VENTESIMO
CAPITOLO
20.
L'era mortale
circa un anno dopo...
Londra,
Gunnersbury, 10 settembre 2021
Tarda
mattina
"...
e ora passiamo alla politica. Questa mattina, il Presidente
dell'associazione Carrow's Legacy, Alecto Jones, ha partecipato ad
una conferenza stampa nella quale ha dichiarato che i lavori di
ristrutturazione per la rinascita del territorio e le leggi volte
all'introduzione di norme che tutelino i soggetti iperumani procedono
con regolarità ed ha anticipato che il completamento degli
interventi in Winchester dovrebbe raggiungere il termine per la fine
del mese di novembre. Ecco un estratto dell'intervista-"
Charles
afferrò il telecomando ed alzò il volume nell'esatto
momento in cui lo schermo del televisore gli propinò
l'immagine di un'Alecto fasciata da un sobrio abito azzurro, con i
capelli biondi severamente legati in uno chignon.
"Grazie
per essere qui presenti. Durante i mesi che sono trascorsi dalla fine
dell'attacco, la Carrow's Legacy è giunta a vantare un numero
di iscritti pari a millecinquecentosessanta. Gli effetti positivi
della nascita di questa associazione, è evidente, hanno avuto
ripercussioni sia sulla comunità dei soggetti iperumani - che
nella CL hanno potuto trovare uno sportello informativo, un aiuto ed
un porto di accoglienza -, sia sulla situazione precaria in cui
l'Inghilterra era crollata a causa delle devastazioni. Il numero
sempre maggiore di iperumani che si iscrivono al registro
dell'associazione ed a quello ministeriale, ci ha permesso di
organizzare squadre di volontari che, in tal senso, hanno potuto
affiancare già l'ottimo lavoro svolto dalle autorità
locali e nazionali, rafforzando gli interventi e velocizzando i
lavori grazie alla magia".
Charles
si mise seduto e lanciò il cuscino del divano accanto a sé,
continuando a guardare il televisore.
"Il
processo riguardante la creazione di leggi volte alla tutela dei
soggetti umani ed iperumani che ci possano far auspicare ad una
convivenza sociale sana ed educativa è, per ovvie ragioni,
lungo e complicato, ma le persone incaricate del progetto sono
competenti e motivate a raggiungere un risultato entro i primi mesi
del prossimo anno".
"A
tal proposito" intervenne un giornalista, "Cosa ci
può dire delle ultime statistiche mostranti un'opinione comune
contraria e razzista nei riguardi della classe iperumana?"
Alecto
sorrise. "Grazie
per la domanda e, mi perdoni per questo, credo la sfrutterò
anche per fare nuovamente un annuncio. Generalmente, per natura, le
persone tendono ad avere paura di ciò che non conoscono ed io
non posso biasimare né pretendere di cambiare un atteggiamento
che è insito nell'essere umano. Proprio per questo, invito
tutti coloro che hanno domande, dubbi e sì, anche paure, a
rivolgersi ad uno degli sportelli CL che tutt'ora stanno aprendo i
battenti in vari punti di Inghilterra. La sede centrale è a
Londra, come tutti ben sapete, ma ogni dislocamento sarà
altrettanto preparato ed attento ad ogni vostra perplessità.
Parlo con tutti voi che state ascoltando in questo momento, umani ed
iperumani: venite
da noi.
Cercateci, fateci delle domande,
osservateci.
Ma sopratutto: conosceteci.
La
parola iper,
senza
umano,
non
vuol dire niente. La paura non ha ragione di esistere. Convivenza
e collaborazione
sono le parole chiave che da oggi in poi spero potranno governare le
vite di tutti noi. La Carrow's Legacy è completamente aperta a
qualsiasi tipo di dialogo, purché costruttivo". Alecto
fece una pausa, trattenne il respiro e, per la prima volta, guardò
dritto in telecamera, come se quello le costasse tutto il coraggio di
cui era capace. "Non
siamo una minaccia. Non siamo contro di voi. Siamo con
voi".
Charles
estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, aprì la rubrica e
la fece scorrere sino a che non trovò quello che evidentemente
stava cercando. Pigiò sullo schermo ed avvicinò il
cellulare all'orecchio. Arrivò ad udire sino a quattro
squilli, prima di ricevere una risposta.
