Cap. 26 -
L’ALBA DEGLI EROI -
[La
guardo e mi rende fiero,
è
un tipo di donna che non ha nemmeno bisogno del mio aiuto.
Ha
qualcosa di unico,
è
per questo che la amo.
Per
sempre]
Ne-Yo
- Miss independent -
***
Rebecca
rimase a guardare il corpo privo di vita di suo padre. Non riusciva a
capire se quello che stava provando era gioia, felicità
oppure tristezza e riluttanza. Sì, riluttanza. Riluttanza
perché in quel momento si sentiva una bestia, un mostro
assassino che era stato capace di ammazzare a sangue freddo persino suo
padre. Chiunque avrebbe provato un minimo di pietà e
titubanza ma lei no, non ebbe nessun tipo di riguardo, non
un’indecisione. Nel momento in cui decise di trapassargli il
cuore con un pugnale non aveva avuto nessun fremito di esitazione. Si
sentiva svuotata, sconvolta per la sua brutalità.
Gabriel era
di fianco a lei e la osservava da lontano, quasi volesse mantenere una
distanza di sicurezza, Rebecca s’immaginava già la
faccia del ragazzo perplessa e inorridita. Si voltò
lentamente con un sospiro, in cerca del suo sostegno, paurosa per
quello che avrebbe potuto vedere sul suo volto.
Gli occhi di
Gabriel erano puntati sul corpo di Dark Threat, la ragazza si
accigliò nel constatare che non era lei la fonte della sua
attenzione. Lo sguardo di Gabriel era fisso e vacuo, non si capiva se
stesse soffrendo oppure se era contento. Sembrava una statua di marmo
bianco. Rebecca si mosse impercettibilmente verso di lui ma poi ci
ripensò e tornò al suo posto. Il gesto
però non passò inosservato al ragazzo che subito
la guardò. La guardò come se la vedesse per la
prima volta.
“Gabriel…”
lo provò a chiamare, non riusciva a capirlo in quel momento.
Sembrava sorpreso, pronto ad urlare qualcosa, sull’orlo di
una crisi isterica.
“Non
ci posso credere” sussurrò, poi il suo volto si
aprì in un sorriso. Rebecca si rilassò e rise con
lui. Le corse incontro e l’abbracciò con
trasporto. “Ce l’abbiamo fatta! Siamo salvi,
è finita! Finita! Te ne rendi conto?!”
La ragazza
passò le mani sulla sua schiena e si lasciò
stritolare dal ragazzo che sembrava incapace di contenere le proprie
emozioni. “Sì, finalmente è finita.
Finalmente potremmo vivere in pace” mormorò lei,
rischiando di piangere per la felicità.
Rimasero
abbracciati allungo, poi Gabriel si staccò e il suo viso era
bello e raggiante come il sole. Faceva persino male a guardarlo troppo.
“Ogni giorno della mia vita da quando ti ho incontrata ho
temuto questo giorno. Ogni giorno vivevo nel terrore che tu potessi
morire per mano sua. La paura, l’ansia, le
battaglie…si è concluso tutto. Tutto”
era incredulo, forse non se ne rendeva ancora conto.
“Per
il meglio anche, direi” sorrise soddisfatta.
“Il
Male ha perso, insieme faremo in modo che il Bene rimanga sovrano su
questo mondo”
“Cosa
succederà ai seguaci di Mortimer?”
domandò Rebecca.
Gabriel le
scansò dal viso dei ciuffi che le erano caduti sulla fronte,
poi posò la mano sulla sua guancia, assaporando quel
contatto caldo e vicino. “Si arrenderanno. Non ci
sarà più nessuno tanto potente quanto Dark
Threat, non avranno più nessuno che possa guidarli come ha
fatto lui. Scapperanno, si rifugeranno e un po’ alla volta
gli staneremo tutti, oppure si faranno la guerra tra loro,
dipende”
Rebecca
guardò alla sua destra il cumolo di macerie che era rimasto
come un’ombra nel pavimento della sala. Della polvere grigia
albeggiava ancora nell’aria. Gabriel seguì
incuriosito il suo sguardo concentrato e subito
s’incupì. La guardò negli occhi e
Rebecca vide che era addolorato.
“Che
c’è?” chiese, il cipiglio innalzato.
