Dedico questa
storia a Zaira,
Perché
ascolta sempre tutto ciò che
ho da dire (senza scappare via urlando, aggiungerei) ed è un
angelo di
pazienza.
Un grazie
immenso per tutto quello
che fai.
Ti voglio un mondo di
bene, amica
mia.
Abbraccio
Ogni
volta che Sabo ritornava al
Quartier Generale dei Rivoluzionari in seguito ad una missione in
solitario, la
prima persona da cui andava dopo aver fatto rapporto a Dragon, era
Koala. Il
che era perfettamente comprensibile, vista l’amicizia che li
legava; quello che
gli altri Rivoluzionari non capivano, era il bisogno di rinchiudersi in
una
stanza per una serata intera.
I
più maliziosi insinuavano una presunta
relazione di letto, quelli più pratici semplicemente che i
due stessero a
parlare della missione. Tra questi, Ivankov apparteneva senza alcun
dubbio alla
prima fazione, non risparmiando battute indecenti e fuori luogo sui due
ragazzi, ogni qualvolta uscivano da quella stanza, due sorrisi
identici sul
volto; Dragon invece, tendeva a non sprecare molte parole su quello
strano
fatto, limitandosi a dire che qualunque cosa avessero da fare o da
dirsi, erano
solo affari loro.
Attorno
a quegli incontri, che duravano
troppo per una semplice chiacchierata tra amici e troppo anche per
essere impulsivi
momenti di passione, si erano sparse le più strane voci,
complice il fatto che
dopo i primi minuti, in cui i ragazzi si scambiavano frasi di benvenuto
e si
informavano l’una sulla salute dell’altro, dalla
stanza non proveniva alcun
rumore fino a che la porta non veniva nuovamente aperta; nessuno poteva
vantarsi di sapere cosa succedeva all’interno, eccetto i
diretti interessati,
che però divenivano piuttosto elusivi quando si trattava di
parlarne. Nella
fattispecie, Sabo rideva dicendo che non era niente di importante, ma
non gli
credeva mai nessuno; Koala invece, gonfiando le guance come quelle di
una
bambina, ripeteva che forse chiunque l’avesse chiesto doveva
imparare a farsi
un po’ i fatti suoi, anche se sapeva benissimo che era solo
fiato sprecato.
In
generale, qualunque strano rito
avvenisse, non era ancora stato scoperto.
**
Sabo
camminava svelto per il corridoio
che portava alla camera di Koala. Era passata più di una
settimana da quando
era partito, e, come ogni volta che andava in missione da solo, aveva
dovuto
lasciare al Quartier Generale una Koala decisamente contrariata.
L’ultima immagine
che ricordava di lei era un cipiglio arrabbiato e deluso e il suo naso
puntato
all’aria, mentre gli diceva che avrebbe fatto meglio a
tornare sano e salvo
indietro, così che lei stessa avrebbe potuto in seguito
spaccargli la faccia a
suon di pugni. Sabo, come anche Koala, sapeva bene che era tutta scena
ed era
il suo modo di dirgli di stare attento; la ragazza conosceva bene la
sua indole
piuttosto impulsiva, e non mancava mai di ricordargli di riflettere,
anche in
modi poco ortodossi come la minaccia.
Sabo
sentiva gli occhi dei compagni che
scivolavano su di lui, alcuni con un sorrisetto furbo sulle labbra,
altri
semplicemente curiosi, altri ancora gli allungavano pacche sulle spalle
e
saluti che lui ricambiava distrattamente. Sapeva benissimo cosa si
stavano
chiedendo, riusciva quasi a percepire l’intensità
dei loro pensieri che
cercavano di cucirgli il loro occhi addosso e risolvere il mistero
delle serate
insieme a Koala.
Schivò
un paio di
persone, portandosi una mano alla tesa del capello, prima di svoltare
l’ultima
volta a sinistra; la porta etichettata con “Koala”
si trovava accanto ad altre
porte tutte uguali, tranne che per il nome che portavano inciso sopra.
Sabo
diede due colpi di
nocche sul legno, facendo poi un passo indietro per aspettare che lei
gli
aprisse. Sapeva benissimo che era arrabbiata perché per
l’ennesima volta non
l’aveva portata con sé; anche se lui le aveva
spiegato sempre bene i motivi per
cui non era possibile che lo seguisse, Koala continuava a sostenere che
lui la
trattasse come una bambina, e quello la innervosiva. Quello che non
capiva, era
che lui non voleva che venisse perché non si sentiva in
grado di proteggere
anche lei.
