Titolo: In a killer's Manor
Beta: MehDolcenotte, che cara ragazza, soprattutto quando mi da ragione *__*
Rating: Nc-14
Characters: Otona!Reborn, TYL!Dino, TYL!Lambo, TYL!Kyouya Hibari
Pairing: RxL, Dx18
Note: Non avendo niente di meglio da fare ho pensato di gettarmi nella
stesura di una fic in 15'' seguendo il prompt della writing community
15_minute_fic. Lo scopo è esattamente quello di scrivere una fic in 15 minuti e
non di più, inutile dire che io ho sfasato di almeno tre ore abbondanti, senza
calcolare il tempo di rilettura e correzione e quello della mia beta*_*"... ma
vabbeh, come ho già detto non avevo niente di meglio da fare XD!
Ultimamente non so perché ma mi è presa la voglia di trattare Rebocci in
versione adulta (che sopporto molto, ma molto, molto di più, rispetto al suo
alter nanico >_>) così boh, ho iniziato a scrivere questa fic su di lui; doveva
essere una Angst, o almeno andarci vicino... alla fine l'angst non ho ben capito
dove sia andato a finire e come al solito i personaggi hanno fatto tutto da
soli>_>".
.In a killer's Manor.
La pallottola attraversò l’aria con un fischio acuto che si udì
appena prima che il foro si formasse sulla lattina.
Un colpo solo, preciso. Dritto nel mezzo del barattolo a
venticinque metri esatti da lui.
Cadde rimbalzando su se stessa almeno un paio di volte prima che
il braccio di lui si distendesse nuovamente per prendere velocemente la mira e
sparare di nuovo, uno, due, tre colpi facendola ballare come dotata di vita
propria.
“E’ così che si allena il miglior hitman d’Italia?”
Li aveva sentiti i passi dell’uomo alle proprie spalle, i tacchi
delle sue scarpe maschili picchiettare contro la nuda roccia che formava parte
del selciato nella sua tenuta italiana; la sua preferita tra le altre cose, per
svariati motivi che, infine, si riducevano tutti a “Si trova nella mia patria ed
ha tutto ciò di cui io ho bisogno”.
Prima di voltarsi piegò il braccio per alzare la canna della
pistola verso il viso, soffiandovi sopra, guardando il fumo svanire nell’aria
profumata di limoni maturi. La fece ruotare tra le mani e la re-infilò nella
fondina, nascosta nella giacca, sul lato sinistro del petto dove un destroso non
avrebbe avuto alcun problema a recuperarla in caso di bisogno.
Soltanto allora le scarpe, nere e costose, si girarono per
permettergli di guardare in faccia l’uomo che lo aveva disturbato con tanta
nonchalance durante il suo periodo di riposo.
“Sei tu.” constatò pacato, sistemandosi la tesa del Borsalino
scuro ben calcato sui capelli corvini, quei capelli dal taglio folle che
soltanto un genio come Mario –il suo personale coiffeur- riusciva a ricreare
tutte le volte.
“Speravo ti saresti dimostrato un po’ più felice di vedermi…
Posso capire che avresti preferito la visita di una donna bella e prosperosa, ma
così ferisci i miei sentimenti.” Blaterò l’uomo con fare teatrale, mentre con
una mano si asciugava una lacrima invisibile dal volto e con l’altra cercava di
nascondere il sorriso divertito nato spontaneo.
L’altro si prese la libertà di osservarlo per qualche lungo
istante, ridisegnando con lo sguardo i lineamenti marcati di un viso adulto
incorniciato da crini selvaggi del colore del granturco maturo, un colore che
stava tra il biondo ed il castano.
Sospirò, scuotendo il capo e infilando la destra nella tasca dei
pantaloni, naturalmente cuciti su misura. Se doveva avere una cosa, il minimo
era averla ben fatta.