“Niente,
stavo ripensando al colpo che mi hai fatto prendere. Ti credevo
morta”
“Mi
dispiace, non avevo n’anche visto che eri entrato nella sala
altrimenti a te avrei risparmiato quel trucchetto illusorio”
“Mi
hai fatto morire, in effetti” disse con voce roca. Non rideva
più. “Sei veramente cattiva quando ti ci
metti”
Nonostante
tutto lei si sforzò di sorridere. “Penso che
l’abbia pensato anche mio padre” la risata le
morì in gola.
Mio
padre.
Distolse lo
sguardo da Gabriel.
Il ragazzo
le prese dolcemente il mento con le dita e le fece voltare la testa
perché potesse vederlo. Il volto di Rebecca era imbronciato
in una maniera squisitamente tenera. Gabriel distese un sorriso.
“Facciamo
che non ci pensiamo più per un po’?”
Rebecca
aggrottò la fronte facendo avvicinare le sopracciglia.
“Se fosse per me vorrei dimenticare tutto” rispose,
con voce piccola, da bambina.
“E
lo faremo, insieme, te lo prometto. Ora però sarebbe meglio
se andassimo ad avvertire gli altri”
“C’è
una persona che dobbiamo aiutare ad uscire dal castello,
Gabriel”
Gabriel
serrò i pugni. “Non starai parlando di Atreius,
vero?” domandò, minaccioso, facendo un passo in
avanti. “Anche perché temo che sia troppo
tardi”
“No,
si tratta del fratello di Bastian: Alan. Credo che Bastian ne sarebbe
davvero contento se lo riportassi da lui”
Il volto di
Gabriel s’illuminò. Improvvisamente divenne
desideroso di muoversi, di lasciare quella stanza, di darsi da fare. Si
agitò sul posto, gli occhi scintillanti per
l’eccitazione. Le prese le mani e
l’avvicinò con uno strattone al suo viso.
“Sarebbe il regalo più bello che tu potessi
fargli. È da anni che non vedo Alan, mi piacerebbe poterlo
abbracciare di nuovo”
“E
lo farai, ma ora dobbiamo andare. Alan era l’unico
prigioniero nella torre, l’ho nascosto in una stanza e
l’ho bloccato all’interno”
“Ti
ricordi dov’è la stanza?”
La ragazza
annuì convinta e lui si rilassò. La prese per il
gomito e la tirò verso la porta, correndo per raggiungere
più in fretta possibile l’uscita. Stavano per
avvicinarsi al portone quando Rebecca lo bloccò. Gabriel,
sentendosi tirare della parte opposta dove stava andando, si
voltò perplesso verso la ragazza che, ferma davanti a lui,
lo guardava in un modo che lui conosceva fin troppo bene.
Rebecca lo
prese per il colletto della divisa e lo attirò a
sé. Non ce la faceva più ad aspettare, aveva
voglia di sentire le sue labbra sulle sue, il suo corpo premuto in una
morsa contro il suo. Si baciarono con urgenza, con furia, nulla a che
vedere con quei dolci e casti baci che si davano normalmente. La paura
iniziale e la gioia che avevano provato nel ritrovarsi entrambi vivi
alla fine della battaglia avevano creato un mix di desiderio e
passione. Se non fosse stato per il poco tempo che avevano a
disposizione di sicuro Gabriel non si sarebbe risparmiato nel
strapparle i vestiti di dosso. Dovette interrompere il bacio e quasi
provò una fitta al cuore a quel distacco. Sbirciò
con gli occhi e ciò che vide lo fece intenerire: il volto di
Rebecca era ancora proteso verso di lui, le palpebre abbassate e le
labbra sporgenti, pronte a ricominciare. Gabriel le diede un bacio sul
naso e lei riaprì gli occhi tornando con i talloni dei piedi
ben saldi a terra.
Storse il
naso facendo capire che non approvava quel suo allontanamento da lei.
“Andiamocene
mocciosa, prima che sia troppo tardi, altrimenti potrei perdere il
controllo e violentarti qui, su questo pavimento freddo”
Rebecca si
portò una mano alla bocca per reprimere una risata,
cercò di darsi un’aria composta e seria.
“E se ti dicessi che non aspetto altro, angelo?” lo
prese in giro.
In risposta
alla sua provocazione il ragazzo andò letteralmente a fuoco.
“Avremo
tempo per quello”
sbottò, cercando di acquistare un tono di voce che
risultasse duro e autoritario.