Un
rumore di passi
dietro la porta lo riscosse dai suoi pensieri, prima che la maniglia
girasse e i
cardini spingessero la porta verso l’interno. Koala, vestita
con un abito
chiaro e senza maniche che le cadeva addosso accentuando le sue forme,
spuntò
dallo spiraglio aperto.
Sabo
alzò una mano per
salutarla e abbozzò un sorriso, mentre lei si scostava per
farlo passare.
«Ciao.» Disse piano.
Non
appena varcò la
soglia della stanza, l’odore dolce e gradevole di Koala lo
colpì da ogni lato,
avvolgendolo ed entrandogli a forza nella narici. Si sentì
stordito per qualche
secondo, prima di recepire uno spostamento accanto a lui.
Seguì con lo sguardo
la figura della ragazza oltrepassarlo e andarsi a sedere sul bordo del
letto.
«Ciao.»
Koala incrociò
le braccia sotto al seno, ostentando un atteggiamento infastidito. Lo
fissava,
in attesa di qualcosa, e rimase ferma per parecchi istanti prima che
lui, dopo
aver preso un profondo sospiro, sussurrasse un
“scusa”.
Sabo
sapeva bene che
non avrebbe dovuto scusarsi, poiché non era in torto, come
non lo era Koala, ma
tra i due quella che l’aveva sempre vinta era sicuramente
lei; osservò la sua
espressione cambiare ed addolcirsi. «Ti scusi sempre, e non
fai nulla per
cambiare la situazione.» Gli rispose, scostandosi di lato e
facendogli cenno di
sedersi accanto a lei.
Appena
l’ebbe fatto,
Sabo si voltò dalla sua parte. «Non posso farci
niente. Sono cose che devo fare
da solo.» E lo erano davvero; non avrebbe mai permesso a
Koala di seguirlo, per
quanto conoscesse la sua forza e si fidasse ciecamente di lei.
«Lo
so. Però non mi
piace non sapere quello che fai.» Anche Koala girò
il viso verso di lui. «Sono
sempre convinta che senza di me tu non faccia altro che cacciarti dei
guai.»
Sorrise alzando solo un angolo della bocca.
Sabo
ridacchiò. «Quanta
fiducia!» Esclamò fintamente offeso, prima che
Koala lo colpisse con una spallata.
Si massaggiò il braccio, anche se non gli aveva fatto male.
«Sai
cosa voglio dire.»
Riprese lei, nell’incrociare di nuovo il suo sguardo con quello
del ragazzo.
«Lo
so.» Le rispose,
con un risolino che gli illuminò il volto.
Rimasero
a guardarsi, entrambi
consapevoli del fatto che probabilmente non si sarebbero mai stancati
di farlo,
ma ben decisi a tacere su questa cosa. Koala studiò bene
Sabo, alla ricerca di
qualche livido o taglio, o qualunque cosa che potesse farle dubitare
del suo
buono stato di salute e quando non trovò nulla,
scivolò indietro, a posare la
schiena sul muro, osservandolo poi fare lo stesso e poi piegarsi per
starle più
vicino.
Solitamente
non
permetteva a nessuno di sedersi sul suo letto, specialmente poche ore
prima di
andare a dormire, ma con Sabo era diverso; le piaceva più
del dovuto sentire il
suo calore arrivarle di lato, e il suo peso accanto a lei sul materasso.
«Come
stai?» Gli
chiese, mentre lui si sporgeva in avanti per posare il cappello sul
mobile a
lato del letto.
«Un
po’ infreddolito,
sull’isola che ho visitato era pieno inverno, ma sto bene. La
missione è andata
bene: ho trovato le informazioni che mi servivano.» Sabo
piegò le gambe,
allargandole e poggiandovi sopra gli avambracci. Koala non disse niente
a proposito
delle scarpe sul copriletto, e si limitò ad annuire.
«Tu
come stai?»
Koala
si strinse
nelle spalle, un improvviso brivido le scese lungo la schiena e si
passò le
mani sulle braccia. «Anch’io sto bene. Sono solo un
po’ annoiata. Senza dover
badare a te, ho molto più tempo libero.» Gli
rivolse un sorrisetto furbo, i
grandi occhi blu aperti per cogliere la sua reazione.
«Di’
la verità:
ti manca non avermi sempre in giro.» Il sorriso che si
dipinse sulla sua
espressione la abbagliò, facendole perdere il filo del
discorso per un paio di
secondi.
