentimento che non conosceva limiti e compromessi. Un giorno, mentre parlavano del più e del meno, l'aveva paragonata a una bellissima farfalla, pronta a gettarsi nelle correnti di vento, in vortici e tornado, pur di raggiungere il suo obiettivo. Quand'era che le aveva tagliato quelle splendide ali rosa e l'aveva condannata a strisciare al suolo, sporca e viscida come una larva?

Ingrandì gli occhi e schiuse le labbra, finché Naruto comprese la gravità delle sue parole: le iridi azzurre si dilatarono e lui realizzò il peso di una domanda posta con troppa leggerezza.  

«Cioè io, io non intendevo dire quello!» si scusò. Riprese a sventolare le mani davanti al petto. Poteva essere cresciuto, Naruto. Poteva essere diventato l'eroe di Konoha, ma restava comunque un grandissimo baka. «Non la prima parte, capisci? Cancellala, Sakura-chan! Fingi che io non abbia mai... cioè volevo solo dire che io ho i baffi e non la proboscide!»

Frase dopo frase, alzò il tono di voce. Sempre e sempre più, al punto che le future spose rimasero ad ascoltare la loro conversazione. Curiose. E Sakura non era arrabbiata con Naruto. Capiva che non aveva parlato con cattiveria. Del resto, era lei la patetica, lei la perdutamente innamorata, lei la permalosa. Però si vergognava oltre ogni misura immaginabile.

«Perché devi sempre urlare?» gli chiese.

Per la disperazione si passò una mano sulla fronte, ma poi pensò che avrebbe potuto tirarsi su il morale, schernendo il suo migliore amico, quasi un fratello, come era solita fare.

«E comunque devo correggerti» gli disse. «A forza di stare in squadra con Sai e Kakashi mi sono venuti problemi di altro tipo. Di perversione, direi. Quindi, per favore, evita di gridare frasi circa il non avere una proboscide.»

Naruto divenne rosso peperone, talmente colorato in viso da sembrare una bomba sul punto di esplodere. Iniziò perfino a sudare, quando le spettatrici del loro dibattito risero dolcemente. Fosse stato il ragazzino di dodici anni che amava porsi al centro dell'attenzione, si sarebbe tirato giù i pantaloni e avrebbe mostrato che lui, Naruto Uzumaki, futuro Hokage di Konoha, aveva benissimo la “proboscide”.

Ma per l'appunto un eroe non poteva permettersi certi atteggiamenti.

«Sakura-chan? Ma cosa? Ma come?» balbettò. «Cioè tu... non avrai mica pensato che io intendessi... sul naso dicevo... mica... non credetele... io non dicevo quella proboscide... è lei che...»

Ancora le ragazze del negozio ridevano; ed erano fortunati che la cassa si trovasse nello stanzino adiacente, altrimenti la commessa, assistendo alla scena, avrebbe preso il telefono e chiamato la sicurezza.

«Taci che abbiamo capito tutti cosa volevi dire» lo sgridò Sakura.

Fece cadere così l'argomento, dicendo in silenzio alle donne nel reparto di tornare alle loro faccende. Quanto a lei... credeva che prendersi gioco di Naruto, come i vecchi tempi, potesse aiutarla a farle tornare il buon umore. Invece niente. Non aveva nemmeno voglia di spremergli un cazzotto sopra quella testa bacata che si ritrovava. Il che non era assolutamente nel personaggio. Ecco come la stava riducendo la grandine!

«Piuttosto che ci fai qui?» gli domandò. «Ti ricordo che non me l'hai ancora detto.»

Un diverso tipo di rossore ricoprì le guance di Naruto, un tenue rosa che imporporò il naso e la pelle sotto gli occhi. Prese in mano una tazza, vicino alla tazzina da caffè che aveva rischiato di rompere e la allungò, perché Sakura la vedesse meglio.

«Cavolo! È davvero bella!» gli disse lei.

Era una tazza allungata, dal collo stretto, di un piacevolissimo argento chiaro che sfumava nel bianco; impreziosita, sul lato opposto al manico, dal disegno di un fiore di loto; i petali calcati ai margini da una polvere di brillantini che ricopriva il manufatto di un'aura luccicante.

