Capitolo
nove: And the masquerade will come calling out at the mess you made
“Retasu,
piangi, grida, fa' qualunque cosa, ma ho bisogno che tu reagisca.”
Minto
staccò gli
occhi un secondo dalla strada su cui stava correndo spedita, per
osservare l'amica seduta al suo fianco.
Retasu,
con la testa
ancora appoggiata al finestrino, annuì: “Sto solo cercando di...
capire.”
“Non
c'è tempo per capire adesso,” la mora scosse la testa, forse
tentando di convincere anche se stessa. “Dimmi che ci sono delle
cabine telefoniche qui attorno.”
L'altra
sbatté le
palpebre: “Ehm... perché?”
“Siamo
senza cellulari,” spiegò Minto, accelerando per bruciare un
semaforo che stava per diventare rosso “E per quanto Fukazawa possa
dire che non ci sono sistemi di monitoraggio, preferirei non portare
quest'auto direttamente alla base. Perciò, dobbiamo chiamare
Shirogane e farci venire a prendere.”
Retasu
annuì
ancora, provando a concentrarsi sulla strada che scorreva veloce ai
suoi lati: ormai stavano raggiungendo il centro della città, che
vibrava trapelante con l'inizio della vita quotidiana. Il traffico si
stava facendo più intenso, rallentando la loro corsa verso
l'Agenzia.
Si
chiese come
facesse Minto a sembrare così calma, così ripresasi da tutto ciò
che avevano passato nelle ultime ventiquattro ore. La osservò per un
istante; la pelle tesa e slavata, le pesanti ombre sotto gli occhi,
le nocche bianche attorno al volante. Avrebbe davvero voluto sapere
cosa le stava passando per la testa, perché nella sua si stava
scatenando un terremoto.
Le
ruote della
macchina fischiavano contro l'asfalto, ma la mora non sembrava avere
intenzione di andare più piano – voleva mettere più distanza
possibile tra loro e ciò che si erano lasciate, sperando, alle
spalle. Borbottando contro gli altri automobilisti che secondo lei
non si spicciavano abbastanza, Minto accostò sul marciapiede, vicino
ad una cabina dall'aria vecchia e trasandata che non rassicurava
riguardo il suo funzionamento.
“Non
abbiamo monete,” esclamò sottovoce Retasu.
L'altra
abbozzò ad
un sorriso: “Taruto mi ha insegnato un trucco.”
“Alla
James Bond, come direbbe Purin?”
“Precisamente.”
§§
Aveva
guardato
l'orologio talmente tanto che gli angoli degli occhi gli facevano
male a forza di spostarli ritmicamente verso la sua sinistra; ma
d'altra parte, l'orologio che portava al polso era stato malamente
lasciato su un tavolo, dismesso qualche ora prima per il fastidio che
gli dava.
Era
insolito trovare
Shirogane trasandato, come era improbabile vedere Zakuro con i
capelli fuori posto o Purin ferma in un'unica posizione. La gravità
della situazione, per occhi allenati quanto i loro, era così chiara.
“Signore,
le abbiamo provate tutte,” tentò di placarlo un giovane tecnico,
le cuffie che gli penzolavano al collo “Non so per quanto ancora il
direttore ci lascerà carta bianca.”
“Il
direttore non è qui a darti ordini, ci sono io.”
ringhiò l'americano “Se il segnale del telefono è passato per
quell'incrocio, e si è agganciato a quella centralina, vuol dire che
possiamo restringere il campo.”
“Non
è abbastanza piccolo,” replicò l'altro “Stiamo parlando di
almeno cinque chilometri, in tre direzioni diverse.”
Ryo
fece un passo
avanti: “Ascoltami bene-”
Lo
squillo del
telefono lo interruppe; tutti si girarono verso l'apparecchio, come
se li stesse disturbando, come se stesse portando chissà quale tipo
di brutta notizia. I telefoni del laboratorio, dopotutto, erano
collegati direttamente agli uffici principali.
Shirogane
sospirò,
esitando. Sentiva gli sguardi di tutte le ragazze che si spostavano
su di lui. Allungò la mano tentennante, avvolse le dita attorno alla
cornetta nera, poi la tirò su con uno scatto.
“Pronto?”
«Aizawa
Minto, agente 627952, chiamo da una linea non protetta.»
Quasi
gli scappò il
telefono di mano mentre lanciava un'occhiata al display e notava
effettivamente un numero esterno: “Procedura di identificazione?”