Peccato che
per dire quattro parole aveva balbettato un po’ troppo.
***
Non appena i
due ragazzi uscirono dalla sala del trono percorsero correndo i
corridoio del castello. La notizia della morte di Dark Threat si era
sparsa in tutta la roccaforte e ora persino il castello sembrava morire
con lui. Le mura e le pareti si stavano sgretolando. Cadevano a terra
grossi e pesanti blocchi di marmo, le scale si stavano rompendo e
dividendo. Tutto stava cedendo.
Ebbero
appena il tempo di salvare Alan, ancora mezzo moribondo, prima che il
soffitto crollasse e seppellisse la stanza in una pioggia di pietra.
Gabriel e Rebecca aiutarono Alan ad uscire dal castello, procedevano
veloci e irrequieti. Avevano paura di incontrare qualcuno in quei
corridoi, oltre ad essere stanchi per la battaglia avevano il timore di
non essere in grado di proteggere Alan se si fossero trovati davanti un
gruppo di soldati. Fortuna volle che non s’imbatterono in
nessun nemico durante la loro uscita, sembrava che
dell’esercito di Mortimer e dei suoi fedeli non fosse rimasto
più nessuno.
Erano appena
usciti nel cortile e Gabriel sentì Rebecca gemere al suo
fianco. Quando la guardò vide che il suo volto era contratto
dal dolore.
Cercò
di incrociare il suo sguardo da sopra la testa di Alan. “Che
succede, Rebecca? Stai bene?” domandò preoccupato.
La ragazza
cercò di sorridere ma non riuscì a nascondere una
smorfia. “Penso di essermi fatta male quando mio padre mi ha
seppellita sotto a quei sassi” voleva essere simpatica e
ironica ma la sofferenza le aleggiava il contorno degli occhi.
Gabriel le
squadrò il corpo martoriato da lividi e piccole ferite.
Sbarrò gli occhi quando vide nella sua schiena una chiazza
enorme di sangue.
La
guardò allibito e sconvolto, fece per parlare ma lei lo mise
a tacere. “Dopo” sibilò senza nemmeno
guardarlo in faccia.
Cercò
di camminare il più veloce possibile dato che a correre non
ce la faceva più. Avrebbe tanto voluto fermarsi e riposare,
medicarsi la ferita e fermare il sangue che continuava sentir colare.
Ma non poteva. Doveva prima essere al sicuro e portare Alan al riparo
con sé. Cacciava dei piccoli gemiti ogni volta che il taglio
nella schiena le bruciava o le faceva male, beccandosi ogni volta delle
occhiate allarmate da parte del ragazzo che la guardava con profonda
commozione.
“Fermiamoci”
le disse il ragazzo con disperazione quando la sentì gemere
per l’ennesima volta. Era pronto a mollare la presa su Alan
nel caso la ragazza avesse avuto un mancamento.
“Non
devi preoccuparti per me, procediamo. Dobbiamo uscire dal castello, sta
cadendo a pezzi” rantolò, la voce spezzata e roca.
Gabriel
alzò gli occhi al cielo, non sapeva che fare per aiutarla.
Aumentò la camminata per arrivare nel loro accampamento.
Rebecca
camminava e, mentre con un braccio sosteneva Alan di fianco a lei, con
l’altro tentava di tenersi premuta la ferita sulla schiena.
Cercava di tamponare con la stoffa della divisa il taglio per fermare
la fuoriuscita del sangue. Doveva aver perso molto sangue in effetti,
cominciava a vederci sempre di meno, iniziava a sentirsi man mano
sempre più debole e fiacca. Strizzò gli occhi un
paio di volte prima di rendersi conto che vedeva tutto buio. Perse
l’uso della vista e inciampò in un masso. Cadde
per terra e sbattè la testa contro il sasso.
Sentì Alan scivolare dalla sua presa, sentì la
voce di Gabriel rincorrerla quasi volesse prenderla.
Rimase
qualche secondo distesa al suolo prima che Gabriel la prendesse. Si
sentì alzare e afferrare saldamente per i fianchi. Seppe per
certo di essere tra le sue braccia. Lui stava correndo.