«Io-» Sakura scosse il capo, allibita non tanto dalla bellezza dell'oggetto, quanto più dal fatto che fosse stato Naruto a sceglierlo. «Io non credevo avessi tanto gusto estetico.»

Ma poi l'occhio le cadde sulla divisa arancione, l'obbrobrio per eccellenza. Un brivido di disgusto le salì su per la schiena.

«Anzi, no» aggiunse. «Mi correggo. Tu e Hinata dovete assolutamente venire a cena da me, una di queste sere. Devo farle davvero tanti complimenti, se è riuscita ad addomesticarti e a farti comprare qualcosa che non sia di quel colore osceno!»

Naruto inorridì e adagiò rapido la tazza dal fiore di loto sul tavolino, prima che uno dei suoi gesti scomposti finisse con il mandarla in mille pezzi. Non appena se ne liberò, si mosse tutto, per evidenziare la sua contrarietà con una gamma vastissima di movimenti: un pugno menato in aria, una pedata al pavimento, veloci scossoni della testa.

«Ma Sakura-chan!» disse. «Sei proprio cattiva oggi! L'arancione è un bellissimo colore. E poi la tazza è per Hinata, perché io, cioè, vedi-»

E il tono si abbassò, gradualmente, l'esatto opposto di come si era alzato. Di nuovo il rossore tornò a coprire le gote di Naruto. Sembrava che si fosse trasformato in Hinata; sembrava che, a forza di passare le sue giornate con lei, avesse assorbito tratti del suo carattere: il farsi improvvisamente silenzioso, lo spostare gli occhi a terra, il rigirarsi i pollici, l'uno con l'altro. Perché era evidente che lo mettesse in imbarazzo esternare il suo lato romantico, la parte innamorata.

Che poi – Sakura poteva dirlo, visto che in pochissimi lo conoscevano meglio di lei – la parte innamorata era ovviamente tutta: non c'era un solo atomo che componeva il corpo di Naruto Uzumaki incapace di amare Hinata Hyuuga alla follia. Anche perché il suo compleanno non era nelle vicinanze e la tazza doveva essere uno di quei regali nati così, giusto per il gusto di donare, senza attendere una ricorrenza precisa.

A Sakura fece una grandissima tenerezza, tanto che le venne voglia di abbracciarlo e di stringerlo forte forte, come fa una sorella con il fratellino minore; con le lacrime agli occhi, orgogliosa e un po' rattristata dalla sua crescita. Però non era nel personaggio abbandonarsi a smancerie con Naruto e quindi si limitò a portare le mani ai fianchi. Con un piccolo colpo di tosse lo costrinse a sputare il rospo.

«Vedi» le disse lui. «Ieri sono venuto qui, con lei. Cercavamo un servizio da tè per la casa. Fa freddo e Hinata ha sempre le mani gelide e io non voglio che pensi che non sappia prendermi cura di lei, insomma capisci, che ci ripensi e torni a vivere dagli Hyuuga-»

Di nuovo si rigirò i pollici. E di nuovo Sakura sentì nascere in lei la voglia di spupazzarlo tutto, questa volta come un cucciolo di cane, di mettergli in disordine i capelli, ma – di nuovo – questo eccesso di coccole e attenzioni sarebbe stato totalmente non da lei; e tra l'altro non era il momento di rifilargli nemmeno un pugno, quindi rimase buona e zitta, in attesa che Naruto riprendesse la narrazione.

«Però quando ho visto il servizio arancione, mi è sfuggito che mi piaceva» disse lui con tono colpevole. «E invece lei voleva prendere questo, e alla fine è successo così, che Hinata voleva comprare quello arancione per non fare un torto a me; io volevo prendere quello argento per non fare un torto a lei.»

«E alla fine non ne avete preso nemmeno uno!» concluse Sakura, tirando le somme.

Naruto serrò le labbra e chiuse i pugni, tirando le braccia lungo i fianchi. Dei membri del team 7, era quello ad essere cresciuto di più; era diventato responsabile e serio, non un guastafeste tutto scherzi e strilli come all'età di dodici anni. Eppure certi gesti – la mimica del viso, il modo di manifestare gioia e dolori – erano rimasti immutati. E quella posa Naruto l'assumeva quando una certa persona gli metteva il bastone tra le ruote.