«Certo,
Shirogane, scioriniamo i miei dati così al vento, tanto ormai...!»
Lui
sorrise, facendo
cenno all'agente accanto a lui di localizzare il punto di provenienza
della telefonata. “Siete da sole?”
A
quella domanda, le
teste delle altre tre componenti della squadra scattarono all'insù,
allarmate ed improvvisamente speranzose. Allungarono le orecchie,
cercando di catturare la voce all'altro capo della cornetta, o
un'occhiata indicativa di Ryo, il quale però era piegato in avanti
per controllare lo schermo di un computer.
“D'accordo.
Non vi muovete. Mando una squadra.”
Non
appena
riagganciò, Ichigo balzò in avanti: “Shirogane-kun?”
Lui
esalò
profondamente, ancora incredulo, appoggiando le mani sui fianchi.
“Erano loro. E no, voi state qui,” le ammonì, non appena vide le
tre muoversi. “Ancora non sappiamo come sia la situazione.”
“Stanno
bene, vero?” domandò tremante Purin.
“Lo
sapremo appena la squadra le andrà a prendere,” ripeté spiccio
lui, concentrandosi solo sugli ordini da impartire per telefono.
§§
Pai
osservò in
silenzio Sergei armeggiare con un panno intriso di acqua ossigenata
attorno alla spalla di Kisshu, che aveva passato il suo tempo a
stringere i denti sibilando e borbottando parolacce mentre il
proiettile veniva estratto, prima di avvolgergli una spessa garza
intorno al tessuto danneggiato.
“спасибо”
(*) Kisshu si reclinò all'indietro sulla sedia e si asciugò il
sudore sulla fronte con il braccio. Era imbottito di antidolorifici,
ma non era stata comunque un'operazione piacevole – ma d'altronde,
non era esattamente il caso di andare all'ospedale, e loro erano
abituati così da sempre.
“Ci
metterà un po' a guarire,” sentenziò il suo compagno, rigirando
il coltello tra le dita e facendo un cenno a Sergei perché uscisse.
Lui
annuì: “Mi ritengo fortunato che sia la sinistra, che l'osso sia
integro, e la ferita pulita.”
Pai
annuì, replicando la posa dell'altro. “Com'è successo?”
Kisshu
alzò l'unica spalla che ancora poteva avvertire chiaramente: “Le
stavamo portando fuori città, erano legate nel sedile posteriore, in
silenzio per la maggior parte del tempo. E la mora, Minto... stava
piangendo sottovoce, e pensavo che fosse perché avesse paura. In
realtà, penso che fosse perché era nel mentre di rompersi una mano
così da poterla tirare fuori dalle manette. Ora
lo so.”
Fece
una smorfia mentre si riaggiustava sulla sedia.
“Le
abbiamo fatte scendere, sembrava tutto a posto. Le abbiamo fatte
inginocchiare come al solito, sai. Io avevo lei davanti. Quando ho
cercato di spararle, la mia pistola ha fatto cilecca. Te l'ho detto
che dobbiamo rivedere quel fornitore.”
“Quando
l'avevi pulita l'ultima volta.”
“Tre
giorni fa. Non è possibile che continui a capitare.”
Pai
gli fece un cenno nervoso con la mano, così lui proseguì. “Allora
ho chiesto a Pavel di passarmi la sua, intanto lui teneva una mano
sopra la testa di quell'altra donna. E Minto... te l'ha detto che
faceva la ballerina, no? È bastata una frazione di secondo, si è
alzata con una velocità spaventosa e mi ha tirato un calcio con
quelle gambe che si ritrova, dritto nello stomaco. Sono caduto
all'indietro, e lei mi ha preso la pistola. Lì ho capito che aveva
le mani libere. Per prima cosa, ha sparato a Pavel, così da liberare
la sua amica, che si è messa a correre come una pazza verso l'auto.
Ti giuro che è successo tutto nel giro di trenta secondi. Io mi sono
spostato, ho preso la pistola di Pavel, ma lei mi aveva già preso
alla spalla. Mi sono nascosto dietro il cassonetto e ho provato a
rispondere al fuoco, non pensare che abbia smesso di puntarmi, la
stronza. Ma se n'erano già andate con l'auto.”
Si
alzò, azzardandosi ad allungare appena la schiena. “Hanno ricevuto
un addestramento speciale, te lo dico io.”
Pai
annuì. “Sapevano chi eravamo, ed erano preparate. Questo è un
guaio che non rientrava nei piani. Non pensavo potessero essere così
furbe.”