Cercò di aprire gli occhi. Voleva sgridarlo, ordinargli di
metterla a terra e di aiutare Alan invece che lei, ma non ne
trovò la forza né la volontà, era come
se il suo corpo si fosse intorpidito. Rimase con la testa appoggiata al
suo petto muscoloso e un terribile sonno la invase.
Stava per
chiudere gli occhi e addormentarsi, sopraffatta da quella sensazione di
pace e tranquillità, quando sentì il ragazzo
urlarle di restare sveglia. “Non ti addormentare, Rebecca!
Non ci provare nemmeno se non vuoi che ti riempia di
schiaffi!”
La ragazza
mugulò tra le sue braccia e cercò di non dormire.
Sebbene avesse gli occhi aperti non ci vedeva niente.
“Siamo
arrivati, tesoro. Un altro piccolo sforzo” le
mormorò dandole un bacio sulla testa. Rebecca si
tranquillizzò nel sentire le labbra del ragazzo premerle
forte la fronte.
Gabriel si
fermò e la posò a terra, distendendola con cura e
devozione. Le passò una mano sulla guancia e a gran voce
cominciò a chiamare Bastian affinché gli
procurasse un curatore alla svelta. Rebecca fu contenta di sentire la
voce di Bastian, temeva che fosse rimasto ucciso durante la battaglia.
Cercò di alzare la testa ma una mano la spinse indietro.
Era Gabriel
che vegliava su di lei. “Non fare stupidaggini, scema. Rimani
ferma e tieni duro. Sta arrivando un medico”
“La
battaglia?” domandò la ragazza con un filo di voce.
“Abbiamo
vinto, non abbiamo riportato molte perdite nell’esercito. Le
truppe di Mortimer sono state decimate e il resto dei soldati hanno
fatto fuga” sorrise, non smettendo di accarezzarle le
guancie, i capelli, la fronte, le labbra…
Si
chinò e la baciò.
“Alan?”
sussurrò Rebecca.
“Sei
fortunata che il tuo ragazzo abbia avuto i suoi poteri con
sé” disse. “L’ho trasportato
con la magia”
Non fece in
tempo a parlare che lui le premette un dito sulle labbra, zittendola.
“Ora basta parlare, dormi”
Rebecca
finse una faccia adirata. “Ma come? Prima mi hai detto di
star sveglia!”
“Smettila
di rompere, signorina. Ora arriva il curatore” era Bastian
che aveva parlato. Lo sentì chinarsi su di lei e tastarle il
polso. Anche se non ci vedeva non era stupida, sentì il
cuore di Bastian accelerare nel suo petto e le parve di vederlo
lanciare un’occhiata significativa a Gabriel che
impallidì. Sentì che il cuore di Gabriel invece
aveva smesso di battere.
Rebecca
scrollò la testa da tutte la parti. “Che
succede?” domandò con agitazione.
Gabriel le
tenne ferme le spalle per non farle fare movimenti troppo pericolosi.
Quando le parlò la sua voce era incrinata e malferma.
“Niente, non succede niente” cercò di
tranquillizzarla ma inutilmente.
“Sarebbe
meglio se tu mi dicessi che sto per morire piuttosto che girarci
intorno sperando che abbocchi” disse duramente.
Gabriel
chiuse gli occhi ed emise un gemito. Bastian sospirò
frustrato, guardando il ragazzo con compassione.
Il curatore
arrivò dopo pochi minuti e frettolosamente si fece spiegare
la situazione. Fu Gabriel a parlagli. “Ha un taglio profondo
nella schiena, ha perso molto sangue e la vista è
già sparita”
Rebecca
ascoltò con attenzione il curatore che spiegò sia
a Gabriel che a Bastian in cosa avrebbe consistito la sua operazione.
Si presentò abbastanza complessa e dolorosa. Da come parlava
sembrava che la possibilità di salvarsi era molto scarsa.
Disse ad entrambi di pregare e di attendere che finisse.
“Che
Dio prego?” Rebecca sentì Gabriel sussurrare.
Poi il
curatore prese una siringa e fece l’anestesia alla ragazza.
Pian piano Rebecca si addormentò.
***
Vezzen,
l’umile servitore di Dark Threat, vagava come un pazzo lungo
i corridoi distrutti del castello. Ammirava con dolore e rimpianto le
mura crollate e la sua dimora cadere a pezzi. Non sapeva dove andare
ora che il suo Signore era morto.
Morto!
Com’era
possibile? Come aveva fatto quella ragazza a sconfiggere il Male?