"Pronto?"
"Ehilà,
bionda" esclamò allora, mentre un sorriso gli tendeva le
labbra. "Carino il vestito azzurro. Certo che un sorriso avrebbe
migliorato l'immagine generale..."
"Lascia
perdere"
disse a quel punto Alecto, con un tono teso. "Si
è visto che stavo lì lì per vomitare? Queste
cose mi mettono sempre un'ansia tremenda".
"Ma
non mi dire" ribatté sarcasticamente lui. "Hai
guardato ovunque tranne che in telecamera. Cioè, alla fine
l'hai fatto, ma sembrava che qualcuno ti stesse puntando una pistola
addosso".
"Tanto
lo sento, che lo trovi divertente".
Charles
ridacchiò, senza neanche provare a dire il contrario.
"Mi
hai chiamata soltanto per sfottermi o per dirmi che il pranzo salta
perché hai bruciato tutto?"
"Solo
per punzecchiarti un po'. Perché, nel caso in cui io ti
conoscessi bene, saprei che te la staresti ancora facendo addosso,
nonostante l'intervista tu l'abbia fatta più di due ore fa.
Fortuna vuole che io non ti conosca affatto".
"Carini
i tuoi metodi per tranquillizzare la gente. Perché tradotto, è
questo che volevi dire".
"Bé,
con te hanno sempre funzionato. E per la cronaca, il pranzo non
salterà, perché nessuno ha bruciato niente. Se te lo
stai chiedendo, non ho cucinato io. Ti aspettiamo per l'una, vedi di
essere puntuale altrimenti inizio a mangiare senza di te".
"Merlin
non te lo permetterebbe mai!"
"È
in giardino a trafficare con non so che cosa, non se ne accorgerebbe
nemmeno".
"Allora
adesso attacco, lo chiamo e faccio la spia!"
Charles
guardò fisso nel vuoto.
"Sei
una piccola stronzetta manipolatrice".
Alecto
rise di gusto.
"È
vero. Ci vediamo dopo!"
"A
dopo e ricordati il vino. Abbiamo fatto la spesa, ma ce lo siamo
dimenticato".
"Sarà
fatto!"
Quando
Charles uscì in giardino e chiuse dietro di sé la porta
di casa, fu costretto a coprirsi gli occhi con una mano a causa del
sole abbagliante. Sbatté le palpebre più volte,
aspettando che i suoi occhi si abituassero a tutta quella quantità
di luce improvvisa; come al solito, oltre la cancellata che
delimitava la sua proprietà, allo sguardo gli si presentò
l'oramai familiare spettacolo di tutto il suo vicinato che,
affiancato da quelli definiti ufficialmente da tutti iperumani,
si prodigava a ristrutturare le ultime abitazioni. Di lavori da fare
ne erano rimasti pochi, la magia aveva davvero enormemente
velocizzato la ricrescita e Charles quasi non ricordava più
come erano le case che prima avevano preceduto le nuove costruzioni.
Ognuno ne aveva approfittato per apportare migliorie a proprio
piacimento e lo Stato aveva chiuso un occhio su questo, per aiutare
il popolo inglese ad affrontare meglio il trauma che aveva subito.
I
suoi occhi azzurri scivolarono due case più in là, dove
la famiglia Clapton si era chiusa in una bolla di ribellione ed aveva
rifiutato qualsiasi intervento che avesse potuto avere a che fare con
la magia: a causa dell'Estate di Fuoco - così i giornalisti si
riferivano al periodo degli attacchi -, i Clapton avevano perso la
loro bambina; Charles cercò di ricordare il viso di Faith
Clapton, che dall'alto dei suoi sette anni, all'inizio dell'anno
precedente, gli aveva lasciato nella cassetta della posta una lettera
d'amore piena di glitter e di cuoricini.
Stirò
le labbra in un sorriso amaro, sentendo il sapore della tristezza
sulla lingua come la stesse masticando da sempre. Si chiese quante
Famiglie
Clapton ci
fossero in giro per l'Inghilterra in quel momento: gente che aveva
perso tutto, che non avrebbe mai accettato la magia o che addirittura
avrebbe aizzato le folle contro gli iperumani per le più
disparate e disperate ragioni.