“Dobbiamo
cambiare i tempi. È rischioso rimanere qui troppo a lungo, non
sappiamo tra quanto potranno ripiombarci addosso.”
“Intanto,
adesso ne siamo al corrente anche noi, hanno perso lo svantaggio,”
Hayashi si alzò “Cerchiamo di non fare mosse avventate. Non è la
prima volta che ci sconvolgono i piani.”
“Be',
per me è la prima volta che delle donne
mi mandano dietro ad una pattumiera.”
“Magari
dovresti smetterla di infilarti nelle mutandine di ogni essere di
sesso femminile che ti sbatte le ciglia.”
“Come
se tu non avessi pensato di infilarti nelle mutandine di quella
Retasu.”
Kisshu
ghignò e poi sbadigliò, scuotendo la testa. “Ora perdonami,
amico, ma questi antidolorifici mi stanno uccidendo. Io vado a farmi
un pisolino. Ne ho già avuto abbastanza di oggi.”
L'altro
annuì in silenzio, osservandolo uscire a passo lento dalla larga
sala che sembrava aver ospitato la maggior parte delle loro giornate
nelle ultime quarantotto ore. Notò la giacca di Kisshu appesa allo
schienale della sedia, e fece per richiamarlo indietro, ma cambiò
idea, e lasciò perdere.
§§
Tutta
quella situazione stava procedendo per l'iperbole dell'assurdità, si
ritrovò a pensare Retasu per l'ennesima volta.
Erano
passati due giorni da quando la squadra di intervento era andata a
recuperarle; due giorni passati tra visite mediche, che comprendevano
anche una lunga chiacchierata con la psicologa – e ancora non aveva
ben capito come fosse riuscita a sfuggire ad una terapia di
tranquillanti, visti i battiti del suo cuore – e quello che era
apparso più come un interrogatorio che una chiacchierata informale
con Akasaka-san.
Ma
Shirogane-san e Zakuro-san gliel'avevano spiegato; dopo accadimenti
del genere, bisognava accertarsi che gli agenti fossero ancora dalla
parte giusta. Che fossero ancora utili,
aveva borbottato in tono macabro Minto. E, viste le decisamente
inusuali circostanze della loro fuga, circostanze che le davano
l'emicrania al solo essere nominate, le precauzioni erano state
estremamente minuziose.
Così
minuziose che, una volta stabilito che dopo qualche giorno di
assestamento fisico lei e Minto sarebbero potute ritornare in
servizio, Shirogane aveva decretato che sarebbe stato meglio tenerle
insieme in un luogo sicuro.
Loro
non volevano certo stare da sole, in un momento del genere. Non
avevano certo pensato, però, che il luogo sicuro sarebbe stata la
casa del loro capo.
«Solo
per stanotte,»
le aveva rassicurate lui con un sorriso «Almeno
finché non mettiamo in sicurezza i vostri appartamenti e
controlliamo che la casa rifugio sia pronta. Non ci vorrà molto. E
poi, voglio tenervi sott'occhio per davvero, stavolta.»
Era
per questo motivo che adesso Retasu si trovava avvolta dalle
profumate lenzuola di cotone grigio nel letto matrimoniale
dell'americano, da condividere con Minto, che però già dormiva
profondamente. Lei invidiava la capacità di ripresa dell'amica, o
almeno la capacità di far sembrare che tutto andasse bene. Retasu
ancora sobbalzava ad ogni sussurro, e trovarsi in quella stanza un
po' la metteva a disagio.
Avevano
cenato in quell'appartamento tutti insieme, in modo informale –
talmente informale che Shirogane e Purin erano in tuta. Era stata un
cena veloce, non ad un'ora tarda, perché tutti avevano voglia di
rilassarsi e tornarsene a casa, dopo quei due giorni da vero incubo.
Minto
e Retasu erano state spedite a letto, vietato aiutare con i piatti o
il rassettare. Ma lei non aveva per niente sonno, non ancora. Un po'
aveva paura a chiudere gli occhi, anche se il respiro tranquillo
della mora accanto a lei l'aiutava a rilassarsi.
Inalò
profondamente, girandosi su un fianco. Poteva sentire il profumo di
Shirogane-kun aleggiare per la stanza, così come era intriso in ogni
angolo della casa. O forse lo sentiva solo lei.
E
Ichigo. Era certa che anche Ichigo lo sentisse. Magari invece si era
assuefatta? Per lei era normale sentirlo tutti i giorni? Chissà
quante volte anche Ichigo aveva dormito in quel letto, proprio come
lei.