Andò
nelle dimore di Mortimer e si lasciò scappare un singhiozzo
vedendo il suo letto spaccato a metà. Ridusse gli occhi a
due fessure, in quel momento un odio profondo e incontrollato verso
quella ragazza lo stava prosciugando.
“Non
ti preoccupare, Vezzen” disse una voce calma e melliflua alle
sue spalle.
Vezzen si
voltò perplesso e cacciò un singulto nel vedere
la figura di Mortimer dietro di lui. Si buttò per terra per
prostrarsi ai suoi piedi, elogiandolo. Non appena si tolse il cappuccio
dalla testa e mostrò il suo volto, Vezzen sbarrò
gli occhi e serrò la mascella. Si alzò in piedi e
serrò i pugni, profondamente dispiaciuto.
Atreius lo
fissava con uno strano sorrisino stampato in faccia. Gli abiti di suo
padre gli calzavano alla perfezione. “Non ti
preoccupare” ripetè. “Avranno tutti la
loro bella sorpresa. Avranno ciò che si meritano”
Vezzen non
capiva a cosa il ragazzo si riferisse con quella frase ma
annuì comunque con la testa e fece un piccolo inchino. A
quanto pareva era lui, ora, il suo nuovo padrone.
***
Gabriel
andava avanti e indietro lungo il corridoio. Era passata più
di un’ora da quando avevano portato Rebecca al villaggio.
Dopo l’operazione fatta direttamente sul campo di battaglia
era stata trasportata su una barella fino al villaggio, per poi essere
condotta nell’edificio sanitario che era un po’
simile agli ospedali della Terra. L’avevano adagiata su un
lettino e avevano chiesto a Gabriel di uscire e aspettare che finissero
di darle i punti sulla ferita. Gabriel aveva insistito per rimanere al
suo fianco ma i curatori gli avevano fatto ben capire che se non fosse
uscito immediatamente dalla stanza si sarebbero rifiutati di guarirla.
Dopo averli
urlato dietro una serie di imprecazioni e di aver sbattuto la porta
prima di uscire, si sistemò fuori nel corridoio. Incapace di
restare fermo continuava a camminare su e giù, lo sguardo
fisso a terra e le mani tenute dietro la schiena.
Sentiva un
istinto omicida verso quei curatori. Mandò giù il
groppo che aveva in gola e cercò civilmente di aspettare che
qualcuno venisse fuori per dargli qualche notizia. Ma dopo
un’ora che attendeva cercare di rimanere calmo e pacifico era
pressoché impossibile.
In quel
momento vide sua sorella corrergli incontro, tutta indaffarata e
preoccupata. Si lanciò addosso al fratello e lo
abbracciò forte. Gli chiese come stava, come stava Rebecca,
se sapeva qualcosa, se era viva, se era guarita…
“Non
lo so” rispose il ragazzo con voce incolore. Era svuotato,
gli sembrava di vivere un incubo.
Stava ancora
tenendo la sorella tra le braccia quando spalancò gli occhi
dalla sorpresa. La prese per le spalle e la tirò indietro in
modo da guardarla meglio. Non aveva sentito il suo pancione contro il
suo ventre quando l’aveva abbracciato, e ora che la vedeva
bene notò che la sua pancia era tornata piatta
e…vuota!
Credette di
svenire. “Rose! La tua pancia! N-Non sei più
incinta!” Rosalie fece un enorme sorriso. “Hai
partorito!” esclamò il fratello con gli occhi
fuori dalle orbite.
“Sì,
ho partorito mentre voi eravate a farvi ammazzare”
sospirò, lanciando un’occhiata preoccupata alla
porta chiusa davanti a lei.
“E
non mi dici niente?! Sono diventato zio, porca miseria! Dimmi almeno se
è andato tutto bene!”
“Sei
diventato zio di due gemelli, caro mio! Un maschio e una femmina. Oh
Gabriel, sono così piccoli e belli! Non vedo l’ora
che tu possa vederli!”
Il ragazzo
era al culmine della felicità. “Due nipoti! E come
li hai chiamati?”
“Ian
ed Emma. Ti piaceranno, ne sono sicura”
“Ora
sono a casa con il papà?”