Koala
fece per
parlare, ma richiuse la bocca subito dopo.
Sabo
era bravo
con le parole, ma lo era meno con i gesti, e soprattutto con i gesti
d’affetto;
a Koala, però, questa regola non si applicava, e lui
accettò serenamente
l’abbraccio che seguì.
Si
era alzata
sulle ginocchia, portandosi di fronte a lui, prima di allacciargli le
braccia
al collo. Il suo viso era affondato nella clavicola di lei, le labbra
che
sfioravano la pelle lasciata scoperta dalla scollatura del vestito;
Koala portò
una mano nei suoi capelli e l’altra a stringere la stoffa
della camicia.
«Come
se tu non
sapessi di essermi mancato.» Sussurrò,
spingendogli il viso più contro di sé.
Sabo
ci mise
poco per ricambiare; con un braccio le circondò il fianco e
con l’altro la
schiena, in un abbraccio che di amichevole aveva ben poco, ma nessuno
dei due
sembrava curarsene.
«Anche
tu mi sei mancata.» Le rispose. Koala rabbrividì
di nuovo nel sentire il
respiro di Sabo riscaldarle il collo, e gli accarezzò i
capelli, passando le
dita tra le ciocche arricciate.
Rimasero
in silenzio per parecchi minuti, stretti l’una
all’altro, con gli occhi chiusi.
Se
c’era una cosa di cui non avrebbero mai fatto a meno, era
quel tipo di contatto;
cercato e capace di creare una bolla di calore a pace accessibile solo
a loro
due. Ed erano anche consapevoli del fatto che era solo per loro volere
che
quello non era ancora cambiato.
Perché
Sabo aveva dominato l’impulso di baciare la pelle morbida del
collo di Koala
che le sue labbra si ritrovavano a sfiorare, ogni qualvolta quello si
era
presentato. Come aveva dominato quello di stendersi su quello stesso
letto e
lasciare vagare le mani ovunque desiderasse sul suo corpo.
E
perché Koala aveva evitato di intrufolare le dita sotto la
sua maglietta,
quando lo abbracciava, e di assecondare la voglia di gettare la testa
all’indietro, lasciandogli campo libero di fare tutto
ciò che avesse voluto.
Non
si ricordavano nemmeno il momento in cui il loro rapporto era cambiato
e
l’atmosfera aveva iniziato a farsi elettrica e densa,
sapevano solo che ormai
quella dell’amicizia era solo una facciata che si
preoccupavano di tenere
altra, perché il livello di complicità ed
intimità che avevano sviluppato non
era certamente quello di due semplici amici.
E
allo stesso tempo nessuno dei due si azzardava a rompere
quell’equilibrio nato
dal tacito accordo di non complicare le cose. Era già
abbastanza imbarazzante
dover rispondere alle eventuali domande indiscrete, sopportare le
battutine
sconce di Iva e gli sguardi carichi di sottintesi di Dragon, senza che
avessero, almeno apparentemente, un motivo di esistere. Figurarsi se
avessero
finito davvero per stare insieme, a quel punto nessuno si sarebbe
trattenuto, e
chiunque si sarebbe sentito in diritto, se non in dovere, di dire la
sua sulla
loro relazione.
Si
limitavano, quindi, a crogiolarsi in quei momenti di agognata tregua ai
quali
nessun altro era ammesso. Era molto più semplice
così, senza particolari
implicazioni e con il solo desiderio di sentirsi vicini.
Certo
però era, che non avrebbero potuto resistere per sempre in
quello stato di
costante tensione, perché il fatto di dover stare
forzatamente lontani, o
quasi, all’esterno di quella stanza, scambiandosi solo fugaci
occhiate ed
affettuosi sorrisi, non giovava di sicuro alla loro situazione; specie
nel
momento in cui, dopo anche parecchi giorni di lontananza, si
ritrovavano da
soli, abbracciati, su di un letto.
Era
infatti ogni volta più difficile fermarsi un momento prima
di fare qualcosa che
avrebbe spezzato l’equilibrio per sempre; era anche quella,
appunto, la causa
per cui il tempo che passavano in quel modo andava sempre
più diminuendo.
L’aria iniziava a farsi decisamente troppo piena di attesa,
frenesia e desideri
inespressi, ed al contempo tutta quella smania non poteva essere
sfogata; a
quel punto, entrambi sapevano che era il momento di separarsi e
scambiarsi i
soliti sorrisi imbarazzati in silenzio, cercando di riprendere un
minimo di
contegno, tra rossori e tentativi di scuse.