Non
proprio come lei.
Esalò
lentamente, cercando di non far rumore, ascoltando i rumori ovattati
che provenivano dall'altra parte della porta chiusa. Non le piaceva
pensare determinate cose sulla sua amica, ma a volte non poteva farne
a meno. Si chiedeva, ogni tanto, se Ichigo si rendesse conto di
quanto fosse fortunata, ad avere tutto ciò che aveva, e
probabilmente tutto ciò che voleva.
Purin,
a volte, sottovoce le ricordava che la vita della rossa non doveva
essere molto più semplice della loro, anzi forse era il contrario;
ma il verme della gelosia colpiva anche lei, seppur raramente. In
particolare quando vedeva il modo in cui Shirogane osservava Ichigo,
nonostante tutto quello che sapevano star succedendo tra di loro.
Sospirò
di nuovo, si accoccolò arrotolata nel letto, e provò ad
addormentarsi, sperando in una giornata migliore.
Dall'altro
lato del muro, nel frattempo, Ryo si fece passare gli ultimi
bicchieri sporchi da Zakuro, passandoli sotto il getto di acqua
tiepida del lavandino della cucina.
“Che
giornate,” commentò lei, appoggiando i gomiti al bancone di marmo
mentre si sedeva su uno sgabello, per poi accasciarsi su di essi “Ho
bisogno di una vacanza.”
“Non
ci pensare minimamente. Ho come l'impressione che diventerà tutto
ancora più complicato. Ci sono troppe cose sotto che non riesco a
capire.”
“Tipo
la magica avventura di Minto e Retasu?”
“Appunto.
C'è un passaggio che mi sfugge.”
“Un'autostrada,
più che un passaggio. Tutta la situazione è così...”
“Paradossale?
Incredibile?” Ryo si scostò i capelli dalla fronte “Avevano più
senso le trame di James Bond.”
Zakuro
rise: “Purin ci ha contagiati tutti con James Bond.”
Con
un sospiro, si tirò in piedi e si diresse in salotto per recuperare
borsa e cappotto, lanciando un'occhiata al letto improvvisato sul
divano dell'americano. “Sicuro che starai comodo?”
“Sì,
non ti preoccupare. Sono contento che loro si riposino per bene.”
Lei
annuì. “Ci vediamo domani al lavoro.”
Ryo
l'accompagnò verso la porta: “Ehi, Zakuro?”
“Sì?”
Lui
studiò il suo viso per qualche secondo, poi scosse la testa. “No,
nulla. Sta' attenta mentre torni a casa, d'accordo? Buonanotte.”
Chiuse
la porta solo quando la vide scomparire nell'ascensore,
improvvisamente provato e stanco, come se tutta l'adrenalina di quei
giorni avesse deciso di calare di botto e fargli scendere la
pressione tutta in uno.
Non
sapeva cosa avesse combinato in una vita precedente, se mai c'era
davvero qualcosa di simile, ma il karma, l'universo, o gli Dei
sembravano davvero avercela con lui, viste tutte le cose che
continuavano a piombargli sul groppone. Vita sentimentale inclusa;
lui, che era sempre stato così deciso a mettere la carriera prima di
tutto.
“A
volte vorrei essermi innamorato di te, Zakuro.”
Lei
rise della sua risata roca, gettando appena la testa all'indietro
mentre il vino rosso galleggiava pericolosamente vicino al bordo del
bicchiere.
“Ora
so per certo che hai bevuto troppo.”
Anche
Ryo rise, passandosi una mano tra i capelli. “No, dico sul serio.
Con te sarebbe tutto molto più semplice.”
“Ne
sei proprio sicuro?”
Lui
la guardò, chiudendo un occhio con fare ironicamente critico. “Mh.
Forse.”
Zakuro
abbassò lo sguardo, giocherellando con il liquido. “Quindi ti sei
innamorato, Ryo?”
Shirogane
sospirò, scivolando verso il basso così che la nuca poggiasse sulla
testiera del divano. “Credi che potrei mai giocarmi il posto in
questo modo se così non fosse?”
“E
Ichigo lo sa?”
“Cosa,
che mi sono innamorato di lei o che rischio un'azione disciplinare?”
“Smettiamola
con tutte queste domande una dopo l'altra, per favore, e rispondi.”
Lui
sbuffò. “Certo che lo sa. Non è così
tonta.”
Lei
gli diede una gomitata: “E cosa pensi di fare?”