“Sono felice di vederti, Dino.” Non c’era enfasi nella sua
frase, scivolò via in un unico soffio atono e basso e se lo Stallone fosse stato
uno dei suoi nemici, avrebbe iniziato a tremare davanti allo sguardo che gli
tirò.
Pece nera.
Erano gli occhi di quell’uomo. Petrolio, si attaccava alla pelle
e si insinuava in ogni poro senza che si riuscisse mai a distogliere lo sguardo.
“Per che cosa mi cercavi?” gli chiese poi.
Dino si trovò ad indietreggiare di un passo ancor prima che al
cervello arrivasse la sensazione di timore reverenziale che la sola voce
dell’altro gli aveva procurato.
Guardò oltre le spalle di lui, per non dover duellare con i suoi
occhi, e rispose.
“Mi hanno detto che te ne vai.”
“Chi?”
“Perché?” riprese, cercando di mostrarsi seccato per essere stato
interrotto.
“Non mi piace chi risponde alle mie domande con un’altra
domanda.” Sibilò l’hitman, affilando lo sguardo. Neppure un oceano nero sarebbe
apparso più glaciale ed allo stesso tempo più minaccioso.
“Nh.” Mugugnò in risposta Dino, indietreggiando di un altro
passo.
Ogni volta che credeva di riuscire ad essersi avvicinato a
quell’uomo questi lo ribatteva lontano, al suo posto di misero allievo che mai e
poi mai avrebbe superato il maestro. Non come Tsuna…
“Tsuna. È stato Tsuna.” Mormorò quindi, abbassando lo sguardo e
distogliendolo completamente dal volto di lui. Lineamenti duri, occhi neri che
richiamavano i cimiteri infestati nelle notti di halloween e quelle strampalate
basette che soltanto su di lui potevano avere un senso e risultare meno stupide
e ridicole di quanto invece fossero.
“Capisco.”
Tutto qui, non aggiunse altro, mosse un primo passo a superare il
corpo di Dino ed un secondo che lo allontanava dal selciato, riconducendolo
verso il tavolo della veranda su cui aveva lasciato il vassoio con due tazze ed
una teiera di ceramica bianca.
Prese posto su una delle seggiole in ferro battuto e soltanto allora tornò con
lo sguardo verso lo Stallone che non si era mosso dalla sua posizione iniziale.
“Dino.” Chiamò piano.
Il giovane boss ci mise qualche lungo secondo prima di sentirsi
uno stupido ragazzino infantile e decidersi a voltarsi, mordendo nervosamente il
labbro inferiore mentre la mano sinistra, spostata dietro la schiena, stringeva
convulsamente l’impugnatura di cuoio scuro della sua Lady. Non era così
malato da dare un nome alla propria frusta, ma di quando in quando gli capitava
di chiamarla in quel modo, come se si fosse trattato di una donna , della sua
donna, cosa che Kyou non gradiva affatto e più volte era quasi riuscito a
spedirlo in uno dei refrigeratori dell’obitorio di Namimori con un tonfa
piantato nel cuore. Tornò rilassato a questo pensiero, ricordando lo sguardo
assassino del Guardiano delle Nuvole mentre a denti stretti, più irritato che
mai, gli ringhiava che lo avrebbe prima morso a morte e poi impiccato con la sua
stessa frusta.
Scosse il capo e si avviò verso la veranda, ritrovando una
seconda seggiola ad aspettarlo e lo sguardo dell’uomo che ancora lo fissava
accavallando le gambe e poggiando il gomito al tavolino di marmo bianco,
reggendo tra le dita la propria tazzina di tea.
Ce n’era un’altra di fronte a lui.
Dino inarcò un sopracciglio biondo, sedendosi.
“Sapevi che sarei venuto?” domandò, senza riuscire a nascondere
la propria piacevole sorpresa.
L’altro rise, o sorrise soltanto, la differenza era così poca
quando si trattava di lui che era difficile capirlo.