Ma
non era una questione fisica, o almeno non solo; in un modo che non
sapevano
spiegarsi, era entrati più in sintonia di quanto avessero
mai osato sperare.
Ogni loro gesto derivava da un bisogno spontaneo e quasi necessario di
lasciarsi andare alla presenza dell’altro, consapevoli che
per nessun motivo
avrebbero visto la loro fiducia tradita; ed era bello poter contare
totalmente
ed incondizionatamente su una persona, in quel modo disinteressato che
non
chiedeva niente in cambio. Non c’erano altri a cui si
rivolgevano per un consiglio,
un parere, una carezza o semplicemente qualcuno con cui stare in
silenzio.
Come
quando, da più piccola, Koala cadeva spesso preda degli
incubi che le
ricordavano la sua vita da schiava, e si svegliava nel cuore della
notte, le
guance rigate di lacrime silenziose, e la schiena che bruciava, nel
punto
esatto in cui il simbolo della schiavitù era stato coperto
da quello dei Pirati
del Sole. A quel punto, con gli occhi sbarrati nel buio, Koala si
alzava, e a
piedi nudi camminava fino alla stanza di Sabo; bussava timidamente, e
faceva un
passo indietro, in attesa che lui le aprisse. A volte, visto che Sabo
aveva il
sonno pesante, passava qualche minuto prima che la sua faccia assonnata
facesse
capolino dalla spiraglio della porta. Allora si faceva da parte, e la
prendeva
per mano, sedendosi sul materasso insieme a lei e lasciando che si
sfogasse in
silenzio. Capitava anche che Koala, sfiancata dall’angoscia,
finisse per
addormentarsi lì; da bambini la cosa era poco importante,
Sabo la scuoteva
leggermente, per riuscire a farla infilare sotto le coperte con lui, da
ragazzi
invece, la portava in camera sua, consapevole che non era
più il caso di
dormire insieme, anche se solo come amici.
Più
raramente era capitato di quei tempi, e le poche volte che Koala si era
recata
in camera sua, era riuscita ad andarsene sulle sue stesse gambe, anche
se il
pensiero di rimanere lì e lasciare che le braccia di Sabo
scacciassero via i
brutti ricordi l’aveva allettata più di una volta.
Ripensando
a quei momenti, Sabo si ritrovò a sorridere, stringendo di
più le braccia
attorno a lei.
Koala
si tirò un po’ indietro, per riuscire a guardarlo
in volto e leggere la sua
espressione. «Che c’è?» Gli
chiese, sempre sussurrando; come minimo l’intera
Armata Rivoluzionaria aveva le orecchie attaccate alla loro porta, per
non
parlare di Iva, che cercava sempre nuovi modi per metterli in imbarazzo
e
“costringerli – come amava ribadire –
alla resa”.
«Ci
conosciamo da tempo, noi due.» Le disse.
Koala
fece finta di pensarci un po’ su, poi annuì; Sabo
affondò di nuovo il viso nel
suo collo, nella posizione di pochi secondi prima. «Ti
sopporto da un sacco di
anni.» ridacchiò lei, sollevando con lo sbuffo i
capelli biondi che si
trovavano vicino al suo naso.
«Ah-ah.
Non ero io che ti chiedevo di venirmi a svegliare in piena
notte.» Non si
preoccupava di rinfacciarle quella cosa, fintanto che entrambi sapevano
che
stava scherzando, che in realtà era felice che Koala si
rivolgesse a lui quando
aveva bisogno di conforto.
Le
gli sfregò una mano sulla testa, continuando a ridacchiare.
«Ehi! Serve per
ripagarmi di tutte le volte che sono stata ad ascoltarti mentre mi
parlavi dei
tuoi fratelli.»
Ed
anche quella era una bugia; a Koala piaceva tantissimo ascoltare le
storie di
quei tre ragazzini che vagavano da soli per la foresta, affrontando
qualunque
ostacolo di qualunque natura che si fosse parato loro davanti, con in
comune apparentemente
solo il sogno di prendere il mare, un giorno. Le piaceva sentire
attraverso la
voce di Sabo il profondo legame che li aveva uniti e che li univa
ancora, le
piaceva perché era un sentimento che superava qualunque
barriera, che fosse di
tipo sociale, di sangue o geografica, a quanto pareva era
più forte perfino
della morte, e le ricordava un po’ la gratitudine che provava
per Fisher Tiger.