Ryo
si strinse nelle spalle. “Te l'ho detto, non lo so. Lei è...
complicata. È così... ah, non lo so nemmeno io. Non è come te,
questo è sicuro. Tu dici le cose come stanno, sei brava a prendere
decisioni in modo razionale. Un po' come me.”
“Fidati,
non stai facendo nulla
in modo razionale. E comunque, ti sei appena risposto da solo.”
“A
che cosa?”
“A
se sarebbe meglio se ti fossi innamorato di me. Siamo troppo simili,
l'hai detto tu. Per questo possiamo essere ottimi amici.”
“E
continuare con pericolosissime conversazioni sbronze
off-the-record?”
“Precisely.”
Come
se avesse ascoltato i suoi pensieri, il cellulare prese a ronzargli
nella tasca.
«Stanno
dormendo?»
Ichigo parlava sottovoce, e lo stava chiamando dal suo numero
riservato.
Ryo
annuì senza quasi pensarci, rendendosi conto solo dopo che lei non
sarebbe riuscita a vederlo. “Sì. Zakuro è appena andata via. Tu
sei a casa?”
Fu
come se stesse tentennando: «Sì,
sì, sono qua... da un po', ormai. Come ti senti?»
“Perché
me lo chiedi? Non sono io quello che è stato rapito.”
«Lo
so, ma... niente, volevo sapere se avevi voglia di un po' di
compagnia. Vuoi che venga lì?»
Lui
fissò il soffitto mentre si stendeva sopra le coperte. “Il divano
è un po' stretto per due.”
«Non
mi stai dicendo di no.»
Shirogane
rise della sua risata, prima che un rumore di sottofondo catturasse
il suo udito. “Non sei da sola, vero?”
«Ehm...»
poteva quasi vederla, mentre si mordeva un labbro e si arrotolava una
ciocca rossa attorno al dito «Ha...
ha voluto farmi una sorpresa, non pensavo sarebbe arrivato. Io...»
Ryo
chiuse gli occhi: “Non fa niente, Ichigo. Va' a dormire, ci vediamo
in ufficio.”
Prima
che lei potesse ribattere, il suono della telefonata che veniva
riagganciata la fermò.
Ichigo
espirò, portandosi il cellulare contro il petto. Sentiva l'inizio
del mal di testa echeggiarle nelle tempie e, come sempre quando
avvertiva il suo malessere, il piccolo Masha che le si strusciava
contro le caviglie, in cerca di conforto per sé e per la sua
padrona.
“Ichigo?”
la voce di Masaya la raggiunse da fuori la porta della piccola
terrazza della cucina “Va tutto bene?”
“Sì,
non preoccuparti... sono solo molto stanca, e mi sta venendo
l'emicrania.” replicò, forse un po' troppo secca.
“Problemi
al lavoro?”
Oh,
tu non ne hai nemmeno un'idea,
pensò, superandolo con un sorriso per rientrare al caldo e bere un
bicchiere di acqua.
Si
strinse nelle spalle, in cerca di una risposta. “Una mia amica non
è stata bene, ci siamo un po' preoccupati. Stavo chiamando per
sapere come stava.”
“Qualcuna
che conosco?”
Quante
domande, pensò
nuovamente, una punta di irritazione. “No, non la conosci.”
Masha
miagolò con insistenza, così lei lo prese in braccio. Non era mai
andato d'accordo con Masaya, l'aveva sempre reso abbastanza evidente.
Il pelo morbido e il tenue calore del suo gattino la calmarono, il
ronzio delle fusa che le dava il ritmo del respiro.
Si
voltò verso il suo fidanzato, che la stava guardando con quegli
occhi marroni così profondi e che tanto l'avevano fatta sentire
amata, un tempo. Sentì qualcosa smuoversi nel petto, e mise a terra
il gatto.
“Aoyama-kun?”
§§
Minto
era già stata una settimana lontana dal lavoro, ovviamente. Ma erano
state settimane prese per pura volontà, per ferie; non erano state
forzate su di lei perché si riprendesse. Oziare non era mai stato
parte del suo vocabolario, e quando le veniva imposto, diventava
matta.
Per
quello fu con un certo cipiglio che marciò dentro l'ufficio, quel
lunedì mattina, ansiosa di poter far ripartire la solita routine e
riacquistare una parvenza di normalità.
Sapeva
che la sua prima meta sarebbe stato l'ufficio di Akasaka-san; era il
capo, doveva parlare con lui prima di poter riprendere ufficialmente
il servizio, e sapeva che lui voleva anche accertarsi personalmente
che sia lei che Retasu stessero bene.
