Yanâd
01 # ênâdu Fíli
Thorin
Scudodiquercia era un guerriero consumato.
Aveva
assistito alla venuta del drago Smaug ed al saccheggio di Moria
per mano degli Orchi.
Eppure,
mentre passeggiava avanti e indietro, gli sembrava di non
essersi mai sentito tanto nervoso in vita sua.
Lanciò
un’occhiata al telo che divideva in due la
tenda e lo separava dal giaciglio di sua sorella.
In
quel momento, Dís stava partorendo, assistita da
Óin e da una vecchia levatrice. Anche suo marito si trovava
con lei – Thorin riusciva a sentire i suoi mormorii
d’incoraggiamento tra le istruzioni del guaritore e i mugolii
affaticati di Dís.
Cercando
di controllare la propria ansia, il primogenito di
Thráin si sedette sullo sgabello sgangherato che, insieme ad
una lampada ad olio, costituiva tutto il mobilio presente in quella
parte della tenda.
Aveva
fatto male i conti. Aveva pensato che lui e la sua famiglia e il
suo popolo sarebbero riusciti a raggiungere il villaggio successivo in
tempo per la nascita del bambino. Che Dís avrebbe potuto
partorire nella stanza di una locanda – non il massimo, ma
certamente meglio di una tenda piena di spifferi, senza contare che al
villaggio sarebbero riusciti a procurarsi più medicinali e
strumenti per Óin.
Ma
ahimè, alcuni imprevisti avevano rallentato il loro
pellegrinaggio, e questo era il risultato.
Se
qualcosa fosse andato storto… Thorin si impose di trarre
un respiro profondo. Dís era forte. Sarebbe andato tutto
bene.
Era
difficile crederci, però – nel vagabondaggio
da Erebor e Moria era già morta di parto più di
una madre.
Dall’altra
parte del telo giunse un improvviso silenzio che
indusse Thorin a serrare i pugni sino a conficcarsi le unghie nella
carne e ad assumere una posa piena di tensione. Era successo qualcosa a
Dís? Possibile che… che il bambino fosse nato
morto?
La
sua agonia durò solo un momento: l’istante
dopo, un pianto deciso e veemente riempì l’aria.
Il
sollievo fu tanto potente che per poco Thorin non
s’accasciò in avanti. Riuscì a
controllarsi, invece, e fissò il telone che lo separava da
sua sorella.
Ora
che il pianto stava calando di volume, poteva sentire i sussurri di
Dís.
Nello
stesso momento in cui il neonato si chetò del tutto,
il telo divisorio ondeggiò, ed il viso rugoso ed il naso
appuntito di Óin fecero capolino per annunciare:
«Stanno bene tutti e due. È un maschio».
Thorin
lasciò andare un respiro che non si era reso conto di
star trattenendo, e rivolse un cenno del capo al vecchio medico.
«Ti ringrazio».
L’altro
si limitò a ciabattare verso di
lui… E in quel momento altri due Nani entrarono nella tenda:
Balin, con la sua barba candida e i suoi occhi acuti, e Dwalin, che con
la sua statura imponente torreggiava sul fratello più
anziano.
«Allora?»
s’informò il primo,
con un’occhiata verso Óin. «È
fatta?»
Thorin
annuì, e Dwalin avanzò di un passo.
«Dís?» domandò.
«Sta
bene» rispose il primogenito di
Thráin. «Stanno bene tutti e due. È un
maschio».
Balin
sorrise, sfregandosi le mani, e anche Dwalin parve apprezzare
quelle notizie.
Forse,
in un’altra occasione, se ne sarebbero andati una
volta appurate le condizioni di salute di madre e figlio, per poi
tornare a visitare Dís quando avesse avuto una buona notte
di riposo.
Ma
siccome Thorin non aveva figli propri e il neonato era il
primogenito di sua sorella, c’era ancora una cosa da fare.
Tutti
gli occhi si puntarono sul telo quando il marito di
Dís ne separò goffamente i due lembi e lo
attraversò, reggendo un cesto in vimini con la cura
più religiosa.
Thorin
si protese appena in avanti, dimentico degli altri presenti, e
suo cognato si diresse verso di lui. Era un Nano robusto, anche se non
imponente quanto Dwalin, dalla barba e dai capelli crespi e color del
grano. Aveva un’espressione solenne, ma non riusciva a
smettere di sorridere con l’estasiato compiacimento dei
neo-genitori.
Giunto
di fronte a Thorin, depositò con attenzione il cesto
ai suoi piedi, poi si tirò indietro ed attese.
Al
contrario, Thorin si sporse in avanti, e finalmente poté
posare gli occhi sul figlio di sua sorella.
Il
piccolo era avvolto in un fagotto di coperte, e sonnecchiava con un
pugnetto chiuso accanto alle labbra. Il suo visetto tondo era grinzoso
e arrossato, e sulla sua testolina si vedevano già i primi
ciuffi di capelli. Persino alla luce fioca della lampada ad olio,
Thorin notò che erano biondi come quelli del padre.
Traendo
un mezzo sospiro, si abbassò e, con un po’
d’impaccio, raccolse il bambino e lo sollevò.
Il
sorriso del marito di Dís si fece più ampio.
Quel gesto, come tutti i presenti sapevano bene, era simbolico
– alzando il piccolo tra le proprie braccia, Thorin
l’aveva riconosciuto come il proprio erede.
Era
più simbolico che ufficiale, a dirla tutta…
La presentazione vera e propria dell’erede al popolo sarebbe
avvenuta solo al compimento della maggiore età.
«Qual
è il suo nome?» chiese Thorin,
senza staccare lo sguardo dal bambino.