“Per
forza, non volevo lasciarli ma non potevo neppure non venire. Posso
capire quanto tu ti senta solo e impotente in questo momento. Lascia
che ti faccia un po’ di compagnia”
“Vorrei
solo che lei si svegliasse” disse con una faccia talmente
addolorata e disperata che Rosalie sentì una fitta al cuore.
Non aveva mai visto suo fratello in quello stato. Sembrava spacciato,
morto dentro. Lo strinse a sé e insieme si sedettero in una
sedia tenendosi sempre stretti l’uno con l’altra.
Quando
finalmente la porta di aprì Gabriel scattò in
piedi rischiando di far cadere la sorella che gli era seduta sopra. Si
catapultò verso il curatore che indossava ancora la
mascherina sul viso.
Gabriel lo
prese per il colletto della divisa. “Me lo dica, dottore.
Come sta?” il suo tono era minaccioso.
“Si
è ripresa, è dentro. Potete entrare anche
se…”
Il ragazzo
non diede il tempo al curatore di finire la frase. Mollò la
presa su di lui e corse dentro la stanza come una furia. Non appena
vide davanti a sé il lettino con la ragazza sdraiata sopra
che lo guardava sorridente le andò incontro con un sorriso a
trecentosessantacinque denti.
Rebecca era
appoggiata contro lo schienale del letto ed era coperta da un lenzuolo
azzurro, le braccia erano scoperte e le mani congiunte. Nonostante
avesse appena subito un’operazione era bellissima. Non aveva
n’anche un capello fuori posto. Appariva sollevata e
tranquilla. Nel vederla in quello stato, così serena e
affettuosa, Gabriel ricevette una scossa elettrica. Qualcosa si smosse
e si accese dentro di lui, fu come se un fuoco l’avesse
invaso. La guardava e non vedeva più la ragazza di cui si
era innamorato, bensì vide la sua vita attraverso i suoi
occhi. Arrivò alla consapevolezza che di essere arrivato al
limite massimo con cui si può amare una persona. Ebbe un
tale impulso di possessività che quasi gli mancò
il fiato. Era una sensazione straziante e soffocante quella che provava
per lei.
Quando vide
che il giovane medico le stava toccando il seno per sentire i battiti
del cuore emise un basso e minaccioso ringhio. Il ragazzo si
voltò verso di lui e sbiancò nel vedere la sua
faccia. Tolse immediatamente le mani dal corpo dalla ragazza e gli
cadde la cartella medica dalle mani. La raccolse goffamente e
uscì di corsa dalla stanza. Gabriel diede uno spintone alla
porta e la chiuse.
Rebecca
scuoteva la testa. “Guarda che non mi freghi. Ti sembra
normale fare queste scenate di gelosia?”
Il ragazzo
scrollò le spalle con fare innocente. “Non
avercela con me, era lui che ti toccava in tutte le parti possibili e
immaginabili. Io gli solo fatto capire che sei di mia
proprietà”
“Io.
Non. Sono. Di. Tua. Proprietà” scandì
bene parole.
Gabriel
salì sul lettino con un ginocchio e la sovrastò.
Cominciò a baciarla con insistenza prima sulle labbra e poi
sul collo. “Sì, sì, dicono tutte
così”
Lei lo
urtò indietro, fingendosi offesa. “Ti pare che io
sia come tutte le altre?”
“Sai
cosa intendevo” rispose, poi tornò a baciarla.
“Non vedo l’ora di sposarti” le
sussurrò all’orecchio.
Il suo alito
caldo e sensuale provocò un brivido di eccitazione in
Rebecca. Il respiro cominciò a farsi irregolare.
“Prima dammi il tempo di riprendermi”
“Bastian
ti ringrazia” le disse Gabriel tra un bacio e
l’altro.
Rimanere
lucidi in un momento come quello era molto difficile. “Ah
sì?”
“Gli
hai ridato il fratello che aveva perso, chi non potrebbe esserti
grato?”
Con
gentilezza Rebecca scostò Gabriel.
“Che
fai?” domandò il ragazzo, vedendosi respingere.
L’occhiata
dolce della ragazza lo tranquillizzò. “Non mi
sembra il caso di farci vedere in queste condizioni dai
medici”
Gabriel
inarcò le sopracciglia. “Rebecca, ti rendi vero
conto che in questo momento il giudizio dei medici non me ne sbatte
proprio niente”
“Beh,
non voglio che ci vedano amoreggiare, penseranno che siamo due animali
assatanati di sesso”
Gabriel
innalzò ancora di più le sopracciglia.