«Alla fine è arrivato Sasuke, quel segugio!» Sasuke. Prevedibile e scontato. «Mi ha detto che ero una femminuccia e che l'Hokage ci stava aspettando e che, se non mi fossi dato una mossa, avrebbe convinto la vecchiaccia a dare il titolo a lui e non più a me e quindi io-»

«Te ne sei andato con Sasuke dimenticandoti di Hinata!»

Naruto rizzò la schiena, una volpe sconvolta dal botto emesso dal fucile di un cacciatore. E Sakura, il cacciatore in questione, capì dal volto del suo amico di aver sparato non un proiettile, ma un'immensa cavolata.

«Ma che dici?» sbottò Naruto. «Non mi dimenticherei mai di Hina-chan! È delle tazze che mi sono scordato. Hina-chan invece l'ho portata via con me!»

 


Sakura sorrise. Avrebbe dovuto saperlo, lei che si vantava di conoscerlo così bene, perché c'era un numero limitato di persone – forse un numero pari a zero – capace di amare come amava lui; perché quando Naruto amava, amava con cuore, fegato, polmoni e quel briciolo di cervello che si ritrovava. Amava al punto da aver giurato all'intero clan Hyuuga di non separarsi mai da quella ragazza dagli occhi lavanda, fino alla fine dei suoi giorni. L'avrebbe onorata e venerata, come se nelle braccia gli dèi stessi gli avessero posato una dea, la dea della luna e della felicità. La sua felicità. L'avrebbe rispettata e, quando sarebbe diventato Hokage, avrebbe fatto scolpire nella montagna il viso di entrambi. Perché quando si era accorto di amarla, aveva capito che non sarebbe più potuto esistere senza di lei. E da bravo scemo gli erano serviti anni per comprendere che quel bruciore al petto, al cuore, non era gastrite o un piatto di Ramen di troppo. Erano dovuti passare sotto i ponti fiumi di acqua con una portata tale da riempire l'oceano: svenimenti, invasioni nemiche, guerre, confronti faccia a faccia con la morte. Ma quando lo Tsukuyomi  era stato annientato, Naruto aveva iniziato a vedere la vita. Era corso da Hinata, pregandola di aspettarlo: doveva parlare con i Kage, assicurarsi che scagionassero Sasuke, ma c'erano miliardi di cose che doveva dirle, se solo avesse potuto aspettarlo, ancora un altro po'. E Hinata, con le lacrime per la gioia, fiduciosa in quel sorriso luminoso, aveva giurato. Finché era tornato da lei, donandole il suo cuore. Lei, solo lei, aveva saputo vedere in lui la luce, mentre tutti lo credevano il buio. Ma si sapeva che Naruto Uzumaki era una testa quadra, no? Non aveva capito niente. Però poi l'aveva vista anche lui, la luce che c'era in lei, ed era così abbagliante che aveva dovuto distogliere lo sguardo per non rimetterci gli occhi.

“Hinata, ricordi quando ti ho detto che mi piacciono le persone come te?”
Ovviamente.
“Mentivo! Era tutto un grande sbaglio!”
Era impallidita. Ecco la carta del due di picche.
“Hinata, non mi piacciono le persone come te”.
Il rifiuto.
“Mi piaci tu.”
E il due di picche divenne un asso di cuori.
“Mi piaci tu e basta”.




«Svegliati, testa quadra! Non è il caso di pensare a Hinata ad occhi aperti!»

Alla fine glielo tirò quel famoso pugno in testa e dovette ammettere che un pochino si sentì meglio.

«Ma Sakura-chan, come hai fatto a capire che io stavo-»

«Perché quando pensi a Hinata sbracci e ti muovi tutto. E sbavi pure!»

Inutile dire che Naruto negò. Nel giro di qualche mese sarebbe diventato Hokage e gli Hokage non sbavavano. Tsunade gli aveva dato perfino qualche lezione di portamento! Sakura non ci credeva minimamente, visto che anche il portamento della maestra lasciava parecchio a desiderare. Inscenarono così un altro dei loro siparietti, fino a quando entrambi non si stancarono di rimbeccarsi: “tu pensi a Sasuke”; “tu pensi a Hinata”; “Sasuke”; “Hinata”; “Sasuke”; “Hinata”.