Inoltre
quelle storie confermavano quanto Sabo fosse una persona speciale,
perché era
riuscito a svincolarsi in modo autonomo da un mondo che
l’avrebbe voluto
l’esatto opposto di ciò che era ed era riuscito a
fare della sua vita ciò che
voleva fin da piccolo.
Sabo
produsse un suono simile ad un sibilo, per zittirla, con
l’intenzione di
infastidirla, ma riuscendo solo a procurarle un ennesimo brivido nel
momento in
cui le sue labbra le sfiorarono la clavicola.
Era
quello, il momento; Sabo aveva sospirato, nel sentirla vibrare tra le
sue
braccia, e, con delicatezza, aveva iniziato ad accarezzare la linea
della
spalla con la punta del naso. Non era un gesto da amici, e Koala lo
sapeva
molto bene.
Combattuta
tra l’urgenza di lasciarlo fare e la consapevolezza che
sarebbe stato meglio
fermarlo, prima che non ci fosse più modo di tornare
indietro, Koala si
irrigidì nel bel mezzo di un respiro.
Il
naso di Sabo smise di muoversi su di lei, e il ragazzo
tossicchiò, lo sguardo
fisso sulla pelle a pochi millimetri da lui; era stato stupido, troppo
stupido
ed impulsivo. Gli venne una strana voglia di ridere: alla fine Koala
aveva
sempre ragione.
Non
la fermò quando si scostò e, a capo chino e con
le mani raccolte in grembo, si
alzò sulle ginocchia per tornare al suo posto accanto a lui,
ben attenta a non
sfiorarlo nemmeno con un lembo del vestito. Non riusciva a vederla in
volto, ma
sapeva che era arrossita e che si teneva il labbro superiore tra i
denti, lo
faceva sempre.
Da
suo canto, si limitò a sedersi più dritto, lo
sguardo fisso sul muro di fronte
a sé. Sapeva di essere arrossito anche lui.
Si
era anche accorto della sfrenata corsa in cui il suo cuore si era
lanciato non
appena aveva deciso di obbedire a quell’impellente ordine di toccarla, ed era sicuro che Koala si era
trovata ad affrontare lo stesso problema.
Prese
un profondo sospiro, prima di mettere a tacere l’istinto di
prenderla per le
spalle e baciarla una volta per tutte, e senza alcuna esitazione.
«Mi
dispiace.» Le disse, senza provare nemmeno a guardarla. Erano
delle semplici
scuse di circostanza, Koala se ne accorse, come al solito, e
sbuffò. «Non dire
che ti dispiace, perché non è vero.» Si
sentiva una nota di divertimento nella
sua voce, ma forse era solo la sua immaginazione. Quella situazione era
tutto
tranne che divertente.
Sabo
appoggiò la testa al muro. «Ovvio che non
è vero. Non faccio cose che mi
dispiace fare.» Allargò le braccia,
sempre attento a non entrare in contatto con lei di nuovo, con quelle
premesse
non era auspicabile.
Koala
si girò verso di lui, scrutandolo dal basso. «Ah,
lo so.» disse, e quella volta
non poteva sbagliarsi: le sue labbra erano piegate in un sorrisetto
storto.
«Perché
ridi?» Gli dava un po’ fastidio quel suo prenderla
alla leggera, si sentiva
vagamente preso in giro.
«Perché
questa situazione mi fa ridere. E’ assurdo. Tutto
questo – indicò loro due e lo spazio che
li circondava – è assurdo.»
iniziò. «Secondo te una cosa del genere
è salutare?» ironizzò, continuando a
ridere piano.
Sebbene
ancora stranito, Sabo la seguì nella sua risata.
«“Una cosa del genere”?»
enfatizzò, con le mani a mimare il segno delle virgolette.
«Trattenersi
in questo modo.» Koala alzò le mani verso il
cielo, come se non riuscisse a
capacitarsi di come fossero finiti in quella situazione.
Sabo
la squadrò, chiedendosi cosa le fosse preso. Non era mai
stata tanto esplicita,
e di sicuro non con lui e non su quegli argomenti; per quanto sapessero
di
potersi confidare l’uno con l’altra, i discorsi che
avevano affrontato non
erano certo di quel tipo. La cosa lo spiazzò non poco, tanto
che decise non
applicare un filtro a quello che gli passava per la testa, dal momento
che lei
non si stava nemmeno preoccupando di farlo.
«Quindi
mi stai dicendo che non avrei dovuto fermarmi?»