Era
certo però di non voler conoscere la risposta.
Scese
i tre gradini che si trovavano davanti la porta e percorse il
vialetto circumnavigante la casa, dirigendosi verso il retro;
nell'accorciare le distanze, iniziò a distinguere il rumore di
quelle che sembravano forbici. Charles infilò le mani nei
jeans chiari che indossava e svoltò l'angolo in tutta calma,
sostando con i piedi al limitare del prato; all'angolo più
estremo del giardino, vicino il muro di pietra, Merlin stava
trafficando con quelle che effettivamente erano cesoie; un sorriso
gli nacque spontaneamente sul volto e dimentico del motivo per il
quale era uscito di casa, si perse ad osservare con aria assorta i
capelli scuri di Merlin baciati dal sole di fine estate, spettinati
come sempre ed incapaci di nascondere le ridicole orecchie.
Dandogli
la schiena, il moro non si accorse di essere osservato e passò
il dorso della mano sulla fronte, asciugando il sudore. Anche la
maglietta azzurra che indossava era umida, tant'è che in certi
punti gli aderiva addosso quasi come una seconda pelle.
A
Charles sarebbe bastato chiudere gli occhi, per sapere cosa ci fosse
esattamente sotto quella maglietta. Aveva toccato e baciato ogni
centimetro di quel corpo così tante volte che avrebbe potuto
andare anche solo ad istinto, per sapere dove mettere la bocca.
Il
sapore della tristezza per Faith, sulla lingua, fu sostituito da
quello della pelle di Merlin.
Guardandolo
pensò a come, in certi momenti, il sentimento di possessione
era così sconvolgente da lasciarlo stordito. Aveva lottato
così tanto per averlo lì con lui, in quella casa, in
quel giardino, in quell'attimo d'estate assolata che faceva sembrare
i suoi capelli di una tonalità scura molto più calda...
Non
poteva farci niente. Sapeva che Merlin non era un oggetto, sapeva che
odiava essere considerato come tale, ma, davvero... non poteva farci
niente.
Per
Charles, Merlin era semplicemente suo.
Se
l'era conquistato sputando sudore e sangue, lacrime e dolore. Non
l'avrebbe lasciato andare da nessuna parte. Era suo, lo era sempre
stato, sin dai tempi di Camelot.
Attratto
da lui come una falena è attratta dalla luce, Charles calpestò
l'erba per raggiungerlo; quando fu a poco meno di cinque metri,
l'altro sentì i suoi passi e si voltò verso di lui. Le
sue pupille erano così piccole che parevano essere state
inghiottite da un mare di blu.
"Ehi"
esclamò Merlin con tranquillità, tornando poi a
trafficare con le cesoie. Charles inspirò con lentezza e
guardò il piccolo albero messo all'angolo.
"Sta
crescendo bene" commentò, osservando il perfetto lavoro
di potatura portato avanti dal moro, che annuì.
"Una
serie di fortunati eventi" disse quello, lasciando cadere le
forbici sull'erba e chinandosi a prendere del mastice. "A
partire da una discreta presenza di calcare nel terreno, cosa davvero
molto rara da queste parti. Gli ulivi non crescono bene lontano dalla
costa, perciò era fondamentale che in giardino ce ne fosse in
buona quantità".
Charles
lo osservò applicare il mastice in punti strategici del tronco
e dei rami.
"Questo
te l'hanno insegnato al vivaio?" domandò, incrociando le
braccia. Senza guardarlo, Merlin annuì di nuovo.
"Anche
se Gaius mi ha insegnato molte cose sulle piante, diciamo che alberi
come l'ulivo non rientrano tra le mie specialità".
Charles
abbozzò un sorriso, anche se l'altro non lo stava guardando.
“Ho sentito Alecto al telefono. Le ho ricordato di prendere il
vino”.
“Ah,
bravo, me l'ero già dimenticato. Comunque, per restare in
tema, sua madre ieri mi ha mandato di nuovo un messaggio. Prima o poi
Alecto dovrà decidersi a parlarle”.