Forse
era un po' più in ritardo rispetto al solito, si disse mentre
scambiava sorrisi con gli altri colleghi, ma era tornata a casa
propria solo la sera precedente, dopo il tempo passato nella casa
rifugio, ed era stata così contenta di rivedere il suo letto da
dormire oltre il suono della sveglia.
Il
ritardo era anche l'unica ragione per cui Shirogane e Zakuro
potessero già essere lì, già evidentemente su di giri, in piedi a
discutere davanti all'ufficio del capo.
“Buongiorno!”
esclamò allegra, facendoli sussultare entrambi “E' possibile che
qui non ci si mai un attimo di pace?”
Ryo
la squadrò dall'alto, nervoso: “Cosa ci fai tu qui?”
“Oggi
riprendo servizio, Shirogane, ciao anche a te.”
Lo
vide scambiarsi un'occhiata con Zakuro e si accigliò. “Qualcosa
non va?”
“No,
è che... ah, Retasu, ci sei anche tu.”
La
ragazza era appena comparsa dietro di loro, insieme ad Ichigo e
Purin.
Minto
scosse la testa: “Io non so quale sia il vostro problema, ma io
devo parlare con Akasaka-san.”
Appoggiò
la mano sulla maniglia della porta prima che Ryo potesse fermarla, la
spalancò, e la scena che le si presentò davanti la fece gelare.
Keiichiro,
infatti, appariva intento in un'importante conversazione con qualcuno
seduto di fronte a lui, vista la ruga profonda tra le sopracciglia e
le mani congiunte davanti al viso; questo qualcuno si era voltato
sulla sedia girevole non appena aveva sentito il rumore della porta
aprirsi, ed aveva sorriso.
“Ciao,
colombella.”
I
suoni, da quel momento, divennero molto ovattati per Minto; rimase
lì, con la mano sulla maniglia e il corpo un po' proteso in avanti,
gli occhi sgranati e il sangue che le stava affluendo così
velocemente al cervello da farle ronzare le orecchie. La voce di
Keiichiro che invitava la squadra μ
e
Ryo ad entrare le sembrava molto lontana; l'unica cosa che poteva
avvertire quasi chiaramente era la presa dell'americano sul suo polso
e la sua mano leggera sulla schiena, un po' tra il sostenerla ed il
fermarla. Purin bisbigliò qualcosa in sottofondo, a cui rispose
Ichigo, poi fu lei a trovare la voce, un po' più alta del normale.
“Cosa
diamine sta succedendo qui.”
La
mano di Shirogane strinse appena più forte. “E' quello che mi
stavo chiedendo anche io,” ringhiò.
Keiichiro
sospirò rumorosamente. “Vi prometto che la situazione è diventata
chiara anche a me da pochi minuti. Se fossi stato informato delle
circostanze prima, tutto sarebbe molto diverso.”
“Cosa
ci fa lui qui?” sibilò velenosa tra i denti Minto, ignorando del
tutto la premessa del suo capo.
Kisshu
si alzò, il braccio a cui lei lo aveva colpito fasciato e premuto
contro il petto, tendendo l'altro verso il biondo, che lo rifiutò
con sguardo glaciale. “Sono Kisshu, Ikisatashi
Kisshu. Sono un agente sotto copertura del Dipartimento Speciale
della PSIA, e sono parecchi
anni che sto lavorando a questo caso.”
“Pensavo
fossimo noi il Dipartimento Speciale,” borbottò Purin, incrociando
le braccia.
“Sì,
be', a quanto pare hanno un DS ancora più speciale,” Akasaka si
lasciò andare contro la poltrona “E a quanto pare, ancora non
hanno perso la brutta abitudine di lavorare a compartimenti troppo
stagni.”
“Vuol
dire che nemmeno lei ne era stato informato, Akasaka-san?” domandò
Ichigo, la voce che faceva trasparire i nervi tesi.
“Che
ci fosse un'indagine parallela in corso, così avanzata e così in
profondità? Assolutamente no. Ne sono stato informato stamattina,
quando mi ha chiamato il Segretario della PSIA e l'Agente Ikisatashi
si è presentato qui.”
“E
come facciamo a sapere che nemmeno questa sia una trappola?”
domandò Shirogane.
“Ho
tutti i documenti, se vuoi. E posso rispondere a qualsiasi tua
domanda,” gli rispose beffardo Kisshu. “Ti ho detto anche il mio
vero cognome, sei estremamente libero di mettermi nella merda, se
volessi.”