“Mi sono preso uno spavento sapendoti tra la vita e la morte,
e ora mi vieni a dire che devo trattenermi? Beh, mi dispiace, non
c’è niente che io voglia di
più”
Rebecca
deglutì. Lo sguardo del ragazzo la mise in soggezione.
Sapeva che poco poteva contro il suo volere. Forse perché
anche lei, infondo, lo voleva.
Gabriel le
fece l’occhiolino, lei scosse la testa come per chiedergli
che avesse in mente. Con una mossa della mano il ragazzo
bloccò la serratura della porta e oscurò i vetri.
Rebecca alzò gli occhi al cielo e sorrise.
***
Era passato
un mese da quando la guerra era finita.
Rebecca era
stata dimessa, non aveva riportato problemi dopo
l’operazione. La ferita un po’ alla volta si era
richiusa anche se era rimasta la cicatrice. Gabriel l’aiutava
in ogni modo, le cambiava la garza e le disinfettava la ferita,
l’aiutava a cambiarsi e con cura la metteva pure a letto la
sera. All’inizio la ragazza aveva problemi a camminare e il
più delle volte era Gabriel a portarla in spalla
fregandosene delle sue lamentele. Festeggiarono in quei giorni il
compleanno di Rebecca che dopo un anno compiva diciotto anni. Il suo
primo anno da eroe, il suo primo anno a Chenzo.
“Io
sono comunque due anni più grande di te perciò
cerca di non metterti in testa strane idee di
superiorità” le aveva ribadito Gabriel, beccandosi
un pugno in testa da parte della ragazza.
“Ma
sei rimasto scemo uguale” aveva esclamato incrociando le
braccia al petto con un broncio adorabile stampato in faccia.
Non appena
tornarono a casa andarono a trovare Rosalie e Denali che avevano
già la fama di essere i migliori genitori del villaggio.
Rebecca era stata entusiasta di tenere in braccio Ian ed Emma e Gabriel
si era addirittura commosso, sebbene lui l’avesse negato. Gli
sguardi fieri di Denali e Rosalie mentre guardavano i loro figli
crescere erano un qualcosa di fantastico e unico.
Kevin e
Delia avevano deciso, dopo tanto tempo, di andare a vivere insieme.
Kevin si era beccato un vaso in testa dopo che ebbe parlato con il
padre di Delia, a quanto pareva l’uomo non vedeva di buon
occhio il ragazzo della figlia. Dopotutto Kevin non era quello che si
poteva definire un ragazzo responsabile. Ma il padre di Delia chiuse un
occhio quando vide l’amore che lui nutriva per la ragazza. Si
presero una casa vicino al centro del villaggio e parlavano di mettere
su famiglia.
Rebecca,
scherzando, buttò lì la frase:
“Gabriel, potremmo mettere su famiglia anche noi,
no?”
Rise come
una matta nel vedere la faccia del ragazzo irrigidirsi e sbiancare.
Aveva cominciato a balbettare e dopo aver ripreso colorito era
diventato rosso come un peperone. Si era giustificato dicendo:
“Sono troppo giovane per fare il padre”
Ma lei
sapeva che lui sarebbe stato un padre perfetto.
I risultati
della loro vittoria avevano contribuito a migliorare il mondo, i
villaggi si erano ripopolati, le famiglie si erano ricongiunte e la
natura stessa era più prosperosa e verde. Bastian lo si
vedeva sempre in giro per il villaggio con il fratello a seguito mentre
gli indicava e gli spiegava i cambiamenti che aveva riportato al paese
negli anni in cui lui era mancato. Si era anche tenuta una festa, una
delle prime sere da quando Rebecca era tornata a casa, ovviamente era
in suo onore.
La gente la
adorava, la ringraziò e la definì la loro eroina.
Il tema di quella festa era appunto: “L’alba degli
eroi” e, in un certo senso, era riferito a tutti i cittadini,
perché tutti in quel momento potessero sentirsi utili e
importanti per il villaggio. Perché tutti dovevano sentirsi
dentro un po’ eroi.