Lui
si strinse nelle spalle. “Non lo so. Non so cosa avrei fatto
io, nei suoi panni. Ma finché resterà intenzionata a
non vederla né sentirla, è ovvio che sua madre
continuerà a cercare noi per tentare di avere contatti con la
figlia. Siamo le persone a lei più vicine”.
“Mh”
mugugnò il moro, “È molto cambiata in questi
mesi. È maturata. Io credo che ora riuscirebbe a gestire bene
i rapporti con la sua famiglia. Un po' meno, forse, quelli con i suoi
sensi di colpa... ma sono l'ultima persona sulla faccia della terra
che può fare una considerazione del genere”.
Charles
lo guardò attentamente, ma non disse niente. Era un qualcosa
su cui, lo sapeva, non avrebbero mai smesso di lavorare. Ma lui era
pronto a farlo.
Decise
comunque di cambiare discorso e schioccando la lingua sul palato,
annunciò: “Ho deciso che quando finirò gli studi
di economia, apriremo un vivaio”.
Merlin
si mise a ridere e gli lanciò uno sguardo divertito. “Quello
è il mio obiettivo, non il tuo” commentò con un
sorrisetto da schiaffi.
“Tu
devi guardare il quadro nell'insieme” rispose allora il biondo,
allargando le braccia. “Il mio destino è diventare un
imprenditore come mio padre. Se non lo facessi gli prenderebbe un
colpo secco, lo conosci. Ma deciderò io, in cosa investire i
miei soldi. Se ci tiene, mi occuperò delle sue attività
come extra, ma nel mio progetto ideale ci sarà anche un
vivaio. L'ho sognato stanotte. Quindi sbrigati a finire questo
benedetto stage”.
“Ah,
ecco perché ti agitavi tanto e borbottavi cose senza senso”
esclamò l'altro, con un tono da presa in giro. “Non lo
devi fare per me, comunque” aggiunse poi, quietamente. “Non
voglio che rinunci a fare ciò che vuoi davvero. Lo troverò
da solo, un modo per arrivare dove intendo arrivare. Ma qualsiasi
cosa sceglierai di fare tu, io ci sarò. Non vado da
nessuna parte. Lo sai...?” tentennò sulle ultime parole,
indeciso se renderle un'affermazione oppure una domanda.
Si
guardarono nello stesso momento, facendo scorrere gli occhi l'uno sul
viso dell'altro, imprimendo ogni singolo dettaglio.
Lo
so? Pensò Charles, la fronte contratta in un'emozione di
paura che non sarebbe mai andata via del tutto. Gli occhi
completamente blu di Merlin, però, gli dissero certo che lo
sai. E allora capì che era giunto il momento di
sdrammatizzare.
“Smettila
di sentirti al centro del mio universo, idiota egocentrico. Voglio
aprire un vivaio per avere una piantagione di ulivi tutta mia, non lo
faccio mica per te” e così il moro rise.
Trascorsero
cinque silenziosi minuti, durante i quali Merlin terminò di
tamponare le dispersioni di liquidi e poi, con un sacco ed una
paletta, iniziò a lasciar cadere della polvere di azomite
intorno al terriccio del tronco.
"Perché
non prendi quello e ne spruzzi un po' sulle foglie?" disse ad un
certo punto, indicando un prodotto che era poggiato a terra poco
distante, vicino il muro di pietra. Charles seguì la direzione
del suo dito e si mosse, raccogliendo quello che era ossicloruro di
rame.
"A
che cosa serve?" domandò, togliendo il tappo per iniziare
a spruzzarlo sulle foglie con cautela. Merlin ripose la paletta nel
sacco e si alzò, spazzolando le mani sui jeans.
"Gli
ulivi soffrono molto il freddo. Quello serve a rinforzarne le foglie.
Non siamo in un paese mediterraneo, sai. Dobbiamo aiutarlo".
Charles
emise uno sbuffo. "Ma va? Non me ne ero accorto".
Merlin
arricciò le labbra in un sorrisetto da figlio di buona donna e
poi si strinse nelle spalle, quasi scusandosi: era un perenne
ossimoro vivente e Charles non avrebbe mai finito di stupirsene.