“Oh,
trust me.
Mi piacerebbe.”
“Ryo.”
Akasaka lo riprese, severo. “Non è il momento di mettersi a
litigare. So che questo è uno shock per tutti, ma le indagini da
adesso devono proseguire in modo congiunto.”
Retasu
inspirò forte, agguantando la mano di Purin; la biondina, guardando
l'amica, scosse la testa. “Io non ci voglio lavorare, con lui.”
“Temo
che non ci sia un'altra opzione, Agente Fon.”
“Abbiamo
lavorato mesi senza di lui, non vedo cosa cambi adesso!” insistette
Ichigo.
“E
in effetti, si sono visti i risultati,” commentò sarcastico Kisshu
“Pensavate
davvero che il vostro teatrino in discoteca avrebbe funzionato se non
mi fossi avvicinato io?”
Minto,
a quelle parole, si irrigidì ancora di più e strinse gli occhi.
“Tu... tu sapevi chi eravamo?”
Lui
annuì: “La PSIA sapeva, ovviamente, della vostra investigazione.
Vi controllavano, e passavano le informazioni più importanti a me.
Devi ammettere, passerotto, che le chance di incontrarsi al Pure
con tutta quella gente erano davvero misere.”
Anche
la mano di Zakuro si strinse sull'altro polso della mora, tirandola
leggermente indietro.
“Cercheremo
di collaborare al meglio delle nostre capacità,” concluse
l'ex-modella, “Grazie per averci avvertito, Akasaka-san. Possiamo
andare, ora?”
“Vi
passerò tutte le informazioni disponibili al più presto.”
Minto
si dileguò, sentendo le pareti della stanza che si chiudevano
attorno a lei e l'aria che cominciava a mancarle, tallonata dalle sue
amiche. Retasu ancora non aveva detto una parola, nonostante le
insistenze di Purin.
“Minto!”
la voce di Kisshu la raggiunse pungente alle orecchie nel mezzo del
corridoio “Minto, aspetta!”
Si
sentì afferrare per un braccio, ma questa volta non c'erano
Shirogane o Zakuro a fermarla; usando la forza del voltarsi, centrò
il viso di Ikisatashi con un sonoro e robusto ceffone che gli fece
voltare la testa dall'altra parte.
“Non
osare toccarmi.” esalò “Tu mi hai usata.
Sapevi benissimo chi ero, eppure ciò non ti ha fermato dal... dal...
UGH.”
Liberò
il braccio dalla sua presa, ignorando i bisbiglii degli altri
colleghi e delle sue compagne, e marciò battendo i piedi a terra
verso le scale.
Sarebbe
andata nell'unico posto in cui sapeva si sarebbe sfogata veramente,
in cui il rombo dello sparo avrebbe potuto cancellare i mille
pensieri che le si accavallavano in testa.
Aprì
la porta dell'armeria con slancio, noncurante del fatto che rimbalzò
con un tonfo contro il muro. Prese le cuffie e una delle pistole in
dotazione, combattendo l'istinto di impugnare uno dei fucili.
Non
seppe per quanto tempo rimase da sola a riempire di precisi buchi le
sagome di cartone, o quanti caricatori svuotò; non le importava
molto, aveva solo bisogno di distrarsi, e non c'era altro modo
migliore, in quel momento, di sfogare la rabbia.
Dopo
un po', però, i suoi sensi già da tempo all'erta l'avvertirono di
una presenza alle sue spalle.
“Non
ho bisogno di un baby-sitter, Shirogane-kun.” esclamò, guardando
appena sopra la sua spalla.
Lui,
con le mani in tasca, abbozzò ad un sorriso. “Sono solo venuto a
vedere se stai bene.”
“Una
meraviglia,” rispose lei a denti stretti.
Poi
sospirò, sentendo la tensione farle dolere i muscoli della schiena.
Decise che era ora di smetterla, e si ravvivò i capelli dopo essersi
tolta le cuffie.
“Posso
prendermi il pomeriggio libero?”
“Credo
che se lo siano prese un po' tutte,” le rispose franco lui “Volevo
solo dirti che nemmeno io ne sapevo nulla.”
“Lo
so,” lei sorrise con sincerità “Non ci avresti mai messo in
pericolo se fosse stato diverso.”
“Non
sareste state in pericolo in primis, se l'avessi saputo.”
“Dovremmo
saperlo, che si lavora in questo modo. Immagino che la CIA non sia
migliore.”
Shirogane
sorrise: “Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti.”