Alzò un sopracciglio. Era la
conversazione più strana che si fosse mai ritrovato ad avere
con Koala… perfino
più strana di quella volta in cui avevano parlato del fatto
che leccare le rane
era considerato in molti paesi il rimedio migliore contro la febbre.
«Non
proprio. Forse avresti dovuto fermarti… dopo.»
Koala pronunciò l’ultima parola
balbettando ed arrossendo di botto.
«Dopo,
quando?» Incalzò lui, curioso di sapere dove lei
volesse andare a parare, a
quel punto.
«Magari
avresti potuto… baciarmi, ecco!» Ovviamente non
urlò, per paura che qualche
orecchio indiscreto (o parecchi), potesse sentirla, ma la sua voce
risultò
comunque più acuta.
Sabo,
a quel punto, non riuscì più a tenersi.
Rotolò di lato sul letto,
schiacciandosi una mano sulla bocca per non far udire la sua risata.
Koala
fissò la sua schiena, le guance gonfiate in un broncio
infantile. «Smettila di
prendermi in giro.» Borbottò
nell’incrociare le braccia.
Sabo
riuscì a ritornare dritto, con le lacrime agli occhi. Koala
era visibilmente
contrariata, e quella cosa, giusto perché gli piaceva
infastidirla, lo fece
sentire molto più sicuro di quello che stava per fare; si
sporse verso di lei,
in un movimento piuttosto veloce, ma comunque abbastanza lento da farle
intuire
ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi secondi.
Le mise una mano sulla guancia,
spingendola verso di sé, gli occhi puntati gli uni negli
altri, quelli di Koala
sorpresi ed ancora leggermente contrariati, quelli di Sabo accesi da
una luce
furba e maliziosa. Scese per pochi secondi a guardarle le labbra, e non
si
accorse che lei stava facendo la stessa cosa, per poi tornare con lo
sguardo
ben fisso nel suo. «Se volevi un bacio bastava
chiederlo.» ridacchiò, e fece
per baciarla; Koala, tuttavia, si tirò appena indietro,
abbastanza per farlo
bloccare. La guardò interrogativo.
«Non
lo stai facendo solo perché te l’ho detto,
vero?» Gli chiese, ogni traccia di
fastidio era sparita e il tono di voce che usò era tanto
pieno di sincera
preoccupazione, che Sabo non riuscì a trattenere un sorriso
intenerito.
«Lo
sai che non faccio mai niente che non voglio fare.»
Quella
risposta bastò a Koala, e le loro labbra si incontrarono a
metà strada. Non fu
un bacio di quelli passionali, per quelli avrebbero avuto tempo, ma li
soddisfece
appieno. Andarono lentamente, quasi in modo impacciato, saggiando la
consistenza
e il gusto dell’altro, lasciando che i loro respiri si
mischiassero, e che le
mani fossero libere di andare dove più aggradasse loro.
Koala le posò piano sul
petto di Sabo, e le lasciò risalire con lentezza fino ad
intrecciarle dietro la
sua nuca, scivolando più vicina quando lui le
circondò nuovamente i fianchi con
le braccia. Si sfiorarono più volte le labbra, socchiudendo
appena gli occhi
ogni volta, per poi tornare ad osservarsi e a godersi le espressioni
appagate
che si erano dipinte sui loro visi.
Sapevano
di essere appena entrati in un campo minato, di aver appena rotto
quell’equilibrio che tanto si erano preoccupati di mantenere,
ma
inaspettatamente la cosa non li turbava affatto. Bastava sapere che
quello era
ciò che sentivano, che era vero, e che non avrebbero
più dovuto tenerlo
nascosto, almeno tra loro due. E chissà, forse sarebbero
riusciti anche a
trovare un nuovo equilibrio.
Note
della pazza autrice:
Buonsalve,
gente! Ringrazio per prima cosa chiunque abbia letto fin qui, e visto
che sono
nuova in questo fandom, spero che deciderete di lasciarmi un parere,
anche
critico, purché costruttivo.
Vi
dirò, credo che questi due siano diventati la mia nuova ed
indiscussa OTP, come
non succedeva da anni ed ho sentito l’impellente bisogno di
scrivere qualcosa
di parecchio diabetico su di loro (oltretutto dopo aver visto una
fanart che mi
ha fatto sciogliere come un ghiacciolo ad agosto).
Spero
vivamente di non aver reso i personaggi OOC, perché
è una cosa che detesto, e
mi rimetto al vostro giudizio, dato che non riesco ad essere obiettiva
su
questo fatto.
Detto
ciò, ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno letto, e li
abbraccio virtualmente.
LysL
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