"Non
potrà mai sostituire l'ulivo di tua madre(1), ma sai... volevo
solo..."
Lo
guardò per un brevissimo secondo, prima di riportare gli occhi
verso il basso. Infilò le mani nelle tasche posteriori dei
jeans e voltò la testa dall'altra parte, come cercando un
pretesto per cambiare argomento.
Charles
lo guardò con una certa intensità. Mise il tappo
all'ossicloruro di rame ed allungò una mano, toccando la
fronte sudata di Merlin; l'altro sobbalzò impercettibilmente,
preso in contro piede da quel contatto, ma lasciò che Charles
gli spostasse la frangia umida dalla fronte con una delicatezza che
lo fece sentire vulnerabile, sebbene non lo fosse per niente.
"Andrà
benissimo, Merlin" mormorò molto chiaramente, lasciando
scivolare la mano dietro la sua testa, finché le dita non si
ancorarono sulla pelle umida del collo, resa bollente dal sole.
"Questa era una cosa che le piaceva fare. Ed il fatto che la
faccia anche tu, è come se la riportasse un po' in vita ogni
volta. Quindi, credimi. Va davvero bene".
Merlin
si arrischiò ad alzare gli occhi per guardarlo in viso e
quando Charles incontrò il suo sguardo, si sporse in avanti
per baciarlo, come avesse atteso solo quel pretesto per farlo.
Premette ancora di più le dita sul suo collo per avvicinarlo a
sé e con una familiarità che faceva dolere il cuore,
poggiò la bocca sulla sua. Merlin tolse le mani dalle tasche e
le fece aderire ai lati del collo di Charles, muovendo con deliziosa
pigrizia le labbra contro quelle dell'altro. Ogni volta che accadeva,
ogni volta che si baciavano, era come se il tempo fosse un concetto
astratto: non erano più Merlin e Charles o Merlin ed Arthur,
erano semplicemente due ragazzi che si amavano e che avevano bisogno
soltanto di quello.
Charles
sapeva di latte e caffè e delle fette biscottate alla
marmellata che mangiava ogni mattina. La sua pelle sapeva di sole, i
suoi capelli di grano e la sua presenza di miraggio.
C'erano
notti in cui Merlin ancora si svegliava sudato fradicio ed in preda
al panico, con il terrore di aver sognato tutto, di essere ancora un
vecchio scorbutico abbandonato a se stesso; così si toccava la
faccia e scopriva che non c'era la barba. Si voltava alla sua destra
e scopriva che accanto a lui, così vicino!,
c'era un corpo caldo assopito tra le sue stesse lenzuola.
Eppure
non bastava, non bastava mai.
A
quel punto Merlin svegliava sempre Charles, lo toccava, lo baciava
sugli occhi e sulla bocca e poi se ne stava in silenzio ad
osservarlo, come temendo che se si fosse addormentato, non l'avrebbe
visto più.
Allora
Charles si girava e lo stringeva a sé, imponendogli la sua
presenza almeno fino a quando la tensione non abbandonava un po' le
spalle contratte di Merlin e poi si alzava per andare a preparargli
una di quelle tisane che gli piacevano tanto.
Era
così che il biondo aveva iniziato a guarirlo da quelle
tremendi nottate - nottate che, durante il passare del tempo, avevano
iniziato a verificarsi con sempre meno frequenza. In realtà
non era soltanto la paura di risvegliarsi nell'incubo in cui l'altra
metà di sé l'aveva tenuto prigioniero per settimane, ad
agitarlo: i sensi di colpa, quegli stessi sensi di colpa di cui aveva
parlato ad Arthur nella radura assolata del suo inconscio, si erano
fatti strada dentro di lui con la devastante forza di un uragano.
C'erano volte in cui Merlin si ritrovava a boccheggiare, schiacciato
dal peso di tutte le persone che erano morte solo perché lui
era stato un debole
vecchio incapace
di controllare la sua magia, incapace di impedire che prendesse il
sopravvento su di lui.