Minto
rise, facendo un cenno verso i bersagli: “Vuoi sfogarti un po'?”
“No,
grazie,” Ryo scosse la testa “E' molto più il tuo genere di
cose, quello.”
“Ah,
giusto, tu hai Ichigo per sfogarti.”
“Aizawa.”
“Shirogane:”
L'allegria
con cui gli fece il verso fu presto smorzata da chi si vide comparire
davanti. Ryo, notato il suo sguardo, si voltò per seguirlo,
assumendo anche lui un'espressione minacciosa.
“E'
inutile che guardi me così, è stata la tua amica ad aggredirmi,”
Kisshu alzò le mani in aria, l'ironia della sua voce che certo non
l'aiutava nella posizione in cui era “Sono venuto solo per
parlarti, te lo giuro. Ho anche parlato con la tua amica Retasu.”
“Sei
fortunato che lei ha visioni più pacifiste delle mie.” borbottò
Minto, incrociando le braccia al petto.
Shirogane
fece un passo di lato verso di lei mentre Kisshu le si avvicinava.
“Vuoi che rimanga?” le domandò.
La
mora sospirò: “No, non preoccuparti. Sono circondata da armi, in
fondo.”
“D'accordo.
Ti aspetto di sopra.”
Con
un'ultima occhiata di minaccia all'altro uomo, Shirogane si allontanò
lentamente, e Minto si rivolse a Ikisatashi. “Che cosa vuoi, ora?
Non ti è bastato il ceffone di prima?”
“Minto,
io... volevo scusarmi per come sono andate le cose.”
Lo disse
con un'espressione talmente afflitta che lei quasi si ritrovò a
credergli.
“Quando...
quando Pai ha voluto portarvi via, quel pomeriggio... io dovevo stare
al gioco per garantirmi la copertura, lo sai questo, no? E mentre lui
vi... cercava
di estrarvi informazioni, io stavo cercando di mettermi in contatto
con la PSIA, ma purtroppo essere un agente della mia divisione spesso
vuol dire doversela cavare da soli.”
“Noi
ce la siamo decisamente cavata da sole.” rimbrottò lei.
“Ho
corso anche un bel rischio a venire qui, oggi, ma voi dovevate
saperlo e io dovevo spiegarvi.”
Combattendo
contro la tentazione di cedere così alla sua storia, Minto alzò il
naso per aria, inarcando le sopracciglia. “Ciò non toglie che tu
ti sia comunque preso gioco di me.”
“Neanche
tu sei stata esattamente limpida su chi tu fossi, dolcezza.”
“Ero
sotto copertura!”
“Io
lo sono da anni.”
“Avresti
potuto evitare di portarmi a letto!”
“Sbaglio
o tutto quello che sapevi dire quella sera era sì,
sì, sì?!”
Lei
chiuse la bocca, arrossendo visibilmente e raddrizzando la schiena.
“Quindi
cosa vuoi, ora?”
Kisshu
scosse la testa. “Niente, volevo solo chiarire, e farvi le mie
scuse per il modo in cui siete state trattate.”
“Ci
vorrà del tempo.”
“Lo
so, colombella. Credimi, lo so.”
Lei
sospirò, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Non
posso dire di essere estasiata all'idea di lavorare con te, ma spero
che almeno sarà un modo di chiudere in fretta questa faccenda.”
Kisshu
sorrise, con un guizzo negli occhi dorati. “Sarà un piacere anche
per me, passerottino. Ci vediamo.”
Le
voltò le spalle, e Minto lo osservò andarsene senza aggiungere una
parola.
(*)
Secondo il sempre autorevole Google Translator, è la
traslitterazione di spasibo,
ovvero grazie
in Russo.
E dopo ben due mesi, eccolo quaaaa *partono i fuochi di artificio*.
Scusate se vi ho fatto aspettare tanto, ma ero assolutamente
bloccatissima. Ringraziate i miei due moschettieri, ovvero Ria e Danya,
che oggi hanno *cough cough* fatto la pressa e indotta a scrivere tutte
ste pagine in una giornata sola (e chi deve studiare? xD).
Ovviamente non è venuto come
speravo, ma vabbene, ormai niente lo è più. Il titolo viene da
"Demons", degli Imagine Dragons, e ci sono un paio di cosucce a cui
dovreste far attenzione, nel chappy, perché sono... piccoli indizi :3
Direi che vi ho detto tutto, spero
che abbia soddisfatto l'attesa!
Un bacione a tutti <3
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