La vita
riprese ad essere quella di sempre. Ora che non dovevano più
combattere Rebecca e Gabriel passavano le loro giornate viaggiando e
visitando posti fantastici. Ogni giorno erano in un posto diverso,
Gabriel voleva farle vedere tutto il pianeta. Quando tornarono a casa
dopo il viaggio era passato un mese. Si potè benissimo
immaginare le facce costernate della gente.
“Come
avete fatto a visitare Chenzo in un mese?”
Gabriel
sorrise orgoglioso e abbracciò Rebecca cingendole i fianchi,
attento a non urtarle la ferita che si stava rimarginando.
“Ehi, state pur sempre parlando con due angeli”
Chenzo era
magnifica e Rebecca fu contenta di averla vista con Gabriel.
Fu mentre
erano nella famosa rupe che dava sul mare che alla ragazza comparve un
alone di tristezza per la prima volta dopo quel mese di vittoria.
Gabriel se ne accorse e si fece più vicino a lei. Stavano
entrambi guardando l’orizzonte infinito, era il tramonto e
faceva caldo. Era estate. Il mare era tinto di rosso e di arancione,
gli scogli erano macchiati di sfumature grigie e nere.
“A
che pensi?” le domandò timoroso. Non pensava di
essere pronto ad affrontare un discorso serio che comportasse
dell’altro dolore.
Lei
sospirò, alzando e abbassando il petto. “Pensavo a
quello che mi ero ripromessa di fare un anno fa”
“E
cioè?”
“Che
una volta finito il mio compito su questo pianeta sarei ritornata a
casa, sulla Terra, e avrei ridato ai miei genitori la memoria”
Rebecca
potè sentire Gabriel irrigidirsi al suo fianco.
Sbirciò per guardarlo e vide che il suo volto era contratto
e rigido.
“È
questo che vuoi?” le domandò con un filo di voce.
La ragazza
rimase allungo in silenzio. Si voltò disperato verso di lei
e ammirò il suo profilo cupo e pensieroso. Strinse i pugni
lungo i fianchi e si morse la lingua per non urlarle addosso. In quel
momento rimanere zitto gli costò un sacrificio immenso.
Avrebbe voluto gridarle che no, non poteva andarsene. Era impazzita?!
Lei doveva rimanere con lui, stare con lui, per sempre. Ma non voleva
dimostrarsi egoista, se andarsene era quello che veramente desiderava
di più avrebbe saputo accettarlo il tempo necessario per
vederla partire. Dopodichè si sarebbe ucciso con le sue
mani. Non avrebbe sopportato l’idea di saperla sulla Terra,
con una vita normale distante da lui, continuamente attorniata da
ragazzi insistenti che la volevano tutta per sé.
L’immagine di lei con un altro che si abbracciavano,
innamorati e felici, gli mandò il sangue al cervello.
Inspirò profondamente e attese che lei parlasse.
“Questo
era quello che volevo, Gabriel. Ora però non penso di
riuscire ad andarmene”
Gabriel
sorrise e prese la sua mano tra la sua. “Era quello che
speravo dicessi”
“Sii
serio Gabriel, pensavi davvero che ti avrei lasciato qui mentre io me
ne sarei andata via a farmi una nuova vita?” sembrava
sorpresa. “Avresti una bassa fiducia di me”
Il ragazzo
alzò le spalle, guardava il mare dritto davanti a
sé. “Non l’ho mai pensato”
Rebecca
ghignò. “Ah no? Bugiardo…”
“Te
l’ho detto, Bec. Ci sposeremo, avremo dei figli e diventeremo
immortali. Passeremo il resto della nostra vita insieme, per
l’eternità”
Rebecca si
voltò verso di lui, lo guardò e sorrise.
“Sai cos’è un lieto fine?”
chiese abbassando lo sguardo. “Quando l’eroe, alla
fine della storia, comprende finalmente il motivo della sua
sofferenza”
Gabriel
piegò la testa per cercare di vedere l’espressione
del suo volto. Rebecca alzò il viso verso di lui. Gabriel si
appoggiò con il mento sulla sua fronte e poi si
chinò a baciarle le labbra.
“Fra
il Bene e il Male c’è una porta, qualcuno potrebbe
aprirla…”
.Continua.
***
Ehi ragazzi, è
finita sul serio la storia...vi aspetto con il sequel!!!
"Angelus Dominus - Alone in the dark -"
Grazie di tutto, grazie
perchè mi avete seguita, grazie per le vostre recensioni.
Bacioni, Federica.
|