«Andiamo» disse Sakura, chiudendo per prima il loro gioco da dodicenni. «Ti accompagno a pagare, così eviti di fare qualche disastro.»

Lo trascinò per la manica della felpa tra i tavoli rotondi e arrivò all'arco che dava accesso allo stanzino con la cassa. Una grande tenda rosa antico separava le due stanze. Sakura la scostò, accarezzando quel manto di seta pregiata, ma appena varcò la soglia mollò la presa e il tessuto le cadde sulla punta del naso. Con un gesto rapido si liberò la visuale e puntò il dito in avanti.

«Ma quella non è Hinata?» chiese.

«Hinata?»

Naruto si mise dritto, composto e con la tazza in bella vista; sennonché si ricordò che era un regalo e cercò un posto dove nasconderla, per non essere colto sul fatto. Fece troppo rumore, sbattendo la schiena sullo stipite della porta. Fu il suo “ahi” a tradirlo. Hinata riconobbe la voce e si girò di scatto.

«Naruto-kun?»

 Tra le sue mani una tazza arancione per nulla raffinata, ma che metteva una certa simpatia. Quei due passavano davvero troppo tempo insieme. Sakura ne era convinta: avevano le stesse idee. Così Hinata fissava la tazza argentata tra le mani di Naruto e Naruto fissava la tazza arancione tra le mani di Hinata. Nello stesso istante i loro occhi si alzarono dai due oggetti e si incrociarono, mentre una risata divertita usciva dalle bocche; Naruto si grattava la testa, come faceva sempre da imbarazzato; Hinata invece era arrossita.

«Io pensavo che visto che fa sempre freddo-» disse lui.

«No, ero io che pensavo che-» disse lei.

E intanto si fecero più vicini. E Sakura, nel ruolo del candelabro, nonché del terzo in comodo, si faceva sempre più lontana.

«È colpa della grandine e poi ti piaceva-» riprese a dire lui.

«Ho pensato la stessa cosa; e poi gli operai devono ancora mettere il riscaldamento per quest'inverno, quindi-» riprese a dire lei.

Non era educato, anzi, era da vera impicciona, ma Sakura non poté fare a meno di guardarli. Guardava Hinata soprattutto e si meravigliava della luce che sapeva emanare. Aveva sempre paragonato i suoi occhi alla lavanda che vedeva nel negozio degli Yamanaka. Alla presenza di Naruto, tuttavia, le iridi si ricoprivano di riflessi argentei, simili alla luna che ricavava la luce dal sole. E non c'era bisogno di dire chi fosse il sole di Hinata.

«Sai cosa facciamo, Hina-chan? Compriamo non solo tutte e due le tazze, ma anche tutti e due i servizi!»

E mentre Hinata ribatteva che entrambi i servizi costavano troppo e Naruto le assicurava che non era un problema – diventerò Hokage, Hina-chan; ti ricoprirò d'oro e di felicità; ogni tuo desiderio sarà un mio desiderio; ogni tuo sogno un mio sogno – Sakura sentì un moto di stizza farle prudere la pelle delle mani. Gelosia, ma non gelosia di Naruto in quanto uomo; gelosia della loro relazione, del loro condividere, di tutto quello che lei non avrebbe mai avuto.

Da bambina aveva sempre saputo che il suo uomo sarebbe stato Sasuke. Da adulta aveva imparato a rassegnarsi: non sarebbe mai stato lui. Così, ora che aveva accartocciato il sogno d'infanzia, si rassegnava a una vita senza Sasuke, ma si rassegnava anche a una vita senza un uomo al suo fianco: se quell'unico non poteva essere Sasuke, allora non sarebbe stato nessuno.  

Quando stava in solitudine, chiusa nel monolocale o al lavoro, si trattava di una rassegnazione stanca, ma tutto sommato accettabile. Quando si confrontava con la felicità dei suoi amici, invece, era un sentimento amarissimo, più dello sciroppo per la tosse. Vedere Naruto abbracciare Hinata e strofinare il naso contro il suo, troppo pudico per un grande atto in luogo pubblico, trasformava il sangue delle vene in veleno; le faceva venire voglia di correre a casa, schiacciare la testa sotto il cuscino e scoppiare a piangere.