“Mi sarei offeso se non fossi venuto.” asserì leziosamente,
portando la tazzina alle proprie labbra e dandovi il primo sorso.
Tea verde e bollente.
Così come piaceva a lui.
“Ah… Beh… Io non pensavo che…”
“Stai balbettando, Dino.” Gli fece notare, come se lo Stallone
non lo sapesse e non si sentisse già abbastanza immaturo. Era assurdo il modo in
cui, ogni volta che si ritrovava davanti l’Hitman più in gamba della Penisola, i
suoi trentuno anni non contassero più niente; finiva sempre per sentirsi il
marmocchio di quindici anni prima quando un piccoletto di poco più di un anno
gli era zampettato di fronte con l’aria e l’arroganza di un adulto, arrogandosi
il diritto di diventare suo tutore.
C’erano momenti in cui lo avrebbe ucciso se avesse potuto.
Altri –la maggior parte- in cui gli era grato di averlo fatto
diventare ciò che era.
“Credevo…”
“Cosa?”
“Beh… ehm…”
“Non ricomincerai, vero?”
Sbuffò, gonfiando le guance. Ed ora, proprio ora, sì, si sentiva
ancor più moccioso!
“Eddai Reborn, lo dice anche otooto, tu ti diverti troppo
a mettere in soggezione la gente!” si lamentò, incrociando le braccia al petto,
districandole dall’incrocio, passando nervosamente una mano tra i capelli dorati
ora lunghi sin oltre le spalle e tornando ad incrociare le braccia.
Reborn ne apparve compiaciuto.
Era vero, si divertiva.
Lo adorava.
Peccato ci fosse gente a cui non faceva molto effetto, come una
certa aho ushi ad esempio, che aveva avuto il coraggio di chiedergli di
portarlo con sé o peggio! Quel Bovino gli aveva chiesto una cartolina… a lui… Il
più temuto killer di tutti i tempi, che spedisce cartoline ad un idiota simile?!
Ancora adesso, se ci pensava, il sangue gli ribolliva nelle vene
e le dita gli prudevano, sottolineando quel bisogno assoluto di sparare a
qualcosa –o qualcuno-.
“Non starò via molto.” riprese invece, cercando di apparire calmo
come al solito. Gonfio della sua insensibilità di cui faceva vanto. “E voi non
avrete bisogno di me.”
“Ma se…”
“Dino, io sono solo un killer a pagamento, non ho una
Famiglia da comandare e i miei affari riguardano me e basta.”
Lo Stallone annuì, spingendosi con la schiena completamente
contro lo schienale della seggiola.
A quanto pare il discorso aveva raggiunto la sua naturale fine.
“Yare, yare. Almeno ce la spedirai una cartolina?”
Non era stato Dino a parlare.
Ci fu silenzio.
Un silenzio di tomba. Mortale.
Ed alla prima vena ballerina che pulsò alla tempia di Reborn, se
ne aggiunse un’altra e poi un’altra ancora, finché l’espressione assassina non
tornò a brillare sul volto dell’uomo.
“Devo intenderlo come un no?” rincarò una voce ben conosciuta,
con il tono languido di un playboy e una palpebra calata a coprire l’occhio
destro, mentre l’indice della mano sinistra sfiorava la fronte, in un’elegante
posa plastica, facendosi spazio tra crini corvini.
Dino si sorprese di vederselo comparire alle spalle, ma si
sorprese di più a notare quel che indossava il ragazzo: un paio di boxer bianchi
con macchie scure simili a quelle delle mucche e… e dei sandali beige.
Nient’altro.
Ebbe anche la vaga impressione che fosse appena uscito dalla
doccia visto alcune gocce d’acqua che lente colavano dalla linea del collo
seguendo quella poco marcata dei pettorali.