D'altra
parte, c'erano volte in cui Charles smetteva di respirare senza
neanche rendersene conto: il terrore che Merlin potesse decidere di
fare una sciocchezza quando lui non fosse stato presente, lo
accompagnava ad ogni ora del giorno e della notte. I primi tempi,
Charles non l'aveva perso di vista un secondo; addirittura, quando
Merlin aveva avuto bisogno del bagno, lui si era seduto a terra con
la schiena appoggiata contro la porta, attendendo che uscisse e
guardando l'orologio per tenere il conto del tempo che ci impiegava,
pronto a fare irruzione se fosse stato necessario.
Due
diversi tipi di paure avevano governato le loro vite per un po' fino
a quando, insieme, non avevano trovato una sorta di equilibrio. Per
Charles certe volte era ancora difficile lasciare Merlin da solo,
perché sapeva che non era guarito del tutto e probabilmente
non lo sarebbe stato mai. Eppure, ogni volta che l'altro si sentiva
schiacciare dal dolore e dai rimorsi, ogni volta che gli mancava il
respiro o si ritrovava a fissare la parete vuota un minuto di troppo,
non aveva mai esitato ad alzarsi per andare a cercare Charles, per
far sì che lui lo potesse salvare da se stesso.
Nella
radura, poco prima del loro primo incontro, aveva confessato ad
Arthur che non credeva sarebbe riuscito a convivere con il peso di
tutte le sue colpe, nel remoto caso in cui Emrys fosse stato
sconfitto. Ma a quel tempo, Merlin non aveva ancora fatto i conti con
la potenza sconcertante dei sentimenti di Charles e dei suoi.
Ce
la stava mettendo davvero tutta. Voleva imparare a convivere con
quello che aveva fatto, voleva prendersi le sue responsabilità,
voleva accettare la sofferenza che un po' lo mordeva ogni giorno, ma
ora voleva farlo accanto a Charles. Non aveva intenzione di cedere il
passo alla tristezza ed all'apatia; egoisticamente, anelava ancora a
vivere una vita con la persona che aveva atteso per più di
mille anni e non c'era niente,
niente che
gli avrebbe impedito di prendersi quello che forse non si meritava.
Charles
lo rendeva egoista,
ma a lui non importava. Una volta Alecto gli aveva detto che non si
trattava di egoismo, ma di amore.
Il
risultato, per lui, non cambiava. Fin quando Charles sarebbe stato lì
a sollevarlo ogniqualvolta la disperazione l'avesse spinto giù,
sarebbe andato tutto bene.
Durante
una delle sue prime crisi, accaduta nel bel mezzo della notte,
Charles l'aveva abbracciato e gli aveva sussurrato tra i capelli
sudati che lui era lì, che era reale
e che si sarebbe preso cura di lui. Merlin aveva pensato che non ci
sarebbe stato un modo o posto migliore per morire, se proprio doveva
succedere, e dopo aver incastrato la testa sotto il mento di Charles,
aveva sussurrato direttamente sulla pelle calda del suo collo: non
ti ho guardato il giorno in cui sei venuto da me, perché avevo
paura che poi non sarei riuscito a farlo. Se ti avessi guardato, se
ti avessi guardato... non sarei riuscito ad usare Excalibur, ma era
necessario che lo facessi. Capisci che effetto mi fai? Non essere
arrabbiato con me. Mi basta guardarti per non essere più
sicuro di niente.
Charles
aveva smesso di accarezzargli i capelli. Poi, nel buio, la sua bocca
era finita su quella dell'altro con rabbia, il ricordo di ciò
che aveva provato stampato a fuoco contro le palpebre chiuse: "Ti
uccidi davanti a me. E non mi guardi. Non mi guardi nemmeno una cazzo
di volta".
Il
calore cocente che tra di loro era aumentato come una bolla fatta di
tremiti, li aveva portati a fare l'amore per la prima volta.
Affondare in Merlin era stato come prendere un enorme ed appagante
respiro dopo un'apnea durata un millennio, come non avessero
aspettato altro dai tempi di Camelot.
Merlin
aveva realizzato, invece, che il prezzo pagato per le sue azioni non
gli era mai parso così giusto.
Cosa
avrebbe mai potuto farsene della magia, senza avere quello?
La bocca calda di Charles sul collo, la libertà di potergli
passare le dita lungo la spina dorsale, il suo bacino incastrato
perfettamente tra le cosce tese.