Alla fine Naruto se ne fregò della pudicizia e stampò un piccolo bacio sulle labbra di Hinata. Sakura stralunò gli occhi al cielo: ma quanto erano smielati quelli che si innamoravano? A grandi falcate marciò verso la cassa e sbatté entrambi i palmi sul tavolo smaltato di bianco.

«Mi dia una tazza adatta a una vecchia zitella!» ordinò alla commessa, con un tono che non ammetteva replica. «La più brutta che trova e quella che costa meno.»

La donna alla cassa fece una faccia allucinata.

«Signorina, ma-»

«Niente ma, se, però! Non mi interessa!» le disse. Indicò poi una tazza appoggiata sulla mensola, dietro la testa castana della commessa. Economica, in semplice porcellana bianca. «Sakura Haruno non ripete!»

O meglio... ripete solo sensazionali confessioni d'amore a stupidi uomini complessati, con le capacità verbali e relazioni di un orango-tango. Ma questa era tutta un'altra questione e al momento non aveva importanza. Doveva fuggire da quel nido di piccioncini, presi a scambiarsi carezze sul viso e battute dolci e svenevoli; doveva uscire, all'aperto, dove almeno la grandine, fredda di natura, si poteva adattare al gelo del suo cuore.

«Ci si vede, ragazzi» disse.

Probabilmente non venne sentita perché non ottenne risposta. Solo quando scostò il drappo rosa antico, con le intenzioni di sparire dalla loro vista, la voce di Naruto la raggiunse da dietro.

«Sakura-chan!»

La guardava con il sorriso da idiota, quello che sembrava dire: “Suvvia, non essere triste! Il mondo è bello e colorato e ci sono gli unicorni arancioni che fanno consegne di ramen a domicilio!”. Stava attaccato a Hinata e le avvolgeva i fianchi con un braccio; un'espressione bizzarra stampata in faccia. A Sakura parve volesse trasmetterle un briciolo di autostima, rassicurarla: anche lei un giorno sarebbe stata felice. Le sembrava stesse facendo il tifo da lontano, credendo al massimo nelle sue capacità.

«È dietro l'angolo» le disse, per rincuorarla. «Devi solo aspettare. Aspetta ancora un  po'!»

Prese le sue parole alla lettera. Uscì dal negozio e prima di girare l'angolo, trattenne il respiro, spaventata dalla novità che la stava attendendo al varco, con il cuore e l'eccitazione sparati a mille, una bambinetta che scartava un pacco regalo, convinta di trovare all'interno della confezione la bambola dei suoi sogni. Invece il negoziante aveva riempito quella scatola di pezzi di polistirolo, un brutto scherzo. E dietro quell'angolo, proprio come nel pacco regalo, non c'era un bel cavolo di niente.

La delusione premette in lei al punto che si sentì di nuovo stupida. Come avrebbe potuto dirsi intelligente una giovane donna capace d'illudersi? Si sapeva che Naruto era un sognatore; si sapeva che i suoi desideri nascevano con la potenzialità di diventare veri; ma solo perché il futuro Hokage otteneva quel che voleva, non significava che la medesima catena desiderio-realtà potesse adattarsi anche a lei.

A Sakura non serviva un sognatore che fomentasse fantasie irrealizzabili. A Sakura serviva una persona pratica, una che non si facesse problemi a sbatterle in faccia la verità dei fatti, una che riuscisse a dirle, senza troppi peli sulla lingua: “Mia cara fronte spaziosa, apri i tuoi grandi occhioni smeraldo e fattene una ragione. Lui non ti vuole e mai ti vorrà”. E c'era solo una persona che l'amava al punto da essere disposta a ferirla, pur di salvarla: Ino Yamanaka.


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Ed ecco il terzo capitoletto (e Sasuke non si decide ad apparire! Beh con lui... con lui ci vuole moooolta pazienza). Ne restano solo due adesso. Ovviamente - partecipando la fic a un contest - i capitoli sono già stati scritti. Devo solo essere un po' meno pigra del solito e decidermi a fare gli html... e anche un po' di sveglia e brillante (così non mi dimentico di aggiornare). Un grande grazie a tutti quelli che seguono, leggono, recensiscono la storia e, se non ci sentiremo prima (tradotto: se non aggiornerò prima) un buon natale a tutti voi!

Un bacione

Odiblue
   
 
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