«Fíli»
gli rispose suo cognato,
già pieno d’orgoglio per quello scriccioletto.
«Abbiamo deciso di chiamarlo Fíli».
Thorin
annuì quasi impercettibilmente.
«Fíli» ripeté, a mezza voce.
Come
rispondendo al richiamo – ma certamente si
trattò di una coincidenza, siccome era impossibile che
già conoscesse il proprio nome – il bambino
aprì gli occhi e sembrò guardare suo zio dritto
in faccia.
Thorin
ricambiò lo sguardo, chiedendosi se quegli occhi
– attualmente di un blu liquido – sarebbero
diventati azzurri come i suoi e quelli di Dís. O avrebbe
ereditato dal padre anche il colore scuro delle iridi?
Il
bimbo si mosse appena, dischiudendo la boccuccia, ma non pianse.
Continuava
a fissare Thorin, che da parte sua provò una
sensazione indescrivibile. Nonostante tutte le fatiche e gli affanni,
la stirpe di Durin aveva dato un nuovo germoglio. Dopo tanta morte e
violenza, ecco che tornava a sbocciare la vita.
Al
proprio fianco, sentì Balin recitare una benedizione in
Khuzdul con un tono pieno di commozione.
In
quel momento, la voce di Dís arrivò
dall’altra parte del telo. «Thorin? Ci sei
ancora?»
Thorin
guardò il cognato con la mezza idea di restituirgli
il lattante, ma a quel punto sua sorella lo chiamò di nuovo:
«Thorin, vieni qua».
Il
marito di lei si limitò a sorridere. «Mi pare
che siate richiesto» commentò, quasi allegramente.
Thorin
si alzò con lentezza, attento a non dare scossoni al
piccolo Fíli, che nel frattempo aveva placidamente rivolto
la propria attenzione alle proprie dita.
Accompagnato
dal marito di Dís, Thorin si recò
attraverso il telo – siccome aveva le mani occupate, suo
cognato lo scostò per lui per permettergli di passare.
Dís
era stesa sul suo giaciglio, la schiena supportata da un
bel paio di cuscini gonfi – in realtà sacchi di
iuta imbottiti di coperte. Sembrava spossata, ma era comunque radiosa.
I suoi capelli corvini erano sciolti sulle sue spalle, mentre la sua
barba era stata divisa in tre lucide treccioline nere.
«Ma
guardatevi» commentò lei, con
affetto, facendo segno a Thorin di avvicinarsi.
Lui
obbedì, sempre prestando un’attenzione estrema
al fagottino che aveva tra le braccia. A dirla tutta, si sarebbe
sentito molto più a suo agio se avesse potuto restituire il
piccolo Fíli ai suoi genitori.
«Non
vuoi sapere se l’ho riconosciuto o meno come
mio erede?» chiese, giusto per dire qualcosa.
Suo
cognato si era diretto nell’angolo, e aveva preso a
parlare a bassa voce con la levatrice, una vecchia tarchiata con un
viso grinzoso e i capelli e la barba ingrigiti.
Dís
mosse la testa con impazienza. «Mi pare che la
risposta sia scontata».
Thorin
inclinò appena la testa di lato, come a concederle
che aveva ragione. Era giunto ormai accanto al letto, e Dís
gli fece segno di sedersi. Thorin si accomodò con cautela
sul bordo del giaciglio, mentre sua sorella si sporgeva a sorridere
amorevolmente al piccolo. Fíli, da parte sua,
sembrò salutarla con un gorgoglio.
«Inoltre»
aggiunse lei, «per me non
sarebbe cambiato niente. Sarebbe stato solo peggio per te».
«Peggio
per me?» ripeté Thorin,
guardando la testa scura di Dís.
Quest’ultima
annuì senza sollevare lo sguardo.
«Ti renderà fiero» sussurrò,
sfiorando uno di quei minuscoli pugnetti. La manina si aprì,
quindi si richiuse sul suo dito.
Anche
Thorin abbassò gli occhi su suo nipote.
«Come puoi saperlo?» chiese. «Non ha
ancora neanche un giorno».
Dís
gli prese Fíli dalle mani con attenzione,
spostandolo sul proprio grembo. Per un assurdo momento, Thorin
sentì quasi la mancanza del peso caldo del bambino sopra le
ginocchia.
«Lo
so e basta» affermò tranquillamente
sua sorella. «Dimentichi che io lo conosco da mesi».
A
quella dichiarazione, Thorin non poté fare a meno di
lasciarsi sfuggire un breve sorriso.
Dís
lasciò ricadere indietro la propria testa,
contro i cuscini. «Abbi un po’ di fede»
sospirò.
E
Thorin, per una volta, non riuscì a trovare nulla da
obiettare. In silenzio, si chinò in avanti per sfiorare con
le labbra la fronte liscia del bambino, pregando che Mahal lo
proteggesse sempre.
Note:
Yanâd significa nascite, mentre ênâdu
Fíli dovrebbe significare nascita di
Fíli (dico
“dovrebbe” perché non è che
io sia ferratissima in Khuzdul). L’originalità dei
titoli si spreca, lo so.
Inoltre, controllando le Appendici, ho notato che i Nani di Erebor
raggiungono la loro nuova patria prima della nascita di
Fíli… ma visto che Peter Jackson ha un po’ rimaneggiato la linea temporale, ho pensato fosse verosimile che nel movie!verse Fíli fosse
nato prima dell’arrivo alle Montagne Azzurre :D
Salvo imprevisti, dovrei pubblicare la prossima e ultima one-shot
lunedì 19. Grazie per aver letto!
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