Chi
aveva bisogno della magia, quando aveva lui? La prospettiva di vivere
una vita normale e di invecchiare come una persona qualunque, l'aveva
riempito di gioia nello stesso istante in cui Charles l'aveva
riempito di sé.
Merlin
il Mortale. Suonava così maledettamente bene, come il gemito
lieve e sottile che gli aveva riempito le orecchie alla fine e
l'inizio di tutto, quando la bolla fatta di tremiti era esplosa in
mille gocce colorate. Merlin
il Mortale,
che sarebbe vissuto ed invecchiato insieme all'unica persona con la
quale sarebbe voluto morire.
Che
tale perfezione.
Quando
Charles abbandonò le sue labbra, Merlin tornò nel
giardino dietro casa loro, casa che Alecto stessa aveva aiutato a
ricostruire. Sbatté le palpebre un paio di volte e sorrise.
"I
tuoi tratti sono molto simili a quelli che avevi quando eri Arthur.
Eppure... c'è qualcosa di diverso. D'altronde, non so perché
mi aspettassi che ti avrei ritrovato perfettamente uguale a come eri
a Camelot". L'altro arcuò le sopracciglia con espressione
beffarda.
"C'è
di diverso che adesso sono meglio, perché mi sono
modernizzato. Evviva il duemilaventuno".
Merlin
roteò gli occhi verso il cielo e scosse la testa con
rassegnazione. "Questo invece non è cambiato per niente"
commentò, iniziando a raccogliere tutti i sacchi che aveva
utilizzato per riporli nell'armadio da giardino. Charles corrugò
la fronte.
"Cosa
non è cambiato?"
"Te
che fai l'asino".
L'asino
in questione lo guardò riporre i sacchi con una faccia
oltraggiata e dato che Merlin gli dava le spalle, si perse il
sorrisetto sghembo che piegava le sue labbra.
"Come
puoi dirmi una cosa del genere? Il fatto che abbiamo deciso di non
installare una gogna in giardino per non spaventare i vicini, non
dovrebbe farti sentire sicuro abbastanza da ferire i miei
sentimenti".
Merlin
rise. "Sono sicuro che troverai un altro modo per vendicarti. Ma
sappi che anche io so essere molto creativo".
Charles
fece una smorfia. "Sì, lo so. Se iniziassi questa
battaglia non la finiremmo più per il resto dei nostri
giorni".
L'altro
si voltò per guardarlo. "Sento puzza di qualcuno che ha
paura di perdere la guerra".
"Stai
attento a quello che dici, Merlin.
Ho una miriade di videogiochi terminati alle spalle, che hanno
contribuito a rendere molto creativo me.
Potrei sorprenderti".
"Mmh"
mugugnò di rimando il moro, "Questa cosa mi intriga"
commentò, facendo scattare le cesoie, prima di metterle
nell'armadio di alluminio insieme al resto.
Charles
arricciò le labbra, tentando di non cedere alla voglia di
sorridere. "A proposito di roba intrigante, c'è una cosa
che volevo chiederti da un pezzo, ma poi finisco sempre con il
dimenticarmene".
"Sarebbe?"
chiese Merlin, chiudendo le ante con una chiave.
"Da
come mi era stata raccontata la situazione da Hester, avevo capito
che soltanto io avrei potuto usare Excalibur su di te..." il suo
tono si fece via via più cauto; non era un argomento tabù,
tutti e due avevano deciso di comune accordo che parlarne spesso e
liberamente li avrebbe aiutati entrambi a superare il trauma più
velocemente, eppure non potevano fare a meno di approcciarsi alla
questione con una sorta di cautela. "...Invece sei stato tu a
farlo al posto mio. Com'è possibile?"
Merlin
sospirò, mise la chiave in tasca e si girò nuovamente
verso di lui. Socchiuse gli occhi a causa del sole.
"Devi
sapere che quando degli esseri magici potenti ti parlano, fanno molta
attenzione alle parole che decidono di utilizzare".
Charles
annuì, ricordando il modo in cui le Disir avevano insistito a
sottolineare Merlin Il
Mago,
intendendo che la sua parte magica sarebbe dovuta morire per lasciar
vivere semplicemente il suo lato mortale.