Almeno adesso sapeva che il Boss dei Bovino non era svanito nel
nulla come sostenevano le voci che circolavano da qualche settimana…
“Ehm…” iniziò lo Stallone, sentendo l’aria frizionarsi intorno al
corpo di Reborn ed un’aura intensa e negativa che si faceva sempre più tesa
“Forse è il caso che io tolga il disturbo…”
“Sì.” sibilò l’hitman “Non voglio avere testimoni quando mi
prenderò la vita di quest’aho ushi!”
Non attese neppure che Dino iniziasse a correre via verso
l’uscita della tenuta, si limitò ad infilare la mano al di sotto della giacca
nera, allacciare le dita affusolate intorno al manico della fidata Colt ed
estrarla. Il dito premette sul grilletto, senza bisogno di prendere la mira, ed
i primi due colpi sfiorarono la nuca di Lambo che già si era dato alla fuga.
“Hiiiii, ma Reeeboooorn, così farai male a qualcunooooo!” fece il
più giovane, con voce lamentosa e gli occhi lucidi di pianto.
“E’ proprio quello che voglio, imbecille!”
“Mi dispiace per lui…”
Dino diede le spalle ai due, portandosi alla ghiaia che conduceva
verso il cancello principale, rischiando di inciampare un paio di volte nei
propri piedi e ritrovandosi completamente sdraiato sull’asfalto alla terza, con
la faccia spalmata sulla strada.
“Ma porc… che dolore…” si rimise a sedere, premendosi il naso con
entrambe le mani e quando alzò gli occhi sulla strada, due lame di nera pece
imprigionarono il suo sguardo.
Una spazzolata di capelli tagliati corti simile al piumaggio
spettinato dei pulcini ed un semplice kimono di stoffa nera a coprire le forme
di un corpo snello ed al contempo virile.
“Hai finito di fare il clown, Stallone, o devo morderti fino alla
morte?”
Dino si sentì improvvisamente la gola secca e la lingua
impastata.
Kyouya Hibari sapeva essere sexy perfino quando lo minacciava.
Si alzò di colpo, riuscendo per puro miracolo ad evitare di
scivolare nuovamente e sorrise in direzione del Guardiano, circondandogli le
spalle con un solo braccio e soffocando piacevolmente nel profumo del suo
balsamo.
Kyouya ne osservò diffidente e seccato ogni movimento, per poi
mostrare una smorfia insofferente quando il braccio dell’uomo lo circondò.
“Grazie per avermi aspettato, Kyou.” Fece Dino, in un italiano
troppo veloce che Kyouya comprese appena.
Essere venuto con lui sino in Italia, costretto a mischiarsi con
quegli inutili erbivori che non capivano mai una parola della sua lingua e lo
guardavano come se fosse un qualche stupido idol giapponese indicandolo ad ogni
angolo della strada, era stato soltanto una perdita di tempo.
“Come premio questa notte ti farò usare la mia frusta.” chiocciò
orgoglioso lo Stallone.
Il Guardiano voltò completamente lo sguardo verso di lui,
riempiendolo di una strana luce perversa e soddisfatta, cosa che risultò
particolarmente inquietante.
“No… aspetta…” intuì l’altro “Volevo dire che ti avrei insegnato
ad usarla, non che l’avresti potuta usare contro di me. Kyou, Kyou, lo sai che
certi giochetti erotici non mi piacciono… se a subirli sono io.” sorrise a
stento, sperando di essere riuscito a convincere il più giovane, ma di tutta
risposta questi mostrò un ghigno e lo superò, iniziando ad indirizzare i propri
passi verso il Quartier Generale della Famiglia Cavallone.
Forse non era stato totalmente una perdita di tempo.
“Kyooooou, daaaai, facciamo che ci ripenso e non ti ho detto
nient… waaaa!”
Finì come al solito.
Kyouya sorrise mefistofelico e Dino inciampò nei propri piedi
rotolando per svariati metri, giù, lungo la discesa che dava direttamente sulla
spiaggia e poi sul mare.
.THE END.
-phrasebook-
Otooto = Little brother
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