Certo
che se avessero parlato chiaro sin dall'inizio...
pensò, con un lampo di fastidio che gli fece stringere le
labbra insieme.
"Quindi,
le occasioni in cui ad entrambi è stato detto e ripetuto che
siamo due facce della stessa medaglia... non sono casuali. Tra me e
te... c'è una sorta di connessione che neppure io sono mai
riuscito a spiegare. In verità, quando ho deciso di fare
quello che ho fatto... non ero sicuro che avrebbe funzionato. Ho
solo deciso di seguire il mio istinto ed anche un po' di logica, a
dire la verità. Se siamo due facce della stessa medaglia,
avrebbe dovuto voler dire che quello che puoi fare tu, posso farlo
anche io. E così in effetti è stato".
Aveva
senso, dovette ammettere Charles controvoglia. Non avrebbe comunque
potuto fare niente per fermarlo. Si ritrovò così ad
annuire con rassegnazione e sospirò pesantemente, prima di
guardare l'orologio da polso. "È tardi" constatò
stupito; "Vado ad infornare il pollo e comincio ad
apparecchiare. Non provare ad entrare in casa con le scarpe piene di
terra o ti ammazzo".
Merlin
arcuò le sopracciglia e piantò le mani sui fianchi. "Sì
mamma" e dopo qualche attimo di silenzio, aggiunse: "Non
posso credere che tu sappia in effetti cucinare. È- è
sconvolgente, sul serio. Non mi abituerò mai a questo".
"Tsk...
e mi riesce anche maledettamente bene!" disse Charles, che
gonfiò il petto come un pavone, ammiccò un paio di
volte e fece per dirigersi verso la porta di casa. Dopo qualche
passo, la voce di Merlin lo fermò al limitare del prato.
"Una
volta, prima che tu arrivassi da me, mi hai detto che non ci sarebbe
stato più niente che avrei dovuto sopportare o combattere da
solo. Bé, lo sai che per te vale lo stesso, vero?"
abbassò lo sguardo quando Charles si voltò verso di
lui. "Voglio che tu abbia bisogno di me come io ne ho di te"
continuò con un tono più sommesso, ma senza l'ombra di
incertezza - solo un velo di imbarazzo. Dopo qualche attimo, quando
capì che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, si arrischiò
a lanciare un'occhiatina verso di lui: vide che l'altro aveva
allungato la mano in sua direzione e stava solo aspettando che lui
l'afferrasse.
"Se
vuoi" iniziò Charles, il tono serio come lo sguardo, in
netto contrasto con il significato apparente delle sue parole, "Puoi
aiutarmi a mettere piatti e bicchieri".
Merlin,
afferrando la sua mano dopo i primi istanti di smarrimento, rispose
piano al suo sorriso.
Ed
entrò in casa con le scarpe sporche di terra.
NOTE
DELL'AUTORE: ecco qua. Il parto è avvenuto e adesso
possiamo andarcene tutti in pace. Che dire? Ecco un'altra avventura
che giunge alla sua conclusione. Non so quali parole usare per
ringraziare tutti quelli che l'hanno commentata, che l'hanno aggiunta
nelle varie categorie o che l'hanno semplicemente letta e basta.
Tutti avete avuto un ruolo, dal primo all'ultimo e se ora siamo qui,
all'ultimo capitolo, è sopratutto grazie a voi. Questa storia
esce un po' fuori dai classici schemi, ne sono consapevole, perciò
grazie per la vostra fiducia e la vostra pazienza. Spero sinceramente
di non aver deluso nessuno. Grazie anche a Mimiwtich, che mi ha
aiutato moltissimo con il betaggio di parecchi capitoli: sei stata
very precious! Non so quando e se ci rivedremo su questi schermi,
quindi per il momento vi lascio con un sorriso e con l'unica promessa
che, prima o poi, un'altra storia verrà alla luce. Stay
strong!
(1)Nel
primo capitolo, Charles vede bruciare l'ultimo ricordo che ha di sua
madre e cioè l'ulivo che lei stessa aveva piantato in
giardino. L'evento l'ha sconvolto più di quanto sarebbe
disposto ad ammettere.
Mega
baci bavosi,
Asfo
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